abbattere campanili, mortificare le popolazioni locali”; significa, invece
che per gestire al meglio i compiti e le funzioni comunali (e, quindi,
assicurare la garanzia di servizi amministrativi connessi all’esercizio di
alcuni diritti fondamentali dei cittadini) occorre realizzare politiche di
cooperazione e collaborazione intercomunale.
2
Il lavoro si compone, complessivamente, di quattro sezioni.
La prima è dedicata al quadro costituzionale e legislativo che, a
partire dal 1948, ha fatto da cornice al percorso italiano in tema di
decentramento politico ed amministrativo. Verranno pertanto prese in
esame le norme contenute nella Carta costituzionale del 1948; i primi atti
di decentramento di compiti e funzioni verso le autonomie territoriali
(anni ’70) e la ‘rivoluzione’ giuridico-istituzionale che ha investito
l’ordinamento giuridico italiano con la legislazione di riforma degli anni
‘90.
Il secondo capitolo, poi, sarà dedicato all’analisi della riforma del
titolo V della seconda parte della Costituzione – avvenuta con la legge
costituzionale n. 3 del 2001 –. Tale norma rappresenta il fondamento
giuridico, a livello costituzionale, rispetto alla costruzione della c.d.
Repubblica delle autonomie. Nella medesima sezione si analizzeranno
quelli che si è voluti definire – non a caso – ‘tentativi’ di attuazione della
riforma costituzionale del 2001 (la legge n. 131 del 2003 meglio nota
come legge “La Loggia” ed il disegno di legge delega governativo per
l’emanazione del c.d. “Codice delle autonomie”, presentato in
Parlamento nei primi mesi del 2007).
2
URBANI P., Deleghe in funzione dello sviluppo locale in AA.VV. (a cura di AMMANATI L.,
GAMBINO S.), Deleghe amministrative e riassetto dei poteri locali, Rimini, Maggioli, 1992
7
Tanto per la prima quanto per la seconda sezione verranno presi
in considerazione ed analizzati soprattutto quegli aspetti che – come si
argomenterà – hanno un logico collegamento con il fenomeno
dell’associazionismo comunale.
Il terzo capitolo, invece, rappresenta una ricognizione rispetto alla
legislazione statale in materia di gestione associata di compiti e funzioni
comunali – pur dovendosi preliminarmente sottolineare che, fatta salva la
previsione di cui all’art. 117, comma 2, lett. p) Cost., la competenza
legislativa in materia sembrerebbe ricadere nella clausola di generalità-
residualità riconosciuta in capo alle regioni ai sensi dell’art. 117 comma 4
Cost. –. Sempre nello stesso capitolo è presentata una ricostruzione degli
‘atti’ che regolano i finanziamenti statali (e relativi criteri di ripartizione)
verso le diverse formule di gestione associata.
La quarta ed ultima sezione, infine, è dedicata all’analisi di tre
esperienze legislative regionali in tema di associazionismo comunale:
Lombardia, Emilia Romagna e Calabria. Le prime due ‘realtà’
rappresentano quelle che nel titolo del lavoro si sono volute definire
‘buone prassi’, quella calabrese – invece e come si avrà modo di capire –
è una storia ancora tutta da scrivere.
Nelle conclusioni, infine, si cercherà di portare a sintesi le
considerazioni più rilevanti alle quali si è pervenuti nelle trattazioni delle
diverse sezioni.
8
1.1 Il dato costituzionale del 1948
Il punto di partenza del lavoro non può che essere la Costituzione
della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1° gennaio del 1948, ed in
particolar modo il titolo V della seconda parte della legge fondamentale
sopra richiamata.
Si tratta di andare ad analizzare, dunque, le scelte istituzionali
“strategiche” che in tema di “ordinamento della Repubblica” ed
articolazione delle autonomie territoriali fece l’Assemblea Costituente. A
tal proposito, occorre subito fugare un dubbio. Al lettore poco attento
potrebbe sembrare anacronistico far riferimento al disposto
costituzionale del 1948; ciò invece, a parere di chi scrive, appare di
centrale importanza per due motivi ben precisi. Da una parte, ricostruire
il quadro originale costituzionale in materia di “autonomie territoriali”
facilita, ed ultimamente, aiuta nell’opera di discernimento del lento e
graduale processo che, in materia di decentramento politico ed
amministrativo, ha conosciuto il nostro ordinamento giuridico. Per altro
verso, poi, ci si accorgerà, ad una più attenta lettura, come alcune delle
scelte contenute nelle norme costituzionali del 1948 rappresentino un
punto di riferimento ancora oggi forte ed attuale. Occorre a questo
punto citare una disposizione che rappresenta sicuramente una ‘pietra
miliare’ del nostro ordinamento costituzionale. Si sta facendo riferimento
all’art. 5 Cost. It. (“La Repubblica, una ed indivisibile, riconosce e
promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo
Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i
metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia”) ed al suo
valore tanto quale norma di principio, quanto, ed allo stesso tempo,
come norma programmatica. Come è Stato efficacemente notato, l’art. 5
9
Cost. fissa alcuni principi del nostro sistema costituzionale
caratterizzandolo non certo come un sistema federale ma allo stesso
tempo discostandosi anche dal c.d. modello dello ‘Stato accentrato’. Un
sistema dunque, che non si incentra né sullo Stato, né sulle regioni e né
sulle autonomie locali ma che, invece, è costituito dall’insieme coordinato
di tutti questi elementi in un quadro caratterizzato dall’unità e
dall’indivisibilità della Repubblica.
3
Un quadro, insomma, in cui allo Stato è riconosciuto un ruolo di
garante dell’unità ed indivisibilità repubblicana ma non una posizione, a
priori, gerarchicamente superiore. Allo stesso modo come alle regioni è
riconosciuta una potestà legislativa, equiparata a quella statale, ma non
una posizione (strutturalmente e gerarchicamente) sovraordinata rispetto
agli altri enti territoriali.
4
Sancendo, per un verso, l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, e
per l’altro, la volontà di valorizzare le autonomie territoriali (riassumibile
nel “riconoscimento e nella promozione”) la norma che qui si commenta
ha scritto una pagina che ancora oggi appare tutt’altro che scritta. Non si
può non notare, dunque, la lungimiranza del costituente del 1948 che ha
siglato una norma spartiacque, anche a livello comparatistico, in materia
di articolazione territoriale delle istituzioni di un ordinamento statuale. Si
tratta di una disposizione che riesce a far convivere al suo interno:
l’indissolubilità e l’assoluta centralità del ‘vincolo’ repubblicano ed allo
stesso tempo segna la strada attraverso la quale questo ‘vincolo’ va
realizzato. E’ la strada che potremmo riassumere con un termine oggi
iper-inflazionato qual è il “decentramento” politico amministrativo. In altri
3
GAMBINO S. (a cura di), Il ‘nuovo’ ordinamento regionale, Milano, Giuffré, 2003
4
PIZZETTI F., Il sistema costituzionale delle autonomie locali (tra problemi ricostruttivi e problemi
attuativi, in Le regioni, n. 1-2/2005
10
termini, l’art. 5 Cost., da una parte, fissa un limite (quello dell’unità
repubblicana) che vale nei confronti delle autonomie locali e regionali;
dall’altro, e con eguale forza, configura positivamente il principio delle
autonomie locali (quale modello di organizzazione territoriale dei poteri)
che sono riconosciute, qualora esistenti, o promosse, quando non ancora
istituite.
5
Del resto, appare chiara la ratio sottesa a questa norma, se si pensa
che “una piena soddisfazione dei diritti dei cittadini…è fortemente
connessa al grado di vicinanza che le istituzioni dimostrano verso questi
ultimi. In altri termini, è proprio a livello locale che emergono i bisogni
elementari, le esigenze reali e le domande di interventi collettivi e proprio
a livello locale potrebbero trovare risposta”.
6
E’ stata dunque questa esigenza che ha contraddistinto e
caratterizzato il complessivo processo di decentramento avvenuto nel
corso dei primi 60 anni di storia repubblicana. Come avremo modo di
approfondire, poi, la vicinanza ai cittadini cui si è fatto riferimento non
sempre è stata sinonimo di buon governo e buona amministrazione,
rendendo necessari opportuni aggiustamenti sotto il profilo giuridico ed
istituzionale.
Vero è, per il momento, che nel disegno originario dei ‘padri’ della
Costituzione è insito il “germe” del noto principio, che si affermerà in
modo sempre crescente, del “pluralismo istituzionale” quale modalità
5
GAMBINO S. L’ordinamento repubblicano: fra pricnipi costituzionali e nuovo assetto territoriale
dei poteri, in GAMBINO S. (coordinato da), Diritto regionale e degli locali, Milano, Giuffrè,
2003
6
BARBERA A., BASSANINI F. Il decreto n. 616 fra riforma delle autonomie locali e riforma
dell’amministrazione centrale in AA.VV. (a cura di BARBERA A., BASSANINI F.), I nuovi
poteri delle regioni e degli enti locali. Commentario al decreto n. 616 di attuazione della legge 382,
Bologna, Il Mulino, 1978
11
organizzativa di perseguimento dei valori e dei principi fondamentali
sanciti nei primi articoli della Carta Costituzionale (dall’art. 1 all’art. 12).
7
L’assetto costituzionale in tema di articolazione territoriale
dell’ordinamento repubblicano, ovviamente, non si esaurisce con le
norme fondamentali sancite nell’art. 5. Rappresentano, una declinazione,
uno sviluppo logico dell’articolo appena citato le disposizioni contenute
nel titolo V della II parte della Costituzione della Repubblica Italiana
(con riferimento, in questa parte, ai previgenti artt. 114-133 Cost.).
Partire da una, seppur rapida, analisi di queste norme renderà più
agevole l’opera di lettura ed interpretazione del complessivo e sistemico
processo di evoluzione che ha riguardato l’ordinamento giuridico
italiano. Senza addivenire ad un’analisi dettagliata delle singole
disposizioni, ci si soffermerà sul complessivo impianto normativo
disegnato dall’Assemblea Costituente utilizzando come chiave di lettura il
tema che è oggetto del presente lavoro: il processo di decentramento
politico ed amministrativo ed, alla luce di esso, i rapporti fra i diversi
soggetti componenti l’ordinamento costituzionale italiano (comuni,
province, regioni e Stato). L’attenzione, quindi, in questa parte del lavoro
non sarà rivolta ad aspetti pur meritevoli di analisi e di studio e che
comunque, saranno successivamente trattati. Non ci si occuperà, per il
momento, dell’autonomia finanziaria (art. 119), degli organi di governo
regionale (artt. 121 e 122), dell’autonomia statutaria regionale (art. 123),
dei meccanismi di controllo (artt. 124, 125, 127 e 130), delle
modificazioni territoriali di comuni, province e regioni (artt. 132 e 133).
In primo approccio, potremmo osservare che nel previgente
quadro costituzionale esisteva una sorta di “signoria” nella materia che
potremmo definire come “ordinamento degli enti locali”. Era chiaro,
7
FALCON G., Inattuazione e attuazione del nuovo Titolo V in Le Regioni, n. 1/2003
12
infatti, che la previsione contenuta nell’art. 128 Cost. agiva in tal senso
(“Le Province, e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi
fissati da leggi generali della Repubblica”). Le leggi generali della
Repubblica, altresì, potevano determinare liberamente le funzioni di
province e comuni (ex art. 128 Cost. it.). Quanto disposto dal 128 doveva
essere letto in combinato disposto con altre tre norme. La prima
contenuta nel primo comma dell’art. 118, secondo cui “spettano alle
regioni le funzioni amministrative per le materie elencate” nell’art. 117
(competenza legislativa regionale). Le stesse (regioni), e veniamo alla
seconda norma costituzionale sancita nel terzo comma dell’art. 118,
esercitano le funzioni amministrative “normalmente delegandole a
province, comuni o ad altri enti locali”. Rispetto a questo modello poi,
dovevano – e siamo alla terza norma ai sensi sempre del primo comma
dell’art. 118 – essere fatte salve le “funzioni di interesse esclusivamente
locale che possono essere attribuite dalle leggi della Repubblica alle
province, ai comuni o ad altri enti locali”.
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In tale quadro e nel complessivo processo di decentramento
politico ed amministrativo, assumevano un valore ed una importanza
centrale le c.d. leggi regionali di delega. Tali leggi regionali, ex art. 118.3,
avrebbero dovuto operare nell’ambito delle materie di competenza
regionale (per attribuzione costituzionale ex art. 118.1 o per delega
legislativa ai sensi dell’art. 118.2) e provvedere alla ridistribuzione delle
funzioni che il legislatore statale non avesse ritenuto di “interesse
esclusivamente locale” (art. 118.1) o che, pur ritenendole tali, non avesse
voluto attribuire direttamente agli enti locali (art. 128).
9
8
ROLLA G., La costruzione dello Stato delle Autonomie. Considerazioni sintetiche alla luce
dell'esperienza italiana e spagnola in Le istituzioni del Federalismo, n. 5/2005
9
CAMMELLI M., Raccordi tra i livelli istituzionali in Le istituzioni del federalismo, n. 6/2001
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