4
riconduzione di tutti i procedimenti ai tre modelli processuali previsti dal codice: rito ordinario
di cognizione, rito del lavoro, rito sommario di cognizione; 4) soppressione del rito societario e
applicazione del rito ordinario per le cause in materia di sinistri stradali; 5) introduzione di un
“ filtro “ per l’ammissibilità dei ricorsi in Cassazione al fine di alleggerire il carico di lavoro del
giudice di legittimità; 6) previsione di uno strumento di coercizione nei confronti del debitore
per ogni giorno di inadempienza di alcuni tipi di obbligazioni; 7) modifica delle norme sottese
alla regolamentazione delle spese di giudizio; 8) inserimento di sanzioni processuali a carico di
chi ritarda, con il proprio comportamento, la conclusione del processo; 9) nuovo regime di
rilevazione dell’incompetenza e della sua decisione; 10) introduzione della c.d. “translatio
iudicii“ per la risoluzione di questioni di giurisdizione; 11) previsione di ulteriori misure per
l’efficienza del processo civile, quali l’aumento della competenza per valore del Giudice di
pace, la semplificazione della fase di decisione delle controversie, la riduzione dei tempi per il
compimento degli atti processuali e, in generale, la drastica riduzione dei termini processuali,
l’introduzione di nuovi criteri di redazione della sentenza e la prova testimoniale scritta, previo
accordo tra le parti. Per alcuni aspetti, la novella presenta veri e propri elementi di rottura con la
tradizione finora seguita dagli operatori del diritto: basti pensare, al riguardo, all’introduzione
della “testimonianza scritta“ o all’ingresso dell’istituto della “translatio iudicii“ fra le
giurisdizioni, recente approdo interpretativo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e
della Corte Costituzionale. L’obiettivo principale, quindi, delle modifiche alla disciplina del
processo civile previste dalla nuova legge, indicato nella Relazione ministeriale di
accompagnamento, è essenzialmente quello di ridurre e di contenere l’irragionevole durata dei
procedimenti civili e quindi, in definitiva, di accelerare i tempi di definizione delle controversie.
Sin dai primi momenti, la riforma ha diviso la dottrina. Per alcuni, per esempio, “la riforma del
2009 è una buona novella che va ben al di là della sola dimensione processuale1“; per altri,
invece, “il processo civile è uno strano animale che si fa beffe di intenzioni di legislatori e di
elaborazioni della scienza del diritto processuale: le sue disfunzioni si incancreniscono sempre
di più mentre i suoi ( pochi ) progressi arrivano in maniera imprevista2“. Quel che è certo,
comunque, è che, con la riforma, si è, di fatto, aperta ”una nuova stagione interpretativa
all’orizzonte degli operatori del diritto3”. Tra le modifiche previste dal legislatore, e in
particolare tra quelle in materia di esecuzione, spicca senz’altro, per il suo carattere innovativo,
l’introduzione, da parte dell’art. 49, 1° co, ( Modifiche al libro terzo del codice di procedura
civile ), dell’art. 614-bis del codice di procedura civile ( Attuazione degli obblighi di fare
infungibile e di non fare ), il quale risponde all’esigenza di rendere meno platonico
1
CONSOLO C., Una buona “novella“ al c.p.c.: la riforma del 2009 ( con i suoi artt. 360-bis e 614-bis ) va ben al di
là della sola dimensione processuale, in Corriere Giuridico, 2009, pp. 737 ss.
2
SASSANI B., A.D. 2009: ennesima riforma al salvataggio del rito civile, in www.judicium.it.
3
BUFFONE G., La riforma del processo civile, in www.dirittoegiustizia.it.
5
l’adempimento degli obblighi di fare infungibile e di non fare4 . Secondo questa disposizione,
infatti, “con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente
iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni
violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del
provvedimento. Il provvedimento di condanna costituisce titolo esecutivo per il pagamento
delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. Le disposizioni di cui al presente
comma non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409“. Ai sensi del 2°
comma, “il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto
del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o
prevedibile e di ogni altra circostanza utile“. In definitiva, questa norma consente al giudice, in
caso di condanna del debitore all’adempimento di obbligazioni di fare infungibile o di non fare,
di fissare la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza
successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento di condanna. In concreto,
viene introdotto, in termini generali, uno strumento di coercizione, una spinta forzosa ma
indiretta a adempiere obblighi ( di fare infungibile o di non fare ) nell’esecuzione dei quali il
debitore non può essere surrogato direttamente dagli organi dell’esecuzione, colmandosi così
una lacuna del nostro ordinamento processuale più volte segnalata dalla dottrina, la quale ha
spesso sottolineato come, con riguardo a tali obbligazioni, l’impossibilità di avvalersi delle
tradizionali tecniche surrogatorie proprie dell’esecuzione forzata comportasse una grave
menomazione dell’effettività della tutela giurisdizionale: finora, infatti, il creditore, in caso
d’inadempimento del debitore, era costretto ad accontentarsi del solo risarcimento del danno, il
quale, lasciando sostanzialmente insoddisfatta la pretesa, si rivelava insufficiente ad assicurare
l’attuazione della legge, in particolar modo con riguardo ad alcuni settori dell’ordinamento
( quali, per esempio, quello della famiglia e dei diritti della persona o quello dei rapporti di
lavoro e delle libertà sindacali ) in cui, alla rilevanza costituzionale degli interessi coinvolti, fa
riscontro il carattere non patrimoniale della prestazione dovuta, con conseguente difficoltà di
una sua valutazione in termini pecuniari. Questa misura si affianca a una folta serie di misure
coercitive tipiche già previste da leggi speciali5 e, pur differenziandosi dalle stesse per
l’ampiezza del suo ambito d’applicazione, non presenta, tuttavia, carattere atipico, in quanto non
4
Si tratta di un’ esigenza, quella cioè di far pagare chi non adempie nella consapevolezza dell’insurrogabilità della
propria prestazione, che già più volte, in passato, si era imposta all’attenzione del legislatore, e che aveva dato vita al
c.d. Progetto Tarzia di riforma del codice degli anni novanta e al c.d. Progetto Vaccarella di un nuovo codice di rito
nei primi anni dell’ultimo decennio.
5 Artt. 18, ult. Co., e 28 Statuto dei lavoratori ( tutela dei lavoratori e delle libertà sindacali ); art. 38 d.lgs.
11/04/2006, n° 198 ( repressione delle condotte discriminatorie nei confronti delle donne ); art. 44, 8° Co., d.lgs.
25/07/1998, n° 286 ( repressione delle condotte discriminatorie nei confronti degli stranieri; art. 6 Legge 04/04/2001,
n° 154 ( repressione degli abusi nei rapporti familiari); art. 140, 7° Co., d.lgs. 06/09/2005, n° 206 ( tutela del
consumatore ); art. 163, 2° Co., d. lgs. 09/04/2003, n° 68 ( tutela del diritto d’autore ); artt. 124, 2° Co., 131, 2° Co.,
d.lgs. 10/02/2005, n° 30 ( brevetti e marchi ).
6
si applica a qualsiasi tipo di obbligazione, ma soltanto a quelle aventi a oggetto prestazioni di
fare infungibile o di non fare. Lo strumento coercitivo introdotto dalla norma sembra avere,
come modello di riferimento, quello francese delle astreintes, misure di coazione e di
esecuzione forzata indirette consistenti nella minaccia di condanna al pagamento di una somma
di denaro per ciascun giorno di mancata o tardiva esecuzione di un obbligo contenuto in un
provvedimento del giudice. L’art. 614-bis, infatti, prevede un mezzo di coazione della volontà
del soggetto obbligato il quale non si attivi spontaneamente per conformarsi al contenuto del
provvedimento di condanna del giudice. In capo al soccombente, infatti, è posto un obbligo di
cessare la condotta lesiva e illegittima ed eliminarne gli effetti e/o astenersi, per il futuro, da tale
condotta: quindi, una prestazione di non fare o una prestazione di fare caratterizzata
dall’infungibilità, le quali implicano, per loro natura, l’ineseguibilità forzata diretta dell’obbligo,
dal momento che l’attività del debitore non può essere surrogata da quella di un terzo. La
condanna al pagamento di una somma di denaro per ogni successiva violazione o inosservanza
ovvero per ogni ritardo nell’adempimento è funzionale a indurre l’obbligato a adempiere, in
quanto, coartando la volontà di quest’ultimo, mira a ottenere l’esecuzione spontanea del
contenuto della sua obbligazione. In concreto, la novità introdotta dal legislatore consiste
nell’evitare che il creditore di un’obbligazione di fare infungibile o di non fare sia costretto, dal
comportamento inadempiente del debitore, a promuovere un altro e successivo giudizio volto
all’accertamento della violazione, posto che la stessa sentenza di condanna che ha accertato la
debenza dell’obbligazione costituirà titolo esecutivo anche per la riscossione delle somme – già
liquidate dal giudice – dovute per ogni violazione successiva alla pronuncia. Va detto fin d’ora
che, in ogni caso, tale meccanismo non limita in alcun modo la difesa del debitore al quale fosse
notificato precetto per il pagamento della somma di denaro, dal momento che egli potrà sempre
esperire il rimedio dell’opposizione all’esecuzione, previsto dall’art. 615 c.p.c., per far accertare
di non essere inadempiente ovvero che il mancato o tardivo adempimento di quanto statuito con
la sentenza di condanna è dipeso da causa a lui non imputabile o, ancora, che l’adempimento è
divenuto impossibile. Semmai, potrebbe obiettarsi che la nuova norma, pur ispirandosi
manifestamente al modello francese delle astreintes, piuttosto che a quello anglo-americano del
contempt of Court o a quello germanico delle zwangsstrafen, e quindi costruendo la misura
coercitiva in esame come una pena privata, invece che come una sanzione pubblica, non
attribuisce ad essa quel carattere generale che, favorendone l’applicazione nei confronti delle
più svariate ipotesi di lesione di diritti a contenuto personale o patrimoniale, ha decretato il
successo di tale istituto nell’ordinamento d’Oltralpe. Infatti, la limitazione alle sole obbligazioni
di fare infungibile e di non fare comporta, oltre alla difficoltà di discernere, in sede applicativa,
le prestazioni effettivamente infungibili da quelle fungibili, l’impossibilità di cumulare la
misura in esame con l’esecuzione forzata; inoltre, la previsione che essa sia applicata con il
7
provvedimento di condanna comporta l’impossibilità di prefigurarne l’applicazione a garanzia
dell’attuazione di provvedimenti di carattere endoprocessuale ( come, per esempio, un ordine
d’ispezione giudiziale ). Infine, i criteri posti a base della liquidazione della somma dovuta
( valore della controversia, natura della prestazione, danno quantificato o prevedibile e ogni
altra circostanza utile ), facendo prevalentemente riferimento a una valutazione economica
dell’oggetto della controversia, sembrano relegare in secondo piano le finalità di tutela
realmente perseguite dal legislatore mediante l’introduzione di tale strumento, le quali, forse,
avrebbero richiesto un’accentuazione del profilo afflittivo della sanzione. Per contro, non si può
fare a meno di notare, fin d’ora, l’importanza della nuova norma, posto che proprio
l’inadeguatezza della tutela degli obblighi infungibili e l’assenza di misure sufficienti di
esecuzione indiretta è stata considerata una delle più gravi carenze del processo civile esecutivo
e, più in generale, uno dei fattori concorrenti - insieme con il rilevante contenzioso arretrato che
ha determinato un ingolfamento dei ruoli nonché con l’inadeguata proporzione tra numero di
magistrati e cause pendenti e con l’assenza di politiche di prevenzione della litigiosità e di
efficaci misure alternative di composizione delle controversie – cui va ricondotta l’impasse della
giustizia civile in Italia. Dunque, la legge n° 69/2009, attraverso l’inserimento, nel codice di
procedura civile, dell’art. 614-bis ha introdotto, in termini generali, uno strumento, assimilabile
all’astreinte, il quale, tuttavia, non costituisce, per il nostro ordinamento processuale, una novità
assoluta, essendo già ravvisabili, comunque, misure coercitive tipiche in numerose leggi
speciali. La presente indagine, di conseguenza, si propone, dopo avere altresì passato in
rassegna i diversi progetti di legge, in materia di esecuzione indiretta, succedutisi in Italia negli
ultimi cento anni, di analizzare nei dettagli la nuova norma in modo da evidenziare analogie e
differenze sia con quelle misure da noi già esistenti, sia con quegli strumenti di coazione
indiretta diffusi nei principali ordinamenti stranieri, i quali, in misura più o meno ampia, hanno
costituito per il legislatore italiano un importante parametro di riferimento se non, addirittura, un
vero e proprio modello cui ispirarsi. Preliminare all’indagine sarà una dettagliata analisi delle
più importanti tematiche che, soprattutto negli ultimi decenni, hanno determinato un ampio e
vivace dibattito, specie nella nostra dottrina processualcivilistica ( dalla teoria della c.d.
“correlazione necessaria“ tra condanna ed esecuzione forzata, ai problemi legati alle misure
coercitive indirette, all’esigenza di distinzione tra prestazioni fungibili e infungibili ) e che, con
l’avvento di questa nuova norma, possono considerarsi, almeno in parte, di superati. La
conclusione del lavoro sarà, ovviamente, affidata a un dettagliato esame, punto per punto,
dell’art. 614-bis, diretto a mettere in evidenza le principali caratteristiche dell’istituto, i
principali problemi che esso pone e le ragioni di un intervento legislativo da tempo atteso e
destinato ad attuare, in un determinato settore dell’ordinamento, il canone fondamentale della
effettività della tutela giurisdizionale, canone direttamente riconducibile all’art. 24 della
8
Costituzione. Infatti, se, per effetto di questa disposizione, il processo deve garantire la tutela di
tutte quelle “utilità e beni della vita riconosciuti dal diritto sostanziale“ ( per usare le parole di
Chiovenda ), quando un diritto sostanziale non può essere adeguatamente difeso in giudizio,
come finora è avvenuto per i diritti a un fare infungibile e a un non fare, si verifica una palese
violazione della stessa norma costituzionale, intollerabile in un ordinamento giuridico civile e
moderno.
9
CAP. 1: RAPPORTI TRA TUTELA DI CONDANNA E TUTELA
ESECUTIVA
1. 1 – I limiti del processo esecutivo
La legge 18 giugno 2009 n° 69, attraverso l’inserimento nel codice di procedura civile dell’art.
614-bis, ha introdotto nel nostro ordinamento uno strumento generale di coercizione nei
confronti del debitore, al fine di indurre quest’ultimo all’adempimento spontaneo di determinati
tipi di obbligazione, tradizionalmente6 ritenute insuscettibili di esecuzione forzata, ossia quelle
aventi come contenuto una prestazione di fare infungibile o una prestazione di non fare. Si tratta
di obbligazioni che, per loro stessa natura, costituiscono un limite insuperabile al processo
esecutivo. L’esecuzione forzata, infatti, comporta un’attività di tipo sostitutivo o surrogatorio
rispetto a quella del debitore; invece, gli obblighi di fare infungibile non ammettono alcuna
sostituzione da parte di terzi e, per la loro attuazione, richiedono necessariamente la
cooperazione dell’obbligato, non essendo indifferente, al titolare del diritto, che la relativa
prestazione sia eseguita da un soggetto diverso dal diretto debitore ( si pensi, per esempio,
all’obbligo dello scrittore che si è impegnato a fornire in romanzo all’editore, oppure a quello
del cantante che si è impegnato con l’impresario a tenere un concerto ).
Quanto agli obblighi a contenuto negativo, cioè gli obblighi di non fare o a un’astensione,
vengono in considerazione, per esempio, la proprietà e gli altri diritti reali su cosa altrui, efficaci
erga omnes e implicanti, in tutti i soggetti passivi, l’obbligo di astenersi da comportamenti
idonei a turbare il godimento della res da parte del titolare. In questo caso, il processo esecutivo
non è in grado di assicurare l’attuazione del diritto attraverso la realizzazione diretta
dell’interesse del suo titolare, in quanto non è in grado di impedire il compimento di
quell’attività che ne costituisce la violazione, ma può solo servire, ex post, ad attuare
coattivamente le misure riparatorie conseguenti a tale violazione e consistenti, a seconda dei
casi, o in un obbligo di dare ( risarcimento del danno ) o in un obbligo di disfare ( rimessione in
pristino ), cioè, in ogni caso, in un obbligo a contenuto positivo.
6
CARNELUTTI F., Sistema del diritto processuale civile, I, Cedam, Padova, 1926, p. 168; ATTARDI A.,
L’interesse ad agire, Cedam, Padova, 1955, p. 108; CAMMEO F., L’azione del cittadino contro la P. A., in Giuris.
it., 1905, LVIII, III, p. 14.