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devianti, in maniera particolare del legame che instaurano con la figura
dell’educatore sociale, basandomi anche sull’osservazione diretta nell’esperienza che
ho potuto vivere in comunità terapeutica.
In questa tesi ho cercato di approfondire la difficoltà relazionale dell’adolescente
problematico, posta in rapporto al legame di attaccamento che ha costruito
nell’infanzia con le figure di riferimento genitoriali, paragonabile al rapporto che
costruisce con la figura di riferimento dell’educatore in un contesto problematico.
Nel primo capitolo ho esplicato il sentimento definito in psicologia come “ansia da
separazione”, inserendola nel concetto di legame di attaccamento in infanzia, in
particolare ho analizzato ed approfondito nelle condizioni di disagio infantile come i
bambini che crescono in istituto, i bambini che vivono la separazione dei genitori e i
bambini che vivono un lutto.
Nel secondo capitolo ho affrontato il passaggio dall’infanzia all’adolescenza,
delineando le caratteristiche generali dell’età adolescenziale. In particolare ho
illustrato la ristrutturazione del legame di attaccamento rispetto all’infanzia
nell’adolescenza, con le principali differenze che lo contraddistinguono,
soffermandomi sulle modalità relazionali presenti con la famiglia anche in base allo
stile genitoriale che assume una famiglia durante gli anni dello sviluppo.
Nel terzo capitolo ho illustrato le principali problematiche che caratterizzano
l’adolescenza deviante, in particolare ho approfondito l’adolescente violento, il furto,
l’abuso di sostanze e l’abuso di alcol. Ho analizzato poi l’influenza della famiglia
nella ristrutturazione della modalità di attaccamento nella personalità
dell’adolescente, individuando in essa il principale fattore di rischio di devianza.
Nell’ultimo capitolo ho delineato le caratteristiche principali che dovrebbero
caratterizzare la figura dell’educatore ed il rapporto che si instaura tra l’adolescente
problematico e l’educatore nel percorso di rieducazione, in particolare ho descritto la
mia esperienza di tirocinio esemplificando le relazioni che ho potuto osservare e
vivere nell’adolescente problematico che si lega ad un educatore, figura di
riferimento nella realtà della comunità terapeutica.
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PRIMO CAPITOLO
IL RUOLO DELL’ATTACCAMENTO IN INFANZIA
1.1 LA DIFFICOLTA’ DI SEPARAZIONE E LA PAURA DELL’ABBANDONO
Il primo momento della nostra vita comincia con un drammatico distacco, dall’utero
protettivo della propria madre. Gli addii e le separazioni fanno parte della vita, ne
sono un elemento centrale. E’ necessario lasciare ciò che amiamo, da cui siamo
rassicurati, per acquisire nuove capacità e superare i limiti dell’insicurezza.
Ogni distacco comporta una sorta di movimento sismico che comporta emozioni,
affetti e provoca ansie e sofferenze, per questo a volte si resiste al cambiamento e
spesso non è così scontato che le cose esistono anche quando non le si vede ed i
legami permangono anche se subentra una separazione fisica.
L’idea di perdere le persone dalle quali prima ancora della felicità dipende la nostra
sicurezza, è una delle più grandi e diffuse paure dell’uomo ed affonda le sue radici
proprio nell’esperienza originaria di fusione con la madre. Il rapporto con la madre,
proprio perché fortemente intrecciato con le radici del biologico, è e rimane un
rapporto altamente significativo nel corso di tutta l’esistenza. E’ un rapporto che può
essere delicato, intenso, ma anche aspro e problematico, come tutti i legami
significativi è ricco di variazioni e complessità, ma in maniera particolare rispetto agli
altri. La riuscita di questo primo grande rapporto e del doloroso ma necessario
distacco diventa la base di tutte le sicurezze successive.
La partecipazione e l’influenza positiva o meno del ruolo paterno nel sciogliere
questo intricato legame materno è spesso determinante ed essenziale nel definire il
processo di individuazione del figlio dalla madre. Entrambe le figure genitoriali sono
integranti anche e soprattutto nella gestione del distacco oltre che nella crescita
dell’individuo.
5
La psicologia dello sviluppo ha dimostrato come i bambini piccoli siano sconvolti
anche da separazioni brevi, mentre quelli più grandicelli da quelli di maggior durata,
ed in generale reagiscono con spavento quando si separano dalla figura di
attaccamento. Gli adulti sono invece sconvolti da separazioni lunghi o permanenti, da
perdite vere e proprie. In psicologia viene definita “L'Ansia da separazione, che
rappresenta una componente naturale del processo di crescita, come è un elemento
che caratterizza la costruzione della modalità di attaccamento, ma si supera con il
progredire dei processi cognitivi e della sicurezza emozionale”
1
.
Normalmente compare nella seconda metà del primo anno di vita, raggiunge il
massimo livello verso i 14-20 mesi e gradualmente diventa meno frequente e meno
intensa durante l'infanzia ed il periodo preadolescenziale. Siamo invece in presenza di
un "disturbo", di manifestazioni cioè significative dal punto di vista clinico, quando
dette manifestazioni diventano eccessive e di lunga durata. Un certo grado di ansia da
separazione è un fenomeno universale, diventa disturbo quando non viene superato
con la crescita e quando il grado d’ansia è eccessivo. La qualità dell’attaccamento
risulta un fattore influente nello sviluppo di tale tipo di disturbo.
Nelle primissime formulazioni teoriche del fondatore della psicoanalisi Sigmund
Freud nei primi anni del Novecento circa l’etiologia delle nevrosi correlati
all’angoscia nevrotica ed alla difesa, che non abbandonarono mai la sua ricerca, non
vi è cenno al fatto che l’angoscia nasca dalla perdita o dalla minaccia di perdita. Solo
un poco alla volta, e soprattutto verso la fine della sua vita, Freud avanzò questa
ipotesi, sicuramente troppo tardi data la loro importanza. Dunque, l’angoscia da
separazione è stata estremamente lenta a conquistarsi un posto centrale nella
teorizzazione psicoanalitica, ma è stato poi dimostrato come siano estremamente
pericolosi i distacchi incompiuti o negati. Una quantità di relazioni cliniche mostra
1
Schelotto G. (2003), “Distacchi ed altri addii”, Oscari Mondadori, Milano.
6
che le esperienze di separazione e perdita svolgono una parte importante
nell’insorgenza di molte condizioni patologiche.
“Si usa sostenere che stati di angoscia e di depressione che si presentano nell’età
adulta ed anche condizioni psicopatiche, possono essere collegate in modo
sistematico agli stati di angoscia, disperazione e distacco, che insorgono con grande
facilità quando un bambino viene separato per lungo tempo dalla sua figura materna o
quando perde tale figura per sempre”
2
.
Durante i primissimi anni dell’infanzia la relazione esistente tra stato emotivo ed
esperienze attuali o recenti è spesso trasparente come un cristallo, in tali stati
disturbati della primissima infanzia si può già vedere il prototipo di molte condizioni
patologiche degli anni successivi. Si crea in modo specifico la predisposizione
all’instaurarsi di processi psicopatologici, ciò non significa che debba
necessariamente accadere in ogni soggetto, tuttavia ne aumenta notevolmente la
probabilità. Quanto più si approfondiscono le conoscenze relative alla formazione
della mente umana, tanto più ci si rende conto di quanto precoci siano i processi che
soggiacciono al funzionamento psicologico e quanto è importante per questo
proteggerli da ogni sorta di violazione o di interferenza.
1.2 LA COSTRUZIONE DELL’ATTACCAMENTO NELL’INFANZIA
“Il comportamento di attaccamento è considerato uno dei sistemi di controllo del
comportamento sociale con una propria funzione biologica specifica”
3
, ed è una
forma di comportamento che si manifesta in una persona che consegue o mantiene
una prossimità nei confronti di un’altra persona, chiaramente identificata, ritenuta in
grado di affrontare il mondo in modo adeguato. Rappresenta dunque la capacità di
base dell’individuo di instaurare forti legami emotivi con un’altra persona,
2
Freud S. (1980), “Lutto e melanconia”, OSF, vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino.
3
Bowlby J. (1972), “L’attaccamento alla madre”, in “Attaccamento e perdita”, vol. 1, Bollati Boringhieri, Torino.
7
generalmente percepita come più forte e quindi rassicurante. Il rapporto
madre/bambino come rapporto tra chi cerca e chi offre protezione, aiuto e cure è stato
ampiamente studiato e definito poi, a seguito di differenti prospettive teoriche, come
sistema comportamentale di attaccamento. Il bambino è predisposto geneticamente a
sviluppare un legame di attaccamento con chi si prende cura di lui che lo motiva ad
avvicinarsi alla figura di accudimento alla ricerca di protezione e sicurezza, per un
bisogno innato, forse una pulsione. Questo è ciò che nelle teorie del fondatore della
psicanalisi Sigmund Freud si sosteneva sullo sviluppo dei legami si attaccamento, per
cui il bambino sembrava fosse spinto alla costruzione di legami con le figure di
riferimento per una sola motivazione pulsionale di sopravvivenza.
L’attaccamento intimo costituisce il perno intorno a cui ruota la vita di una persona, è
da esso che una creatura trae la sua forza e la sua voglia di vivere, e la rottura di tali
legami o il malfunzionamento, svolgono un ruolo causale nella vita dell’individuo. Se
uno sviluppo soddisfacente dell’attaccamento è per la salute mentale così importante
occorre assolutamente saper distinguere uno sviluppo favorevole da uno sfavorevole
e quali condizioni promuovono l’uno o l’altro.
Nel corso del Novecento, nella costruzione delle varie teorie di origine psicoanalitica,
si distinse lo psicologo statunitense di origine austriaca Renè Spitz, per gli studi che
approfondì sullo sviluppo infantile ed in particolar modo per aver sottolineato
l’importanza dello scambio emotivo tra il bambino piccolo e l'adulto che si prende
cura di lui, definendo così nella sua opera fondamentale del 1958 “Il primo anno di
vita del bambino” lo sviluppo come una derivazione dell’incontro tra il bambino, che
non ha ancora una sua individualità ma un programma evolutivo, e la madre, che con
la sua personalità influisce sul suo sviluppo. Sempre di scuola psicoanalitica,
un’ulteriore figura fondamentale nel panorama psicologico del Novecento che
condivide lo teorizzazione di Spitz fu Margharet Mahler, psicoanalista e
psicoterapeuta ungherese, esponente della Psicologia dell’Io che si specializzò nel
lavoro psicanalitico con l’infanzia. Ma nella costruzione della teoria
dell’attaccamento, sarà lo psicanalista britannico John Bowlby verso la fine del
8
Novecento a fornire un contributo fondamentale, dimostrando come lo sviluppo
armonioso della personalità del bambino dipenda da un adeguato attaccamento alla
figura materna, fissando così le radici del futuro sviluppo del costrutto
dell’attaccamento. La sostanziale differenza e rilevanza del suo contributo è stato il
differenziarsi dalle teorie psicanalitiche, esistenti fino a quel momento, nel sostenere
che ogni essere umano presenta già dalla nascita una predisposizione innata a
mantenere una vicinanza con le figure genitoriali di riferimento e che la motivazione
innata di tale comportamento risiede in una ricerca di contatto, di conforto e di
protezione, più che da motivazioni di origine fisiologica e pulsionale, come sostenuto
dalla psicoanalisi classica.
Bowlby, nella sua opera fondamentale “Attaccamento e perdita” del 1970 affermò
che il legame di attaccamento è un sistema motivazionale primario con un carattere
esplicitamente evoluzionistico, centrale nei primi anni di vita. Questa sua opera
divenne un caposaldo nella costruzione della teoria dell’attaccamento.
“Nel comportamento di attaccamento finché si può mantenere la vicinanza desiderata
alla figura di attaccamento non si provano sentimenti spiacevoli, invece se la
vicinanza non può essere mantenuta, le ricerche e gli sforzi che ne conseguono sono
accompagnati da un senso più o meno acuto e lo stesso vale quando c’è la minaccia
di perdere tale persona”
4
.
La particolare modalità assunta dal comportamento di attaccamento di un dato
bambino dipende in parte dalle predisposizioni iniziali che configurano il rapporto tra
madre e bambino e in parte dal modo in cui l’uno influisce sull’altra nel corso del
rapporto stesso. I due fattori interagenti di questo rapporto sono quindi la madre, con
la sua individualità già formata, e il neonato, in via di formazione. La qualità della
relazione è definibile non solo per cosa la madre ed il bambino fanno insieme, ma
anche per come lo fanno, in particolare l’intensità dei movimenti, i segnali verbali,
l’espressività non verbale ed il grado di coordinazione.
4
Bowlby J., (1972), “L’attaccamento alla madre”, in “Attaccamento e perdita”, vol. 1, Bollati Boringhieri, Torino.