5
requisito della collettività, (presenza di due o più persone) come rileva il
Ferrara “Gli individui possono mutare e mutano senza che l’associazione
subisca alcun mutamento di sua parte”
1
.
I contrasti dottrinali sorgono invece
per quanto riguarda il requisito della stabilità. Una parte della dottrina non
concepisce come essenziale il requisito della stabilità, ma al contrario un
quid pluris dell’associazione. Il Barile rileva che né la legge, né la Costitu-
zione autorizza l’interprete a depennare dal novero delle associazioni le col-
lettività aventi un’organizzazione ed uno scopo destinati ad esaurirsi in bre-
ve tempo, od anche occasionali.Per cui, se è vero che ordinariamente
l’associazione ha in se, carattere di permanenza, è pure vero che nel concet-
to di associazione debbono farsi rientrare anche quelle organizzazioni co-
munitarie la cui permanenza abbia carattere meramente relativo, o addirittu-
ra occasionale.
2
L’altra parte della dottrina al contrario ritiene che l’elemento della stabi-
lità sia da considerare essenziale per l’esistenza dell’associazione; per il
Maggiore è la presenza di quest’elemento a distinguere l’associazione, riu-
nione a carattere stabile di persone in vista di uno scopo comune, dalla riu-
nione, intesa invece un convegno temporaneo e volontario, previo concerto,
e con un dato scopo, in un luogo determinato.
3
1
FERRARA F., Le persone giuridiche, Torino, 1956, p. 76.
2
BARILE P., Associazione (diritto di), in Enciclopedia del diritto, vol. III, 1958, p. 838. Concorda
con questa linea di pensiero BOSCARELLI, Associazione per delinquere, in Enciclopedia del di-
ritto, vol. III, cit., p. 865 ss..
3
MAGGIORE, p.56. Dello stesso avviso .FIANDACA-MUSCO, Manuale di Diritto Penale, Par-
te Speciale, vol. I, Bologna, 1988, p.473 e ss.. Quest’ ultimo autore rileva quale requisito
6
La problematica dei rapporti tra associazione e riunione è risolta dalla
dottrina prevalente, la quale ha fissato in modo assai netto la linea di de-
marcazione tra le due figure. Infatti, secondo Pace si parla di riunione
quando ci si trova davanti ad una “mera compresenza fisica di più perso-
ne”,
4
mentre per configurare l’associazione è richiesto qualcosa in più, per-
lomeno “un vincolo ideale che unisce i soci”
5
ovvero, secondo altri autori,
unitamente ad un’organizzazione.
6
E’, infatti, controverso non solo in dot-
trina, ma anche in giurisprudenza, se e in quale misura sia necessaria
un’organizzazione di persone e di mezzi. Secondo un indirizzo giurispru-
denziale, non è richiesta per l’esistenza dell’associazione, né
un’organizzazione strutturata in gerarchie interne con distribuzione di spe-
cifiche cariche, né un’organizzazione vera e propria di mezzi
7
,
ma una strut-
tura organizzativa sommaria e rudimentale che si traduca nella predisposi-
zione dei vari compiti tra gli associati
8
.
Altro indirizzo giurisprudenziale ri-
dell’associazione “un vincolo associativo, tendenzialmente stabile tra due o più persone, cioè che
sia destinato a durare anche dopo l’eventuale realizzazione di ciascun delitto programma-
to”.PALERMO-FABRIS E., Il delitto di associazione e le sue problematiche costituzionali, in
Giustizia penale 1980, vol. II, p. 357. L’autore definisce l‘associazione come “un insieme di per-
sone stabilmente vincolate per il perseguimento di un fine comune”.
4
PACE A., La libertà di riunione nella Costituzione italiana, Milano, 1967, p. 30 e ss..
5
ESPOSITO C., Lo stato fascista e le associazioni, vol. I, Padova, 1934, p. 12 e ss..
6
CRISAFULLI V., Associazioni (diritto civile), in N. D. I., vol. I, Torino, 1937, p. 1035 ss..
7
Cass., 1 giugno 1983, in Cass Pen., 1985, p.621.
8
Cass. Pen., 16 febbraio 1972, in Cass. Pen. Mass. Ann., 1973, p. 724, m. 905; Cass. Pen., 27 gen-
naio 1972, in Cass. Pen. Mass. Ann., 1973, p. 726, m. 907; Cass. 29 aprile 1978, m. 4846, in Riv.
Pen., 1978, p. 704; Cass., 8 luglio 1983, in Riv. Pen., 1984, p. 834; Cass. 20 marzo 1984, in Riv.
Pen., 1985, p. 188; Cass., 8 giugno 1984 in Riv. Pen. 1985, p. 576. In dottrina, ritengono sufficien-
te un’organizzazione rudimentale, MANZINI, Trattato di Diritto Penale Italiano, V edizione,
1981-1986, p. 196; ANTOLISEI F., Manuale di Diritto Penale, Milano, 1986, p. 725.
7
leva,
come sia sufficiente un accordo stabile e continuativo tra tre o più per-
sone
9
.
Ciò che indubbiamente caratterizza l’associazione, esprimendo la ragion
d’essere della stessa e fissandone l’identità, è lo scopo che “trascende quel-
lo dei singoli e non si presta ad essere conseguito altro che…attraverso
l’organizzazione di una collettività di individui”
10
. Si ha scopo comune
quando, non solo più persone vogliono perseguire il medesimo scopo, ma è
necessario che gli associati accettino concordemente lo scopo e i mezzi uti-
lizzati per conseguirlo, dando origine perciò ad una volontà comune a rag-
giungere un fine.
Possiamo ora tentare una definizione più completa dell’associazione: è asso-
ciazione ogni raggruppamento di due o più individui fungibili, organizzati anche
contingentemente tra loro e che intendono raggiungere uno o più fini comuni, me-
diante un’attività precedentemente concordata tra loro.
9
Cass. Pen., 23 marzo 1975, in Cass. Pen. Mass. Ann., 1966, p. 246, n. 309; Cass. Pen., 6 febbraio
1970, in Giust. Pen., 1971, II, pagg. 134-156, pagg. 135-158; Cass Pen., 19 maggio 1978, n. 5847,
in Riv. Pen., 1978, p. 104; Corte d’Assise di Brescia 2 febbraio 1978, in Giust. Pen., 1978, II, 605.
In dottrina è dello stesso avviso GRISPIGNI F., Diritto Penale Italiano, vol. II, 1952, p. 605.
10
BARILE, Associazione (diritto di), cit., p.833 e ss.
8
2. PROFILI STORICI DELLA LIBERTA’ DI ASSOCIAZIONE
Definito il concetto di associazione, sembrano necessari alcuni rilievi
sull’evoluzione storica della libertà di associazione attualmente prevista
nell’art. 18 Cost.
Tale evoluzione è caratterizzata dal graduale superamento della posizio-
ne di ostilità dello Stato nei confronti dei corpi intermedi, che aveva ac-
compagnato la formazione dello Stato moderno. Le società parziali, ritenute
un residuo del vecchio assetto politico fondato sulla divisione per ceti, fu-
rono ritenute incompatibili con la progressiva affermazione della sovranità
dello Stato sugli ordinamenti particolari. Questo atteggiamento fu sostan-
zialmente recepito dalle correnti di pensiero formatesi durante la Rivolu-
zione francese e ispirò in larga misura, nel corso del XIX secolo, le costitu-
zioni e le legislazioni dell’Europa continentale.
Nel nostro Paese lo Statuto albertino non fece riferimento al diritto di
associazione. Se ne occupava il Codice Penale sardo del 1839, artt. 483-
486, assoggettando tutte le associazioni all’autorizzazione governativa. Ove
questa mancasse o non fossero osservate le condizioni imposte dall’autorità,
n’era decretato lo scioglimento, con la pena del carcere, del confino o della
multa, secondo le circostanze, per i loro capi, direttori e amministratori. La
stessa pena era comminata anche per gli individui, ove l’associazione già
disciolta tornasse a ricostituirsi. Gli artt. sopra citati furono abrogati dal D.
9
Lg. 26-IX- 1848, in vista, come recava il preambolo, “di far scomparire ta-
lune disposizioni non più in armonia con l’attuale ordine politico”.
Negli anni successivi, il progressivo allargamento del regno a popola-
zioni meno legate a vincoli di lealtà sabauda, e poi il crescere delle associa-
zioni socialiste, repubblicane, anarchiche, la quale si ponevano in aperta
rottura con la tradizione liberale e monarchica, indussero il governo ad in-
tervenire sulla materia. Furono presentati due progetti di legge nel 1852 e
nel 1862 i quali avrebbero attribuito un potere di sorveglianza all’autorità di
pubblica sicurezza sulle associazioni, e un potere governativo di sciogli-
mento delle associazioni pericolose per l’ordine pubblico, caratterizzato da
ampia discrezionalità. Tali progetti però, non incontrarono il gradimento
della Camera, e non passarono neppure alla discussione. Tutti i governi
successivi tuttavia, anche quelli di sinistra, fecero uso di tale potere non
concesso. La dottrina prevalente
11
non approvò questa disciplina ma al con-
trario mirava ad escludere un generale potere di prevenzione nei confronti
delle associazioni. Questi indirizzi liberali subirono però un decremento
considerevole soprattutto con le leggi eccezionali del 1894, che introdusse-
ro il divieto delle associazioni aventi “per oggetto di sovvertire per vie di
fatto gli ordinamenti sociali”, in seguito agli attentati anarchici dello stesso
anno. Dal 900 invece i rapporti tra Stato e associazioni iniziarono a modifi-
carsi, fu per iniziativa del ministero Zanardelli-Giolitti che si inaugurò un
11
ARANGIO-RUIZ G., Associazione e riunione (diritto di), in Enciclopedia Giuridica Italiana,
vol. I, 4, Milano, 1895, p. 966. PALMA L., Corso di diritto costituzionale, vol. III, Firenze, 1880,
p. 214 e ss..
10
periodo d’ampia libertà d’associazione, specie in favore delle organizzazio-
ni operaie.
Prima del 1925 in Italia non esisteva nessuna norma sulle associazioni in
generale, esse vivevano in un regime di libertà di fatto, potevano costituirsi,
senza che sussistessero divieti, e senza obbligo di comunicazione dell’atto
costitutivo, statuto, elenco dei soci. In particolare non erano vietate le asso-
ciazioni segrete, inoltre non esistevano limitazioni particolari: donne, mino-
renni, stranieri, potevano far parte liberamente di associazioni. L’avvento
del fascismo introdusse modificazioni profonde nel regime della libertà di
associazione, fu ordinata una repressione dell’associazionismo privato. In
questa tendenza s’inserisce la legge 26 novembre 1925, n. 2029, trasferita
poi nel t.u.p.s. del 1931 (artt. 209 e 212): creata con l’intento di colpire la
massoneria, la legge introdusse una regola di pubblicità per l’associazione
per ragioni d’ordine pubblico e di sicurezza. Inoltre, fu conferito al Prefetto
il potere di sciogliere le associazioni contrarie “agli ordinamenti politici co-
stituiti nello Stato” (art. 210 t.u.) e prevista la previa autorizzazione del mi-
nistero dell’Interno per la costituzione di associazioni a carattere interna-
zionale (norma che sarà poi dichiarata costituzionalmente illegittima dalla
Corte Cost. con sentenza 28-6-’85 n. 193). Si trattava di norme destinate a
colpire le associazioni politiche.
L’articolo 18 Cost. fu approvato dall’Assemblea costituente nella seduta
dell’11 aprile 1947, senza molti contrasti. Furono respinti emendamenti che
11
ponevano un controllo sui fini dell’associazione, perché non fossero in con-
trasto con le libertà garantite dalla Costituzione.
12
3. LIBERTA’ DI ASSOCIAZIONE DI CUI ALL’ARTICOLO 18
DELLA COSTITUZIONE E SUOI LIMITI: FINI NON VIETATI
AI SINGOLI DALLA LEGGE PENALE
Giunti a questo punto, sembrano necessari alcuni rilievi sulla regola-
mentazione del relativo diritto, costituzionalmente garantito e internazio-
nalmente rilevante (poiché l’art. 20 della Dichiarazione universale dei diritti
umani sancisce che “nessuno può essere costretto a far parte di
un’associazione” ). Secondo la più diffusa dottrina italiana, questa garanzia
di libertà è una delle espressioni di quell’autonomia che la Costituzione ha
riconosciuto sia agli individui, sia alle formazioni sociali. L’art. 2 Cost. re-
cita che “ la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la
sua personalità”, con ciò garantendo all’individuo la libertà di appartenere a
ciascun gruppo sociale lecito “per il pieno sviluppo della persona umana”
(art. 3 comma 2 Cost.)
13
.
12
BARILE, Associazione (diritto di), cit., p. 841.
13
AMATO, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, 1967, p.304 ss.
12
Da un parte l’art. 18 Cost. assicura alle associazioni una sfera di azione
virtualmente parificata a quella degli individui, e dall’altra, si traduce
nell’affermazione della libertà di associazione come sfera di autonomia dei
privati e nella profonda diffidenza nei confronti d’interventi dello Stato che
incidano su di essa. Sintomatica è l’esclusione del relativo diritto di asso-
ciazione dalla previa autorizzazione, e l’affidamento alla sola legge penale
di delimitare l’area delle finalità perseguibili in forma associata.
La Cost. afferma che “i cittadini hanno diritto di associarsi liberamen-
te, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”. “Se
l’associazione è vista come proiezione dinamica dei diritti individuali…che
individualmente il singolo non potrebbe realizzare, è evidente che alla stes-
sa non possono essere imposti limiti diversi da quelli già proponibili al sin-
golo nella esplicazione delle libertà che gli sono costituzionalmente garanti-
te”.
14
Ne consegue che la costituzione nel momento in cui garantisce il diritto
di associarsi, dà piena garanzia al singolo, che lo status di associato, non
può comportare diversi e più numerosi limiti all’esercizio delle proprie li-
bertà individuali, rispetto a quelli previsti espressamente per il singolo dalla
Costituzione. Tutto ciò che un cittadino può fare da solo, che può compiere
senza violare la legge penale, può essere oggetto e scopo di associazione.
14
BARILE, Associazione (diritto di), cit., p. 843 e ss..
13
Perciò le associazioni vietate sono tali in quanto e soltanto perché tendono a
conseguire scopi che sono vietati anche ai singoli.
E’ anche vero che il limite costituzionale secondo cui i singoli possono
liberamente associarsi senz’uopo di autorizzazione, ma solo “per fini, che
non sono vietati ai singoli dalla legge penale”, è riconducibile ad
un’evidente ratio: che è l’ordine pubblico. La norma impone un comporta-
mento che tende ad evitare il “turbamento della pacifica convivenza socia-
le”
15
la quale altrimenti, in mancanza di tale regola, potrebbe essere minac-
ciata da ribellioni che farebbero temere ragionevolmente la commissione di
reati.
4. ASSOCIAZIONI VIETATE E CONSENTITE
DALL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO
Il 2^comma dell’art. 18 Cost. disciplina non compiutamente la materia
delle associazioni vietate, in quanto altre norme particolari negano o rico-
noscono in casi determinati, il diritto di associarsi.
Innanzi tutto sono costituzionalmente vietate “le associazioni segrete” e
tale divieto ha trovato attuazione solo di recente con la legge n. 17 del
1982, che ha risolto numerose controversie interpretative. Innanzi tutto
15
BARILE, Associazione, (diritto di), cit., p. 844.
14
nell’art. 1 la legge ha dato una definizione, prima mancante, di associazione
segreta, concependola come “un’attività diretta ad interferire sull’esercizio
delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche
ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di ser-
vizi pubblici essenziali di interesse nazionale”. In secondo luogo, abrogan-
do gli artt. 209 e 212 t.u.p.s. 1931 (art.6) ha sottratto la materia alle leggi di
polizia e ha collegato le sanzioni ai singoli appartenenti, lo scioglimento
dell’associazione, le misure nei confronti dei pubblici dipendenti ad una
nuova fattispecie incriminatrice di costituzione, promozione, proselitismo,
direzione e partecipazione ad un’associazione segreta (artt. 2-4). L’altro di-
vieto posto dall’articolo 18, II comma, concerne le associazioni “che, per-
seguono, anche indirettamente, un fine politico mediante un’organizzazione
a carattere militare”. Tale divieto ha trovato attuazione con il d. legisl. N.
43 del 1948 che ha fissato i connotati dell’associazione a carattere militare
nell’”inquadramento degli associati in corpi, reparti o nuclei, con disciplina
e ordinamento gerarchico interno analoghi a quelli militari, con l’eventuale
adozione di gradi o di uniformi, e con l’organizzazione atta anche
all’impiego collettivo in azioni di violenza o minaccia”. Lo scopo del divie-
to consiste nell’eliminare tutti i fattori di turbamento nel processo di deci-
sione politica poiché tali associazioni paramilitari, imponendo agli aderenti
un regime di cieca obbedienza, soffocano il libero dibattito, e per la loro
15
struttura e le loro caratteristiche esteriori, esercitano un’indubbia azione in-
timidatoria nei confronti di tutti i consociati.
In virtù della XII disposizione transitoria finale della Costituzione, è
vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fasci-
sta; sono vietate le associazioni dirette alla restaurazione monarchica con
mezzi violenti (art. 2 legge 3 dicembre 1947 n° 1546); le associazioni costi-
tuenti reato di cui l’associazione sovversiva ex art. 270 C.P., le associazioni
con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico ex art. 270
bis, la cospirazione politica mediante associazione ex art. 305 C.P., la ban-
da armata ex art. 306; l’associazione per delinquere ex art. 416 C.P.,
l’associazione di tipo mafioso ex art. 416 bis in quanto, come detto prece-
dentemente, tali associazioni perseguono scopi vietati ai singoli dalla legge
penale.
L’unico caso di scioglimento da parte dell’autorità amministrativa e-
spressamente previsto dalla legge, è attualmente quello (art. 3 l. 20 giugno
1952 n° 645) per la repressione dell’attività fascista; tale potere spetta al
Ministro dell’Interno e al governo.
Sono libere quelle associazioni che, o sono espressamente consentite
dalla legge (associazioni sindacali o di partito rispettivamente art. 39 e art.
49 della Costituzione, di culto, società civili o commerciali) ovvero non so-
16
no espressamente vietate, “perché in uno Stato libero, tutto ciò che non è
espressamente vietato è permesso o almeno è tollerato”.
16
A conclusione di quest’esposizione è importante sottolineare che in un
regime liberale il diritto d’associazione è considerato come un attributo es-
senziale dell’individuo, quello che concorre con le altre libertà a sviluppare
e perfezionare il suo carattere e a renderlo attivamente partecipe della vita
della nazione; in un regime assoluto, al contrario, tale diritto è spesso nega-
to o soggetto a rigorose limitazioni.
5. IL DELITTO DI ASSOCIAZIONE
Il diritto penale delle associazioni deve essere considerato sotto due di-
stinti profili: quello concernente i reati associativi e quello attinente ai reati
di associazione.
Per reati associativi s’intendono “i singoli fatti o episodi criminosi della
vita dell’associazione, strumentalmente collegati con il perseguimento degli
scopi istituzionale dell’ente”.
17
Oggetto del nostro studio sono invece i reati di associazione, modello
delittuoso che ha come caratteristica d’incriminare associazioni di persone
ritenute, in ragione dei mezzi usati e/o dei fini perseguiti, pericolose per la
16
MANZINI, Trattato di Diritto Penale Italiano, V edizione, 1981-’86, p. 360.
17
PALAZZO F., Associazioni illecite e illeciti delle associazioni, in Rivista Italiana di Diritto
Procedura Penale, 1976, p. 423; è dell’autore la distinzione tra i due tipi di reato.
17
sicurezza dello Stato o l’ordine pubblico. Considerata dal punto politico-
criminale, la fattispecie associativa persegue una funzione di tutela antici-
pata: reprimendo l’associazione in se stessa, si rimuove il pericolo che sia-
no conseguiti gli obiettivi finali illeciti che il legislatore ha interesse a neu-
tralizzare. I reati definiti propriamente di associazione sono, infatti, previsti
da quelle “norme che stabiliscono un divieto penale all’istituzione di deter-
minati tipi di associazioni: si tratta di norme punitive che, colpendo i singo-
li partecipanti per il fatto della loro partecipazione, mirano a colpire
l’associazione stessa nella sua esistenza, che non è consentita
dall’ordinamento statale. Sono norme che pongono dei limiti penali al dirit-
to di associazione e la cui legittimità è, pertanto, condizionata alla loro
compatibilità con la Costituzione”.
18
Precisati i requisiti necessari all’istituzione di una associazione confor-
me all’ordinamento giuridico (come trattato nel paragrafo uno), passiamo
ora ad inquadrare i reati di associazione nell’ambito della categoria dei reati
plurisoggettivi.
19
Nella categoria di tali reati, il comando della norma è ri-
volto a vietare, unitamente alle singole condotte delittuose, la formazione
della volontà comune.
18
PALAZZO F., Associazioni illecite e illeciti delle associazioni, cit., p. 423-424.
19
ANTOLISEI F., Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 1994, p.539. Secondo
l’autore si definiscono tali quei reati per la cui esistenza è indispensabile l’intervento di più perso-
ne; “in altri termini, quando il reato non può essere realizzato da un solo individuo, ma esige la co-
operazione di più individui. In passato questi reati erano chiamati collettivi in contrapposizione ai
reati individuali, è stato il Grispigni a proporre la denominazione di reati plurisoggettivi, la quale
ha incontrato il favore della dottrina”.
18
Non vi è dubbio, quindi, che il reato di associazione, diretto a reprimere
l’incontro di più soggetti per la realizzazione di uno scopo comune crimino-
so, rappresenti un tipico reato plurisoggettivo.
Necessario per la sua esistenza, è il collegamento che deve sussistere tra
le singole condotte dei partecipanti. “Ne consegue che le condotte singo-
larmente considerate, non hanno significato, mentre è proprio il loro incon-
tro a connotarsi del carattere di antigiuridicità e a determinare il momento
consumativo del reato”.
20
La particolare rilevanza del fenomeno associativo nell’ambito del siste-
ma penale e la ragione della sua assunzione a forma autonoma di reato, pos-
sono essere colte nei due beni giuridici di categoria tutelati: l’ordine pub-
blico e la personalità dello Stato.
L’ordine pubblico è definito come “il buon assetto ed il regolare anda-
mento del vivere civile, a cui corrispondono nella collettività l’opinione ed
il senso della tranquillità e della sicurezza”.
21
Il significato di tale concetto è
da cogliersi nell’esigenza della tranquillità e della sicurezza dei cittadini,
nella pace pubblica quale pacifica coesistenza dei consociati. A fondamento
di questa tutela, trova la sua ragion d’essere la norma che incrimina
l’associazione per delinquere (art. 416). E’ indubbio che l’organizzazione
posta in essere con scopo criminoso, sia concretamente lesiva dell’ordine
pubblico.
20
PALERMO-FABRIS E., Il delitto di associazione e sue problematiche costituzionali, cit., p.358.
21
RELAZIONE MINISTERIALE, Progetto definitivo del Codice Penale, Lavori Preparatori, vol.
V, parte II, p. 203.