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Introduzione
Il punto di partenza di questa tesi è rappresentato dallo studio del rapporto tra le comunità
bianche e nere che nel corso della storia recente hanno popolato il Sudafrica.
Spesso i gruppi umani tendono a sviluppare il senso di unità specialmente quando si trovano
in situazioni di pericolo o peggio, in condizioni di oppressione imposta da qualcuno che viene
percepito come estraneo. In simili circostanze, può anche capitare che poi l‟oppresso cerchi
una rivincita opprimendo altri e riproponendo quello che egli stesso ha subito a chi viene
percepito a sua volta come più debole.
Questa tesi si propone di individuare, nello specifico caso sudafricano, come queste forme di
autopercezione si siano evolute e lungo quali canali si siano prodotte – in un‟escalation
parallela – delle forme di resistenza e di lotta che, in particolare, hanno portato
all‟individuazione di due vicende sfociate in autodeterminazione di due popolazioni, gli
afrikaner prima e poi – e potremmo anche dire “di conseguenza” - gli africani.
Nel tentativo di ricostruire sinteticamente le cause – e i modi in cui si sono espresse – che
hanno portato alla determinazione dei conflitti di razza sfociati in quel periodo che è stato
denominato d‟apartheid, si è reso necessario ripercorrere la storia del Sudafrica di quegli
anni.
Comprendere il processo che ha portato alla definizione di un‟autopercezione afrikaner
significa innanzitutto tenere in considerazione alcuni dei momenti significativi che hanno
contrassegnato la vicenda delle popolazioni bianche in Sudafrica.
Gli afrikaner, ovvero quella popolazione di origine olandese insediatasi nel Capo di Buona
Speranza nel l652, inizialmente vengono identificati, con disprezzo, dai funzionari della stessa
Compagnia mercantile come boeri – termine che significa “bovari” - in quanto allevatori di
bovini ribelli che si volevano autonomizzare rispetto alla Compagnia stessa. Con l‟arrivo
degli inglesi in Sudafrica questo termine verrà utilizzato ancora in senso spregiativo per
identificare la popolazione di matrice olandese, ma permetterà ai boeri stessi di identificarsi
come comunità unita. Ma il processo è lento e, come accennato, si sviluppa all‟interno di
un‟arena economica in scontro aperto con la comunità britannica in Sudafrica.
Per tutti quegli aspetti che verranno qui presi in esame, è possibile affermare che è proprio
attraverso il Great Trek del 1836 - con la tristemente celebre battaglia di Blood River del 1838
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- e nel corso delle sanguinose guerre anglo-boere che il sentimento afrikaner si crea e si
afferma.
In questo senso, particolare attenzione va rivolta alla seconda guerra anglo-boera del 1899-
1902. Nel corso degli avvenimenti che la contraddistinguono emerge la particolare spietatezza
con la quale gli inglesi hanno trattato i rivali olandesi, spietatezza che ha portato alla
realizzazione dei primi campi di concentramento in cui era stata confinata la popolazione
boera.
Lo stato di oppressione fisica e culturale, in cui la popolazione olandese viene tenuta diventa
il fattore unificante di tutta la popolazione di matrice olandese che troverà forza e coesione in
un nuovo sentimento che va affermandosi nel chiuso della convivenza coatta.
Il sentimento afrikaner che ne scaturisce è quello dovuto alla presa di coscienza da parte della
popolazione boera di appartenere a un gruppo, unitario e bianco, tenuto al giogo dagli inglesi.
Sono proprio gli inglesi imponendo la loro superiorità politica e i loro privilegi economici a
determinare quelle condizioni politiche e sociali entro le quali i boeri svilupperanno il senso
di appartenenza a un popolo ovvero il sentimento che sta alla base di ogni nazione.
Il naturale istinto di sopravvivenza numerica e culturale generatosi tra coloro che si
riconoscevano nell‟ origine olandese segna un momento di svolta che porterà al riscatto la
popolazione boera e all‟autodeterminazione afrikaner. Ora il termine boero perde il significato
negativo e viene utilizzato con orgoglio dal popolo afrikaner.
A favore della creazione di una coscienza afrikaner un ruolo determinante fu certamente
giocato dalla diffusione della lingua afrikaans - derivante dall‟olandese - e della religione
calvinista riformata che rivendicava l‟interpretazione anelastica delle Scritture e il forte
legame tra Stato e Chiesa. Lingua e religione afrikaner fin dall‟arrivo degli inglesi in
Sudafrica avevano costituito un fattore aggregante attorno al quale si era sviluppato il
sentimento anti-britannico contro l‟imposizione della lingua e della cultura inglese e la
diffusione dell‟anglicizzazione.
Ma la vicenda più importante che permise agli afrikaner di portare a compimento il processo
di autodeterminazione già innescato, si svolse senza dubbio in ambito politico e istituzionale.
Una volta che si sono riconosciuti come popolo sulla scorta di un‟identità culturale, gli
afrikaner iniziano una scalata al potere che li porterà al controllo politico dei territori
sudafricani che essi da tempo ritenevano loro proprietà.
Inevitabilmente ciò ha condotto, a sua volta, a tutta una serie di lotte, ma anche di
compromessi, tra tutte le popolazioni bianche sudafricane che condividono l‟ interesse
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comune sia del mantenimento dei loro privilegi che dell‟avere a disposizione una manodopera
nera da sfruttare.
Sebbene nel corso di questa tesi l‟aspetto economico sia stato volutamente tenuto in secondo
piano, resta ugualmente evidente che l‟apartheid rappresenta in prima analisi una questione di
convenienza per i dominatori bianchi. Da questo punto di vista inglesi e boeri sono un unico
fronte.
Entrambi detengono il potere economico che si esplica attraverso la gestione di attività anche
industriali nelle quali la forza lavoro è costituita dalla popolazione nera e dalle restanti
minoranze etniche presenti in Sudafrica.
Abbiamo già accennato a come il senso di unità afrikaner abbia radici nell‟interpretazione
restrittiva della Scrittura ad origine della quale sta un Dio che ha creato delle differenze
fisiche tra gli uomini - specchio di differenze attitudinali ed intellettuali - che gli uomini stessi
sono tenuti a rispettare mantenendo una separazione fisica netta tra le diverse razze evitando
la benché minima contaminazione. I bianchi restano pur sempre bianchi. Inglesi e boeri
costituiscono fronte comune anche dal punto di vista ideologico: insieme sono la popolazione
bianca in terra africana.
Quindi, se all‟origine dell‟apartheid sta senza dubbio un motivo di natura economica esso
però viene poi rivendicato su basi ideologiche di matrice religiosa che conducono
direttamente all‟affermazione del principio di superiorità della razza bianca.
Come l‟oppressione inglese determina il senso di sé afrikaner, così il senso di sé afrikaner dà
origine all‟apartheid.
Abbiamo già detto di come questa tesi abbia evidenziato il riproporsi di due vicende assai
simili nella definizione dell‟autopercezione afrikaner e di quella africana e di come le stesse si
svolgano riproponendo in parallelo situazioni e punti di svolta assai simili.
Nel secondo capitolo sono stati ripercorsi i momenti fondamentali del processo di
autodeterminazione africana a partire proprio da quella serie di interventi legislativi finalizzati
alla definizione di separazione razziale che hanno portato in primo luogo all‟isolamento fisico
e spaziale della popolazione nera.
Il processo ha inizio nei primi anni del 1900 ma riprende con maggior vigore e capillarità
dopo il 1948 con la vittoria del Partito Nazionale Unificato di Malan, rappresentante dell‟ala
più estrema del nazionalismo afrikaner che per 46 anni consecutivi fu arbitro unico dei destini
del Sudafrica.
Malan effettua la più grande opera di riorganizzazione della società sudafricana in accordo
con gli ideali nazionalistici afrikaner ottenuta proprio grazie all‟emanazione di leggi volte a
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sancire la segregazione residenziale delle popolazioni “non bianche”. In sostanza con Malan
si istituzionalizza un regime in cui il razzismo, da tempo pratica comune, veniva ora eretto a
principio giuridico.
Apartheid, è il termine che viene adottato per definire il sistema che avrebbe dovuto sancire
per sempre la supremazia dei bianchi un programma di divisione e di allontanamento delle
popolazioni nere dalle città e dai luoghi di insediamento industriale che erano già state sancite
un ventennio prima
A partire dal precedente Natives Urban Areas Act del 1923, infatti, hanno inizio i primi
tentativi di evitare la residenza permanente dei neri nelle zone residenziali dei bianchi e nelle
aree di insediamento industriale, tentativi che Malan porterà a compimento nel 1950
attraverso l‟emanazione del Population Registration Act – per mezzo del quale la popolazione
sudafricana viene raggruppata in quattro categorie razziali: bianchi (european), meticci
(coloured), asiatici (indian) e nativi neri (native o bantu o african) – e del quasi
contemporaneo Group Areas Act che stabilisce in modo definitivo il principio delle aree
residenziali separate in base alla razza.
È evidente che lo scopo principale dei due atti non è solo quello di creare una separazione tra
popolazione bianca e popolazione nera, ma è soprattutto quello di frazionare al suo interno
tutta la popolazione lavoratrice non bianca numericamente superiore. Separare per meglio
controllare. Frazionare per indebolire.
Con il massiccio programma di “forced removals”, vere e proprie deportazioni verso township
segregate e molto lontane dalle aree residenziali bianche, ha inizio il processo di separazione
fisica territoriale dell‟apartheid.
Forzare migliaia di persone a muoversi verso township segregate ha come primo riflesso
proprio quello di creare nuove separazioni laddove già ne esistevano di radicate e di acuire la
possibilità di scontri se si considera che ad alcune etnie, come ad esempio quella indiana,
erano lasciati minimi privilegi di permanenza in città mentre altre, soprattutto i nativi neri,
erano stati privati di qualunque diritto.
Dunque le prime leggi emanate da Malan mirano a incoraggiare i “non–whites” a considerarsi
a loro volta come “indians” o “coloured” o “africans”, ovvero a far emergere e prevalere il
senso di appartenenza a una particolare “razza” sul sentimento comune fondato sulle
condizioni di isolamento nelle township, di oppressione, di povertà e di sfruttamento imposte
loro dai bianchi.
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Il passo decisivo e radicale verso la separazione tra razze si compie nel 1958 attraverso il
Promotion of Black Self–Government Act e la conseguente istituzione dei “bantustan”, sorta
di riserve per la popolazione nera sottoposte al controllo del governo sudafricano.
L‟istituzione dei bantustan, rappresenta un momento di svolta della rinascita di una coscienza
nera.
In questi territori del Sudafrica e della Namibia, vengono istituite homeland (patrie) assegnate
esclusivamente alle etnie nere – un bantustan per ciascuna specifica etnia – il governo
realizza l‟obiettivo di una maggioranza nera ridotta alla maggior frammentazione. Questo
progetto, noto come Separate Developemet, introduce un controllo ancora più rigido e
capillare da parte dello stato sui movimenti dei neri nelle aree urbane, sul loro lavoro, sulle
loro possibilità residenziali, ma soprattutto sulla separazione interrazziale, da emarginare in
avulsioni territoriali dei rispettivi stati coloniali per rendere gli africani non-cittadini di quegli
stati.
Ora, se il passaggio dalla vita nei sobborghi industriali degli slums urbani all‟esperienza
interraziale forzata delle township governative permette ancora alle diverse etnie non bianche
di mantenere, se non addirittura di accrescere, una coscienza di sé, le deportazioni nelle
homeland hanno come effetto quello di condurre il popolo nero a un progressivo
allontanamento dalla propria coscienza di razza prima di generare il riscatto della black
consciousness.
Separati e isolati non solo dall‟esterno ma anche all‟interno la popolazione nera vive un
momento fortemente drammatico e di regresso del progresso di autopercezione avviatosi nelle
città e accresciuto nelle township.
La vicenda che porta alla riscoperta all‟affermazione dell‟identità africana che questa tesi ha
cercato di ricostruire lungo un percorso conseguente e parallelo a quello che ha portato
all‟autopercezione afrikaner, trova qui un momento di stasi se non addirittura di involuzione.
L‟orgoglio della Black Consciousness che nasce come riscatto dalle homelands, è la riscoperta
di un‟identità africana che ha origine nel chiuso degli slums dove prende forma in una vera e
propria cultura popolare urbana detta “marabi”, espressione del tipo di vita – ancora
interraziale – che i neri conducevano nei sobborghi cittadini; una sorta di “resistenza
culturale” contro i soprusi dei bianchi.
Nelle township, pur nei conflitti quotidiani, la comunità resta sostanzialmente organica e unita
dalla condivisione di una sorte comune e di un senso di appartenenza a un‟unica identità
sociale per difendersi dalla spersonificazione del migrant labour system.