3
Inutile osservare, è bene ripeterlo, che Ligabue non aveva conoscenza
esplicita e diretta di tanti fenomeni culturali: proprio per questo è
ancor più interessante la loro emersione da una specie di museo del
profondo: quello stesso museo che oggi anche molti artisti pienamente
acculturati saranno forse sempre più costretti a frequentare,
sperando di ritrovare in ciò il bellissimo stato sonnambolico di
Ligabue”.
2
Sottolinea dunque il bellissimo stato sonnambolico in cui Ligabue
s’immergeva per dipingere e dal quale traeva la parte migliore di se
stesso: le emozioni, la cultura, l’amore. Prende tutto da lontano o
dal suo profondo ed ancor più dal suo inconscio ossia dal sogno.
Come sostiene Karin Herrmann “ogni arte autentica attinge a figure e
paesaggi dell’anima che fanno sempre riferimento a prodotti della
nostra storia culturale e umana”.
3
Arturo Quintavalle lo definisce “pittore forte, non ingenuo”
4
, essendo
nutrito del paesaggismo svizzero, ma per il senso comune può apparire
pittore naïf anche se la critica non lo ritiene tale.
E’ certo che i primi dipinti di Ligabue danno l’idea che fatichi a
padroneggiare l’unità delle sue rappresentazioni di persone o animali
inseriti nel paesaggio.
Diverrà poi molto attento ai ritmi, all’equilibrio composito da
pittore consumato, profondo conoscitore della natura e delle
emozioni.
La pittura ha delle ragioni intime che Ligabue conosce e descrive
queste ed il loro contesto come qualcosa di profondamente unitario,
dunque poetico.
Rielabora la realtà, la trasfigura ed ecco appare un espressionismo
incandescente ed il decorativismo manierista.
5
2
AA,VV, Antonio Ligabue, Gualtieri, Comune di Gualtieri, 1975, p.140.
2
Herrmann, Karin, Perché questa mostra? in Tosatti, Bianca, Figure dell’anima,
arte irregolare in Europa, Milano, Mazzotta, 1997, introduzione.
4
Quintavalle, Arturo C., “Galleria Spazio ligabue”, NAC, 1 marzo 1969, p. 22.
5
Attraverso un’analisi del manierismo cinquecentesco, Binswanger ne evidenzia il
rapporto di interdipendenza con determinati fenomeni psichici, giungendo alla
conclusione che il manierismo è la manifestazione di uno stato di disagio
esistenziale (cfr. Bruno G., Il caso Mary Barnes. Rapporto tra espressività
degli stati psicopatologici e arte, in Tosatti, Bianca, Figure dell’anima, arte
irregolare in Europa, op. cit., p. 245.
4
A questo punto definirlo naïf è impossibile. Certamente Antonio
Ligabue è un artista tragico che della vita ha rappresentato
l’aspetto drammaticamente doloroso.
Marino Mazzacurati
6
scarta il termine naïf, vede nella sua pittura un
ancestrale processo di liberazione dall’angoscia, con gli stessi
invasamenti metafisici dell’uomo primordiale che vive in un mondo
senza storia, senza possibilità di normali rapporti sociali, ma in
Ligabue non c’è rassegnazione, vuole il suo tempo ed il suo spazio,
farsi uomo.
Sembra tutto gli venga negato, tutto viene represso. Allora
ripercorre a ritroso le tappe dello sviluppo umano, immergendosi
nella natura per identificarsi con essa ed ecco come la psicanalisi
non serva a chiarire come quest’uomo abbia potuto da solo approdare
alle estreme ragioni di un tempo primordiale e da sé scoprirvi gli
strumenti validi a dirgli ciò che gli premeva dentro.
Dipingere gli serve per vivere normalmente traendo dal sogno la sua
realtà. Crea capolavori, per miracolo o per assurdo, inutile tentare
una classificazione della sua opera.
Con Franz Boas ci si può stupire di “quanto sia peculiare all’uomo la
grande variabilità di comportamento nelle sue relazioni con la natura
e coi suoi simili”,
7
ma con Jean Dubuffet ci si incuriosisce alla
“sparsa e repressa cultura selvaggia nel tentativo di ricostruire le
tessere di una visione del mondo totalmente “altra” da quella
dominante”.
8
Nessuno più di Dubuffet ha sostenuto i diritti di tutti
di giungere a fare arte, tutti coloro che riescono a regredire verso
gli stati primitivi e selvaggi traendone energia sufficiente per
divenire artisti. Il primitivo ama ed ammira l’albero, […] crede in
una reale affinità fra uomo, l’albero ed il fiume
9
e la pittura
diviene mezzo d’espressione di voci interiori più efficace delle
parole.
6
Mazzacurati, Marino R., Zavattini, Cesare, De Micheli, Mario, Ligabue, Parma,
Franco Maria Ricci, 1967, pp.18-22.
7
Boas, Franz, L’uomo primitivo, Bari, Laterza, 1972, p.134.
8
Dubuffet, Jean, I valori selvaggi, Milano, Feltrinelli, 1971, p.14.
9
Dubuffet, Jean, I valori selvaggi, op. cit., pp. 15, 77.
5
Un’opera d’arte presenta interesse solo a condizione di essere una
proiezione molto immediata e diretta di ciò che avviene nella
profondità di un essere.
10
Così Renzo Margonari scrive di Antonio Ligabue:
“Primitivo, avulso da ogni concetto culturale, bersagliato dallo
scherno degli uomini, pittore per istinto.
Dall’osservazione del caso Ligabue vien fatto di credere vera
l’asserzione di Dubuffet il quale riteneva falsa l’idea secondo cui
“soltanto rari uomini segnati dal destino, avrebbero il privilegio
d’un mondo interiore che valga la pena essere esteriorizzato. […]
Sanguigno, collerico […] con un senso sconcertante del colore, preso
tutto da una non tranquilla pazzia popolata di larve rancorose, di
animali nobilitati per disprezzo all’uomo”.
11
Illuminanti sono le parole di Herbert Read nel suo Significato
dell’arte:
“Per il primitivo la creazione artistica significa una fuga
dall’arbitrarietà della vita. Egli vive alla giornata nell’esatto
significato dell’espressione.
Allorché crea un’opera d’arte, quale atto di proposizione magica,
egli evade dall’arbitrarietà, altrimenti dominante della sua
esistenza, creando ciò che per lui è un’espressione visibile
dell’assoluto. Ha arrestato per un momento il flusso dell’esistenza e
costruito un oggetto solido e stabile, ha creato fuori del tempo uno
spazio e l’ha definito con una linea di contorno. Sotto l’impulso
dell’emozione questo contorno ha assunto una forma espressiva: è
diventato un ordine, un equivalente formale della sua emozione”.
12
10
La Compagnie de l’Art Brut fondata da Jean Dubuffet include artisti
estremamente individualisti che non manifestano nessun interesse per il mondo
che li circonda: esistono solo la loro realtà individuale e la loro esperienza
intima, sulla quale modellano una nuova cosmogonia.
11
Margonari, Renzo, Naïfs?, Parma, La Nazionale, 1973, p. 74.
12
Read, Herbert, Il significato dell’arte, Milano, Il Saggiatore, 1962, p. 58.
6
La psichiatra Maristella Miglioli traccia un’interessante diagnosi a
posteriori (1980):
“Aveva un contatto con la realtà diretto e trasparente, oppure il
rapporto avveniva attraverso mediazioni?
E ancora: era folle Ligabue e di quale follia?, perché la sua
produzione artistica appare lontana anni luce dalla cosiddetta
espressività psicopatologica, ma è pur vero che il personaggio era
stravagante e bizzarro. […] Quale mai diagnosi o definizione
psichiatrica potrà spiegare o render conto del mistero della potenza
creativa di Ligabue? Ma perché è l’unico rito che so compiere: rito
che, se potesse essere praticato nello spazio della mente, troverebbe
una sua legittimazione pubblica sulla pagina scritta nel dato di
realtà che Ligabue si porta comunque già addosso, come un abito
cucito in fretta e che sta stretto, delle diagnosi medico-
psichiatriche: quella di ritardato mentale per cui fu inviato ragazzo
tredicenne all’istituto di Tablat, da cui venne poi trasferito, per
sopraggiunta cattiva condotta ad un altro istituto, a Marbach, con
finalità oltrechè didattiche anche correttive (nel significato
implicito che il termine correzione ha in questi casi); e ancora la
diagnosi dell’ospedale psichiatrico di Pfäfers, dove venne ammesso
all’età di 18 anni. […] E infine le sue diagnosi, la prima di
depressione semplice, poi integrata al secondo ricovero in quella più
complessa di psicosi maniaco-depressiva, assegnatagli al frenocomio
di S. Lazzaro di Reggio Emilia ove venne ricoverato per ben tre
volte, nel 1937 per pochi mesi, dal ’40 al 41 e infine dal ’45 al 48.
Il dottor Zonta, che vanta un’osservazione diretta di Ligabue con
l’incarico di paziente, ha confermato in una relazione tenuta nel
1963 al Rotary Club di Reggio Emilia- della quale è rimasta memoria
scritta- la diagnosi di psicosi maniaco-depressiva accompagnata da
debilità mentale.[…]
La prima domanda che viene spontaneo porsi è se Ligabue fosse davvero
un insufficiente mentale.[…]
7
Aggiungo, per il lettore meno avvertito che la neuropsichiatria
infantile individua e raggruppa nella categoria degli insufficienti
mentali medio-gravi quei soggetti che, per lo più fin dalla nascita,
presentano accanto al cosiddetto deficit intellettivo, disturbi gravi
del linguaggio e della motricità, e a volte alterazioni dei
principali organi di senso.
Si può arguire da ciò che l’insufficienza mentale contestata a
Ligabue nella sua carriera di malato è del grado lieve, del tipo cioè
che, in assenza di lesioni organiche accertate si esprime per lo più
con uno scarso rendimento scolastico o lavorativo, ed alcuni tratti
del carattere non strettamente specifici, ad esempio l’immaturità o
infantilismo affettivo, di cui egocentrismo, manifestazioni
narcisistiche o negativistiche e iperreattività alle frustrazioni
sono parte. E’ questo grado lieve che sfuma impercettibilmente nella
categoria della pseudodebolezza mentale. […]
Indipendentemente dal valore che si vuole attribuire alla cosa,
segnalo che alla cartella di Pfäfers sono allegati i risultati di
alcune prove psicometriche da cui risultava una labilità attentiva e
l’incapacità a ripetere in maniera corretta delle brevi frasi che
l’esaminatore gli proponeva.
Il degrado socioeconomico per il quale Ligabue ebbe a patire anche
carenze nutrizionali, la povertà culturale dell’ambiente, furono più
drammatici per la discontinuità affettiva, il trauma dell’abbandono
della madre a 9 mesi, e in seguito la disagiata convivenza col
patrigno etilista.
Difficile definire queste le condizioni migliori per lo sviluppo
armonico delle potenzialità di un bambino.
Personalmente credo che anche in seguito, nella sua vita d’adulto,
Ligabue abbia ricevuto ben poche spinte, ben pochi scambi vitali
dall’ambiente. […]
A me ha impressionato molto il fatto che Ligabue sia passato
attraverso la seconda guerra mondiale senza praticamente rendersene
conto. […]
8
Specialmente nell’età evolutiva, non sempre è facile evidenziare una
patologia della comunicazione che si basi su deficit intellettivi, da
un isolamento artistico o dalle manifestazioni di una personalità
cosiddetta schizoide.
Un secondo interrogativo che reclama risposta è se Ligabue soffrisse
davvero della sindrome detta psicosi maniaco-depressiva, ovvero di
quella psicosi periodica caratterizzata dalla tendenza ciclotimica a
produrre degli eccessi d’eccitamento maniacale o di malinconia.
La descrizione clinica che accompagna la diagnosi di depressione che
viene attestata al primo ingresso di Ligabue al frenocomio di Reggio
Emilia è un po’ confusa e rende plausibile il dubbio che la crisi
fosse reattiva e provocata dall’ammissione forzata al manicomio,
sollecitata probabilmente dalla gente del paese spaventata dalle sue
stranezze. […]
Sul piano clinico l’accesso maniacale non si caratterizza per
quell’unico sintomo dell’eccitamento.
Il pensiero è caratterizzato da tachipsichismo con accelerazione
delle rappresentazioni mentali, associazione delle idee superficiale
e rapida, con fuga continua delle idee correlata ad insufficienza
dell’attenzione; le percezioni a volte sono turbate sino a giungere a
forme illusorie, quali il falso riconoscimento o attività
allucinatorie; l’immaginazione diviene esaltata fino a produrre
pseudodeliri e fabulazioni; il linguaggio si fa logorroico, compare
iperattività instancabile, insonnia, euforia. […]
Che Ligabue avesse, nel corso della vita, sbalzi d’umore frequenti,
pure nel corso di una stessa giornata, risulta da varie
testimonianze, ma questo non basta a riconoscergli una personalità a
struttura ciclotimica. […]
In Ligabue si percepisce una grave difficoltà nelle relazioni
oggettuali e con la realtà, che sembra essere più compatibile con la
definizione di “caso limite” (borderline), al confine cioè tra
nevrosi e psicosi. Il caso limite presenta una tolleranza assai bassa
alle frustrazioni, è ipersensibile alla critica, tende a reagire alle
difficoltà con eccessiva autocommiserazione, lamentele, isolamento.
Ha facilmente fantasie di grandezza.
9
Altra caratteristica di questo tipo di personalità è per lo più
l’incapacità di accettare delle regole e una routine; e ancora: è
egocentrica in modo narcisistico ed incapace d’identificazione con
gli altri, per cui fatica a comprenderne la mentalità e a prevederne
le reazioni”.
13
13
Miglioli, Maristella, Ligabue e la psichiatria, documento visionato presso il
Centro Studi e Archivio Antonio Ligabue, Parma.
10
INTRODUZIONE
Il filosofo Martin Heidegger
1
interpreta l’arte come la messa in opera
della verità perché è in essa che si manifesta il senso del rapporto
dell’uomo con il mondo.
Anche Antonio Ligabue denuncia nelle opere la sua filosofia quale
contemplazione, particolare amore creativo.
La pittura è il suo principio, il suo discorso, la sua intelligenza.
Tuttavia egli sfugge proprio perché artista a quei concetti
universali che possono definirsi qualità della maggior parte degli
individui.
Per vocazione segue la “via dell’arte in cui la coscienza, liberatasi
da ogni volontà e da ogni interesse, si fa assoluta nel suo atto
contemplativo”(Arthur Schopenhauer)
2
.
E’ solo su questa via che si libera dal dolore, vive la sublime
follia del colore che miracolisticamente si fa figura.
Finita l’opera Antonio si fa automa vagante ossia senza via definita,
ma ritrova la sua umanità nell’urgenza del dipingere attraverso il
quale crea un mondo che corrisponde alle sue aspirazioni e dal suo
punto di vista vede la propria possibile salvezza (György Lukács)
3
.
Antonio vive un tormento interiore che si placa unicamente quando
dipinge, egli in verità entra nella sua follia che non è altro che
sublime amore per l’arte… non coglie il passato, non pone attenzione
al presente, non ha attesa per il futuro.
Antonio non è certo un personaggio che passa inosservato.
Il suo modo di essere suscita ironia, derisione, rifiuto, ma…qualcuno
comincia a definire fenomeno il dipingere di Ligabue che equivale al
suo essere pensante, frutto d’esperienza e di conoscenza.
I suoi quadri cominciano a “valere” non tanto per un atto formale, ma
perché si apre una contemplazione disinteressata dove “i sentimenti
non sono più semplici stati affettivi, ma hanno la capacità d’intuire
1
Heidegger, Martin, Sentieri interrotti, Firenze, La Nuova Italia, 1977, p. 55.
2
Arthur Schopenhauer, in Filosofia, Novara, De Agostini, 2004, pp. 236-238.
3
Lukács, György, Estetica, Torino, Einaudi, 1970, pp. 3-8.
11
il valore”(Max Scheler)
4
.
Antonio Ligabue diventa simpatico e tale simpatia entra nelle sue
opere.
Sempre per Scheler “tra le varie forme di simpatia un posto
particolare spetta all’amore e all’odio e l’amore è per sua natura
l’atto intenzionale che apre i valori più alti”.
5
Antonio ha bisogno d’amore; l’arte lo ricompensa.
Inizia così ad essere meno povero; tuttavia “miseria e grandezza sono
le sue caratteristiche essenziali”(Blaise Pascal)
6
e l’arte è il suo
“divertissement” che lo trarrà dalla miseria e lo farà grande.
Dove collocherò Antonio Ligabue?
Certamente nel mio cuore, non vedo luogo migliore, ma i critici
d’arte vogliono altro, i miei esaminatori vogliono altro, dovrò
mostrare le motivazioni della mia scelta.
Certamente essere guida alla sua mostra per lunghi mesi mi ha dato la
sensazione di essere in confidenza con lui.
Da chi nasce Antonio, come e dove?
Quale volontà e quale l’intesa con la vita?
Perché il suo DNA è contorto e distorto eppure la sua mano ubbidisce
al desiderio?
E’ nella sessualità il segreto?
Di chi lo ha generato o nella sua che ha scelto il piacere del
dipingere quale amplesso prolungato oltre un limite biologico?
Tuttavia come uomo è incompiuto, ma come artista scopre tutti i suoi
dati, si può rispondere a tutti gli interrogativi, ma si potrebbe
farlo se fosse un perfetto sconosciuto?
Al vedere comune non si può farlo con nessuna opera pittorica, ma
usando tecniche psicanalitiche con Ligabue si potrebbe.
C’è un simbolismo che può trasudare la sua ricerca del sé e l’io si
realizza nel quadro.
4
Scheler, Max, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, Milano,
Bocca, 1944, pp. 55, 56.
5
Max Scheler, in Filosofia, op. cit., p. 287.
6
Blaise Pascal, in Filosofia, op. cit., pp. 186-188.
12
Ecco la dissociazione che la pittura riunisce.
Finita l’opera Antonio non si ritrova come se fosse nato solo da suo
padre o solo da sua madre.
Non si può definirlo “poverino” né mancante, ma ogni sua parte è
incompiuta senza l’arte.
L’arte c’è e l’uomo cerca ciò che ogni uomo vuole e ottiene, ma la
vecchia esistenza con le sue disperate radici esiste e nessuno può
fargli gestire i suoi traumi che sono nati con lui perché c’erano
prima di lui.
Non è un santo né un martire né un pazzo, è l’uomo che cerca se
stesso e si ritrova nei suoi autoritratti.
In Antonio si rivela in pieno la teoria del “fanciullino” che
vorrebbe diventare grande, ma o non può o non ce la fa.
Nell’accadere del tempo questo disagio si espone in comportamenti
indefiniti o indefinibili.
L’arte sostituisce la psichiatria e permette all’uomo di non
perdersi.
Ecco l’arte quale medicina per il fanciullino, come amante per
l’uomo.
Ci sono quindi tutti gli effetti collaterali della medicina e della
passione.
Sorge anche in questo personaggio l’aspetto istrionico, sicuramente
ogni essere umano nella vita ha possibilità d’interpretare più parti
consapevolmente o meno e l’arte diviene maschera delle varie
interpretazioni: i suoi quadri sono maschera di ciò che vorrebbe
essere o avere.
Sembra Antonio un personaggio pirandelliano, è tutto sfumature, è un
disciogliersi per materializzarsi, un po’ di qua e un po’ di là di
quel limite su cui l’uomo prende forma.
Egli infatti è difforme e quasi deforme perché il suo cervello usa i
pensieri in codesto modo, poi ad un tratto si erge su se stesso e
dipinge.