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Introduzione
L’incessante diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, prima, e quella dei media
digitali, poi, ha portato notevoli cambiamenti nella società. La rivoluzione digitale sta creando
una via di non ritorno (Laneve, 2009, p. 12) che vede media e tecnologie essere parte
integrante della vita individuale e sociale dei più giovani (Rivoltella, 2006, p.80), mentre le
vecchie generazioni cercano di opporre una resistenza al cambiamento considerando questi
mezzi vuoti e “pericolosi”. Si crea così un divario generazione (digital divide) appesantito
dalle disuguaglianze sociali derivanti dalle difficoltà di accesso ai new media e alla loro
cultura. Chi resta ai margini del cambiamento rischia di rimanere escluso dalla quantità di
servizi e contenuti che i nuovi media mettono a disposizione, ma anche dal progresso, dallo
sviluppo, dalla conoscenza, dalla partecipazione politica e sociale (Cattaneo et al., 2010, pp.
233-234).
Qual è il ruolo che i contesti educativi e formativi occupano in questa situazione? Che
importanza hanno questi temi e questi strumenti per l’ambito educativo? Possono questi
mezzi agevolare il processo di apprendimento o devono essere relegati al mondo del tempo
libero continuando a creare il divario tra ambienti formali e ambienti informali, tra allievi e
docenti?
Sono queste le domande che hanno ispirato il mio percorso di ricerca.
Con questo lavoro è mio obiettivo dimostrare l’ipotesi per cui le istituzioni formative
debbano avere un ruolo attivo nel cambiamento che la società sta vivendo, per fornire le
competenze e le abilità necessarie ad affrontarlo in modo vantaggioso.
Nel primo capitolo, oltre a definire il termine media, riproporrò il percorso storico di
evoluzione di questi mezzi (dai mass media ai media digitali; dal libro di Gutenberg agli
ipertesti/ipermedia digitali) e ripercorrerò i cambiamenti legislativi atti ad integrarli
all’interno del contesto scolastico ed eventuali vantaggi o svantaggi della loro presenza.
Il secondo capitolo ripercorrerà l’evoluzione teorica nei processi di apprendimento per
delineare gli elementi che conducono ad una “pedagogia dei media” e all’acquisizione di
nuove competenze per la lettura dei prodotti mediali e la produzione attiva da parte degli
utenti.
Il terzo capitolo avrà come tema centrale quello della nuova forma mentis che la
diffusione di Internet, in particolare il Web 2.0, porta con sé (co-lavorare e co-costruire) e il
ruolo che in questo contesto giocano le comunità. Il capitolo affronterà anche il tema della
didattica a distanza cogliendo gli elementi di innovazione dell’e-learning rispetto alle forme
tradizionali.
In conclusione evidenzierò i cambiamenti pratici che la scuola dovrà affrontare
integrando le nuove tecnologie nel proprio ambiente: quali competenze il docente dovrà
mettere in campo, quali saranno i nuovi assetti spaziali, come scegliere i mezzi da adoperare
e come affrontare il processo valutativo.
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1. Media, multimedia e CMC
1.1 Media a scuola: tra disposizioni ministeriali e fasi di sviluppo
Il termine medium deriva dal latino e significa mezzo, tramite. È “un dispositivo
comunicativo che può essere considerato da varie angolazioni: tecnologica, linguistica,
simbolica, cognitiva”; “un’interfaccia orientata alla costruzione, negoziazione e condivisione
di significati, sostenuta da un supporto tecnologico predisposto alla manipolazione di sistemi
simbolici socialmente identificabili”. È caratterizzato non solo dal suo aspetto strumentale,
l’essere canale che consente la trasmissione di messaggi, ma anche dalla peculiarità dei codici
di cui fa uso, dei linguaggi e dei rapporti che si instaurano tra medium e mente (Bonaiuti et
al., 2007, p.94; Calvani, 2001, p. 25). È uno strumento utile nella comunicazione indiretta che
ci consente di comunicare “rappresentazioni e immagini del mondo” (Buckingham, 2006,
p.21). Calvani, riprendendo Salomon, afferma che “i media sono apparati culturali che usano
tecnologie per selezionare, raccogliere, immagazzinare, inviare conoscenza in forme
rappresentative”. Il medium può essere considerato:
un semplice canale: luogo neutro che consente il passaggio di informazioni.
un filtro attivo di informazioni: il messaggio veicolato viene riorganizzato (selettore di
conoscenza).
un amplificatore esterno delle potenzialità dell’uomo: Olson e Bruner ritengono che
grazie ad esso l’uomo sia in grado di controllare maggiormente l’ambiente.
uno strumento di esplorazione conoscitiva: secondo Olson l’uomo è in grado,
attraverso l’uso del medium, di “esplorare e rappresentare il mondo in forme nuove”
dando al medium una dimensione euristica;
un sistema noetico: ogni medium ha in sé una struttura che vincola il trattamento della
conoscenza e le modalità attraverso cui l’oggetto deve essere fruito ed elaborato.
Importante è non considerare il medium in astratto, “come uno strumento che funziona
secondo modalità univoche”. Calvani ritiene che sia necessario, per una definizione del
termine, prendere in considerazione il contesto d’uso, in quanto l’utilizzo molto dipende dalla
situazione concreta soprattutto nell’ambito educativo: è il contesto che va a definire le
potenzialità e gli effetti possibili di un medium. Sono quattro, quindi, le componenti che
caratterizzano il media: la tecnologia, il sistema simbolico, il contenuto, il contesto d’uso
(Calvani, 1997, pp. 16-22).
L’evolversi delle tecnologie e l’introduzione, alla fine degli anni Settanta, delle ICT
(Information and Communication Technologies) ha portato un cambiamento di rotta nella
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considerazione del medium: non più un mezzo di trasmissione dei messaggi come era inteso
nel senso tradizionale, ma “una particolare interfaccia orientata alla costruzione, negoziazione
e condivisione di significati”: i nuovi media coadiuvano l’attività personale di costruzione di
conoscenza (Calvani, 1999, pp. 14-15).
Galliani, Luchi e Varisco riconoscono ai media dell’informazione tre funzioni
tecnologiche: la conservazione dei messaggi; la loro moltiplicazione mediante la
riproducibilità dell’opera che annulla le differenze tra testo originale e copia; la trasmissione
a distanza dei messaggi consentendo la riduzione delle distanze spaziali grazie ad un supporto
fisico in cui i segnali vengono fissati all’hardware, che consente la
produzione/riproduzione/trasmissione dei segnali, e al software, da intendere come messaggio
socializzabile (grazie ad un linguaggio condiviso) e contestualizzabile (Galliani et al., 2000,
pp. 37-38). Un media può svolgere più funzioni insieme ed “essere considerato, di volta in
volta, una finestra sull’esperienza, un sistema di interpretazione, un filtro, uno specchio, un
amplificatore” (Calvani, 2001, p. 25).
Un’ultima distinzione da tenere in considerazione è quella tra media caldi e media freddi.
McLuhan definisce i primi come media da fruire in modo passivo in quanto fornitori di
informazioni definite, complete e non suscettibili di modificazioni. Per media freddi intende,
invece, i mezzi che danno la possibilità a chi li utilizza, di servirsi delle informazioni in modo
creativo ed intenzionale in base alle proprie necessità (Massimeo, 1992, p. 68).
La diffusione sempre maggiore dei media nella vita dell’uomo richiede che ci sia
un’introduzione di essi nell’ambito scolastico. È necessario che il soggetto utilizzatore sappia,
come afferma Pischetola, “esercitare attraverso [le macchine] le proprie capacità individuali,
per sfruttarne al meglio le potenzialità, imparando anche a scartare i contenuti e i servizi di
cui non abbiamo bisogno”
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. In questo quadro la scuola gioca un ruolo fondamentale e lo Stato,
attraverso la propria azione legislativa, ha modificato l’organizzazione scolastica per
introdurne sia media tradizionali che nuove tecnologie.
Risale all’1 ottobre 1923 il primo provvedimento che introduce gli audiovisivi nella
scuola elementare: con la circolare n. 105, le proiezioni luminose, fisse o animate, sono
inserite tra il materiale didattico delle scuole medie ed elementari.
Ulteriori provvedimenti istituirono una cineteca scolastica autonoma (R.D.L. n. 178 del
30 settembre 1938) e, con la legge n. 1212 del 12 ottobre 1956, fu istituito un Centro
Nazionale per i Sussidi Audiovisivi il cui compito era promuovere la cinematografia didattica
e l’uso degli audiovisivi in ogni ordine scolastico. Tra i compiti del Centro rientravano: la
produzione di software, la selezione di software/hardware offerti dal mercato,
l’organizzazione delle ricerche e delle sperimentazioni. Nello svolgimento dei compiti era
supportato da novantatré filiali che formavano e aggiornavano i docenti interessati. Con i
decreti delegati del 1977, questi compiti sono stati demandati ai singoli Distretti scolastici
coordinati a livello locale dall’I.R.R.S.A.E. (Istituti Regionali di Ricerca, Sperimentazione e
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M. PISCHETOLA, Insegnare gli alfabeti mediali, in A. CATTANEO – P. C. RIVOLTELLA, Tecnologie, formazione,
professioni: idee e tecniche per l’innovazione, Unicopli, Milano 2010.
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Aggiornamento Educativi) e a livello nazionale ed internazionale dal Centro Europeo
dell’Educazione di Frascati.
L’Ente radiotelevisivo nazionale, in accordo con il Ministero della Pubblica Istruzione,
dava inizio, a partire dal 1934, a trasmissioni di radiofonia scolastica e, dal 1958, a quelle
televisive come Telescuola, arricchendo il panorama dei servizi audiovisivi educativo-
formativi (Devoti, 1997, p. 82).
La Riforma scolastica voluta da Gentile nel 1923 ha dato un’idea di scuola improntata su
curricoli e discipline definiti in modo rigido, una struttura che ha pesato molto
sull’introduzione dei media nel contesto scolastico, per l’esigenza di flessibilità e trasversalità
dei saperi che questi richiedono di mettere in gioco.
I Programmi di insegnamento della Scuola media del 1979 affidano all’ Educazione
tecnica ed artistica lo studio dei media, i quali rientrano tra “i metodi, gli strumenti, i
procedimenti, i principi scientifici relativi ad alcune tecniche e tecnologie” (Educazione
tecnica) e sono considerati un’opportunità per “promuovere nel ragazzo abilità di espressione
creativa e lettura consapevole dei messaggi visivi” (Educazione artistica), utilizzandoli come
contenuti da introdurre nel programma e sussidi didattici.
Nei Programmi didattici per la scuola elementare (D.P.R. 12 febbraio 1985) l’attenzione
ai media è più globale, valutando sia la loro capacità di incidere sulla formazione delle
competenze del bambino, che l’essere sistemi simbolici utili per la comunicazione. È
l’Educazione all’immagine l’aria disciplinare scelta per “promuovere esperienze di tipo
espressivo-creativo e […] sviluppare un approccio fruitivo critico ai testi”, perseguendo come
obiettivi l’alfabetizzazione ai linguaggi iconici (produzione/analisi critica) e la maturazione
del gusto estetico. Le metodologie utilizzate puntano su una sistematicità e gradualità degli
interventi attraverso la collaborazione e l’apertura al territorio (intervento da parte di esperti).
Il Piano Nazionale per l’Introduzione dell’Informatica nelle Scuole Secondarie Superiori
(C.M. n. 24 del 6 febbraio 1991)
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estende l’informatica ad ogni ambito didattico: non più
materia esclusiva degli istituti tecnici e delle discipline tecniche e matematiche, ma valida
opportunità anche per lo sviluppo di abilità linguistiche e comunicative che le consento di
entrare nell’ambito della cultura umanistica come “strumento per pensare”.
Gli Ordinamenti dell’attività educativa nella scuola materna (D.M. 3 giungo 1991)
indicano i media come campo di esperienza in cui il bambino, ancora incapace di leggere e
scrivere, si approccia soprattutto ai linguaggi non verbali, attraverso attività manipolativo-
visive, sonoro-musicali, drammatico-teatrali, audiovisuale e mass-mediale. Si parla in questo
contesto di educazione massmediale con un obiettivo funzionale: dare al bambino
l’opportunità di approcciarsi alle esperienze in modo più originale e creativo, non sistematico
(gli interventi non si organizzano in un curricolo rigido), esplorativo (il bambino fa esperienza
diretta mediante il gioco), riflessivo (conducendo alla consapevolezza nei confronti del
media) (Devoti, 1997, pp. 95, 100-103; Marazzi et al., 2002, pp. 61-63; Rivoltella, 2005, p.
80-81).
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http://www.edscuola.it/archivio/norme/circolari/cm024_91.html consultato il 04/12/2014
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La direttiva emanata dal Ministero della Pubblica Istruzione, n.318 del 4 ottobre 1995,
istituiva un nucleo operativo per le tecnologie didattiche che, assistito da un gruppo di esperti,
ha lavorato sulla progettazione dei corsi di formazione per i tutor delle scuole scelte per una
sperimentazione sulle nuove tecnologie; individuato le caratteristiche delle scuole che
avrebbero potuto partecipare; analizzato le risorse hardware/software per orientare al meglio
gli sperimentatori (Catalano, 1996, p. 32; Devoti, 1997, p. 103).
Il Piano Berlinguer 1997-2000 (Piano per l’introduzione delle nuove tecnologie nella
scuola) ha contribuito a finanziare l’introduzione delle tecnologie nelle attività didattiche
quotidiane e la formazione degli insegnanti. La C.M. 425 del 7 luglio 1997 incentivava le
iniziative di formazione locale e a distanza. La C.M. n. 196 del 24 aprile 1998, collegata al
piano Berlinguer, sottolineava la necessità di dotare tutte le scuole di accesso ad Internet. Il
D.L. 258 del 20 agosto 1999 ha istituito, in sostituzione del CEDE (Centro Educativo
dell’Educazione), l’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione al cui
interno un organismo gestisce la rete telematica delle scuole laboratorio (Grion et al., 2000
pp. 192-193).
Nel documento “Verso i nuovi curricoli”. Sintesi dei gruppi di lavoro
3
del 7 febbraio
2001 l’educazione ai media è riservata all’aggregazione disciplinare artistico-musicale-
motoria. Gli obiettivi insistono ancora sullo sviluppo delle competenze interpretative e
comunicativo-espressive configurando attorno ad essi un vero e proprio curricolo da integrare
con le attività relative all’acquisizione delle competenze linguistiche, corporee e musicali,
dando centralità al gioco per l’intervento didattico (Rivoltella, 2005, p. 81-82).
Il D.M. Moretti-Stanca del 17 aprile 2003 che per la tematica delle università virtuali,
apre delle riflessioni sulle piattaforme LCMS (Learning and Content Management System),
nell’Allegato 2 elenca le caratteristiche che queste piattaforme di e-learning devono possedere
per poter rilasciare titoli legali di lauree per i diversi livelli: interoperabilità, tracciabilità,
riusabilità e scalabilità, accessibilità per i portatori di handicap (Ferri, 2005, pp. 206-207).
Con le Indicazioni per i Piani di studio personalizzati (D.L. 59/2004) cambia lo stile degli
interventi legislativi ponendo attenzione ai livelli di competenza da raggiungere piuttosto che
fornire percorsi rigidi. È l’insegnante che ha la libertà di progettare il percorso didattico
migliore per condurre il proprio allievo allo sviluppo di capacità quali
per la scuola dell’infanzia: “sperimentare diverse forme di espressione artistica […]
attraverso l’uso di un’ampia varietà di strumenti e materiali, anche multimediali”;
per la scuola primaria: “comprendere semplici testi derivanti dai principali media [...]
cogliendone i contenuti principali”;
per la secondaria di primo grado: “riconoscere le principali caratteristiche linguistiche
e comunicative di testi diversi adoperando per esprimersi codici diversi da quelli della
parola”.
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Documento prodotto da una commissione di studio del Ministero della Pubblica Istruzione nell’ambito
dell’attuazione della riforma della scuola.
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Alla base della Riforma c’è l’idea di “promuovere negli studenti la padronanza della
multimedialità sia come capacità di comprendere e usare i diversi strumenti, sia come
adozione di nuovi stili cognitivi nello studio, nell’indagine, nella comunicazione e nella
progettazione” (Rivoltella, 2005, p. 82-85).
Dalle considerazioni fatte sulle modifiche che gli interventi ministeriali apportano
all’ordinamento scolastico, emerge che l’ordinamento legislativo considera utile introdurre i
media a partire dalla scuola dell’infanzia. Ma quale può essere realmente l’età migliore? E in
quale fase del processo di sviluppo è necessario/utile introdurli nella scuola e nei processi
formativi?
Innanzitutto si deve armonizzare l’educazione mediale, così come qualsiasi altra forma di
educazione, alle differenti fasi dello sviluppo psicologico e senso motorio del bambino,
rispettando i suoi tempi e la sua soggettività. Bisogna progettare percorsi didattici che
permettano di valorizzare tutte le possibili abilità e forme di intelligenza che possono essere
educate mediante gli strumenti multimediali. L’introduzione delle tecnologie deve essere
finalizzata a specifici obiettivi di apprendimento, contestualizzata tenendo conto delle
caratteristiche dell’ambiente e co-progettata dai diversi attori del processo.
Agli inizi degli anni ’80 l’adolescenza era ritenuta l’età in cui meglio si potesse adattare
l’avvicinamento ai media e, in modo particolare, al computer perché più astrattivo. Oggi,
invece, l’avvicinamento alle nuove tecnologie avviene in modo immersivo già nei primi anni
di vita: terminata la fase del gioco esplorativo in cui il bambino batte o porta l’oggetto alla
bocca considerandolo “oggetto di gioco”, inizia ad utilizzare PC o videogiochi come “oggetto
per giocare” attraverso una combinazione tra gioco simbolico, modeling e sperimentazione
creativa.
Dai 3/4 anni ai 9 anni l’alfabetizzazione tecnologica avviene in modo indiretto: i bambini
vengono accostati alla tecnologia evitando di coinvolgerli in minicorsi di informatica, ma
puntando sul mostrargli come l’informatica non abbia fini in sé, ma sia strumento per
potenziare creatività e comunicazione. Nei primi anni si preferisce non avvicinare i bambini
a tecnologie sofisticate che potrebbero impedire un’educazione alla manualità e corporeità.
Storie illustrate su CD, fiabe classiche rappresentate e interattive sono validi prodotti per
acquisire confidenza con lo strumento, il mouse, la tastiera. Sono vari gli argomenti trattati:
riconoscimento di lettere e parole, di numeri, il mondo delle forme, dei colori, gli animali.
Una fase successiva sarà orientata al far percepire i media come strumenti di produttività
individuale. I bambini devono acquisire consapevolezza del mezzo e delle reali potenzialità:
il computer non è qualcosa di magico che aiuta a scrivere meglio, ma uno strumento da usare
come un normale sussidio cogliendone limiti e pregi. Papert afferma:
“La prima delle mie due strategie è riconoscere che discutere, tra genitori e figli, sui computer
game e sull’apprendimento è un’attività molto seria e io pongo una grande enfasi su questo
approccio al problema. Io incoraggio i genitori a discutere con i loro bambini sul rapporto tra
apprendimento e computer game e lavoro per incoraggiarli a farlo e a farlo rispettando in questo
le opinioni dei bambini che hanno molto da insegnare e molto da apprendere in questo campo. Io
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cerco, inoltre, di sviluppare e di diffondere un vocabolario e dei concetti che servano per fare
questo. La seconda delle mie due strategie è quella di incoraggiare i bambini a diventare loro
stessi progettisti dei loro giochi. Questo richiede un maggior investimento nell’infrastruttura
tecnologica e un grande sforzo di formazione. Ma ho costatato che quando i bambini trovano
sufficiente ascolto e aiuto, assieme a software sufficientemente semplici e fruibili, il loro
entusiasmo per il giocare si trasforma molto facilmente in entusiasmo nel programmare i loro
computer game e questa svolta cognitiva li conduce a ragionamenti sofisticati circa tutti gli aspetti
dei computer game, anche rispetto al rapporto tra videogiochi ed educazione. […] Io credo di
poter affermare che nel giro di dieci anni, progettare e realizzare un videogioco sarà a pieno titolo
parte della cultura e della formazione dei bambini, così come lo sono il disegnare lo scrivere storie
e suonare uno strumento e tutte le altre forme di intelligenza artistica.”
E ancora:
“È il bambino che programma il computer e non il computer che programma il bambino”.
Fino ai 9 anni dovrebbe prevalere un educare con i media attraverso un approccio
ludico/creativo che avrà come obiettivo lo sviluppo di tratti più generali della personalità
(motivazione, autostima, creatività, socializzazione, identità personale).
Alla fine del percorso di formazione primaria i bambini potranno passare a strumenti
tecnologici più complessi. Dai 9 ai 12 anni l’approccio utilizzato sarà sistemico: gli interventi
saranno continui e più consapevoli per un’educazione ai media grazie alla quale si
acquisiranno competenze che consentiranno di utilizzare i software riconoscendone tipologie,
caratteristiche basilari e linguaggio di programmazione.
Dai 12 anni in poi si può considerare acquisita la conoscenza strumentale di base, che
consente di passare ad un approccio disciplinare in cui i media vengono utilizzati in modo
subordinato all’acquisizione di contenuti e allo sviluppo di abilità critiche e metacognitive
(Devoti, 1997, pp. 98-99; 1999, pp. 47-49; Ferri, 2005, pp. 186-189).
Varisco e Grion ritengono che, piuttosto che definire stadi di età a-contestuali ed astratti,
sia più utile un approccio ancorato, in cui l’uso delle tecnologie venga adeguato all’età dei
bambini e alle attività per loro e con loro programmate, per raggiungere determinati obiettivi
in cui si pongono come mezzi di lavoro utili/necessari (Grion et al., 2000, p. 77).
1.2 Multimedia: dal libro gutenberghiano ad ambiente multicodicale
Le nuove tecnologie fondano il loro essere su una caratteristica peculiare: la multimedialità.
Con questo termine si può far riferimento a diverse accezioni:
in senso lato: è compresenza di diversi sistemi tecnici, simbolici, competenze
linguistiche e tecnologiche da utilizzare sia per la fruizione che per la produzione di
cultura (Massimeo, 1992, p. 85).