2. L’evoluzione europea
In Europa, tra il 1400 ed il 1500 (con propaggini nel 1600) sulla
base di un’identico processo storico generale, secondo cui una famiglia
nobiliare ascende al trono e modifica i propri rapporti nei confronti
della classe nobiliare da cui proveniva (nel senso di assoggettarla),
divenendo in questo modo unica fonte del potere pubblico: si
costituisce un nucleo di sovranità trascendente politicamente, con
pretese di trascendenza metafisica.
Le rivoluzioni borghesi si affermano in un arco di tempo che va
dal 1789 al 1848. In questo torno di tempo si sostituisce (variamente e
non completamente) il monarca con il popolo.
In un primo momento attraverso il passaggio della doppia
investitura popolare: il monarca è tale per grazia di Dio e per volontà
della nazione; mentre politicamente è tale solo per volontà della
nazione. Si crea una situazione di sostituzione del popolo al monarca
nella titolarità della sovranità; questo significa che le prerogative regge
non cessano, ma vengono variamente trasferite al nuovo detentore
della sovranità.
La base storica della ritenuta antiteticità tra il diritto pubblico ed
il diritto privato - da parte delle esperienze continentali - è quella
appena descritta: un regime di sottrazione dal diritto reggio - concepito
in funzione della trascendenza politica della persona del monarca - di
una serie di funzioni e prerogative proprie di questo. In altre parole,
vengono spostate in capo allo Stato prerogative che originariamente
appartenevano al re.
Lo Stato - che ingloba in sé ogni altra espressione collettiva
trasponendola su un piano trascendente
2
- è il risultato di questo
fenomeno dell'età moderna e rappresenta la concretizzazione storica
dell’idea universale
3
: lo Stato nasce dalla creazione degli Stati
nazionali; il potere attuale nasce dunque per sostituzione.
Il riferimento storico và necessariamente riportato alle realtà dei
paesi in cui il fenomeno si sviluppa.
2.1. L’esperienza inglese
Dalla metà in poi del 1600 si arriva al compromesso tra borghesi
e nobili e la corona si assoggetta al diritto comune: i privilegi regi
vengono negati. Questo processo passa attraverso vicende diverse che
vedono prima, la rivoluzione borghese (dei puritani) in Inghilterra che
porta alla destituzione del monarca ed alla sua sostituzione con il
Parlamento sulla base dell’affermazione no taxation without
representatio; poi, la restaurazione che porta sul trono di nuovo gli
2
T. HOBBES, Il leviatano, London, 1652.
3
G. W. F. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, a c. di F. Messineo, Bari, 1913, nuova
edizione a c. di A. Plebe, 1954.
Stuart a cui subentrano per ragioni religiose e nazionalistiche gli
Hannover da cui discende l’attuale casa regnante inglese.
2.2. L’esperienza Francese
Completamente diversa risulta l'esperienza storica continentale.
Il dibattito prende due strade: si atteggia in maniera differente in
Francia e nei paesi di cultura tedesca.
Il modello che concretamente meglio descrive questo processo è
quello francese; celebre è l’espressione di Luigi XIV l’état c’est moi e
tutta la sovranità appartiene a me. A seguito di una simile concezione
dello Stato e della sovranità si determina la costituzione di un diritto
del monarca, rigorosamente staccato dal diritto comune; proprio perché
originariamente attiene ad una persona che è per definizione legibus
soluta.
Serve notare come i rapporti di diritto sostanziale prevalgano su
concetti di carattere ideologico: continuano a sopravvivere una serie di
rapporti in cui il princeps non era legibus solutus, ma si utilizzava
strumenti privatistici
4
. Le ipotesi concrete riguardano il conferimento
di taluni incarichi pubblici, in particolare gli uffici della magistratura.
4
A.C. DE TOCQUEVILLE, L’ancien régime et la révolution, Gullimard, 1957.
Si trattava della esplicazione del principio della cosiddetta
venalità degli uffici pubblici che - pur facendo capo alla persona del re
- venivano comprati e venduti sulla base di veri e propri contratti: gran
parte dei giudici erano nominati in questo modo. L’applicazione di
questo principio garantiva una maggiore indipendenza del magistrato
rispetto al potere del monarca: con l’ufficio acquistato dal magistrato si
poteva instaurare - tra questo ed il sovrano - un rapporto paritario.
Benché il monarca conservava il potere di far cessare l'ufficio (poteva
sciogliersi del contratto) questa era una evenienza rarissima. Molto più
frequente era un’altra evenienza - risalente al diritto medioevale tout
court - che atteneva direttamente all’esercizio del potere pubblico con
l’utilizzo di strumenti privatistici e che manteneva una forte carica di
sovranità: la compravendita dei feudi. Anche le investiture feudali -
che ci vengono presentate come elargizioni - avvenivano su base
privatistica; però la giurisdizione (intesa – in senso diverso da come
oggi la si intende - come potere sovrano) era frequente: gran parte delle
accuse di fellonia (tradimento) - che privavano il feudatario dei propri
privilegi feudali - venivano mosse contro costui in modo strumentale
ed a soli fini pretestuosi, volti esclusivamente alla acquisizione dei
tributi da parte del re. Da ciò si può intendere come la dialettica
pubblico privato fosse all'epoca più articolata di quanto l’ideologia
ufficiale volesse far credere.
L'idea fondamentale – su cui poggiava la costruzione dello Stato
e dei rapporti di questo con i privati - era: tutto ciò che appartiene alla
sfera delle prerogative regge è perciò stesso sottratto al regime
privatistico di diritto comune. La ragione di tale sottrazione non era
legata - come avviene oggi - a funzioni d’interesse pubblico
(l’aggettivo pubblico è una contrazione e deriva da populicum che
indica il popolo) ma solo a che le prerogative regge venissero svolte in
regime di specialità - rispetto ad un diritto che era fondato sulle
obbligazioni (obbligatio o vincolo) - sol perché afferenti la persona del
re a cui si riconnette la sua trascendente sovranità che non poteva
essere costretta in alcun modo dal diritto comune.
Ma, la realtà era un po' più complessa di quanto a prima vista
potesse apparire; già in ambito pre-rivoluzione francese, in tutti gli
Stati nazionali, la Corona (il fisco) da un lato godeva di determinati
privilegi, dall'altro svolgeva - per ragioni di lucro - anche attività
privatistiche pure e semplici: il re era un imprenditore, egli gestiva
imprese (direttamente ed anche attraverso il conferimento di
concessioni ad altri). In questi casi il privilegio regio non stava tanto
nella sottrazione dei negozi giuridici al diritto comune, quanto
piuttosto nella gestione monopolistica.
Nella società d’oltralpe il pensiero giusnaturalista e liberale
pongono al centro la primazia dell’individuo
5
. La scuola francese -
5
P. LEGENDRE, Stato e società in Francia 1968, trad. it., Milano, 1912.
soprattutto quella dell’istituzionalismo di Bordeaux
6
- sviluppa una
originale concezione dello Stato: la cosiddetta teoria du service
publique, che domina la cultura giuspubblicistica francese fino ai nostri
giorni. Secondo questa teoria non esiste distinzione fra attività
giuridica (intesa come attività propria dello Stato) ed attività sociale
(economica) dello Stato: tutte queste sono considerate come servizi
pubblici vale a dire servizi resi al pubblico.
Anzitutto lo Stato - a differenza della concezione tedesca in cui
lo Stato appare personificato (concezione da cui discende quella
italiana) - non è personificato (non è identificabile come persona
giuridica), ma appare come una sorta di federazione di servizi; l’unica
ragion d’essere dello Stato è assicurare detti servizi alla società. Lo
Stato è la somma di queste attività. La pubblica amministrazione versa
in una situazione giuridica di obbligo verso la società (e il singolo
cittadino) il cui oggetto è rappresentato dai propri servizi; di
conseguenza il cittadino è creditore - nei confronti della pubblica
amministrazione – di una prestazione. L'amministrazione - pur non
essendo soggetto ad un diritto comune (non è soggetta al diritto dei
privati) - ha tuttavia delle obbligazioni - di servizio pubblico - nei
confronti dei privati. L'amministrazione non può dismettere la propria
attività a favore della collettività: è obbligata giuridicamente a
6
S. ROMANO, La teoria dei diritti pubblici subbiettivi, in Primo trattato completo di diritto
amministrativo italiano, a cura di V. E. ORLANDO, I, Milano, s.d., 1897, ora anche in ID., Gli
scritti nel Trattato Orlando, Milano, 2003.
compierla. Dunque, il rapporto che si crea - almeno nominalmente ed
in termini di base - vede il cittadino come creditore di prestazioni - sia
pure le più varie e da individuarsi volta per volta - nei confronti
dell'apparato statale. Lo Stato non possiede una giuridicità intrinseca
superiore a quella del cittadino, ma è a quest'ultimo equiparato; il solo
fondamento della sua autorità risiede nelle prestazioni che
effettivamente rende: nel momento in cui non le rende perde il suo
carisma.
2.3. L’esperienza tedesca
Nei paesi di cultura tedesca, invece, la prevalenza del
positivismo conduce ad un sistema di diritto pubblico costruito attorno
alla persona giuridica dello Stato collocata al vertice dell’ordinamento.
La concezione tedesca ha un'impronta più autoritaria – come
risulta attestato dall’antico dibattito in ordine alla ammissibilità dei
diritti pubblici soggettivi nei confronti dello Stato ed al rifiuto delle
impostazioni fondate sul diritto naturale
7
- a causa di particolari ragioni
tra cui, da un lato la formazione tarda dello Stato tedesco e dall'altro la
contingenza storica che lo Stato tedesco si formò sulla base di un forte
7
M. STOLLEIS, Stato e ragion di Stato nella prima età moderna (saggio Suddito, borghese,
cittadino. Osservazioni sulla terminologia giuridica nel tardo settecento).
predominio della corona soprattutto della nobiltà prussiana; in
Germania vi è sempre stata una tradizionale distinzione tra est ed
ovest: quest'ultimo è occidentale, il primo è feudale (agricolo). Si fa
strada in Germania l’ideologia della unificazione
8
di tutte le funzioni
statuali; non - come nell’esperienza francese
9
- in chiave di servizi ma
in chiave di funzioni.
La differenza tra le due concezioni francese e tedesca (servizi e
funzioni) consiste nel rapporto che si instaura tra amministrazione e
cittadini.
La concezione tedesca - speculare nella costruzione francese del
rapporto amministrazione cittadino - prende le mosse da una visuale
pubblicistica dell'attività giuridica dell'amministrazione.
Questa è la costruzione di cui oggi ci avvaliamo e di cui è figlia
anche la teoria del provvedimento
10
. Secondo questa concezione
l'attività giuridica (di mantenimento dell'ordine) è l'attività
fondamentale ed essenziale dello Stato quella che lo Stato non
potrebbe dismettere se non abdicando a se stesso. Lo Stato si
svuoterebbe di significato se demandasse ai privati, ad esempio,
l’amministrazione della giustizia.
8
GERBER, Sui diritti pubblici, ora in Diritto pubblico, trad. it., Milano, 1971.
9
Vedi Cap I, § 1.1.2.
10
M. S. GIANNINI, Profili storici della scienza del diritto amministrativo (1940), ora in ID.,
Scritti, II, 1939-1948, Milano, 2002.
L'arbitrato (vale a dire la giustizia privata) nell'ambito di queste
teorie è visto in modo negativo e la tendenza è quella di ricondurlo
all'esercizio della giurisdizione
11
.
Questa attività - in ragione dei suoi caratteri intrinseci - è - e non
può che essere un’attività - autoritativa: lo Stato è visto come un
soggetto posto in posizione superiore rispetto al cittadino. Lo Stato
deve poter intervenire autoritativamente e giuridicamente sui cittadini e
per questo è posto in una posizione che è giuridicamente sovraordinata
rispetto a quella dei soggetti su cui ricade la sua azione; la stessa
posizione giuridica di sovraordinazione ricopre lo Stato nell'attività
sociale. Ad esempio la posizione dell’amministrazione - nell'atto di
vendita di un biglietto di trasporto - rimane sovraordinata
giuridicamente rispetto al cittadino che non è semplice utente di un
servizio di trasporto, ma destinatario di un provvedimento favorevole
di ammissione al servizio.
Negli ultimi tempi, si fa luce una concezione più moderata e
realistica di questo tipo di attività statale (cosiddetta sociale) - non
giuridica - (che viene a conglobare l’attività sociale) che distingue:
l'attività sociale dello Stato in cui questo agisce come sottoprodotto
della necessità di sostegno – ed in funzione del benessere della
collettività - che le società storiche possono occasionalmente avere; da
11
A. TASSONE ROMANO, Poteri del collegio arbitrale e provvedimenti amministrativi, in
http://www.judicium.it/saggi_file/saggio_glo.htm.
la mera attività patrimoniale dello Stato in cui lo Stato agisce come
soggetto privato per pure finalità di carattere privato ed al solo scopo di
incrementare il proprio patrimonio.