4
Introduzione
Obiettivo del presente lavoro è quello di indagare le dinamiche grafo-
rappresentative con cui il bambino rappresenta il suo mondo interiore e le
modalità di strutturazione della realtà a lui circostante.
Il tema centrale attorno al quale ruoterà l’attenzione sarà la disamina dei vari
approcci teorici e metodologici nello studio del disegno infantile come indicatore
di sviluppo e/o di conflitto, facendo luce, soprattutto, sulle possibili implicazioni
nella rappresentazione dell’amicizia tra bambini nella scuola dell’infanzia.
Generalmente è con l’ingresso nella scuola dell’infanzia che il bambino inizia a
sperimentare le prime forme di relazione tra pari, ponendo le basi per la scoperta
“dell’altro”.
Numerosi sono stati gli studi che hanno accertato l’importanza del disegno
infantile come rilevatore del mondo interno del bambino.
Il bambino riesce ad esternare aspetti psicologici riguardo le dinamiche intra-
extrapersonali, con particolare rilievo per quanto concerne il rapporto con gli altri
significativi, con i pari.
La modalità di rappresentazione grafica consente al bambino di uscire dalla sua
posizione di “egocentrismo”, dove tutto ruota attorno a sé, ad una di
“condivisione”, sia a livello di attenzioni da parte degli adulti sia per quanto
riguarda l’utilizzo di oggetti materiali come i giocattoli, compiendo il primo
passo verso il prezioso sentimento dell’amicizia.
Il primo capitolo passerà in rassegna le varie fasi dell’amicizia: come il bambino
sperimenta l’amicizia, le fasi di sviluppo, i conflitti, i tempi.
L’amicizia è uno dei sentimenti più importanti della vita e alcune sue forme sono
rintracciabili, abbastanza precocemente, nel percorso di ogni individuo.
Le prime relazioni, da quelle con la madre a quelle con i familiari e con gli altri,
sono caratterizzate dall’ imitazione; successivamente le interazioni saranno di
tipo complementare.
5
Superata la fase dell’egocentrismo, il bambino appura che possono esistere più
punti di vista diversi dal proprio e si affina quindi la capacità di cooperare in
funzione di uno scopo comune.
Tra i 6 e i 12 mesi le azioni che i piccoli rivolgono all'altro denotano già
un'aspettativa sociale, anche se manca una completa coordinazione reciproca e
molte delle "aperture" sociali non trovano un appropriato riscontro. Mancano
ancora nel bambino degli schemi e categorie di riferimento; il processo di
categorizzazione in evoluzione non gli permette generalizzazioni e ciò gli
permette di essere più attento ai singoli elementi che caratterizzano l’Altro, alle
sue qualità personali.
I piccoli mantengono un riferimento più stabile al proprio amico perché ne
traggono rassicurazione emotiva in assenza delle figure di attaccamento, mentre a
due o tre anni diventa più importante una sorta di esplorazione del mondo
sociale, da cui il maggior numero di relazioni intraprese e la concomitante
minore stabilità.
Nell’età prescolare le abilità sociali dei bambini si arricchiscono, grazie
soprattutto alle maggiori occasioni di incontro con i coetanei e con adulti al di
fuori della famiglia; l’ingresso nella scuola materna è senza dubbio la più
importante di queste prime occasioni sociali allargate.
Nel periodo della scuola dell’infanzia si assiste alla formazione del gruppo;
aumentano il numero delle relazioni che acquistano, però, minor intensità per via
della necessità di scoperta del mondo sociale.
All’interno del secondo capitolo si parlerà dello sviluppo individuale e sociale
del bambino prendendo come riferimento le teorizzazioni di Piaget, Vygotsky e
Wallon.
La costruzione del senso dell’identità, punto saliente nello sviluppo della
personalità dell’individuo, passa anche attraverso la conoscenza e l’accettazione
delle caratteristiche dell’altro. Il Sé per Mead è il risultato dell’oggettivazione
che l’individuo opera di se stesso, nel momento in cui considera se stesso nel
medesimo modo in cui considera gli altri. L'individuo deve cioè costruire una
6
forma di comportamento che gli consenta di vedersi come un oggetto: egli
organizzerà le sue azioni e valuterà i fatti tramite il colloquio interiore, gettando
così le basi per l’assunzione del ruolo dell’altro.
Nel terzo capitolo verranno analizzate le dinamiche interpersonali e le possibilità
di sviluppo psicologico e di adattamento del bambino.
Gli studi sugli stili educativi e di attaccamento nelle primissime fasi di vita,
caratterizzano lo sviluppo del bambino, la sua strutturazione caratteriale, il suo
modo di definizione della propria cornice di riferimento, la modalità di tratto e
tipologica nella rappresentazione della realtà.
Le teorie dell’attaccamento di Bowlby e le ultime prospettive dell’Infant
Research sottolineano fortemente quanto sopra riportato mettendo l’accento
soprattutto sulle modalità d’interazioni precoci nella diade madre-bambino. In
questo primo microambiente si pongono le basi per il futuro sviluppo individuale
non solo ego sintonico ed auto regolativo, ma soprattutto di una regolazione
interattiva.
Più il clima in cui il bambino cresce è sereno, tanto più le relazioni che egli
intratterrà crescendo saranno solide. Infatti, l’espressione di emozioni da parte
dei genitori, gli atteggiamenti, le tecniche disciplinari, la salute mentale, le reti
sociali e gli avvenimenti che essi hanno affrontato nella vita influenzano, seppur
indirettamente, il comportamento del bambino con i suoi coetanei.
Poter sperimentare di un senso di fiducia che sia anche senso di continuità nel
tempo, consente al bambino di possedere le prime prove e strumenti per
affrontare le difficoltà che gli si proporranno di volta in volta.
Il quarto capitolo tratterà diffusamente degli aspetti che caratterizzano lo
sviluppo emotivo del bambino e le rappresentazioni verbali, ma soprattutto
grafiche quali il disegno, come manifestazione della capacità creativa e di
proiezione degli aspetti più intimi della personalità del piccolo. L’età prescolare
rappresenta un periodo aureo nel quale il bambino dimostra la propria possibilità
creativa, le sue capacità artistiche. Ci si trova difronte alla volontà cosciente che
guida la libera attività espressiva di raccontare agli altri le proprie esperienze.
7
Il bambino non rappresenta ciò che egli vede, ma ciò che egli sa.
La coscienza infantile si differenzia da quella dell’adulto non solo per il tipo di
contenuto, ma anche per il tipo di organizzazione; il bambino non è un adulto in
miniatura; egli presenta un suo proprio equilibrio.
Accanto allo sviluppo normale del bambino possono verificarsi delle situazioni
di deficit o di conflitto; il disegno è uno strumento esclusivo per analizzare
possibili problematicità che difficilmente possono essere verbalizzate a quest’età.
Un’indagine accurata e tempestiva di possibili conflitti che si possono riscontrare
all’interno della rappresentazione grafica, può consentire di poter trarre delle
inferenze sulle possibili difficoltà che il bambino sta attraversando nel suo
percorso di sviluppo sia a casa che a scuola. Infatti scoprire un disagio quando
ancora non ha prodotto conseguenze comportamentali eclatanti o quando il
problema è insorto da poco tempo, può talvolta permettere un aiuto immediato e
risolvere il disagio stesso prima che si aggravi o addirittura si cronicizzi.
Due studiose in particolare, Anna Silvia Bombi e Giuliana Pinto, hanno svolto
significate ricerche volte a valutare l’attività grafo-rappresentativa, come mezzo
di conoscenza del vissuto delle idee del periodo infantile.
L’ultima parte della trattazione riguarderà l’analisi dei disegni dei bambini
seguendo le linee guida date dalle due studiose passando in rassegna tutti gli
indicatori: coesione /distanziamento, somiglianza, valore, clima emotivo,
perturbazione della relazione.
Infine verrà presentato il progetto: “ Amico vuol dire…” svolto in una sezione nel
plesso della scuola dell’infanzia dell’istituto comprensivo statale Jovine di
Campobasso, con bambini di età compresa tra i 4 e i 5 anni.
8
CAPITOLO 1
Il bambino cresce e sperimenta l’amicizia
Fino agli inizi degli anni ’70 la posizione prevalente tra gli studiosi dello
sviluppo sociale infantile è stata quella di negare la possibilità che i bambini
siano in grado di sviluppare relazioni sociali significative tra di loro.
L’impostazione psicoanalitica dominante tra gli anni ’30 e gli anni ’60, infatti,
tendeva ad assegnare un’importanza pressoché assoluta alla “prima relazione
sociale” tra il bambino e la madre, considerando di conseguenza secondarie e
scarsamente rilevanti per il futuro sviluppo sociale le relazioni che il bambino
può sviluppare coi coetanei. Abbiamo assistito ad un rinnovato interesse della
ricerca psicopedagogica italiana ed internazionale per le relazioni tra bambini.
Tra le relazioni indagate quella di amicizia è stata quella più nuova e più ricca di
prospettive. Diversi sono stati gli articoli pubblicati sulle riviste del settore ed
anche alcuni testi hanno arricchito l'indagine sulle relazioni amicali tra coetanei.
A tutte le età un “amico” è qualcuno con cui si condivide qualcosa; ciò che
cambia sono i contenuti di tale condivisione. Si tratta di un tema di grande
interesse per i genitori e per gli educatori spesso preoccupati per la presenza o
l'assenza di amicizie nel bambino e per le implicazione che ciò può comportare.
Del resto non può che interessare il fatto che la ricerca abbia spostato il suo
interesse dalle relazioni adulto/bambino a quelle tra coetanei e all'amicizia, in
particolare, come dimensione che può influenzare lo sviluppo, e non solo quello
emotivo e sociale ma anche quello cognitivo. Già Piaget nelle sue ricerche
risalenti agli anni venti, aveva evidenziato come i processi di socializzazione si
determinassero nel bambino su due versanti. Il primo si estrinseca nei confronti
dell'adulto ed il secondo nelle relazioni con i coetanei; è proprio quest'ultimo che
9
appare ricco di suggestioni dal punto di vista dello sviluppo del pensiero.
Qualsiasi relazione si può definire come "una serie di interazioni tra due
individui noti l'uno all'altro" intendendo per interazione "uno o più scambi del
tipo: A fa X a B e B fa Y in risposta"
1
; la sequenza interattiva termina quando si
verifica "un chiaro cambiamento nel contenuto delle azioni"
2
. Hinde sostiene che
è impossibile determinare quante e quali interazioni siano necessarie affinché tra
due individui si instauri una relazione, ma sicuramente esiste una differenza tra
interagire ed essere in relazione. Essere in relazione si applica solo "ai casi in cui
l'interazione è influenzata dalle interazioni precedenti o influenzerà
probabilmente quelle "future"
3
. "Una relazione è qualcosa di più delle interazioni
che la fanno nascere e che hanno luogo al suo interno, e può sopravvivere anche
se i partner non hanno materialmente a che fare tra loro. Nessuna relazione
interpersonale può essere dunque ridotta alle sue componenti comportamentali
(le interazioni in atto), perché implica conoscenza reciproca dei partner, memoria
del passato, aspettative circa il futuro; e questa dimensione cognitiva si colora di
valutazioni e di sentimenti. La prima considerazione che deriva da quanto appena
detto è che una piena comprensione dell'amicizia tra bambini, come di qualsiasi
rapporto umano, può scaturire solo dall'integrazione di dati sul comportamento e
sulla conoscenza sociale"
4
.
Esiste poi, sempre secondo Hinde, un'influenza reciproca tra il comportamento
dell'individuo e la relazione alla quale partecipa; il soggetto determina la
relazione ma anche la relazione contribuisce ad influenzare il comportamento del
soggetto; le relazioni sono a loro volta influenzate dalle norme speciali e dagli
ideali dei partecipanti ad esse.
1
Bombi A. S. ,Pinto G., I colori dell’amicizia: studi sulle rappresentazioni pittoriche dell’amicizia tra
bambini. Il Mulino, Bologna, 1993.
2
Hinde R. A., Le relazioni interpersonali, Il Mulino, Bologna, 1981.
3
Ibidem.
4
Bombi A. S., Pinto G., I colori dell’amicizia: studi sulle rappresentazioni pittoriche dell’amicizia tra
bambini. Il Mulino, Bologna, 1993.
10
1.1 Amicizia e relazioni
Una prima importante distinzione la possiamo tracciare tra rapporti basati su
designazioni categoriali e relazionali. Un esempio di relazioni del primo tipo è
costituito dalle relazioni di parentela ma anche categorie come "collega" oppure
"vicino di casa"; l'amicizia appartiene invece al secondo tipo. Le relazioni del
primo tipo sono determinate da fattori esterni, ad esempio la consanguineità o il
matrimonio per la parentela, mentre nel processo di definizione dell'amicizia "è
la relazione stessa a costituire il fattore più importante nel decidere se si possa o
meno chiamare amico qualcuno. Questo tipo di designazione è quindi
relazionale. La relazione di amicizia è stata poi definita come privata e personale
svincolata dall'appartenenza a categorie professionali o gruppi religiosi e non
regolata da norme istituzionali o legali.
Si sostiene che l'amicizia, nonostante sia considerata un rapporto che non si basa
sul tornaconto e sulle utilità personali dei partner è sostenuta da una importante
regola di uguaglianza anche se è difficile stabilire oggettivamente il valore degli
scambi; tale desiderio di reciprocità spiega perché è più frequente l'amicizia tra
persone simili come status sociale e culturale.
1.1.1 L’amicizia tra coetanei
Negli ultimi decenni si è assistito, all’interno delle ricerche sui processi di
socializzazione, ad un progressivo spostamento di interesse dalle relazioni
adulto-bambino a quelle bambino-bambino. A tali relazioni viene attribuita una
grande importanza. La qualità delle relazioni tra coetanei assume un'importanza
centrale per lo sviluppo sociale e personale del bambino. I bambini che non sono
accettati dai compagni o che mancano di amicizie sperimentano relazioni
stressanti, fonti di angoscia e frustrazioni. Da studi longitudinali si è visto inoltre
che i bambini che presentano difficoltà con i coetanei possono essere considerati
11
a rischio per lo sviluppo futuro. Non solo, le opportunità offerte al bambino di
costruirsi delle amicizie fin dai primi anni di vita e l’atteggiamento degli adulti
nei confronti di tali amicizie sono variabili critiche nel determinare non solo la
qualità della vita attuale, ma anche il suo futuro adattamento sociale da adulto
5
La relazione con i coetanei rappresenta cioè un buon indicatore delle capacità di
adattamento individuale del soggetto. Gli studi a carattere psicologico sono nella
grande maggioranza dei casi centrati in modo più o meno chiaro ed esplicito
sull’amicizia come relazione intima. Per un bambino in età prescolare gli amici
sono essenzialmente dei <<compagni di gioco>> ed esso viene concepito
soltanto come una successione di incontri momentanei, legato all’esecuzione di
specifiche attività, gratificanti per entrambi i bambini che vi partecipano. I
recenti contributi degli psicologi sociali in questo campo hanno l’ambizioso
proposito di superare uno studio delle relazioni interpersonali basato su tipologie
extrapsicologiche, fondandosi invece sull’identificazione di processi comuni a
relazioni diverse.
Rubin sostiene che: “la relazione di amicizia tra bambini inizia assai presto”
6
.
Hartup ritiene che: “ è molto difficile identificare un'età in cui l'amicizia diviene
visibile e ciò a causa delle difficoltà che sorgono nell'indagare nella prima
infanzia un costrutto difficilmente definibile”
7
. Dopo la prima infanzia la ricerca
della relazione di amicizia risulta più facile poiché è possibile utilizzare le
dichiarazioni dei bambini stessi, mediante interviste e con l'applicazione di
questionari sociometrici finalizzati ad identificare le coppie di amici e quelle dei
semplici conoscenti. Gli autori propongono un modello evolutivo di sviluppo
dell'amicizia che si compone di tre fasi: la prima fase che va dai 3 ai 7 anni in cui
la relazione è caratterizzata solamente dalla ricerca del divertimento e di attività
ludiche da svolgere in coppia. Nella seconda fase compresa, tra gli 8 e i 12 anni,
emerge nel bambino il bisogno di essere accettato dal gruppo. La terza fase che
va dai 13 ai 18 anni si distingue per la preoccupazione di ridefinizione del sé e
5
Rubin Z., L’amicizia tra bambini, Armando Editore, 1998, Roma.
6
Ibidem.
7
H. Mc Gurk, Lo sviluppo sociale del bambino, Torino, Bollati Boringhieri, 1984
12
per il bisogno di introspezione e dà luogo ad interazioni caratterizzate da
autorivelazione ed intimità.
Selman ha indagato ampiamente le caratteristiche dello sviluppo dell'amicizia e
propone in accordo con altri un modello stadiale dello sviluppo dell'amicizia e
richiamando le teorizzazioni piagetiane. Propone cinque stadi di sviluppo
caratterizzati da una progressiva capacità di coordinamento di diverse prospettive
sociali, la capacità cioè del bambino di assumere il punto di vista dell'altro.
Secondo Selman
8
l'amicizia si evolve secondo cinque stadi:
- nello stadio 0 (chiamato del "gioco fisico momentaneo";
approssimativamente anni 3/7) l'amicizia è solo vicinanza fisica,
compagnia e condivisione occasionale dei giochi;
- nello stadio 1 (definito dell' "assistenza a senso unico";
approssimativamente anni 4/9) l'amico è colui che aiuta e del quale si
incomincia a conoscere le preferenze;
- lo stadio 2 (denominato "cooperazione se tutto va bene" anni 6/12) è
caratterizzato da reciprocità e coordinamento della relazione ma se non si
è d'accordo su qualcosa non si è più amici, la relazione pertanto secondo
Selman in questo stadio è ancora piuttosto fragile;
- lo stadio 3 (definito della "condivisione intima e reciproca"; anni 9/15) è
caratterizzato da fiducia, intimità, dalla consapevolezza della continuità
della relazione e da vincoli affettivi tra i partner;
- lo stadio 4 (denominato dell' "amicizia autonoma interdipendente";
approssimativamente dai 12 anni all'età adulta) è caratterizzato dalla
concezione dell'amicizia come una relazione inserita in un contesto più
generale di relazioni sociali, si ricerca e si offre in questa fase sostegno
psicologico ma il rapporto non lede l'autonomia personale dei partner.
8
Selman R., Selman S., Le idee dei bambini sull’amicizia: una nuova teoria in «Psicologia
contemporanea», 1981.
13
Alcuni sostengono che i lavori di Selman sottolineano una tendenza da parte dei
bambini ad una concezione riflessa dell'amicizia. Le teorie sono stadiali e di
origine piagetiana.
Alcune critiche a questi lavori possono essere:
a. i lavori sono limitati alla concezione dell'amicizia senza metterla in
relazione con le interazioni di tutti i giorni, con le interazioni reali;
b. non è stato sufficientemente indagato il processo attraverso il quale
avviene il cambiamento della concezione dell'amicizia;
c. il terzo limite di queste ricerche risiede nella scarsa importanza assegnata
alle differenze individuali.
Ricerche più recenti riprendono l'impostazione stadiale dello sviluppo
dell'amicizia che si potrebbe riassumere in tre stadi fondamentali:
1. Stadio egocentrico o situazionale (fino ai 7- 8 anni) nel quale il bambino
riesce a percepire solo le dimensioni esterne della relazione di amicizia;
particolare importanza è data in questo stadio alla "vicinanza fisica ed al
"fare delle cose insieme".
2. Stadio sociocentrico o normativo (7-8 anni fino agli 11 anni) il bambino
pone maggiore attenzione alle norme che regolano la relazione di amicizia
e vengono considerate anche le dimensioni interne della relazione stessa.
3. L'ultimo stadio è caratterizzato da dimensioni ancora più profonde della
relazione quali l'intimità, la fiducia e l'autodisvelamento. Questo stadio
secondo l'autore si presenta nel periodo adolescenziale.
1.1.2. Il bambino e la percezione dell’amicizia
Svariate ricerche si sono occupate delle dinamiche in cui il bambino percepisce
la relazione di amicizia.
Per i più piccoli essere amici significa soprattutto giocare insieme, fare delle cose
insieme e divertirsi; dai 9 anni in poi la relazione si carica anche di elementi
14
interiori come ad esempio la lealtà, l'ammirazione, l'aiuto reciproco.
9
I lavori già citati concordano con quelli di altri autori i quali hanno chiesto ai
bambini di scrivere un componimento su che cosa si sarebbero aspettati da un
amico e da un non amico. Gli autori hanno individuato tre dimensioni comuni a
tutte le età:
a. la simpatia reciproca;
b. il condividere qualcosa e la concezione che l'amico è colui che dà
qualcosa;
c. il rafforzamento della propria personalità.
Le differenze in base all'età riguardavano il fatto che i bambini più grandi si
aspettavano dagli amici un rapporto più leale, più genuino, più intimo e di
accettazione. Gli autori definiscono tre stadi nella concettualizzazione
dell'amicizia da parte dei bambini:
1. nel primo stadio l'amicizia è un rapporto che coinvolge le attività comuni
e la vicinanza;
2. nel secondo stadio compare l'ammirazione del carattere e della personalità
dei partner;
3. nel terzo stadio sono considerate altre dimensioni della relazione quali la
lealtà, l'intimità, la genuinità, l'accettazione e gli interessi comuni.
Partendo da un diverso punto di vista, lo sviluppo della concettualizzazione e
l'uso dell'amicizia sono legate a caratteristiche organizzative della cultura dei
pari, nell'esperienza della scuola materna i bambini arrivano a capire che
l'interazione è fragile perciò sviluppano delle relazioni permanenti con alcuni
compagni come un modo per ingrandire le probabilità di successo nel riuscire a
partecipare ai giochi. Una ulteriore amicizia è utile al bambino per guadagnarsi
l'accesso ad un gioco, proteggere lo spazio interattivo, aumentare la fiducia in sé.
Corsaro osserva il fenomeno da un punto di vista socio-ecologico e sostiene che è
dalla cultura, cioè dalle esperienze tra bambini, che inizia e si sviluppa il concetto
9
Foppa Pedretti C. Essere amici, percorsi di educazione, V&P strumenti, Milano. 2002.
15
di amicizia. Corsaro nota nelle sue ricerche che i bambini in età prescolare
condividevano due preoccupazioni principali:
1. la partecipazione sociale; i bambini raramente erano impegnati in giochi
solitari ma tentavano di entrare a far parte di un gruppo e di giocare
insieme;
2. la protezione dello spazio interattivo; la tendenza cioè dei bambini di
resistere all'accesso di altri bambini nel gioco.
Queste caratteristiche generavano conflitto e le interazioni erano fragili: Corsaro
notò che i bambini sviluppavano varie strategie di accesso e di resistenza; tra le
prime c'erano l'entrata non verbale e l'accerchiamento, tra le strategie di
resistenza c'erano la finzione della proprietà dell'oggetto, il sovraffollamento, la
strategia senza giustificazioni ed il concetto di amicizia come strategia per
l'accesso al gioco (siamo amici vero?). La maggior parte dei bambini osservati da
Corsaro non formavano rapporti tipo "migliore amico" ma "molte amicizie".
10
1.1.3. I tempi dell’amicizia
Studi recenti
11
testimoniano che la nascita dell'amicizia è molto precoce. Al
contrario di quanto si sosteneva in ricerche precedenti , nelle quali si concludeva
che era improprio parlare di stabilità dell'amicizia prima dei 9-10 anni, già nella
prima infanzia è possibile riscontrare la presenza di relazioni amicali
relativamente stabili nel tempo (fino a 2-3 anni.). Si sostiene che sebbene le
relazioni tipo "migliore amico" tra i bambini di età prescolare siano relativamente
stabili nell'arco di parecchie settimane, c'è un rapporto diretto tra l'età e la
quantità di fluttuazioni presente in queste scelte. Horrocks e Thompson in una
ricerca nella quale sono stati usati grandi campioni di bambini in età scolare
hanno riscontrato incertezze più frequenti fra i ragazzi dagli 11 ai 15 anni che
10
Riferimenti presi dal sito web: http://www.educare.it/studi/articoli/bambini_e_l'amicizia.htm
11
Dunn J., Affetti profondi:bambini,genitori,fratelli,amici, Il Mulino, Bologna, 2004.
16
non tra quelli tra 16 e 18 anni. I ragazzi più giovani sceglievano lo stesso
individuo come migliore amico circa il 50 per cento delle volte, quando il test
sociometrico era somministrato con un intervallo di due settimane. I ragazzi più
grandi invece sceglievano lo stesso amico tra il 60 e il 90 per cento delle volte. Si
evidenzia che tra le femmine le fluttuazioni sono meno frequenti che tra i maschi
e questa differenza si riscontra sia tra le bambine più piccole che tra quelle più
grandi.
Rizzo
12
si è occupato dello studio dell'amicizia da una prospettiva socio-
ecologica introducendo una metodologia che consiste nel registrare le
conversazioni tra bambini nel contesto scolastico. L'età indagata dall'autore è
quella di 6/7 anni corrispondente al primo grado della scuola elementare. Nel suo
studio, a proposito della stabilità del legame amicale, Rizzo rileva che su 20
relazioni e durate almeno una settimana, solo 8 sono durate un mese e sono
rimaste stabili nel tempo per diversi mesi. In riferimento alle cause che hanno
portato al termine delle amicizie l'autore sostiene che tutte le amicizie che sono
finite durante il corso del suo studio, sono terminate perché i bambini
semplicemente hanno finito d'interagire. Rizzo sostiene di non essere riuscito a
trovare niente nel loro rapporto che potesse predire il termine dell'amicizia ciò in
accordo con altre osservazioni simili. Infatti anche gli scoppi emotivi d'ira non
possono essere provati come predittori dell'esito negativo dell'amicizia.
Al contrario sono state proprio le dispute tra amici che hanno fatto elaborare
all'autore una ipotesi sullo sviluppo dell'amicizia. Secondo le sue osservazioni ci
sono due processi che operano: uno intrapersonale ed uno interpersonale. Nel
processo intrapersonale i bambini sembrano paragonare le loro effettive
interazioni con i loro amici con ciò che essi conoscono sull'amicizia. Cercano un
equilibrio tra la loro concezione dell'amicizia e le loro interazioni; gli
aggiustamenti necessari per raggiungere tale equilibrio non sono stati
caratterizzati dai meccanismi piagetiani di assimilazione ed adattamento. La
discrepanza tra la propria concezione dell'amicizia e le interazioni si trasforma in
12
Ibidem.