5
associazioni senza scopo di lucro, miranti a tutelare gli interessi lesi dal reato, possano costituirsi parte civile nel
processo (ed esercitare i diritti e le facoltà della persona offesa dal reato, col consenso di questa); all'esenzione dalla
soggezione al regime
4
, (previsto dall'art. 18 del cd. statuto dei lavoratori) della tutela reale del posto di lavoro a
favore dei "datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale,
culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto".
Quando molti avevano perso proprio ogni speranza, è stata abrogata la nota autorizzazione agli acquisti immobiliari
e le accettazioni di donazioni, eredità e legati delle persone giuridiche (art. 17 c.c.).
Infine, l’ultimo intervento, anche questo di tipo abrogativo, ha cancellato gli artt. 600 e 786 del codice civile
5
.
Più spesso sono state regolate non poche figure organizzative specifiche; così, senza alcuna pretesa di completezza:
partiti politici (seppure sotto il solo profilo del finanziamento (legge 2 maggio 1974 n. 195, e successive modifiche),
organizzazioni non governative (legge 26 febbraio 1987, n. 49), associazioni ambientaliste (artt. 13 e 18 della legge
8 luglio 1986, n. 349), organizzazioni non governative (legge 26 febbraio 1987, n. 49), associazioni venatorie (d.p.r.
11 febbraio 1992, n. 157), organizzazioni di volontariato (legge 11 agosto 1991, n. 266, seguita dalle tante leggi
regionali di attuazione), enti ecclesiastici (legge 20 maggio 1985, n. 222, sugli enti cattolici, oltre alle leggi su quelli
acattolici), cooperative sociali (l. 8 novembre 1991, n. 381), fondi di previdenza integrativa e complementare (d.l.
1993, n. 124, e successivamente legge di riforma n. 335 del 1995), casse previdenziali privatizzate (d. lgs. 30 giugno
4
La deroga al regime previsto dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, è disposta dall’art. 4 della legge 11
maggio 1990, n. 108, intitolata “Disciplina dei licenziamenti individuali ”.
5
Dopo l’abrogazione dell’art. 17 c.c. si era avuto un dibattito sulla possibile abrogazione implicita degli articoli 600
e 786 (che è stata espressamente disposta, con efficacia anche per le procedure di acquisto in itinere, dalla legge 22
luglio 2000, n. 192.).
L’art. 13 della legge 15 maggio 1997, n. 127 aveva disposto l’abrogazione di tutte le “altre disposizioni che
prescrivono autorizzazioni per l’acquisto di immobili, o per accettazione di donazioni, eredità e legati da parte di
persone giuridiche, associazioni e fondazioni ”.
Con efficaci argomentazioni taluni propendevano per l’avvenuta abrogazione degli artt. 600 e 786c.c.: vedi, per tutti,
BRUSCUGLIA, Il fenomeno associativo dal codice civile al decreto legislativo n; 460 del 4 dicembre 1997, in
AA.VV., Terzo settore e nuove categorie giuridiche: le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, Milano, 2000,
p.22 s.s.
Altri sostenevano la permanenza dell’autorizzazione poiché pensavano che la riforma valesse per le sole persone
giuridiche: si veda, per tutti, PONZANELLI, Onlus e riforma del codice civile, in AA.VV., Terzo settore e nuove
categorie giuridiche: le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, Milano, 2000, p. 36 s.
6
1994, n. 501), fondazioni musicali (d. lgs. 21 giugno 1996, n. 367), e fondazioni bancarie (legge 23 dicembre 1998,
n. 461, e successivi decreti delegati)
6
.
Un intervento generale c'è stato solo per la materia fiscale: il legislatore è stato più solerte nell’area del diritto
tributario
7
.
Notevoli sono stati anche gli apporti della dottrina. Grande è stato il lavoro interpretativo per sopperire alla scarsità
delle previsioni normative del codice. Si è posto dapprima il problema di applicare le regole delle associazioni
riconosciute alle associazioni non riconosciute.
La maggior parte degli autori, muovendo dall’identità del tipo normativo "associazione", si sono orientati per la
soluzione affermativa
8
(pur dividendosi in ordine al problema dell’applicazione diretta o analogica).
Il dato della personalità giuridica è divenuto così sempre meno rilevante, essendo stato superato dal connotato della
soggettività giuridica: si ritiene che oggi il riconoscimento valga esclusivamente a conferire il beneficio della
responsabilità limitata
9
.
Il tema della possibile soggettività giuridica degli enti non riconosciuti aveva per lungo tempo impegnato gli
interpreti.
Secondo un primo orientamento, nel caso degli enti non riconosciuti si aveva solo una pluralità di soggetti, legati fra
loro da un vincolo giuridico
10
.
6
Si parla di “fortissima spinta centrifuga verso la creazione di figure speciali ” in PONZANELLI, Fondazioni, “non
profit” e attività d’impresa: un decennio di successi, Riv. Cr. Dir. Priv., p. 39 s.
7
L'intervento è stato disposto con il d. lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, noto come decreto Zamagni. Per l’esame della
disciplina cfr. p. 120 ss. Sin d'ora, si può anticipare che il modo in cui ha operato il legislatore appare per lo meno
discutibile, essendosi proceduto, infatti, ad una riforma generale della normativa tributaria prima di aver posto mano
ad un intervento organico sulla materia civilistica.
8
Si vedano, per tutti, GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, Comm. al codice civile
Scialoja-Branca, Bologna -Roma, 1976, p. 200 ss.; ID., Le associazioni, le fondazioni, i comitati, Padova, 1987, p. 88
ss.
A questa ricostruzione si è opposto BASILE, L'intervento dei giudici nelle associazioni, Milano, 1975, p. 205 ss,
secondo cui le lacune della disciplina delle associazioni non riconosciute "soltanto in apparenza sono uno spazio
vuoto", qualora si consideri "la predisposizione da parte del gruppo di una propria struttura organizzativa".
9
GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, Comm. al codice civile Scialoja-Branca, p. 138.
10
Secondo quest’impostazione non esiste soggettività giuridica senza personalità giuridica. Vedi RUBINO, Le
associazioni non riconosciute, 2ª ed., Milano, 1952, p. 184 ss; FERRARA Sr., Diritto delle persone e della famiglia,
Napoli, 1941, p. 411.
7
Un cambiamento si è avuto con la teoria che ha ravvisato nelle :associazioni non riconosciute una soggettività meno
completa di quella delle persone giuridiche
11
.
Un più recente filone di pensiero assume invece che tutti i soggetti, a prescindere dal connotato della persona
giuridica, sono soggetti di diritto e dunque sono dotati di piena capacità
12
.
Un tale orientamento viene ora tenuto in considerazione anche dal legislatore. Molti provvedimenti legislativi (come
la l. 11 agosto 1991, n. 266, sulle organizzazioni di volontariato o il d. lgs. 460 del 1997, sulla normativa tributaria di
enti non commerciali e ONLUS) prescindono totalmente, ormai, dal requisito della personalità giuridica.
La riduzione dell'importanza del riconoscimento della personalità giuridica non significa, tuttavia, che il legislatore
rinunzi a qualsiasi meccanismo di selezione degli enti verso i quali è indirizzata una normativa di protezione e di
sostegno. La scelta avviene in conformità a altri criteri, quali la democrazia interna, la diffusione territoriale, la
rappresentatività
13
.
In alcuni casi è previsto un particolare tipo di riconoscimento (si pensi agli enti di carattere sportivo, che sono posti
sotto il controllo del CONI o della federazione di appartenenza, secondo gli artt. 29 e 32 del d.p.r. n. 157 del 1986),
o agli enti ecclesiastici.
E’ noto inoltre, che le organizzazioni di volontariato, le quali intendano fruire dei vantaggi legalmente previsti, sono
soggette all’onere dell’iscrizione in un registro tenuto dalle Regioni.
Il diritto degli enti senza scopo di lucro è, in ogni modo, eminentemente giurisprudenziale. Esso somiglia più ad un
sistema fondato sui precedenti piuttosto che ad un sistema fondato sui codici.
11
PUGLIATTI, La proprietà e le proprietà, in La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954, p. 192; PERSICO,
voce Associazioni non riconosciute, in Enc. Del dir., vol. III, Milano, 1958, p. 895 ss; MESSINEO, Per
l’individuazione del soggetto collettivo non personificato, in Arch. Giur., CXLIII (1952), p. 3 ss.
12
GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, Comm. al codice civile Scialoja-Branca,
Bologna-Roma, 1976, p. 123.
Tra coloro che si oppongono a questa tesi: BIANCA, Diritto civile, I, Milano, 1983, p.347; BASILE, Associazioni e
fondazioni: novità legislative e problemi aperti, in AA.VV. (a cura di PONZANELLI), Gli enti “non profit” in
Italia, Milano, 1994, p 32.
13
BASILE, Associazioni e fondazioni: novità legislative e problemi aperti, in AA.VV. (a cura di PONZANELLI),
Gli enti “non profit” in Italia, Milano, 1994, p. 25 s.
8
Presentazione dell’indagine.
Per organizzazione non profit s’intende un ente senza scopo di lucro (soggettivo).
Tale espressione viene adoperata da taluni per indicare una realtà più circoscritta, e cioè quella degli enti che, oltre
ad essere non lucrativi (nel senso, beninteso, che debbono rispettare l’obbligo di non distribuzione degli utili) si
propongano fini di solidarietà sociale.
Più propriamente per questo fenomeno si utilizzano espressioni come “economia civile ”, “economia sociale”, o
“terzo settore ”.
Quest’ultima formula vale a definire la realtà in esame in opposizione ai due tradizionali (lo Stato e il mercato)
14
.
In questa’indagine ci si occupa specificamente solo di una parte di questo fenomeno, e solamente da una visuale
particolare.
L’attività economica da parte degli enti senza scopo di lucro è esaminata prevalentemente con riferimento alle
possibili interferenze della disciplina generale delle organizzazioni contemplate nel primo libro del codice civile con
la disciplina del quinto libro relativa all’impresa.
Dietro la spinta della "realtà effettuale", infatti, si è posto il problema della possibilità dell'esercizio di un'attività
economica in forma d’impresa da parte di un ente associativo. Il legislatore del codice civile avrebbe risposto
negativamente al quesito. Il principio pluralista della Costituzione repubblicana, l'affermata soggettività giuridica
anche degli enti sforniti di personalità giuridica e un'interpretazione restrittiva dell'art. 17 c.c. (abrogato dall’art. 13
della legge 15 maggio 1997, n.127
15
) hanno dato veste giuridica al fenomeno emerso dalla prassi.
L'esercizio di un'attività imprenditoriale da parte di un ente associativo o fondazionale è all'origine di numerosi e
rilevanti problemi.
14
Esprime una critica verso questa espressione, tacciandola di “riduzionismo ”, ZAMAGNI, Il non profit della
società postfordista alla ricerca di una nuova identità, in Il non profit dimezzato, Milano, 1997, p. 165. Non si deve
pensare ad un settore dell’economia che con stia né col mercato, né con lo Stato, ma piuttosto ad un’adeguata società
di mercato che deve marciare sulle gambe dell’economia privata e dell’economia civile.
15
Vedi supra, nota 5.
9
Le previsioni codicistiche al riguardo tacciono. Il legislatore del 1942 aveva presente solo la figura della fondazione-
erogazione. Anche le disposizioni sul fondo comune delle associazioni fanno pensare ad un patrimonio di tipo
statico, alimentato dai contributi degli associati.
La situazione si presenta oggi molto diversamente.
La casistica presenta, infatti, numerose ipotesi di collegamento tra mondo delle associazioni e mondo dell'impresa.
Spesso svolgono attività economiche anche gruppi o congregazioni religiose. Si pensi, inoltre, alle attività
scolastiche e alberghiere, o alla produzione di alimenti tipici.
I partiti politici, per esempio, spesso gestiscono attività editoriali (anche se tendono ora ad operare avvalendosi di
società che operano a latere), oppure organizzano eventi (si pensi ad esempio alla Festa nazionale dell'Unità) in cui
il momento economico non può dirsi secondario.
Abbandonando per un attimo gli "occhiali del giurista", bisogna osservare che, a dire il vero, l'attività di partiti
politici e sindacati non sembra più incontrare il massimo favore. L'impegno civile si è però riversato in altre forme.
I nomi usati spesso sono nuovi (volontariato, terzo settore, "non profit"), poiché il fenomeno soltanto di recente ha
assunto proporzioni ragguardevoli. Le origini di questa realtà sono, però, lontane nel tempo: si pensi al caso delle
“Misericordie in Toscana e delle Casse di Risparmio (la cui lunga evoluzione ha dato luogo alla tormentata
disciplina delle fondazioni bancarie)
16
.
Il mondo del non profit è oggi una realtà economicamente importante. In Italia, pur non arrivando alle vette del
mondo U.S.A., dove costituisce il 15 % del Gross national Product, sta acquistando un’importanza crescente
17
.
Il capitolo primo è dedicato all’esame di alcune tematiche generali. L’attenzione viene rivolta prevalentemente alla
figura dell’associazione, ma le indicazioni che ne emergono valgono, salvo contraria indicazione, per tutte le figure
di enti senza scopo di lucro, sempre nell’intento di delineare i confini tra le figure non lucrative e le figure lucrative.
Questa parte è stata curata non tanto per una generale esigenza di chiarezza, quanto per il fatto che l’analisi del
profilo soggettivo già consente, in qualche modo, di avviare lo studio del problema dell’esercizio di un’attività
economica (eventualmente, esercitata in forma d’impresa). Secondo la prospettiva adottata, si vedrà, infatti, che un
16
VITTADINI, Il non profit dimezzato, a cura Vittadini. Milano, 1997, p. 3 ss.
17
PONZANELLI, Novità nell'universo no profit, in Giur. Comm., 1993, I, p. 401 ss.
10
ente collettivo al quale siano imputabili utili, senza divisione tra i suoi membri, può (oppure deve) esser fatto
rientrare nella figura dell’associazione ovvero della società.
Deve essere precisato che in questa prospettiva l’attività economica è uno strumento per la realizzazione della causa
associativa.
Gli enti che ci interessano sono dunque senza scopo di lucro (detto anche lucro soggettivo), ma presentano (anche)
uno scopo economico (detto anche lucro oggettivo)
18
.
Se, invece, i profili economici sono anche attinenti alla causa, e si profilano vantaggi per gli associati, allora si è nel
campo delle associazioni a scopo economico (chiamate anche “associazioni economiche)
19
.
L’ipotesi che qui si desidera mettere a fuoco è quella di un’associazione che rispetti pienamente il divieto di
distribuzione degli utili.
Per questa ragione, il caso della società cooperativa (a parte il caso delle cooperative sociali di cui alla l. 26 febbraio
1991, n. 381
20
) è stato solo accennato: sempreché non si voglia, infatti, ricondurre la società cooperativa nell’alveo
della società, si tratta, pur sempre, di un fenomeno comunque al margine all’area degli enti non lucrativi
21
(e in ogni
caso già sufficientemente studiato).
Centrale è pertanto il tema dell’ente senza scopo di lucro che agisca come impresa in senso classico, secondo le
categorie del diritto civile e commerciale. Buona parte del lavoro è dedicata, infatti, al giudizio di compatibilità di
schemi pensati per gli imprenditori individuali (i quali, in linea di principio, possono impiegare gli utili come meglio
credono) o per le società (che sono, com’è noto, obbligate a perseguire la divisione degli utili) per figure che non
erano state originariamente pensate con riguardo alla gestione di attività economiche.
18
Per questa distinzione, vedi CEI, in Commento alla Legge 266-1991, a cura di BRUSCUGLIA, NLCC, 1993, p.
775 ss.; MURGO, Scopo di solidarietà ed attività commerciali nelle organizzazioni di volontariato, in AA.VV. (a
cura di BRUSCUGLIA, ROSSI), Terzo settore e nuove categorie giuridiche: le organizzazioni non lucrative di
utilità sociale, Milano, 2000, p. 228.
19
Sull’argomento cfr. FUSARO, L’associazione non riconosciuta Modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova,
1991.
20
Cfr. p. 119.
21
Cionondimeno, il legislatore, con l’art. 10, comma 1, del d. lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, ha ricompreso le
cooperative nel novero dei soggetti che possono richiedere di essere qualificati ONLUS, e con l’art. 10, comma 8, ha
considerato le cooperative sociali automaticamente ONLUS.
Sul punto cfr. p. 120 ss.
11
Alla comparazione non è stata dedicata l’attenzione che forse, nel quadro di uno studio più esauriente sarebbe
auspicabile. Va osservato però che il settore del non profit presenta molte variabili già nel solo ordinamento italiano.
La mancanza di una riforma del codice civile (con il conseguente ruolo di supplenza dei giudici e della dottrina), la
naturale tendenza del diritto amministrativo e tributario ad assumere qui un’importanza centrale rendono arduo il
confronto con il diritto straniero: lo studio dell’associazione che svolge attività di impresa è difficile, infatti, a causa
del grado di incertezza delle categorie da esaminare presentano già nel diritto italiano. Per questo si è solo accennato
al confronto con i modelli delle figure associative previsti dai sistemi francese e tedesco.
L’esame specifico dell’attività d’impresa svolta dall’ente senza scopo di lucro è affrontato nel secondo capitolo.
Dopo aver dato ormai per acquisito che un ente di questo tipo possa esercitare un’attività economica, si esamina a
quali condizioni sia giustificata la qualifica di “imprenditore ”.
Va precisato quindi che non si tratteranno tutte le possibili forme dell’agire economico degli enti senza scopo di
lucro. Saranno escluse le attività che non possono essere classificate d’impresa. I servizi forniti gratuitamente (si
pensi a taluni servizi di volontariato ancorché, talvolta, assai costosi per l’ente) non sono d’impresa, poiché il
destinatario non paga un corrispettivo. Anche nel caso, frequente, in cui si stipulino delle convenzioni in virtù delle
quali gli enti locali rimborsano agli enti senza scopo di lucro soltanto i costi, si è forse al di fuori dell’impresa
22
. Se
invece i fruitori del servizio versano un corrispettivo (tali i casi dei genitori degli scolari di una scuola privata senza
scopo di lucro; degli acquirenti di un prodotto, quali sono coloro che acquistano un libro da un’associazione), si è nel
campo della presente indagine.
Esula inoltre da questa ricerca, per quanto il tema presenti grande interesse, la ricerca delle ragioni per le quali in
certi settori dell’agire economico il mondo del non profit riscuota più successo delle imprese lucrative
23
. .
22
Sul punto cfr. p. 109 ss.
23
Secondo una dottrina sviluppatasi negli Stati Uniti d’America alla fine degli anni settanta, conosciuta con il nome
di economic approach, la massiccia presenza del settore non profit in determinate aree si giustifica con la crisi del
normale funzionamento dei meccanismi contrattuali. Questo accadrebbe particolarmente nei settori caratterizzati da
asimmetria informativa tra l’ente e i fruitori e i finanziatori dei servizi.
Per un altro orientamento, il non profit si sviluppa grazie alle difficoltà degli altri due sistemi concorrenti, il mercato
e lo stato, rivelando così la sua diretta discendenza dalle espressioni più genuine del mondo vitale.
Per una panoramica: PONZANELLI, Le nuove frontiere del primo e quinto libro del codice civile, in AA.VV., a cura
di PONZANELLI, Gli enti “non profit” in Italia, Padova, 1994, p. 5 ss.
12
Dalla qualifica di “imprenditore ” deriva l’applicazione degli statuti dell’imprenditore. Si tratta di aspetti di grande
rilevanza, teorica e pratica (si pensi, ad esempio, all’iscrizione nel registro delle imprese).
Il terzo e ultimo capitolo è dedicato all’analisi di temi peculiari di alcune singole figure. .
Anche per i soggetti esaminati in questa parte del lavoro valgono, comunque, in massima parte, le considerazioni
che sono state svolte nel secondo capitolo (dedicato alle considerazioni generali sull’attività esercitata in forma
d’impresa dagli enti senza scopo di lucro).
Vengono esaminate in primo luogo le fondazioni, in generale. Esse meritano un’attenzione particolare a causa di
alcune loro peculiarità (come, ad esempio, l’obbligatorietà del riconoscimento e la maggior importanza, almeno
secondo l’orientamento tradizionale, dell’elemento patrimoniale rispetto a quello personale).
Seguono alcune figure di fondazioni la cui specificità c’è già a livello normativo, in quanto sono state disciplinate da
provvedimenti normativi ad hoc (anche se, per quanto non disposto, vi è un rinvio alla disciplina del codice civile. Si
tratta delle fondazioni di origine bancaria, e di quelle musicali.
L’indagine si chiude con le figure previste dal diritto tributario (enti non commerciali e organizzazioni non lucrative
di utilità sociale), oltremodo interessanti anche per il diritto civile e commerciale, per la natura stessa del tema e a
causa della mancata riforma della disciplina degli enti del libro primo del codice civile.
13
CAPITOLO PRIMO
I significati della parola "associazione". Criteri distintivi tra forme organizzative del libro I e del libro V del
codice civile.
Il codice civile italiano del 1865, seguendo il modello del Code Napoléon (in Francia le associazioni ricevettero una
disciplina generale solo con la legge 1 luglio 1901, cd. Waldeck-Rousseau, era volutamente silente in materia di
associazioni
24
.
Quest’impostazione deve ricondursi all’esigenza, propria del legislatore di allora, diretta a regolare solamente il
rapporto diretto tra stato e cittadini, così da ignorare eventuali corpi intermedi, e all’intento di esaltare le sole attività
economiche
25
.
Vennero così tollerate esclusivamente le aggregazioni di carattere societario e gli enti che avevano conseguito il
riconoscimento governativo
26
.
L’inerzia del legislatore italiano trovò anche una legittimazione sul piano culturale con la teoria della pluralità degli
ordinamenti giuridici
27
.
Predicare l’originalità e l’autonomia dei gruppi si rivelò, infatti, funzionale ad una politica di sfavore nei loro
confronti. Se i gruppi privati mostravano indifferenza all’ordinamento statale, lo Stato poteva ricambiare
quest’atteggiamento.
24
FUSARO, L’associazione non riconosciuta. Modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova, 1991, p. 8.
25
ID., op. ult. cit., p. 9 ss.
26
Risale a questo periodo l’obbligo di autorizzazione per l’accettazione di lasciti e donazioni e l’acquisto di beni
immobili da parte delle persone giuridiche, stabilito con la legge piemontese 5 giugno 1850, n. 1037, con la
preoccupazione di combattere il fenomeno della “manomorta ”.
27
Partendo dal concetto di “istituzione ” HAURIOU, Principes de droit public, Parigi, 1910 (cit. in FUSARO,
L’associazione non riconosciuta. Modelli normativi ed esperienze atipiche, Padova, 1991, la tesi della pluralità degli
ordinamenti giuridici fu sviluppata in Italia da ROMANO, L’ordinamento giuridico, 1918.
Per il rifiuto di una regolamentazione dei rapporti interni delle associazioni, vedi anche CESARINI-SFORZA, Il
diritto dei privati, 1929, II ed. 1963, Milano.
14
La convinzione dell’irrilevanza dei rapporti interni ai gruppi organizzati per l’ordinamento statale portò alla
soppressione di una norma del progetto preliminare al codice civile, l’art. 42
28
, che estendeva alle associazioni non
riconosciute la disciplina di quelle riconosciute, anche per il timore che ciò si traducesse in un’indesiderata
discriminazione a favore delle prime, finendo per accordare loro la medesima “solidità e capacità delle seconde,
benché fossero esonerate dall’onere del riconoscimento.
La parola "associazione", anche a causa della circostanza che il legislatore non ha fornito una definizione, può essere
usata secondo varie accezioni.
In un senso generalissimo, può indicare qualsiasi gruppo in cui una pluralità di individui appare organizzata per la
gestione di interessi comuni. Sarebbero qui comprese, ad esempio, tutte le società, i cartelli industriali e le
comunioni di diritti reali. Una nozione così estesa è priva di ogni rilevanza
29
.
Un significato più puntuale richiude nel fenomeno associativo ogni figura caratterizzata dal fatto che una collettività
organizzata tragga origine da un atto di autonomia privata sì che il perseguimento degli interessi comuni costituisca
l'oggetto di un impegno contrattualmente assunto dagli associati (società, rapporti di associazione agraria,
associazione in partecipazione, nonché tutte le figure genericamente indicate dal legislatore come associazioni)
30
.
L'art. 18 della Costituzione si riferisce a quelle ipotesi in cui il vincolo che unisce le parti ha anche una rilevanza
esterna. E' questo il caso delle società, delle associazioni in senso stretto e dei consorzi con attività esterna (mentre,
ad esempio, i rapporti di associazione agraria valgono solamente tra le parti).
Vi è anche un'altra nozione, più circoscritta (sebbene non ancora coincidente con la più ristretta delle definizioni
concepibili) che si riferisce in pratica ad ogni fenomeno di tipo associativo diverso dalla società. Fanno riferimento a
tale nozione tutti coloro che trovano necessario contrapporre alla società (e raggruppare in un genus) ogni figura
28
L’art. 42 del “Progetto preliminare , rubricato “Applicazione delle norme sulle associazioni registrate ”, così
disponeva: “le associazioni non aventi personalità giuridica sono rette, salva diversa disposizione dell’atto
costitutivo, dalle norme che valgono per l’organizzazione, l’amministrazione, lo scioglimento e la liquidazione delle
associazioni registrate, in quanto siano compatibili con la loro natura ”.
29
RESCIGNO, Sindacati e partiti nel diritto privato, in JUS, 1956, p. 1 ss.
30
GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati , in Comm. al Cod. Civ. Scialoja-Branca,
Bologna-Roma, 1976, p. 11; AURICCHIO, voce Associazioni (premessa generale), Enc. dir., vol. III, p. 873;
PERSICO, G., voce Associazioni non riconosciute, Enc. Dir., vol. III, p.878.
15
variamente contemplata dal codice civile, e modellata nella pratica, che si affianchi all'associazione in senso stretto
(cooperative, consorzi, comitati, ecc.)
31
.
Sul concetto di associazione in senso stretto permangono non poche divergenze di pensiero.
E' dunque opportuno soffermarsi, sia pure brevemente, su alcuni problemi che incidono sull’individuazione del
concetto di "associazione" (per una migliore comprensione del fenomeno delle associazioni che svolgono attività
d’impresa).
Un tema inevitabilmente connesso è costituito dal rapporto tra associazioni riconosciute e associazioni non
riconosciute.
Si è avuto un consenso sempre più vasto attorno alla proposta di applicare alle associazioni non riconosciute parte
della disciplina dettata per le associazioni riconosciute.
La mancata approvazione della norma del Progetto preliminare del codice civile (art. 42) che espressamente
disponeva in tal senso non è sembrata, infatti, un ostacolo tale da impedire l’applicazione analogica
32
.
Secondo un'interpretazione assai diffusa, l'associazione non riconosciuta sarebbe da considerarsi un sottotipo
dell'associazione in senso stretto. Infatti, i fenomeni concreti per cui si ricorre al vincolo associativo sono costanti e
ricorrenti.
Alcune questioni sono attinenti all'elemento personale.
Il codice (artt. 18-23) prevede per le associazioni riconosciute una pluralità di organi e disciplina i rapporti tra di
loro. Per le associazioni non riconosciute vi è solo il rinvio agli accordi degli associati dell'art. 36.
E’ stato scritto che, per non ricadere nella figura di un ente atipico, gli accordi degli associati possono prevedere solo
modelli organizzativi di tipo corporativo, cioè caratterizzati dalla ripartizione di competenze tra i vari organi
dell'ente (devono essere presenti almeno l'assemblea e gli amministratori) e dalla partecipazione all'attività
associativa tramite la mediazione degli amministratori
33
. Questa tesi comporta l'identità di tipo contrattuale fra
31
ZANELLI, La nozione di oggetto sociale, Milano, 1962, p. 66 ss.
32
RUBINO, L’associazione non riconosciuta, Milano, 1952, p. 32.
33
E' la tesi proposta da GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Comm. al Cod. Civ.
Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1976,
16
associazione riconosciuta e non riconosciuta con la conseguente applicazione diretta alla seconda figura delle
disposizioni dettate per la prima (purché ovviamente, non presuppongano il riconoscimento).
Secondo un altro orientamento, invece, non ci sarebbero limiti al ricorso a modelli organizzativi
34
. Sarebbe
ammissibile quindi anche il modello personalistico, in cui la partecipazione all'attività dell'associazione avvenga
direttamente, senza la mediazione di alcun organo (è il modello che ricorre nelle società di persone). Vi è chi,
all'interno di questa corrente di pensiero, reputa che l'assemblea dei soci abbia in ogni modo la sovranità su tutta
l'attività associativa, e che le competenze degli amministratori, ove questi siano presenti, non siano originarie, ma
derivate
35
.Il fondamento di quest’impostazione viene ravvisato, oltre che nell'art. 36 c.c., nell'art. 18 Cost., che non
consentirebbe di condizionare la tutela dell'ente: all'esistenza di requisiti strutturali.
Un altro problema generale, relativo alla struttura personale dell'associazione, si riferisce all'applicabilità del
principio della cd. "porta aperta", secondo cui il contratto associativo deve permettere la successiva adesione all'ente
di altri soggetti portatori dell'interesse di cui l'associazione si fa esponente. L'art. 16 c.c. prevede che l'atto costitutivo
dell'associazione riconosciuta debba indicare le condizioni per l'ammissione di nuovi soci. Sono sorti interrogativi
circa la derogabilità di questa disposizione e, soprattutto, qualora si propenda per la natura imperativa,
sull’applicabilità anche alle associazioni non riconosciute.
Il tema è discusso anche per le società cooperative: qui vige, com’è noto, una regola analoga (art. 2518 n. 7 c.c.)
36
.
Chi sostiene l'identità del tipo contrattuale afferma, in maniera conseguente, che l'art. 16 c.c. si estenda alle
associazioni non riconosciute.
In alcune ricostruzioni dottrinarie del passato il requisito della struttura aperta del contratto associativo è stato
addirittura elevato, prendendo come base il modello tedesco, a criterio distintivo tra le associazioni e le società
(contraddistinte, queste, da una struttura chiusa)
37
.
34
BASILE, L'intervento dei giudici nelle associazioni, Milano, 1975, 193, n. 10.
35
BELVISO, L'institore, I, Napoli, 1966, p. 263 ss. e p. 272 ss.; FERRO-LUZZI, I contratti associativi, Milano,
1971, p. 373 ss.
36
BONFANTE, Cooperative e "porta aperta": un principio invecchiato?, in Gco, 1978, I, p.392.
37
FERRARA F.sr., Diritto delle persone e della famiglia, Napoli, 1941, p. 165; GANGI, Persone fisiche e persone
giuridiche, Milano, 1948, p.271.
17
Contro questa posizione subito furono avanzate alcune critiche
38
. Si rilevò che il criterio attiene a momenti del tutto
estrinseci ai fenomeni affrontati e trascura l'unico dato capace di condurre ad una discriminazione sostanziale: la
causa.
Si tenga presente che così come vi sono associazioni costituite inter certas personas, esistono società (quali quelle di
capitali) che ammettono la mutabilità e la fungibilità dei membri (oltre alle società cooperative: ove non si accolga
l'opinione diretta a farle rientrare nel genus delle associazioni).
Oggi la disputa è in gran parte sedata, poiché la clausola della porta aperta è stata intesa "in senso debole": si è
escluso che essa comporti la tendenziale apertura dell'ente a tutti gli appartenenti alla categoria sociologica cui si
collega l'associazione.
I terzi, dunque, non divengono titolari di aspettative, né tanto meno di diritti soggettivi all'iscrizione, neppure se
siano in possesso dei requisiti previsti dallo statuto. L'unico controllo che potrebbe chiedere il terzo all'autorità
giudiziaria concerne la regolarità formale della delibera di diniego dell'iscrizione. Può essere invece richiesto un
esame nel merito da parte di un associato che proponga di accogliere un nuovo aspirante membro
dell'associazione
39
.
Oltre all’elemento personale, gli altri requisiti strutturali, indispensabili ai fini della valida costituzione di un ente
collettivo sono, per comune insegnamento, di natura patrimoniale, e di natura teleologica
40
.
E' stato precisato che l'associazione non riconosciuta può, ciò nondimeno, sopravvivere senza un patrimonio: tale è il
caso in cui lo scopo sia perseguito mediante la sola attività personale degli associati. La presenza di un patrimonio
negli enti non riconosciuti è, infatti, resa superflua dalla responsabilità illimitata prevista dall'art. 38 c.c.
41
.
Se un ente non presenta tutti i requisiti che qualificano l’associazione, si pone il problema dell'ammissibilità di
associazioni atipiche.
Tale questione si pone diversamente a seconda che si accetti o si respinga la tesi residuale dell'associazione, in virtù
della quale questa sarebbe identificata soltanto in opposizione alla società.
38
ASCARELLI, Consorzi volontari tra imprenditori, Milano, 1937, p. 88 s.; RUBINO, L’associazione non
riconosciuta, 2ª ed., Milano, 1952; BOLAFFI, La società semplice, Milano, 1947, p. 138.
39
GABRIELLI, Sui contratti necessariamente aperti, in Riv. Dir. Civ., 1982, I, p. 578 s.
40
PONZANELLI Gli enti collettivi senza scopo di lucro, Torino, 1996.
18
Secondo una prima impostazione, infatti, occorre far riferimento esclusivamente al criterio causale
42
. Dall’omissione
codicistica di ogni riferimento ad una funzione propria dell’associazione non riconosciuta (ma il discorso ben si può
allargare all’associazione riconosciuta), si ricava l’intenzione del legislatore di accreditare la polivalenza dello
schema associativo, ossia la sua idoneità ad essere impiegato per tutti gli scopi possibili, tranne che per quelli
espressamente assegnati a figure associative nominate e con l’unico limite generale della liceità, oltre che della
conformità a interessi rilevanti (art. 1322, 2° comma, c.c.).
Per la seconda impostazione, si deve “tipizzare la figura, arricchendola di ulteriori requisiti: l’organizzazione
corporativa, la struttura aperta e la natura non economica dello scopo. Per questo orientamento, comunque, va
riconosciuto il rilievo giuridico del concetto ampio di associazione, con riferimento alla normativa del fondo comune,
all’attività di destinazione di questo allo scopo, alla rappresentanza del gruppo nei confronti con i terzi
43
.
Vanno quindi esaminate le conseguenze della presenza di clausole non valide. Secondo alcuni, non si dovrebbe
arrivare a considerare invalido l'intero contratto, giusta la previsione dell'art. 1322
44
. Sarebbero pertanto ammessi
anche enti atipici, dotati di rilievo reale. A queste associazioni non saranno direttamente applicate le norme del libro
primo del codice civile; la loro disciplina andrà invece tratta per analogia da quella comune a tutti i gruppi
associativi, compresa, se del caso, quella delle società lucrative e cooperative
45
.
Questa eventualità si verificherà spesso nel caso delle associazioni atipiche imprenditrici, vista la comunanza
dell'elemento dell’attività economica da loro esercitata con l’attività delle società. Dovrà sempre trattarsi, comunque,
di una prudente applicazione che potrà avvenire solo se la norma ha il proprio fondamento non nella causa dell'ente
per cui è espressamente prevista, bensì nelle caratteristiche dell'istituto che essa regola.
41
MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. I, Milano, 1957, p.281 s.
42
Si vedano AURICCHIO, Associazioni (in genere), Enc. Dir., III, Milano, 1958, p. 874; FERRI, Le società,
Trattato Vassalli, Torino, 1985, p. 13; FERRO-LUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971, p. 260 ss.; SPADA, La
tipicità delle società, Padova, 1984, p; 183; VOLPE PUTZOLU, La tutela dell’associato in un sistema pluralistico,
Milano, 1977, p. 15 ss.
43
Questa è la tesi di GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Comm. al Cod. Civ.
Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1976, p. 31 ss.
44
PERSICO, voce Associazioni non riconosciute, Enc. Dir., vol. III, Milano, 1958, p. 878 ss.
45
GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati , in Comm. al Cod. Civ. Scialoja-Branca,
Bologna-Roma, 1976, p. 58.,