4
1.1 La leadership: alcune definizioni
Dare un significato alla parola “leadership” non si profila certo
come un compito di semplice portata: si tratta, infatti, di un vocabolo
largamente inflazionato rispetto il quale è ancora viva una vasta
discordanza; fra gli studiosi di scienze sociali sono continuate a
variare le formulazioni teoriche del concetto di leadership
focalizzando l’attenzione ora su di un aspetto ora su di un altro.
Innanzi tutto va rilevato un aspetto cruciale secondo il quale la
leadership consisterebbe nell’esercizio di persuasione d’altre persone
ad abbandonare, per un prefissato periodo, i propri interessi personali
al fine di perseguire un obiettivo comune importante tanto per le
responsabilità che per il benessere del gruppo (R.Hogan, J.Gordon,
Curphy, 1994). La leadership è quindi persuasione e non dominio; le
persone che ottengono dalle altre l’obbedienza sfruttando la propria
posizione di potere non possono certo essere classificate come leader.
La leadership interviene quando le persone, senza coercizione alcuna,
decidono di adottare gli obiettivi del gruppo come fossero i propri.
Si denota un chiaro legame tra leadership e prestazione del gruppo:
il leader è tale quando è in grado di costituire un team coeso e
orientato a determinati obiettivi. Se c’è un punto d’accordo (tra i
5
teorici nella letteratura sulla leadership), esso è dato dalla
constatazione che il leader è il nucleo focale del gruppo.
Nel passato sono stati diversi i tentativi di definire la leadership,
Cooley (1902) riteneva che il leader fosse sempre il nucleo di una
tendenza e dall’altro canto, il nucleo di tutti i movimenti sociali
1
,
Mumford (1906) osservò che la leadership è la preminenza di uno o di
pochi individui in un gruppo nel processo del controllo dei fenomeni
sociali, Blackmar (1911) riteneva che la leadership consistesse nel
tentativo di centralizzare in una persona l’espressione del potere di
tutti.
La leadership è stata considerata da diverse prospettive teoriche; si
presenta di seguito una rassegna tra le più importanti
2
:
Leadership come tratto di personalità (e i suoi effetti)
Il concetto di personalità è usato da alcuni teorici per spiegare il
perché alcune persone si distinguano per le loro particolari abilità, più
spiccate rispetto gli altri, di esercitare la leadership. Bowden (1926),
ad esempio, eguagliò la leadership con la robustezza della personalità
di una persona; Bingham (1927) definì il leader come quel soggetto
che possiede un numero molto cospicuo di tratti e caratteristiche di
personalità desiderabili.
1
Stodgill R.M., “Handbook of leadership”, 1974. The Free Press.
6
Kilbourne (1935) suggerì una definizione simile e Bernard (1926),
sosteneva che ‘qualsiasi persona che presenta un’efficienza superiore
all’ordinaria nel condurre stimoli psicologici agli altri, ed è quindi
capace di condizionare le risposte collettive, può essere chiamata
leader, esso deve possedere prestigio e deve conoscere le risposte alle
quali condurranno determinati stimoli’ (Bernard, pp.296). Tead
(1929) considera il leader una combinazione di tratti che consentono
d’indurre altri a realizzare un dato compito.
Leadership come arte di indurre sottomissione e arrendevolezza
Munson (1921) definì la leadership come l’arte di maneggiare gli
uomini in modo da raggiungere il massimo ottenibile con la minor
frizione e la maggiore cooperazione: la leadership è la forza creativa e
direttiva della morale. Aliport (1924) era convinto che la leadership
significasse direzione, contatto a faccia a faccia tra leader e seguaci, è
controllo sociale e personale. Moore (1927) riportò il risultato di una
Conferenza nella quale Steurt definì la leadership come l’abilità di
imprimere la volontà del leader sugli altri membri inducendo ad
obbedienza, rispetto, cooperazione. Bundel (1930) considerò la
leadership come l’arte di indurre gli altri a fare ciò che uno vuole essi
2
Stodgill R.M., “Handbook of leadership”, 1974. The Free Press.
7
facciano. Philiphs (1939) sosteneva che la leadership è imposizione,
mantenimento e direzione dell’unità morale.
Leadership come esercizio d’influenza
L’uso del termine ‘influenza’ segna il passo nella direzione verso
la generalità nella definizione della leadership. Nash (1929) suggerì
che il concetto di leadership implichi un cambiamento d’influenza
nella direzione delle persone. Tead (1935) definì la leadership come
quell’attività di influenzare le persone alla cooperazione rivolta ad
alcuni scopi desiderabili, mentre Stodgill nel 1950 sosteneva che la
leadership fosse quella attività di influenzare le azioni di un gruppo
organizzato al fine di raggiungere i propri scopi ed obiettivi. Per
Shartle (1951) il leader dovrebbe essere considerato un individuo che
esercita un’influenza positiva sulle azioni degli altri o che per lo meno
esercita un’influenza più importante rispetto gli altri membri
dell’organizzazione. Per Cartwright (1965) la leadership è uguale al
dominio dell’influenza.
Leadership come forma di persuasione
Secondo questo filone il leader rappresenta il fattore determinante
nella relazione con i seguaci. Per Schenk (1928) la leadership è
8
‘amministrazione, gestione degli uomini attraverso la persuasione e
l’ispirazione piuttosto che con la coercizione’ (Schenk, pp.111-112) il
leader risolve problematiche immediate applicando la conoscenza e i
fattori umani. Nella concezione di Cleeton e Mason (1934) la
leadership indica l’abilità di influenzare gli uomini e assicurare i
risultati attraverso appelli emotivi piuttosto che attraverso l’esercizio
d’autorità. Un’ennesima importante definizione in tal senso è quella
fornita da Copeland (1942) secondo il quale la leadership è l’arte di
influenzare il corso di un’azione attraverso la persuasione.
La definizione della leadership sulla base della persuasione tende
ad essere favorita dagli studenti e dai politici.
Leadership come relazione di potenza
Sono numerosi gli autori che hanno incluso nella loro descrizione
del concetto l’idea del perseguimento e, soprattutto, conseguimento
dello scopo; alcuni hanno definito la leadership in chiave di valore
strumentale per il raggiungimento degli scopi e bisogni del gruppo,
Cowley (1928) riteneva che ‘il leader è una persona che ha un
programma e che si sta muovendo verso un obiettivo con il suo
gruppo in un determinato modo’ (Cowley, pp.310), Bellows (1929)
descrisse la leadership come quel processo di sistemazione di una
9
situazione così che i vari membri del gruppo, incluso il leader,
possano perseguire gli obiettivi comuni minimizzando le spese di
tempo e lavoro. Davis (1942) si riferì alla leadership come alla
principale forza dinamica che stimola, motiva, coordina
l’organizzazione nel perseguimento dei propri motivi.
Leadership come effetto dell’interazione
Per Pigors (1935) ‘la leadership è un processo di stimolazione
mutuale che controlla l’energia umana nel conseguimento di una
causa comune’(Pigors, 140). Anderson nel 1940 sosteneva che il vero
leader fosse capace di individuare le differenze individuali e rivelare
al gruppo una base per definire gli scopi comuni.
Leadership come ruolo differenziato
Di particolare rilevanza risulta essere la teoria del ruolo, secondo la
quale ciascun soggetto occupa uno status nella società, così come
nelle organizzazioni e nelle istituzioni. In questo contesto la leadership
può essere considerata come una caratteristica di differenziazione tra
ruoli. Per Gordon (1935) la leadership può essere concettualizzata
come un’interazione tra una persona e il gruppo o, più specificamente,
tra una persona e i membri del gruppo; ciascun partecipante in questa
10
situazione può giocare un ruolo e tali ruoli sono differenziati. Nella
concezione di Sherif (1956) il leader è un ruolo all’interno di uno
schema di relazioni ed è definito da uno schema d’aspettative
reciproche tra leader e altri membri; il ruolo del leader è definito,
come gli altri ruoli, da aspettative stabilite. Newcomb, Converse e
Turner (1965) osservarono che i membri del gruppo forniscono dei
contributi diversi per il raggiungimento dello scopo; questi sono
rilevanti ed indispensabili, quindi i membri devono essere considerati
esattamente alla pari del leader.
Leadership come iniziazione di una struttura
Sono diversi i teorici che non vedono la posizione del leader
passiva o come ruolo acquisito ma, anzi, come un processo
d’originazione e mantenimento di una struttura di ruolo. Gouldner
(1950) suggeriva l’esistenza di una differenza tra lo stimolo che parte
dal seguace e quello che parte dal leader; in quest’ultimo caso c’è la
probabilità che lo stimolo strutturi il comportamento del gruppo in
quanto il gruppo stesso ritiene che il leader detenga la legittimazione
della fonte dello stimolo.
11
Una definizione, a mio avviso importante, è quella fornita da
Tannenbaum
3
e che può essere classificata tra quelle che fanno capo
all’approccio del leader come influenzatore; si tratta di una
definizione generale nella quale la leadership è descritta come
l’influenza inter-personale, esercitata in una situazione, diretta, tramite
il processo di comunicazione, al conseguimento di fini specifici. La
leadership si realizza in continui tentativi da parte di un leader di
influenzare il comportamento dei subordinati in una specifica
situazione. In questo contesto la generalità con cui si descrive la
leadership permette di estendere il concetto a tutte quelle relazioni
interpersonali nelle quali siano presenti tentativi d’influenza. Inoltre
dalla suddetta definizione su può dedurre come la leadership sia un
processo o funzione più che un ruolo prescritto. L’esercizio
dell’influenza interpersonale rappresenta solo un tentativo del leader e
non è detto vada sempre a buon fine; è l’efficacia che misura il
successo di tale tentativo: una persona che tenta di influenzare
un’altra, ma senza successo, è considerata un leader, seppure
inefficace.
Un altro concetto basilare espresso nella definizione di
Tannenbaum è quello di ‘situazione’ in cui l’influenza è esercitata. La
3
Tannenbaum R., “La direzione degli uomini: leadership e nuovi stili di direzione di
12
situazione comprende quegli aspetti che esercitano un impatto
attitudinale e comportamentale sugli individui in relazione
all’affluenza. La situazione può includere:
a) fenomeni fisici (rumore, disposizione dei mobili);
b) la presenza d’altri individui;
c) l’organizzazione;
d) una cultura più ampia, che comprenda ad esempio le prescrizioni di
ruolo;
e) obiettivi, inclusi quelli personali.
Secondo Tannenbaum, il leader esercita l’influenza tramite la
comunicazione, quindi attraverso la trasmissione del messaggio al
ricevente, in modo che questi lo interpreti nel modo desiderato
dall’emittente.
1.2 Tipologie di leadership
Gli studi che sono stati condotti hanno dimostrato l’esistenza
evidente delle molteplici tipologie e funzioni della leadership: di
seguito riporterò alcune delle considerazioni più autorevoli e note
realizzate fin d’ora.
imprese”,1977.
13
Nel 1918 Borgadus specificò la presenza di quattro tipi di leader:
1) autocratico; 2) democratico (che rappresenta l’interesse del gruppo;
3) il leader esecutivo; e infine quello 4) intellettuale e riflessivo.
Una classificazione diversa fu presentata alcuni anni dopo da
Barlett (1966) il quale distingueva il leader istituzionale – che diviene
permanente in virtù del suo prestigio -, dal tipo dominativo – che
guadagna e poi mantiene la posizione acquisita per mezzo dell’uso del
potere e dell’influenza -, da quello infine persuasivo che invece
esercita l’influenza mediante le proprie capacità d’induzione dei
sentimenti dei seguaci all’azione.
Nafe nel 1930 presenta la teoria ‘dell’infusione meccanica’ del
leader il quale dirige l’attenzione dei seguaci verso aspetti ideali;
secondo tale teoria il leader abbisogna del possesso solamente
apparente dell’attitudine ammirata e desiderata dai seguaci. Levine
(1949) nominò quattro tipologie di leader:
1) il leader carismatico, che tende una mano al
gruppo sulla base di un obiettivo comune, pur
essendo ‘dogmaticamente rigido’;
2) il leader organizzativo, che enfatizza l’azione
efficace, tende a giudicare le persone;
3) il leader intellettuale;
14
4) quello informale che adatta il proprio stile di
performance ai bisogni del gruppo.
Nel 1951 Haiman ribadiva che 5 dovevano essere le tipologie di
leader che caratterizzavano una democrazia: l’esecutivo, il giudice,
l’avvocato, l’esperto e il leader ‘che discute’.
1.3 Le funzioni della leadership
Alcuni autori hanno classificato i leader sulla base del tipo di
funzioni che essi prestano.
Mooney e Reley (1931) focalizzarono 3 processi scalari
nell’organizzazione; essi sono:
a) la leadership;
b) la delegazione;
c) la definizione funzionale.
Coffin nel 1944 suggerì 3 funzioni di leadership: pianificazione,
organizzazione (esecuzione), e supervisione (persuasione). Gross
(1961) propose molte mansioni di leadership: definizione degli scopi,
chiarimento e amministrazione degli stessi, scelta dei mezzi
appropriati, motivazione e rappresentanza del gruppo. Bales e Slater
(1955) osservarono che il leader realizza 2 funzioni distinte: la prima è
15
associata alla produttività e la seconda riguarda il supporto socio-
emotivo del gruppo. Roby (1961) sviluppò un modello matematico di
funzioni di leader fondate sull’informazione: creare una congruenza di
scopi fra i membri, bilanciare le risorse del gruppo e le capacità con le
richieste avanzate dall’ambiente, fornire una struttura del gruppo che
focalizzi le informazioni in funzione delle soluzioni ai problemi, fare
in modo che tutte le informazioni siano disponibili al centro di
decisione quando ciò è richiesto.
Stodgill (1959) riteneva che il leader deve mantenere la direzione
degli scopi e della struttura, riconciliare i conflitti emergenti
all’interno o all’esterno del gruppo.
Accanto a tutte queste considerazioni si può aggiungere che le
classiche teorie del management suggeriscono che le principali
funzioni che un leader dovrebbe espletare sono: pianificazione,
organizzazione e controllo; vari teorici aggiungono il coordinamento e
la supervisione e la motivazione
1.4 Teorie e modelli di leadership: un excursus storico
Lo studio relativo alla leadership è stato caratterizzato da un lungo
cammino evolutivo durante il quale sono stati presi in considerazione
e criticati diversi modelli.
16
Agli inizi del 1900 era prevalsa l’impostazione dell’approccio
‘caratterologico’ del leader perciò si evidenziavano le caratteristiche
della personalità dello stesso: gli autori di questo filone percepivano la
leadership come una qualità posseduta solo da particolari soggetti, i
quali si distinguevano dall’uomo comune per alcuni tratti che li
rendevano più efficienti degli altri. Le ricerche quindi erano volte ad
individuare tali aspetti della personalità che potevano essere
l’intelligenza o abilità personali, in modo che questi potessero risultare
utili ad una migliore comprensione del fenomeno leadership.
Ci sono delle teorie che in parte si rifanno a tale approccio note
come ‘great man theories’ le quali riconoscono l’importanza del
background ereditario perciò la leadership è spiegata sulla base della
ereditarietà dei tratti della personalità. Woods (1913) studiò la storia
di 14 nazioni per un periodo di tempo che andava dai 5 ai 10 secoli.
Egli sondò le condizioni di ciascun regno al fine di specificare le
capacità dei governatori, e si riscontrò che i fratelli dei re tendevano
anch’essi a divenire uomini di potere ed influenza. David (1936)
sosteneva che gli uomini, in ciascuna società, possiedono diversi gradi
d’intelligenza, energia e forza morale. Bernard (1926), Birgham
(1927), Tead (1929) e Kilbourne (1935) spiegavano la leadership in
termini esclusivamente di tratti e personalità.