Introduzione
A partire dagli anni Ottanta, lo “sviluppo sostenibile” è oggetto di attenzioni
sempre crescenti. Organismi scientifici, istituzionali, pubblici e privati pongono
sempre più l'accento sull'interazione tra ambiente e sistema economico, sottoli-
neandone l'ormai ineludibile valenza per la costruzione delle politiche di svilup-
po. Lʼapproccio a tale argomento tenta infatti, sempre in misura maggiore, di
superare due obiettivi apparentemente antinomici come lo sviluppo economico
e la conservazione dellʼambiente.
Al concetto moderno di sostenibilità possono essere aggiunti, oltre a quella eco-
logica, altre componenti, ed in particolare tutte quelle che possono contribuire a
rendere un sistema (di supporto della vita umana) potenzialmente longevo.
Perché lo sviluppo del sistema agroalimentare sia sostenibile, esso dovrà dun-
que guardare allʼimpatto di agricoltura, allevamento, trasformazione e commer -
cializzazione su ambiente naturale, economia delle zone rurali, tradizioni, co-
stumi ed in generale sullo sviluppo umano.
Fondamentale, a tali fini, è considerata la salvaguardia tanto della biodiversità
quanto della diversità culturale.
Nella Dichiarazione Universale dellʼUNESCO sulla Diversità Culturale (2001),
allʼarticolo 1, è infatti enunciato: “Fonte di scambi, d'innovazione e di creatività,
la diversità culturale è, per il genere umano, necessaria quanto la biodiversità
per qualsiasi forma di vita. In tal senso, essa costituisce il patrimonio comune
dell'Umanità e deve essere riconosciuta e affermata a beneficio delle genera-
zioni presenti e future”.
Le biotecnologie, pur additate in molti casi come anti-sostenibili e nemiche dei
metodi tradizionali, possono essere convenientemente applicate alla salva-
guardia della diversità biologica e culturale, costituendo strumenti di tutela e va-
lorizzazione dei prodotti tipici.
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Nello specifico parliamo degli strumenti di autenticazione genetica, e del loro
utilizzo come supporto al sistema di tracciabilità nel garantire la qualità e la pro-
venienza del prodotto alimentare contro frodi, errori e disguidi.
Il presente lavoro è costituito da:
- una parte iniziale dove vengono spiegati e argomentati, con i dovuti rife-
rimenti, i concetti e lʼimportanza di prodotti tipici, tracciabilità e sistemi di
autenticazione genetica;
- una parte sperimentale dove viene illustrata la nostra esperienza di co-
stituzione di strumenti di autenticazione genetica per il supporto ai pro-
dotti di Pecora Massese del Consorzio delle Montagne e Valli di Pistoia.
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1. I prodotti tipici
La Penisola Italiana è stata per secoli sede dʼincontro di una grande varietà di
culture. Testimoni viventi di ciò sono le tradizioni, i cibi e lʼarchitettura.
Ancor oggi troviamo una lunghissima serie di pietanze diverse, ognuna con una
sua storia o leggenda, spesso molto antica, affascinante, tipica.
Le varietà, le razze, i metodi, i mezzi e le ricette cambiano, a volte in maniera
graduale, di fattoria in fattoria, di quartiere in quartiere, di comune in comune;
altre volte in maniera più incisiva, di regione in regione. La grande varietà riflette
anche le differenze climatiche, ampie, tra il Settentrione e il Meridione.
Le specialità gastronomiche di cui parliamo sono comunemente conosciute co-
me “prodotti tipici”.
Il prodotto agroalimentare tipico può essere definito come “lʼesito di un processo
storico collettivo e localizzato di accumulazione di conoscenza contestuale che
si fonda su di una combinazione di risorse territoriali specifiche sia di natura fi-
sica che antropica che dà luogo a un legame forte, unico e irriproducibile con il
territorio di origine” (Marescotti, 2006).
La caratteristica di “tipicità” di tali prodotti può essere scomposta in elementi:
- lʼambiente pedoclimatico di produzione;
- le risorse genetiche caratteristiche del territorio, quali varietà vegetali e razze
animali specifiche, che possono costituire lʼessenza stessa del prodotto tipico,
sia nel caso di prodotti non trasformati che trasformati, oppure entrare come
ingredienti o fattori di produzione.
- le pratiche e tecniche di condizionamento e trasformazione della materia pri-
ma;
- la memoria storica che collega il prodotto alle tradizioni del luogo;
- le qualità organolettiche e nutrizionali.
Le produzioni tipiche sono dunque figlie dei sistemi locali in cui nascono, ed
espressione della loro cultura e biodiversità. Esse rappresentano uno dei pochi
sistemi produttivi che riesce ad essere contemporaneamente sostenibile e
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competitivo. Economicamente e socialmente sostenibile perché, tra lʼaltro, dà
potere negoziale ad agricoltori, artigiani e gruppi rurali salvaguardando spesso
anche il paesaggio e fornendo dunque un grandissimo contributo allo sviluppo
rurale
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(con la sua concezione attuale). Sostenibile ecologicamente perché co-
stituito da tecniche tradizionali più rispettose dellʼambiente fisico, chimico e bio -
logico del territorio. Competitivo perché riesce a rispondere contemporanea-
mente, a differenza del sistema industriale, alle esigenze di qualità, varietà,
semplicità e autenticità del consumatore.
Per questi motivo i prodotti tipici vanno protetti e valorizzati. Uno dei maggiori
procedimenti normativi a tale fine è quello dellʼistituzione dei marchi collettivi di
garanzia e qualità.
La normativa comunitaria vigente è data dai regg. CE n. 509/2006 e n. 510/
2006 riguardante rispettivamente “norme per il riconoscimento di specialità tra-
dizionale garantite” e “norme relative alla protezione delle denominazioni d'ori-
gine e delle indicazioni geografiche”, dei prodotti agricoli e alimentari destinati
all'alimentazione umana.
Alcuni obiettivi di tali regolamenti sono:
- la diversificazione della produzione agricola;
- la promozione di prodotti di qualità per avvantaggiare lʼeconomia rurale, in
particolare nelle zone svantaggiate o periferiche, sia per lʼaccrescimento del
reddito degli agricoltori, sia per lʼeffetto di mantenimento della popolazione ru -
rale in tali zone;
- la fornitura di unʼinformazione chiara e succinta sullʼorigine del prodotto.
Sono dunque istituiti i marchi di qualità STG (Specialità Tradizionale Garantita),
DOP (Denominazione di Origine Protetta) e IGP (Indicazione Geografica Protet-
ta).
Oltre ai marchi comunitari esistono marchi collettivi nazionali (e.g. per i vini ita-
liani: DOC, DOCG, IGT, VQPRD) e marchi collettivi privati.
Per beneficiare di uno qualsiasi di tali marchi, un prodotto agricolo o alimentare
dev'essere conforme ad uno specifico disciplinare.
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Inteso come in Robertson (1993) che lo definisce il “processo di cambiamento conservativo
che mira a migliorare la qualità della vita della comunità rurale mediante azioni sostenibili, en-
dogene e locali di rianimazione, riproduzione, integrazione e crescita dellʼeconomia integrata
del mondo rurale... in una logica di attivazione e autosviluppo”.
2. La tracciabilità
La domanda da parte dei consumatori di trasparenza, qualità e sicurezza risul-
ta, negli ultimi anni, in netto incremento. Le parole “tracciabilità” e
“rintracciabilità” sono sempre più utilizzate in qualsiasi tipologia di dissertazione
riguardante il settore agroalimentare, nella maggioranza dei casi senza distin-
zione per identificare la capacità di risalire allʼintera filiera di produzione di un
determinato prodotto.
In realtà esiste una netta differenza semantica tra i due termini.
La tracciabilità è il processo informativo che segue il prodotto da monte a valle
della catena di produzione, e permette di documentarne il luogo d'origine, la
produzione, la trasformazione e la conservazione, fino al consumo.
La rintracciabilità è invece la capacità che si ha, dal prodotto finito, di risalire al-
le varie fasi della sua produzione e commercializzazione. Concetti simili sono
quelli assegnati rispettivamente alle parole inglesi trackability e traceability.
Una delle migliori definizioni di traceability (tradotta nel testo italiano della nor-
ma in rintracciabilità) ci è data dallʼarticolo 3 del regolamento CE n. 178/2002
sulla legislazione alimentare, secondo cui essa consiste nella “possibilità di ri-
costruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale de-
stinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare
a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produ-
zione, della trasformazione e della distribuzione”.
Altre definizioni interessanti di rintracciabilità sono:
- quella contenuta nella norma tecnica ISO 8402:1994 Quality management and
quality assurance - Vocabulary: “la capacità di risalire alla storia e allʼuso o alla
localizzazione di una entità mediante identificazioni registrate” (ISO, 1994);
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- quella contenuta nella norma tecnica ISO 9000:2000 Quality management Sy-
stems. Fundamentals and Vocabulary: “la capacità di risalire alla storia e al-
lʼuso o alla localizzazione dellʼoggetto preso in considerazione” (ISO, 2000);
- quella contenuta nel Procedural Manual d e l C o d e x A l i m e n t a r i u s
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: la
rintracciabilità o il rintracciamento del prodotto è la capacità di seguire il movi-
mento del cibo attraverso una specifica fase(i) di produzione, trattamento e
distribuzione.
Ai concetti di tracciabilità e rintracciabilità si affianca quello di autenticazione.
Lʼautenticazione è un sistema obiettivo che consente di verificare le proprietà
dichiarate di un prodotto: può essere visto anche come un insieme di tecniche
oggettive di supporto alla tracciabilità laddove ci siano possibilità di frodi.
Tracciabilità e autenticazione sono dunque sistemi diversi, e spesso affiancati,
per garantire la sicurezza e la qualità dei prodotti agroalimentari.
I prodotti tipici, che si distinguono per una serie di caratteristiche riportate sia in
etichetta sia sul disciplinare dellʼeventuale marchio di qualità che li accompa -
gna, possono avvalersi dei sistemi di tracciabilità ed autenticazione come mezzi
di supporto alle affermazioni fatte (in etichetta e sul disciplinare di produzione)
rendendole verificabili (Gregory, 2000). Per questo tali sistemi risultano impor-
tanti anche come strumenti di assicurazione contro le frodi, sia per i produttori
onesti sia per i consumatori.
La caratteristica di “tipicità” infatti conferisce a tali prodotti un valore aggiunto
che gli permette di spuntare un prezzo maggiore sul mercato e di costituire, per
questo, un importante bersaglio delle frodi alimentari.
Tali frodi apportano, ogni anno, danni di entità di milioni di euro allʼindustria
agroalimentare italiana.
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Il Codex Alimentarius è un insieme di regole e di normative elaborate dalla Codex Alimentarius
Commission, una Commissione (suddivisa in numerosi comitati) istituita nel 1963 dalla FAO e
dall'OMS. Scopo precipuo della commissione è proteggere la salute dei consumatori e assicura-
re la correttezza degli scambi internazionali.
In seguito alla diffusione della BSE
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nei bovini (anche nota come “morbo della
mucca pazza”) è sopravvenuta lʼesigenza, in tutta la comunità europea, di una
maggiore sicurezza alimentare. Alla BSE si sono aggiunti altri eventi importanti
minatori della fiducia dei consumatori alimentari, che sono stati: il ritrovamento
di diossina negli alimenti di origine belga
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, lʼepidemia dellʼinfluenza aviaria
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, la
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La Bovine Spongiform Encephalopathy (ovvero encefalopatia spongiforme bovina), è una ma-
lattia neurologica cronica degenerativa causata da un "agente infettivo non convenzionale", cioè
un prione, una proteina patogena che colpisce prevalentemente i bovini. Il termine BSE in realtà
non è più utilizzato in quanto si è scoperto che la patologia è trasmissibile da madre in figlio, per
questo motivo la sigla utilizzata correntemente è TSE (encefalopatia spongiforme trasmissibile).
Tale morbo è noto anche come morbo della mucca pazza. Il primo caso di Bse si verifica nel
Regno Unito nel 1986. La causa della malattia viene imputata all'uso delle farine animali nel-
l'alimentazione dei bovini. Otto anni dopo la comunità europea mette al bando definitivamente
questa pratica evitando, in questo modo, il riciclaggio dell'agente infettante attraverso l'utilizzo di
carcasse di bovini malati nella produzione di farine di carne ed ossa destinate all'alimentazione
animale. In Italia, il Ministero della Sanità, interviene - con l'ordinanza di marzo 2001 con cui si
vieta la vendita delle parti del bovino che interessano la colonna vertebrale e i gangli, il cervello
e le "frattaglie" – con la legge 9 che dispone per la distruzione del materiale specifico a rischio
per encefalopatie spongiformi bovine e delle proteine animali ad alto rischio, – e con l'etichetta-
tura delle carni bovine che consente la tracciabilità e la trasparenza delle informazioni ai con-
sumatori (Wikipedia).
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Nel 1999 prodotti alimentari di origine belga e esportati nel resto dell'Unione europea, Italia
compresa, mostrarono un elevato contenuto di diossine. Carne di pollame e uova in primo luo-
go ma anche derivati, animali e carne suina mostrarono elevati contenuti del composto tossico.
Imputato principale risultò essere grasso immesso legalmente nei mangimi animali per aumen-
tarne il contenuto calorico, contaminato dalla diossina di olii industriali della ditta Verkest, ma
successivamente la responsabilità ricadde principalmente sulla Fogra, società di Bertrix, nel sud
del Belgio, che condivideva le autocisterne con la Verkest. Problemi seguirono in Olanda e in
molti altri prodotti di origine animale, come latte, burro, carni bovine (Wikipedia).
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LʼInfluenza aviaria (nota anche come peste aviaria) è una malattia infettiva contagiosa alta -
mente diffusiva, dovuta ad un virus influenzale (orthomyxovirus H5N1), che colpisce diverse
specie di uccelli selvatici e domestici, con sintomi che possono essere inapparenti o lievi (virus
a bassa patogenicità), oppure gravi e sistemici con interessamento degli apparati respiratorio,
digerente e nervoso e ad alta mortalità (virus ad alta patogenicità). Il virus può trasmettersi agli
umani, come è stato definitivamente dimostrato a partire dal 1997. Descritta per la prima volta
in Piemonte nel 1878. Nel 1901 se ne attribuisce la causa ad un virus che nel 1955 è ascritto al
"tipo A influenzale". Nel 1923 un ricercatore porta il virus clandestinamente in un suo laboratorio
negli U.S.A., da cui nel 1924 si diffonde colpendo il mercato dei polli di New York e in seguito
tutti i territori dell'Est ma venne comunque eradicata in un anno. Nel 1961 è stato descritto il
primo focolaio negli uccelli selvatici di malattia da virus HPAI (1300 sterne in Sud Africa).
La malattia è stata segnalata in tutto il mondo, ma i focolai da virus HPAI (peste aviaria pro-
priamente detta) erano considerati di rara insorgenza. Dal 1996, invece, è iniziata una serie di
epidemie da virus H7 ed H5 che ha coinvolto un po' tutti i continenti: Hong Kong (1997, 2001,
2002, 2003); Australia (1997); Cile (2002); centro-America (2000, 2001, 2003); Olanda, Belgio,
Germania (2003); Canada (2004); U.S.A. (2004); Sudafrica (2004); sud-est-asiatico (2004,
2005); Asia, Europa (2005, 2006).
L'epidemia da virus H5N1 iniziata alla fine del 2003 nel sud-est-asiatico (ancora in atto) ha co-
involto, sinora, più di 150 milioni di volatili. Oltre il Vietnam, Thailandia, Cambogia, Laos, Indo-
nesia, la malattia è stata individuata in Corea, Giappone, Cina, Russia, Kazakistan, Mongolia.
Dall'ottobre 2005 il virus è entrato in Europa, in Turchia, e da qui nel resto del continente, va-
riamente segnalato, soprattutto nei volatili selvatici, nonché in Italia.
diffusione degli O.G.M., le contaminazioni microbiche degli alimenti, la globaliz-
zazione dei mercati (De Jonge et al., 2004).
È incrementato dunque, nei consumatori, lʼinteresse a conoscere gli ingredienti,
la provenienza e le modalità di produzione dei cibi acquistati; alla ricerca di qua-
lità si è inoltre aggiunta una maggiore sensibilità alle tematiche ambientali e di
benessere animale. Il calo delle caratteristiche organolettiche e nutrizionali di
molti prodotti alimentari, tra cui soprattutto la carne (Kerry e Ledward, 2002;
Seidemanet al., 1987) ha dato un ulteriore contributo alla sfiducia dei consuma-
tori. Si è perso inoltre il rapporto diretto e fiduciario, che si aveva un tempo, tra
consumatore e produttore: il ruolo di garante della fiducia è adesso affidato alle
norme alimentari, sempre più numerose e articolate.
La pronta risposta della Comunità Europea alla crisi della BSE è stata lʼobbligo
della messa a punto di un sistema di tracciabilità per la carne bovina, attraverso
i regolamenti CE 1760/2000 e 1825/2000. Successivamente, con il reg. CE
n.178 del 2002, che “stabilisce i principi della legislazione alimentare, istituisce
l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e fissa procedure nel
campo della sicurezza alimentare”, lʼobbligo di tracciabilità è esteso, a partire
dal primo gennaio del 2005, a tutto il settore agroalimentare: “è disposta in tutte
le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione la
rintracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione
alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di
un alimento o di un mangime” (Reg. CE n. 178/2002, art. 18 comma 1).
Nello specifico tale regolamento prevede lʼobbligo per gli imprenditori di regi -
strare i fornitori delle materie prime e i destinatari dei propri prodotti, e di mette-
re a disposizione delle autorità competenti tutte le informazioni raccolte attra-
verso una specifica procedura di documentazione. Ciascun attore della filiera
deve tenere memoria non di tutta la filiera, ma dei due anelli che lo riguardano
direttamente: quello precedente (il suo fornitore) e quello successivo (il suo
cliente). Tale tipologia di tracciabilità, obbligatoria, è definita “tracciabilità di filie-
ra” o “tracciabilità esterna”, essa non permette di ricostruire la storia e lʼorigine
di ogni particolare unità di prodotto, o almeno di un singolo lotto.
Più precisa ma non obbligatoria
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è invece la tracciabilità “interna”, ossia quella
che permette la riconducibilità, allʼinterno di una singola azienda, dai compo -
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Se non per la filiera di produzione della carne bovina.