quanta libertà invece gli viene concessa? Cercheremo di vedere insomma,
facendo leva sul binomio autore-attore, in che modo il mondo e l’immaginario
scorsesiano si incontrano con la recitazione di De Niro e, attraverso di essa,
trovano espressione.
Nella prima parte, seguendo lo stesso criterio di indagine, vengono analizzate le
condizioni storiche in cui si realizza la collaborazione tra Scorsese e De Niro: nel I
capitolo analizziamo brevemente l’industria hollywoodiana, focalizzandoci sul
periodo che va dalla seconda metà degli anni Quaranta ai primi anni Settanta. Si
passerà così dal declino che l’industria subisce nel secondo dopoguerra – dovuto
principalmente a un calo del pubblico e a un cambiamento nella struttura
organizzativa delle grandi case di produzione – al fiorire della produzione
indipendente tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, al
rapporto del cinema con la neonata televisione, al tentativo dell’industria di
riconquistare il pubblico perduto investendo ingenti somme di denaro nelle mega
produzioni, per approdare, al termine del capitolo, alla “New Hollywood”, ovvero
al tentativo di rinnovamento del cinema americano operato da una nuova
generazione di giovani cineasti, tra i quali lo stesso Scorsese.
Un analogo percorso viene fatto per l’attore, osservando l’evoluzione che la figura
dell’attore cinematografico compie nel passaggio dal cinema classico a quello
moderno; si comincia delineando la nascita e lo sviluppo del fenomeno del
divismo e dello Star System, cioè di quel sistema culturale, sociale, economico e
commerciale che si sviluppa attorno alla figura della star, cercando in questo
modo di comprendere l’importanza della figura del divo all’interno dell’industria
cinematografica, come punto di incontro tra le richieste del pubblico e le esigenze
dei produttori. L’attenzione si focalizza poi sul processo di “creazione” della star,
facendo leva sul concetto di attore come presenza fisica all’interno del testo
filmico, che reca su di sé le tracce dell’epoca alla quale appartiene, e che è
chiamato a interpretare un ruolo sociale oltre che cinematografico. Con l’avvento
della modernità il cinema rinnova i propri attori: a partire dagli anni Cinquanta,
anche in relazione alle mutazioni subite dall’industria, essi sono chiamati a
incarnare una nuova fisionomia sociale e generazionale; con la New Hollywood
5
cade l’immagine del divo come figura archetipica e l’attore si fa portatore di un
ideale di realismo e immediatezza. Sullo schermo compaiono ora personaggi
comuni, volti atipici, tali per cui viene meno la corrispondenza tra l’attore e il
ruolo interpretato. La maschera dell’attore classico si frantuma; l’attore moderno
è chiamato ora a un’immedesimazione spontanea nel personaggio. Allo stesso
tempo, la rottura con i codici stilistici e di racconto classici comporta per l’attore
la perdita del ruolo di motore narrativo del film. Dal momento poi che molti degli
attori che potremmo definire “moderni” – e De Niro è naturalmente uno di questi
– si rifanno al Sistema elaborato da Stanislavskij, nato in ambito teatrale ma poi
assimilato anche dal cinema, e agli insegnamenti di Lee Strasberg, dell’Actors
Studio, ci è sembrato diveroso, a questo punto della tesi, aprire un breve
approfondimento sul Metodo.
Nei i successivi due capitoli entriamo nel vivo del discorso, avvicinandoci
all’oggetto della nostra indagine; nel capitolo II, dopo una prima parte biografica,
viene analizzato l’esordio del regista nel mondo del cinema: ne ripercorriamo il
cammino, dai primi lavori universitari, fino all’approdo al lungometraggio,
preludio a Mean streets, opera che sancisce l’inizio della collaborazione con De
Niro. Il capitolo III, sulla falsariga del precedente, traccia invece il percorso
biografico e professionale di Robert De Niro, la lunga gavetta nel teatro e nel
cinema, fino al 1973, anno dell’incontro con Scorsese. I due capitoli sono stati
costruiti sostanzialmente in modo parallelo, offrendo così la possibilità di
effettuare un primo confronto, che sarà in verità affrontato in modo più completo
nel capitolo successivo, conclusivo della Prima Parte. In questo IV capitolo infatti,
dopo una breve introduzione che tratteggia la genesi di Mean streets, è descritto
l’incontro tra il regista e l’attore. Con le informazioni di cui è possibile disporre, si
è tracciata una mappa dei possibili punti di contatto, o di divergenza, tra i
percorsi biografici e di formazione dei due protagonisti del nostro lavoro; sulla
base delle osservazioni che ne derivano, vengono poi posti i quesiti a cui si
cercherà di rispondere attraverso le analisi realizzate nella Seconda Parte.
6
PARTE PRIMA
7
CAPITOLO I: LE PREMESSE
1. L’ industria hollywoodiana dal secondo dopoguerra agli anni Settanta.
Le variabili economiche che concorrono alla realizzazione di un prodotto filmico
godono di importanza pari a quelle storico-sociali e stilistiche. Non per nulla si
parla di “industria” hollywoodiana, di Hollywood come “fabbrica” dei sogni; a
sottolineare che il cinema, in particolare quello americano, nasce da una
combinazione di forze, tra le quali, quelle economiche, occupano spesso una
posizione di rilievo. E’ per questo che dal momento in cui ci si appresta ad
analizzare un aspetto o un particolare periodo del cinema, la nostra analisi non
può prescindere dall’osservazione del quadro industriale che caratterizza la
produzione cinematografica in quel dato periodo. I costi di produzione, di
distribuzione, gli incassi, sono fattori che incidono a volte in maniera
determinante sulla realizzazione di un film, finendo per avere ripercussioni anche
sugli aspetti stilistici; come sostiene, forse un po’ pessimisticamente, William
Paul
fin dai primordi cinema è stato quasi sinonimo di denaro; si può parlare con gli
sceneggiatori, gli attori o i registi più intellettuali dell’ultimo successo di critica o di
pubblico, e prima o poi la conversazione scivolerà inevitabilmente sui budget, gli incassi,
le campagne pubblicitarie.[…] il denaro è un problema ben più tangibile delle tecniche
narrative, la mise en scene o la semiotica e i costi di produzione e gli incassi hanno
ripercussioni inevitabilmente sul tipo di film che viene prodotto.
1
Dai primissimi anni Cinquanta l’industria hollywoodiana è caratterizzata da una
serie di cambiamenti di ordine economico e organizzativo che concorreranno,
1
WILLIAM PAUL, Hollywood Harakiri, in “Film Comment”, marzo-aprile, 1977; trad. it. di
Rita Imbellone in Nuovo cinema/Pesaro n.3 (78), collana diretta da Lino Miccichè,
Marsilio Editori, Venezia, 1979, pag. 7.
8
insieme con altri fattori, al fiorire di produzioni e protagonisti che cercheranno di
slegarsi dai vincoli dell’industria, dichiarandosi indipendenti. Sulla scorta di
queste esperienze e della necessità di riconquistare parte del pubblico perduto,
dalla seconda metà degli anni Sessanta, un gruppo di giovani registi darà il via
alla rinascita del cinema hollywoodiano, meglio conosciuta come New Hollywood.
Il declino
L’anno 1946 può essere considerato spartiacque tra due diversi momenti
dell’industria del cinema americano. Nell’immediato dopoguerra l’America gode di
condizioni economiche particolarmente favorevoli, che apportano vantaggi anche
allo Studio System: una maggiore disponibilità economica infatti dà la possibilità
di spendere di più; i lavoratori possono dedicare risorse maggiori al proprio
divertimento, affollando in massa le sale cinematografiche. Il 1946 segna il
momento in cui si registrano gli incassi più alti; introiti che, come osservano
Bordwell e Thompson, <<se aggiornati all’inflazione, restano probabilmente i più
alti di tutti i tempi>>
2
. Ma nello stesso tempo, questo anno inaugura
paradossalmente l’inizio del declino dello Studio System: se nel 1946 gli
spettatori nelle sale toccano la vetta dei 90 milioni, scendono a 60 milioni entro il
1950; e diminuiscono ancora il decennio successivo, fino ad arrivare ai soli 17
milioni dei primi anni Settanta. L’accresciuta prosperità degli americani si rivela
ben presto per il cinema un’arma a doppio taglio. Se inizialmente essa determina
un maggior flusso di spettatori nelle sale, ben presto gli stessi dirigeranno i
propri interessi verso altre attività con cui trascorrere il proprio tempo libero.
Salari più alti e meno ore di lavoro portano un cambiamento nelle abitudini del
pubblico cinematografico, che comincia a rivolgere la propria attenzione ad
attività quali lo sport, l’ascolto di musica a casa, che mettono in crisi l’abitudine
2
DAVID BORDWELL, KRISTIN THOMPSON, Film History: An Introduction, McGraw-Hill,
1994, trad. it. Storia del cinema e dei film. Dal dopoguerra a oggi, volume secondo,
Editrice Il Castoro, Milano, 1998, pag. 32.
9
di andare al cinema. A questo si deve aggiungere che nel corso degli anni
Cinquanta molti americani si trasferiscono a vivere nei sobborghi, dove però le
sale cinematografiche sono relativamente poche; inoltre l’aumento delle nascite,
il famoso “baby boom”, porta sempre più coppie ad aver minor tempo da dedicare
alle uscite per l’intrattenimento, cosicché esse devono organizzare il tempo libero
stando a casa, con mezzi autonomi, tra i quali sta prendendo piede la televisione.
Ma una delle cause della caduta dell’industria hollywoodiana proviene
dall’interno del sistema stesso. Sin dagli anni Dieci gli Studios di Hollywood si
costituiscono in un oligopolio che permette di avere il pieno e completo controllo
dell’industria cinematografica, dalla produzione, alla distribuzione, all’esercizio;
In particolar modo la distribuzione e la proprietà di sale per la proiezione sono le
fasi che assicurano alle Big Five ( Paramount, Warner Bros., Loew’s-MGM, 20th
Century-Fox e RKO) e alle Little Three (Universal, Columbia e United Artists) il
predominio nel sistema. Come infatti sostiene Geoff King
era il controllo della distribuzione e dell’esercizio delle sale cinematografiche ad essere di
importanza cruciale per il funzionamento del sistema. La distribuzione non è un’attività
affascinante, “sexy” e neanche molto visibile. Tuttavia è una parte essenziale dell’azienda.
Le major possedevano vaste reti nazionali e internazionali di distribuzione che
costituivano un anello vitale della catena. Qualunque casa di produzione che volesse far
proiettare i suoi film doveva percorrere quella strada. [...] L’esercizio era visto come il
settore più proficuo dell’azienda durante l’era degli Studios, poiché rappresentava di gran
lunga l’area in cui le major facevano i maggiori investimenti. Gli enormi impianti di
produzione e le retribuzioni delle star incidevano solo per il cinque per cento. La
distribuzione incideva per l’uno per cento. Qualcosa come il novantaquattro per cento
degli investimenti durante gli anni Trenta e Quaranta era vincolato nella proprietà di sale
cinematografiche in tutta l’America
3
.
Ma la cosa importante è che le Major detengono il controllo delle sale più
prestigiose, ovvero i cinema di prima visione nelle grandi città. Cosicché, se gli
altri cinema o le catene di sale indipendenti vogliono proiettare i film a più alto
costo per attirare il proprio pubblico, devono scendere a compromessi con il
potere delle Major, che consentono loro di proiettare questi film solo se acquistati
in pacchetto con altri film di minor richiamo.
3
GEOFF KING, New Hollywood cinema. An introduction, I.B.Tauris & Co., London, 2002;
trad. It. La New Hollywood. Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del blockbuster,
Giulio Einaudi editore, Torino, 2004, pagg. 32-33.
10
Con l’arrivo del 1948 però, la situazione, per le maggiori case di produzione, si fa
cruciale. La Corte Suprema degli Stati Uniti infatti, portando a compimento una
causa avviata nel 1938 e ricordata come “il caso Paramount”, condanna le
“cinque grandi” e le “tre piccole” per condotta monopolistica, costringendo le
Major a rinunciare alle sale. A questo si aggiunga il calo del pubblico. Ma se
nonostante ciò la struttura dell’industria non cambia in modo sostanziale, in
quanto le Major e le Minor continuano a dominare il mercato e gli incassi, è pur
vero che dalla fine degli anni Quaranta sale e produzioni indipendenti ottengono
un posto all’interno del mercato. Le sale indipendenti possono disporre di una
gamma più vasta di materiali; le case di produzione minori accedendo alle sale
più prestigiose si possono anche permettere film a budget più alto; infine si
raddoppia il numero annuale di film indipendenti: divi e registi abbandonano gli
studios per fondare proprie case di produzione e le grandi società distribuiscono
grandi quantità di film indipendenti, portando una diminuzione del numero di
film prodotti dai grandi Studios. Ma la novità più importante forse è il modo di
produzione indipendente: i film vengono realizzati sulla base di un “pacchetto”,
che contiene gli elementi necessari alla produzione, dal regista, agli attori, allo
sceneggiatore, per il quale si cercano i finanziamenti necessari. Gli indipendenti
assumono il personale per la realizzazione di un film volta per volta; questo
comporta la riduzione del numero di persone tenute sotto contratto e, di
conseguenza, delle spese. Se a questo si aggiunge la crescita del numero di film
indipendenti acquistati da parte degli Studios, si comprende come tra la fine
degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta la produzione di film è
costituita quasi per la totalità dagli indipendenti. Secondo William Paul
l’abbandono dei canoni del cinema classico negli ultimi quindici anni aveva solide
motivazioni economiche, così come le aveva il cinema classico. I profondi mutamenti
strutturali subiti dalle major americane dopo il periodo di relativa stabilità portarono a
mutamenti di analoga importanza nella forma e nel contenuto dei film prodotti in
America
4
.
4
WILLIAM PAUL, Hollywood Harakiri in “Film Comment”, op. cit., pag. 9.
11
Reagendo alla fuga di pubblico, i produttori cominciano a diversificare la propria
produzione, realizzando film che siano in grado di attirare un settore specifico
della popolazione. Se prima degli anni Cinquanta gli Studios pensavano i propri
film come prodotti indirizzati a un pubblico famigliare, misto, dal decennio
successivo, e in particolare con l’avvento del cinema indipendente, il sistema di
produzione hollywoodiano diviene più frammentato; cominciano così ad apparire
con sempre maggiore frequenza film destinati agli adolescenti, ai giovani o agli
adulti. Molte società indipendenti si specializzano in film di exploitation
produzioni minime che – nell’impossibilità di avvalersi di divi o autori affermati – si
basavano su argomenti attuali o sensazionalistici che potessero essere exploited, vale a
dire sfruttati commercialmente. […] gli esercenti, ora liberi di noleggiare materiale da
chiunque desiderassero, scoprirono che certi prodotti a bassissimo budget offrivano
spesso un profitto più sostanzioso dei colossi degli studios […]. Le società dedite
all’exploitation sfornavano a due soldi film horror, di fantascienza ed erotici
5
.
Ma oltre a questi generi, viste le nuove prospettive offerte dal mercato, i
produttori indipendenti sono anche in grado di realizzare film ad alto budget,
spesso film storici o adattamenti di best-seller.
Appare molto chiaro ormai che il sistema dei generi della Hollywood classica,
mezzo sicuro per soddisfare le richieste di un pubblico numeroso ed eterogeneo,
si sta modificando, riflesso dei cambiamenti finanziari del business
cinematografico e dei mutamenti dell’industria. Ma accanto ai generi, dell’era
classica sembrano venire meno anche il procedimento di regolamentazione, o
meglio autoregolamentazione, delle case di produzione, volto al rispetto dei limiti
posti dalla censura
6
.
5
DAVID BORDWELL KRISTIN THOMPSON, Storia del cinema e dei film.. Dal dopoguerra a
oggi, op. cit., pag. 40.
6
All’inizio degli anni Venti, Hollywood è diventata sinonimo di eccessi e decadenza. Di
fronte alla necessità di ridarle un’immagine accettabile e per evitare i pesanti controlli
della censura federale, gli studios si accordano per dare vita a un organismo di controllo
della produzione, la Motion Picture Producers and Distributors of America, la MPPDA, a
capo della quale si pone, nel 1922, Will Hays. La MPPDA ha diversi compiti, ma viene
ricordata soprattutto per il suo Codice di Produzione ( meglio noto come Codice Hays),
attraverso il quale l’industria cinematografica è in grado di autoregolarsi, evitando così il
rischio di una censura esterna. Il Codice legifera in materia di temi quali il sesso, la
violenza e la rappresentazione del crimine, imponendo la necessità per i film in uscita di
un marchio di approvazione senza il quale il film non poteva essere proiettato nelle sale,
pena il pagamento di una multa.
12
A partire dagli anni Cinquanta infatti, il meccanismo di autocensura
dell’industria comincia a incontrare sempre maggiori difficoltà nel far rispettare i
propri dettami; causa la vistosa diminuzione di pubblico nelle sale e l’invece
crescente concorrenza della neo-nata televisione, si cominciano a produrre film
più espliciti, audaci, in grado di creare un coinvolgimento maggiore degli
spettatori, strappandoli così al piccolo schermo.
In realtà Hollywood intrattiene un duplice rapporto con il nuovo mezzo televisivo:
se inizialmente, come è stato detto, il tubo catodico si presenta come una seria
minaccia nei confronti del cinema, attaccandone gli incassi, rapidamente si
trasforma in una possibile ancora di salvezza. Le società produttrici di cinema
infatti si sono da tempo separate, in quanto società, dagli esercenti, di modo che,
ad attirare gli Studios a lavorare per la televisione, è stata l’intuizione che questo
mezzo, più che un concorrente, può rivelarsi un potenziale acquirente dei loro
prodotti. Così, dopo i primi timori, Hollywood si avvicina alla TV, sia creando
serie televisive, sia fornendo alla televisione materiale con il quale riempire la
programmazione. Con il passare degli anni da una parte si avrà una richiesta
maggiore di materiale, in concomitanza del passaggio della televisione dagli
sceneggiati in diretta a quelli registrati su pellicola; dall’altra si osserverà che
dalla fine degli anni Cinquanta buona parte della programmazione televisiva sarà
costituita dalla trasmissione di film, fino ad arrivare alla programmazione in
prima serata di film apparsi solo poco tempo prima sul grande schermo; in
seguito, l’aumento delle tariffe richieste per queste programmazioni farà delle
<<vendite televisive una parte significativa (e preventivata) dell’incasso di un
film>>
7
. Cosicché negli anni Sessanta la maggior parte delle grandi case di
produzione vedrà la propria situazione finanziaria condizionata dai rapporti con
la televisione. Ma
se le case cinematografiche di Hollywood hanno contribuito a modificare l’essenza della
televisione degli anni ’50, la TV stessa ha provocato mutamenti di larga portata nei film
per il grande schermo girati negli anni ’60. Vi era, e vi è ancora, un mercato troppo
allettante per la distribuzione in sala perché le case cinematografiche si disinteressino
7
DAVID BORDWELL KRISTIN THOMPSON, Storia del cinema e dei film.. Dal dopoguerra a
oggi, op. cit., pag. 48.
13
totalmente degli esercenti. Ma, facendo dei film di recente successo la colonna portante
dei suoi programmi, la TV spingeva sempre più il film programmato per le sale a
inventare qualche qualità irripetibile che inducesse gli spettatori a pagare per vederlo in
una sala cinematografica anziché aspettare un anno o giù di lì e vederlo gratis sul piccolo
schermo di casa propria
8
.
Di modo che, le distinzioni che il cinema opera tra prodotto televisivo e prodotto
cinematografico, si leggono principalmente sul piano dei contenuti: sesso,
violenza e linguaggio espliciti sono gli elementi che permettono di distinguere la
produzione cinematografica destinata alle sale rispetto a quella destinata alla TV;
così, secondo William Paul, Hollywood sembra ora dare il via a una censura al
contrario: <<se un nuovo progetto non brilla per sesso, linguaggio crudo e
violenza, è probabile che sia accantonato come “roba per la TV” e trasformato in
un “film della settimana”>>
9
. La televisione porta a un calo degli incassi
cinematografici che prosegue indicativamente fino alla metà degli anni Sessanta,
momento in cui la TV ha raggiunto un punto di saturazione del mercato.
Dopodiché si registra una ripresa della crescita del pubblico nelle sale.
Per far fronte al calo del pubblico Hollywood adotta due diverse strategie: se da
una parte cerca di differenziare i suoi prodotti, puntando a soddisfare i gusti di
categorie più specifiche di spettatori realizzando film dai contenuti più espliciti,
dall’altra, è pur vero che, nonostante l’industria cinematografica a modello
verticale mostra segni di declino, lo stile classico rimane il modello principale di
racconto. Cosicché nella prima metà degli anni Sessanta la produzione adotta
una tattica diversa: punta nuovamente su un pubblico più vasto, di massa,
investendo ingenti somme in film dispendiosi. Si realizzano megaproduzioni
10
che
fanno registrare nuovi record di incassi: <<i produttori investirono voracemente
grandi somme in vari blockbuster, nella speranza di aver trovato una soluzione
alla minaccia della televisione>>
11
.
8
WILLIAM PAUL, Hollywood Harakiri in “Film Comment”, op. cit., pag. 16.
9
Ivi, pag. 18.
10
Alcuni esempi: Ben-Hur (Id., William Wyler, 1959 ), Tutti insieme appassionatamente
(The sound of music, Robert Wise, 1965)
11
DAVID BORDWELL KRISTIN THOMPSON, Storia del cinema e dei film. Dal dopoguerra a
oggi, op. cit., pag. 384.
14
Sull’ onda del grande successo di un pellicola come Tutti insieme
appassionatamente (che realizzato con un budget di 8 milioni di dollari incassa
72 milioni di dollari solo in America e Canada)
12
, le Major producono opere
grandiose, con lo scopo di ripetere quegli incassi
verso la metà degli anni Sessanta […] si è creduto che il modo migliore per aggiudicarsi la
posta in gioco consistesse nel dare al pubblico altre versioni dello stesso prodotto. Tutte
le grandi case cinematografiche hanno riversato soldi a profusione nella produzione di
film spettacolari, per lo più musical
13
.
Purtroppo però molti sono dei flop
14
, costati grandi somme poi non recuperate al
botteghino; si genera così una serie di conseguenze disastrose per il cinema
hollywoodiano: l’aumento della concorrenza tra le case di produzione porta a
sperperare molto denaro, nonché a produrre troppi film; la televisione ha
saturato le richieste per la propria programmazione; alcune case rischiano la
bancarotta. In sostanza, i grandi investimenti fatti in questi anni, è portano le
case di produzione in una condizione di deficit all’inizio degli anni Settanta.
La prosperità degli anni Sessanta finì; tra il 1969 e il 1972 le principali compagnie
persero 500 milioni di dollari. Mentre la recessione colpiva l’industria, le banche
forzarono le major a tagliare la produzione, a cooperare con i concorrenti e a evitare
megaproduzioni. Gli esercenti cominciarono a costruire sale all’interno dei centri
commerciali e a dividere vecchi cinema in due o più sale
15
.
12
GEOFF KING, La New Hollywood. Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del
blockbuster, op. cit., pag. 44.
13
WILLIAM PAUL, Hollywood Harakiri in “Film Comment”, op. cit., pag. 19.
14
Il favoloso dottor Dolittle (Doctor Dolittle,Richard Fleischer, 1967), Un giorno…di prima
mattina (Star!, Robert Wise, 1968).
15
DAVID BORDWELL KRISTIN THOMPSON, Storia del cinema e dei film.. Dal dopoguerra
a oggi, op. cit., pag. 384.
15
La rinascita
Questa condizione di recessione economica però crea le basi per la rinascita del
cinema americano, la cosiddetta “New Hollywood”, o Hollywood Renaissance, che
vede protagoniste nuove generazioni di cineasti, i movie brats, i “ragazzacci del
cinema”; essi inaugureranno un periodo di ringiovanimento dell’industria
cinematografica, puntando l’attenzione su motivi politici, sulla controcultura
giovanile e sulla necessità di creare, sulla scorta di quanto è accaduto e accade
nelle cinematografie europee, un “cinema d’autore”. Secondo Franco La Polla
verso la fine degli anni Sessanta si assiste a quello che quantitativamente è
probabilmente il massimo tentativo di rinnovamento del cinema americano dai tempi
dell’avvento del sonoro
16
.
Vista la situazione di declino, i produttori sono nuovamente alla ricerca di modi
per attirare il pubblico nelle sale. Come accaduto precedentemente, la possibilità
sembra venire ancora una volta dai mutamenti dei criteri nazionali di censura: il
Codice Hays, nel corso degli anni, ha continuato a perdere il proprio potere,
cosicché, verso la metà degli anni Sessanta, molti film vengono distribuiti senza
l’approvazione del PCA
17
, oppure la ottengono nonostante in essi siano presenti
scene di nudo, violenza o altri elementi che possono generare scandalo. Ma nello
stesso tempo, anche attirare l’attenzione di una fascia di pubblico giovanile e
adulto.
Inoltre, il successo di pellicole come Il laureato ( The graduate, Mike Nichols,
1967) e Gangster Story (Bonnye and Clyde, Arthur Penn, 1967), mostra
l’interesse dei giovani per opere che trattano tematiche a loro vicini, inducendo di
conseguenza i produttori a realizzare una serie di film destinati a questa
categoria di spettatori, che affrontano temi non presenti sul piccolo schermo, ad
esempio la controcultura e gli hyppies, rappresentati in Alice’s Restaurant (Id.,
16
FRANCO LA POLLA, Il nuovo cinema americano 1967-1975, Lindau, Torino, 1996, pag.
11.
17
Product Code Administration, organo creato nel 1934 dalla Motion Picture Producers
and Distributors of America, con il compito di esaminare contenuti e modi di
rappresentazione delle nuove pellicole, al fine di conferire loro, o negare, il permesso di
uscita nelle sale.
16
Arthur Penn 1969) o la ribellione universitaria in Fragole e sangue (The
Strawberry Statement, Stuart Hagmann, 1970).
La recessione dell’industria hollywoodiana, la ricerca di un nuovo pubblico e
l’interesse per film “giovanili”, coincidono con la fine delle carriere di molti registi
che avevano fatto la loro fortuna nei decenni precedenti. Tutte condizioni che,
come accennato, permettono l’ingresso sulla scena cinematografica di molti nomi
nuovi, tra i quali cineasti che operano nell’ambito del cinema d’arte europeo,
come Polanski e Forman, o registi americani più anziani che, provenendo dalla
televisione, nel loro passaggio al cinema vengono inglobati nella tendenza della
nuova Hollywood. Ma
i registi che attiravano maggiormente l’attenzione erano, tuttavia, più giovani: quasi tutti
erano nati intorno agli anni Quaranta, alcuni avevano studiato in scuole di cinema ed
erano fedeli sostenitori della tradizione hollywoodiana. La generazione dei “movie brats”
era molto eclettica e comprendeva […] il regista indipendente George Romero […], il
regista televisivo Bob Rafelson […] e nuovi talenti come Brian De Palma […]e John
Carpenter […]. I più potenti e rispettati “movie brats” – Francis Ford Coppola, Steven
Spielberg e Martin Scorsese- si imposero all’inizio degli anno Settanta. Altri registi della
stessa età apparvero più tardi
18
.
Grazie alla produzione di questi nuovi e giovani cineasti, e grazie a un nuovo
approccio di tipo autoriale, reso popolare dalla Nouvelle Vague francese e, in
America, da un critico come Sarris
19
, gli anni Settanta vengono salutati come il
periodo in cui a Hollywood si produce un “cinema d’autore”. O meglio, come un
periodo nel quale è lasciato ampio spazio all’espressione personale del regista, sia
a livello di stile che di contenuto; contrariamente a quanto avveniva nell’era degli
Studios, quando i registi avevano ben poca o nessuna libertà di scegliere i
progetti o dar loro forma in fase di sceneggiatura. Lo spazio lasciato alla
18
DAVID BORDWELL KRISTIN THOMPSON, Storia del cinema e dei film.. Dal dopoguerra
a oggi, op. cit., pag. 400.
19
Nel 1954 Francois Truffaut pubblica sulla rivista Cahiers du cinema l’articolo polemico
dal titolo Una certa tendenza del cinema francese, presa di posizione teorica che sarà
punto di partenza della “politica degli autori”, uno degli snodi teorici dell’estetica della
Nouvelle Vague. La politica degli autori sostiene il regista come unico autore del film,
negando la paternità creativa dello sceneggiatore e il carattere collettivo di ogni processo
di creazione cinematografica. La teoria dell’autore sarà resa popolare in America da
Andrew Sarris, che porrà in relazione le capacità dell’autore e gli sbarramenti e le
difficoltà che l’industria oppone alla sua espressione.
17
sperimentazione stilistica, la novità dei contenuti e l’adozione di tecniche
narrative prese a prestito dal cinema d’arte europeo, sono libertà riconosciute
dalle case di produzione ai giovani cineasti, nella speranza di risollevare le sorti
del cinema. Inoltre, in questo periodo, grazie al PCA meno rigido e al declino
economico delle Major, si rafforzano le compagnie indipendenti nate negli anni
Cinquanta: mentre gli Studios infatti sono costretti a ridurre i costi di
produzione, gli indipendenti sono in grado di porsi come valida alternativa,
portando sul mercato film a basso costo, che, puntando su generi specifici e
indirizzandosi a determinate fasce di pubblico, sono in grado di attrarre una
quantità di pubblico maggiore.
Ma questa situazione di autonomia e sperimentazione permessa ai nuovi registi
della rinascita deve essere letta anche, e soprattutto, da considerazioni riguardo
la condizione economica del cinema americano in questo periodo:
la libertà di cui si godeva durante la rinascita di Hollywood era una concessione dei
grandi studios ai cineasti e poteva anche essere tolta. L’industria, trovandosi in difficoltà,
si aggrappò a una nuova generazione di registi promettenti che sembravano in grado di
attirare un pubblico rinnovato e più giovane. La libertà fu il frutto dell’incertezza e del
momento di transizione
20
.
Di modo che, <<la possibilità per i cineasti della Hollywood Renaissance di
continuare a fare i film che volevano era strettamente legata al continuo
successo, o almeno alla previsione di successo>>
21
.
20
GEOFF KING, La New Hollywood. Dalla rinascita degli anni Sessanta all’era del
blockbuster, op. cit., pag. 113.
21
Ivi, pag. 118.
18