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valori, intensamente, profondamente ed esclusivamente umani. L’esigenza del
“bello” accomuna tutte le epoche e le latitudini, mostrando un’inalterabilità di
sentimenti senza distinzioni, tratto d’identità per l’intera specie umana. Arte
come eredità di chi ci ha preceduto nei millenni, come ciò che dobbiamo
consegnare a chi ci seguirà, promessa di eternità, conferma di un identità, ma
anche rinnovo di un dramma.
Il valore di testimonianza, tuttavia, è solo una delle componenti dell’arte: non
meno importante, e anzi decisivo, è l’aspetto della libera creatività personale. Il
concetto è ben espresso nelle parole di Leonardo da Vinci, secondo il quale “il
pittore è padrone di tutte le cose”, poiché può creare dal nulla le immagini che
più gli aggradano.
Ed è proprio intorno a questa magica figura dell’artista che prende corpo la
seguente ricerca di sociologia dell’arte, volta all’analisi del mondo e dei generali
processi di categorizzazione sociale in cui essi sono coinvolti. L’azione dalla
quale l’arte viene creata, che ha come centro la persona – o il personaggio –
dell’artista è strettamente correlata alle controversie sulla natura dell’arte, sia che
si tratti del mondo artistico di per sé o della coabitazione, generalmente
problematica, di arte e sociologia.
Nel seguente lavoro ho cercato di studiare i meccanismi di auto-percezione degli
artisti, l’idea che loro stessi possano avere riguardo al loro stereotipo e a quello
del mondo che li circonda, e li ho messi a confronto con il profilo del
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personaggio artista abbozzato dalla gente comune, tentando così di sfatare alcuni
miti e di rendere più vicini ed umani questi abili creatori.
Nella prima parte dello studio, farò una panoramica sulla sociologia dell’arte in
generale, sui mondi artistici ed infine sulla figura dell’artista…
La seconda parte invece si incentrerà sull’analisi di tipo qualitativo dei risultati
di due questionari, che si prefiggono di indagare in che modo gli artisti stessi e la
gante comune vivono e percepiscono lo stato attuale dell’ambiente artistico, così
come anche la figura e la posizione dell’artista nei suoi ruoli sociali ed
esistenziali.
Prima di cominciare, però, vorrei infine ringraziare tutta la mia famiglia che mi
ha trasmesso fin da piccolo l’interesse e la passione per ogni forma di arte,
passaggio privilegiato per la crescita personale e per un generale e profondo
rispetto verso L’Altro.
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La sociologia dell’arte
La sociologia dell'arte, nata alla fine dell'Ottocento, ha per scopo quello di
comprendere l'arte come un aspetto della vita umana e sociale e, in particolare, di
studiare l'influsso dell'arte sull'individuo e sulla società.
Nonostante la vasta letteratura prodotta, essa risulta ancora oggi uno dei settori
meno consolidati e sistematici della sociologia contemporanea.
Tutta la sociologia dell’arte nasce nell’intersezione, nello spazio vuoto che, da un
certo punto in poi, si apre tra ciò che l’artista inscrive nel prodotto e ciò che vi
inscrivono il consumatore o lo spettatore. La sua immaturità disciplinare si rivela,
secondo Becker (2004), soprattutto nella esplicita tendenza a privilegiare l’analisi
dell’organizzazione e dei meccanismi socio-culturali che regolano la produzione
artistica; a concentrare l’attenzione sulla composizione del pubblico e sulle sue
forme di risposta, con l’obiettivo di verificare l’interdipendenza della cultura da
variabili di tipo economico, sociale ed istituzionale, infine, a privilegiare una
lettura del ruolo dell’artista come segnalatore di gusto. Già ad una prima analisi,
il problema dell’immaturità disciplinare della sociologia dell’arte sembra avere
origine da una ingiustificata rinuncia ad affrontare il lavoro dell’artista.
Non vengono meno infatti i confini dell’arte, c’è sempre un dentro ed un fuori,
un insieme di oggetti che appartiene e un altro che ne è escluso. La questione è
che tali confini non sono più definibili come confini fra oggetti, ma fra oggetti
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percepiti, cioè sono confini fra processi. In tal senso, per la sociologia l’arte
appartiene in primo luogo come provincia finita di significato, regione del
discorso, gioco linguistico cui gli attori decidono di partecipare, accettando di
seguire insiemi, più o meno definiti di convenzioni estetiche.
Il tentativo di fare dell’arte e del lavoro dell’artista delle variabili dipendenti
della società ha implicato, infatti, grande trascuratezza nei confronti del loro
effettivo ruolo nella costituzione di organizzazioni e di istituzioni.
La domanda che i sociologi, in definitiva, sembrano evitare di porsi sembra
essere: l’artista rappresenta un mondo già dato o, piuttosto, contribuisce alla sua
innovazione? La sociologia dell’arte non ha ancora trovato una risposta
soddisfacente per la semplice ragione che tale problema continua a ricevere una
sorta di risposta anticipata, individuabile nella tacita premessa secondo la quale
l’arte è degna di studio solo in quanto effetto e non causa di eventi sociali.
La natura problematica dell’arte influisce anche sul modo in cui viene studiata.
È plausibile, in termini generali, ritenere che tale difficoltà abbia origine dalla
contrapposizione fra due concezioni ugualmente presenti nella nostra cultura:
quella endogena, puramente umanistica, che considera l’opera d’arte nella sua
unicità ed espressione unica dell’animo del suo creatore; quella esogena che,
invece, pone l’accento sui rapporti che intercorrono fra l’artista e la sua
produzione da un lato, e le istituzioni sociali, politiche e le ideologie dall’altro.
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Gli studiosi partono da premesse diverse a seconda che provengano da discipline
umanistiche, quali la storia dell’arte, l’estetica o la critica, oppure dalle scienze
sociali. Le possibilità di comprensione fornite dalla sociologia e i metodi usati
dai sociologi per formulare domande sull’arte sono diversi dal modo in cui gli
umanisti che si occupano di arte ne affrontano lo studio: generalmente, i
sociologi, pur avendo preferenze personali, evitano l’atteggiamento estimativo,
solitamente connesso, invece, alle discipline umanistiche.
Prendo ora meglio in esame entrambi i punti di vista cercando di individuarne le
caratteristiche più rilevanti.
Il punto di vista endogeno
Se certe opere che oggi vengono ritenute grandi non sono sempre state
considerate tali in passato, essendo le qualità della grandezza immanenti ad
un’opera, gli umanisti di solito danno la colpa a fattori esterni all’arte, quali un
pubblico ignorante o rigide autorità istituzionali.
Ciò che era, e che in gran parte continua ad essere, al centro dei loro interessi è
l’opera d’arte, interpretata secondo una prospettiva endogena, cioè
analizzandone gli elementi formali: tecnica e mezzi espressivi usati, contenuto
metaforico o linguaggio, influenze estetiche di opere create nell’ambito della
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stessa tradizione o in una simile. Essi guardano a ogni grande opera d’arte come
ad un’unica e significativa espressione dell’animo del suo creatore.
Nel prestare attenzione al creatore, questi studiosi implicitamente ritengono che
la personalità e la psicologia dei singoli artisti siano intrinseche alle loro opere o
al loro stile, considerati come espressioni spontanee del genio individuale.
Poiché gli umanisti rivolgono la loro attenzione solo a quelle opere che possono
inserirsi in una categoria di “casi unici” nel regno dell’estetica, incontrano
difficoltà empiriche quando si trovano a dover conciliare il criterio di unicità con
alcune pratiche professionali comuni.
Nel caso in cui alcuni artisti creino varie opere dello stesso genere, gli studiosi di
estetica si vedono costretti a trovare dei motivi logici per giustificare queste
creazioni ripetitive, diversi dal fatto che l’artista si stesse semplicemente
esercitando o che stesse producendo all’interno di un genere di successo per
soddisfare la domanda del mercato.
Le caratteristiche di “autenticità” di un’opera d’arte, come gli stessi concetti di
“bellezza” e “perfezione”, sono difficili da definire perché mancano di un
referente che trascenda la loro collocazione sociale. Inoltre, implicita nell’idea di
autenticità vi è la supposizione che l’opera d’arte sia stata effettivamente creata
da uno specifico artista. Il valore dell’opera deriva dal fatto che l’artista, in
qualche modo, è indivisibile dall’oggetto artistico creato, e artista e oggetto fisico
sono tratti complementari del genio.
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Nonostante la creatività e la plausibilità estetica di molte delle loro affermazioni
sull’arte, l’orientamento endogeno degli studiosi di estetica lascia aperte alcune
lacune nella comprensione. Sebbene molte delle loro idee lascino intendere
tacitamente una base sociale per arrivare a capire in che modo si generi l’arte,
fino a poco tempo fa gli studiosi di estetica hanno preferito evitare di appropriarsi
di tali nozioni.
Il punto di vista esogeno
Gli studiosi di scienze sociali, contrariamente agli specialisti di estetica,
ritengono che sia necessario contestualizzare l’arte sia nelle classiche coordinate
spazio-temporali, sia più specificatamente in termini di strutture istituzionali,
preparazione professionale, mecenatismo, riconoscimenti o altre forme di
sostegno. I sociologi si interessano della relazione che intercorre tra l’artista o
opera d’arte e le istituzioni politiche, le ideologie e altre considerazioni
extraestetiche.
L’approccio esogeno tende a manifestarsi esplicitamente come materialista,
chiamando in causa quelle speciali qualità che gli studiosi di estetica, i critici, gli
artisti e gli estimatori imputano all’arte. Mentre gli studiosi di estetica ritengono
che l’arte racchiuda in sé l’unicità, i sociologi prevedono la regolarità e la tipicità
del loro oggetto di studio.