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L’attività economica è una interazione tra diversi soggetti, risorse, forze competitive,
contesti e leggi; all’interno di queste categorie è senza dubbio presente l’ambiente
naturale in cui viviamo.
Soprattutto negli ultimi anni si è iniziato a considerare l’ambiente come soggetto
economico in gioco nello sviluppo delle moderne economie occidentali, superando una
grave lacuna della industrializzazione.
Dagli albori degli anni ’60 e ’70, in cui la tutela ambientale era una questione per pochi
intellettuali universitari, si sta passando ad una fase in cui il danno ambientale ,il
ripristino e la prevenzione sono voci importanti nelle decisioni delle aziende più attente a
cogliere i cambiamenti ed a sfruttarli a proprio favore.
Sembra sempre più evidente che termini come: “ ecologico, ambiente, verde, ecc..” siano
usati con crescente frequenza, molte volte a sproposito, da una fetta importante e in
espansione della popolazione.
Le aziende sono spinte verso la gestione ambientale da Trattati Internazionali,
legislazioni spesso restrittive e severe e soprattutto dai clienti.
Chi sarà in grado di governare questa fase di grandi cambiamenti sarà anche capace di
trarre profitti e nuove opportunità di crescita laddove molti vedono costi e complicazioni.
Nello sviluppo dell’elaborato vedremo come la tutela dell’ambiente si fondi in modo
coeso con lo sviluppo aziendale attraverso gli strumenti volontari di gestione ambientale,
quali ISO 14000, EMAS ed Ecolabel.
Anche la disciplina Comunitaria ha spinto e sta spingendo per una nuova visione
dell’ambiente e delle sue problematiche al passo con le situazioni spesso di emergenza
che ci troviamo, e ci troveremo sempre più, ad affrontare.
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In Italia la tutela ambientale dopo un avvio timido e lento ha trovato nuovi impulsi
proprio nelle Direttive dell’Unione Europea, capaci di farci superare le lacune originate
dalla stessa genesi della Costituzione e dei Codici.
Nel capitoli seguenti cercherò di tracciare un quadro di riferimento per comprendere gli
ambiti legali ed internazionali di tutela ambientale, ed in particolare dell’atmosfera, in
cui l’economia sta operando.
Questo quadro servirà a capire come la gestione conflittuale tra imprese, associazioni e
consumatori debba essere superata e sostituita da una visione più pragmatica, meno
idealista e barricata su vecchie posizioni, che consenta di trarre opportunità di
miglioramento e di crescita equilibrata dell’economia nel suo insieme.
Cercherò, in sintesi, di dimostrare come benessere, economia e tutela dell’ambiente
siano obiettivi non antitetici ma coincidenti.
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CAPITOLO 1
STRUMENTI COMUNITARI E NAZIONALI DI
TUTELA DELL’AMBIENTE
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1. Fasi storiche della legislazione ambientale
In Italia la nascita di un complesso di norme a tutela dell’ambiente è avvenuta molto
tardi, rispetto ad altri paesi dell’Unione Europea.
La Costituzione Italiana non prende minimamente in considerazione il concetto di
ambiente, ma si limita ai concetti di salute, paesaggio e sicurezza sociale.
Per avere una produzione normativa completa sulla protezione ambientale bisognerà
attendere le direttive dell’Unione europea e i relativi decreti applicativi.
Si possono, in ogni caso, distinguere cinque fasi storiche di attività legislativa riferibile
alla tutela ambientale:
1. Dagli anni ‘30 alla metà degli anni ’60 le nozioni di “ambiente” e di “inquinamento”
non risultano rilevanti di per se ma vengono considerate solo con riferimento ad altri
oggetti di tutela.
Lo scopo ultimo della legge non è la protezione degli ambienti, ma la tutela delle
attività economiche ed imprenditoriali ad esso legate.
Nel 1966 vede la luce la prima legge contro un inquinamento, la cosiddetta legge
antismog che si occupa dell’inquinamento atmosferico provocato dall’industria, dagli
impianti di riscaldamento e dal traffico.
Questa si rivelerà comunque una legge con carenze tali da renderla quasi inefficace.
2. Il secondo periodo va dal 1966 al 1987 che coincide con le prime attività della CEE e
con la nascita del ministero dell’Ambiente.
Alla produzione di leggi dello Stato si aggiunge una vasta attività legislativa legata
all’ambiente da parte delle regioni.
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Dai dati del ministero dell’Ambiente risulta che in questo arco di tempo siano state
promulgate 239 leggi dalle regioni a statuto ordinario, in buona parte rivolte al
disinquinamento.
Anche in questa fase si assiste all’inefficacia applicativa di questa vasta produzione
legislativa, per motivi di carenze da parte di enti e apparati di controllo.
3. Il terzo periodo va dal 1987 al 1993, e si caratterizza per una mole notevole di leggi
emanate.
Il parlamento tenta di risolvere i problemi riscontrati negli anni precedenti, ovvero
l’inapplicabilità delle norme, con altre leggi ancora.
Si arriva ad una situazione in cui sulla stessa materia si possono trovare leggi
successive e contrastanti tra di loro, alcune emanate per aderire a direttive della CEE,
senza un disegno d’insieme organico.
A seguito di queste situazioni la Corte costituzionale sancisce, con una sentenza
innovativa (n. 364 del 23 marzo 1988 ), che con la confusione di norme, obblighi e
divieti, l’ignoranza della legge da parte del cittadino è una valida scusante in caso di
violazione.
E’ di questi anni la pratica di combattere l’inquinamento, non eliminando le cause,
ma eliminando e allargando i limiti di legge.
4. Il quarto periodo dura solo 4 anni, ed inizia nel 1993 con il Governo Ciampi, che con
lo scopo di favorire la ripresa economica elimina il più possibile i vincoli e le
sanzioni penali previste dalle leggi di tutela ambientale.
A tale scopo una lunga serie di decreti vengono emanati e reiterati ripetutamente,
anche dai governi successivi.
5. Il quinto periodo inizia nel 1997, ed è caratterizzato dalla sostituzione di leggi
scollegate e disarmoniche con Testi unici in diversi campi.
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Risulta evidente che la causa del problema principale italiano, ovvero la non applicazione
delle leggi, risiede proprio nello stesso legislatore e nella Pubblica Amministrazione.
Si può parlare di una illegalità istituzionale e , non certamente casuale, data la frequenza
con cui si verifica.
Questo stato di cose consente di salvare capra e cavoli, in quanto si può dire di essere
all’avanguardia nella protezione ambientale, grazie a molte norme, e, allo stesso tempo,
evitare le conseguenze economiche e di impopolarità politica derivanti da divieti e
obblighi.
È riferibile alla stessa situazione, a mio parere, il fenomeno delle “competenze”, grazie al
quale molte autorità possono proclamarsi competenti sulla stessa materia, per poi
scaricare la loro responsabilità al momento di accertamenti e sanzione.
Per completare il quadro bisogna tenere presente che, ad oggi, molte Agenzie ed enti di
controllo non sono ancora state istituite o, non hanno mezzi e possibilità di manovra.
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2. Rapporti tra diritto Comunitario e diritto Italiano
Buona parte dell’attuale normativa italiana di tutela dell’ambiente è ormai di derivazione
comunitaria.
È utile capire quali siano i rapporti tra le normative Comunitarie e quelle nazionali.
I regolamenti Comunitari sono direttamente applicabili in tutti gli stati membri senza che
sia necessario alcun atto di recepimento.
Anche per le direttive, a partire dalla sentenza “Granital” ( n. 170 dell’8 giugno 1984 )
della Corte Costituzionale, non è più necessario convertirle in legge per averne
l’applicabilità.
La Corte Costituzionale riconoscendo la rilevanza sul nostro ordinamento delle direttive
Comunitarie ha posto in essere importanti conseguenze per magistrati e funzionari dello
Stato Italiano.
Si possono riassumere, in estrema sintesi, i rapporti tra Stato e Unione Europea in 4 punti
fondamentali:
• Non applicabilità da parte di funzionari e giudici italiani della normativa nazionale
contrastante con quella comunitaria.
Ovvero “ le disposizioni della CEE le quali soddisfano i requisiti dell’immediata
applicabilità devono entrare e permanere in vigore nel territorio italiano senza che
la sfera della loro efficacia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello dello
Stato “. ne consegue che “ quando vi sia irriducibile incompatibilità fra la norma
interna e quella comunitaria è quest’ultima in ogni caso a prevalere “
Le direttive che soddisfano i requisiti della immediata applicabilità sono le cosiddette
Direttive Dettagliate, contenenti una disciplina talmente articolata della materia da
lasciare poco o nessuno spazio all’esercizio del potere discrezionale degli Stati in
sede di determinazione delle forme e dei mezzi per il raggiungimento del risultato
voluto, così come chiarito dalla Corte di Giustizia Europea.
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• Le norme comunitarie produttive di effetti diretti entrano e permangono
nell’ordinamento nazionale senza che la loro efficacia possa essere intaccata dalle
leggi nazionali, sia anteriori che successive.
• Il principio della immediata e diretta applicabilità vale anche per le sentenze
interpretative della Corte Europea di Giustizia. In particolare “ le sentenze della Corte
di Giustizia, pur non importando la caducazione della norma interna ritenuta
incompatibile, si traducono in un obbligo di attuazione della normativa Comunitaria
rivolto a tutti i soggetti giuridicamente tenuti all’attuazione delle leggi, ed in
particolare alle autorità giurisdizionali ed amministrative”.
• Il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale alla luce della lettera
e dello scopo delle direttive comunitarie per conseguire il risultato perseguito da
queste ultime.
Bisogna evidenziare che il recepimento delle direttive comunitarie in materia di
inquinamenti avviene, di solito, tramite le “leggi comunitarie”, cioè tramite quelle leggi
apposite che ogni anno vengono varate dal parlamento per conferire al Governo la delega
a recepire le direttive stesse ( con i relativi elenchi ).
È per questo che buona parte della recente normativa italiana contro gli inquinamenti ha
la forma del decreto legislativo, ed è elaborata in sede ministeriale con il parere,
obbligatorio ma non vincolante, delle commissioni ambiente della Camera e del Senato.
È opportuno che il Governo si attenga scrupolosamente ai principi e ai limiti stabiliti dal
Parlamento per il recepimento, in caso contrario si può configurare un eccesso di delega
che può essere sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale cui compete di dichiarare la
illegittimità delle norme contrastanti con la delega.
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3. L’ambiente nella Costituzione Italiana
Nella Costituzione Italiana non compare la definizione di ambiente, a differenza di altre
costituzioni straniere, e non vi è nemmeno un chiaro ed esplicito richiamo al dovere di
protezione e di tutela del medesimo.
Per colmare questa lacuna è intervenuta la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione.
La Corte spingendo sugli articoli 9 e 32 della Costituzione è giunta ad affermare
(sentenza 30 dicembre 1987 n.614) che “ nel nostro ordinamento giuridico la protezione
dell’ambiente è imposta da precetti Costituzionali (artt. 9 e 32) ed assurge a valore
primario ed assoluto”.
Anche la corte di Cassazione ha cercato una definizione di ambiente mancante nella
Costituzione, affermando che per ambiente si deve intendere ”il contesto delle risorse
naturali e delle stesse opere più significative dell’uomo protette dall’ordinamento perché
la loro conservazione è ritenuta fondamentale per il pieno sviluppo della persona “ (
Cass. Pen. n. 9727 28 ottobre 1993 ).
La visione antropocentrica dell’ambiente è confermata da un’altra sentenza della
Cassazione ( Cass. Pen. 20 gennaio 1983 n. 421 ) con la quale si afferma che: “ in tema di
tutela dell’ambiente la Costituzione con l’art. 9 collega aspetti naturalistici ( paesaggio )
e culturali ( promozione dello sviluppo della cultura e tutela del patrimonio storico-
artistico ) in una visione non statica ma dinamica di protezione integrata e complessiva
dei valori naturali insieme con quelli consolidati dalle testimonianze di civiltà; allo
stesso modo con l’art. 32; mentre sotto altri profili assicura al diritto all’ambiente, in
quanto espressione della personalità individuale e sociale, una adeguata protezione:
ambiente come sede della partecipazione ( artt. 2, 3, 5 ); oggetto di difesa per tutti ( art.
24 ); sostrato necessario per l’apprendimento, l’insegnamento, l’arte, la scienza ( artt. 33
e 34 ); limite alla proprietà e all’iniziativa economica ( artt. 35, 41, 42, 43, 44 ); oggetto
del coagularsi di forze politiche ( art. 49 ).”
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Dal primo comma dell’art. 32 si ricava la protezione del diritto soggettivo della persona e
dell’interesse della collettività ad un ambiente salubre, ad un ambiente cioè in cui i
fenomeni di inquinamento non incidano negativamente sulla salute fisica e psichica
dell’individuo.
Alcuni articoli che fanno parte della cosiddetta “ Costituzione economica “ possono
essere presi in esame con riferimento alle problematiche ambientali.
La disposizione contenuta nell’art. 41 della Costituzione enuncia: “l’iniziativa economica
privata è libera… non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale “.
La tutela dell’ambiente, nelle sue varie manifestazioni, è riconducibile a quei fini di utilità
sociale ai quali si rivolge la nostra Carta costituzionale.
Ne segue che la tutela dell’ambiente può comportare dei limiti per l’iniziativa economica
privata.
L’art. 42 della Costituzione afferma: “ la proprietà privata è riconosciuta e garantita
dalla legge…..può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata
per motivi di interesse generale”.
È indubbio che fra i motivi di interesse generale, soprattutto ai giorni nostri, vi è la
protezione dell’ambiente, anche se i fondatori della Costituzione non lo avevano
certamente previsto.
L’art. 43 della Costituzione specifica che: “ a fini di utilità generale, la legge può
riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo
stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o
categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o
a situazioni di monopolio e abbiano carattere di preminente interesse generale “.
Grazie a questo articolo alcuni problemi ambientali possono essere risolti, attraverso
riserve e trasferimenti operati dal legislatore.
Più in generale, le disposizioni contenute nei tre articoli di cui si è appena detto, proprio
in virtù dei fini sociali che le formano, possono essere, e in più di un’occasione sono state
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opportunamente utilizzate, per inserire nell’alveo costituzionale la materia ambiente,
considerata, questa volta, dalla prospettiva economica.
A conferma della circostanza che più norme costituzionali rinviano, di fatto, al valore
ambientale in modo inespresso, anche l’art. 117 della Costituzione può essere utilmente
assunto come banco di prova di tale argomentazione.
Art. 117: “ . La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei
principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempre che le norme stesse non
siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni:
ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione;
circoscrizioni comunali;
polizia locale urbana e rurale;
fiere e mercati;
beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera;
istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica;
musei e biblioteche di enti locali;
urbanistica;
turismo ed industria alberghiera;
tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale;
viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale;
navigazione e porti lacuali;
acque minerali e termali;
cave e torbiere;
caccia;
pesca nelle acque interne;
agricoltura e foreste;
artigianato;
altre materie indicate da leggi costituzionali.
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Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme
per la loro attuazione.”
La disposizione in questione stabilisce il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e
le Regioni a statuto ordinario, secondo il principio della delega, nel senso che, date le
leggi quadro dello Stato, le Regioni possono legiferare in tutta una serie di materie
tassativamente elencate.
In osservanza del principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni
amministrative, l’art. 118 della Costituzione prevede che alle Regioni spettino le funzioni
amministrative nelle medesime materie indicate dall’art. 117.
Art. 118: “Spettano alla Regione le funzioni amministrative per le materie elencate nel
precedente articolo, salvo quelle di interesse esclusivamente locale, che possono essere
attribuite dalle leggi della Repubblica alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali.
Lo Stato può con legge delegare alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative.
La Regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle
Province, ai Comuni o ad altri enti locali, o valendosi dei loro uffici.”
È’ evidente come le discipline cui si riferiscono i due articoli siano direttamente o
indirettamente connesse alla tutela ambientale.
Proprio dall’analisi di questi articoli si individua quella che secondo la dottrina è la
distinzione tra tre distinti gruppi di istituti giuridici necessari a spiegare i diversi
significati del vocabolo “ambiente” ( Giannini ).
Per Giannini questi tre gruppi distinti di istituti giuridici sono:
• L’ambiente a cui fa riferimento la normativa relativa al paesaggio e alla sua tutela
• L’ambiente a cui fa riferimento la normativa relativa alla difesa del suolo, dell’aria,
dell’acqua
• L’ambiente a cui fa riferimento la normativa relativa all’urbanistica e al governo del
territorio
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Secondo una interpretazione storico-evolutiva sono più di quante possa apparire ad una
prima analisi le norme relative alla tutela ambientale, nonostante non sia trattato in modo
esplicito, con norme specifiche, come accade nelle Carte Costituzionali di altri paesi.