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CAPITOLO 1 – LA TRADUZIONE AUDIOVISIVA
La traduzione audiovisiva riguarda “tutte quelle modalità di trasferimento linguistico che si
propongono di tradurre i dialoghi originali di prodotti audiovisivi, cioè di prodotti che comunicano
simultaneamente attraverso il canale acustico e quello visivo, al fine di renderli accessibili ad un
pubblico più ampio”
1
.
È una tecnica traduttiva che si è sviluppata in tempi relativamente recenti. Si inizia infatti a parlarne
“ufficialmente” dopo il centesimo anniversario della nascita del cinema, nel 1995, grazie ad un forum
incentrato sull’argomento organizzato dal Consiglio d’Europa. Da allora, è tutto un fiorire di
convegni, seminari e soprattutto pubblicazioni su quest’ambito traduttivo.
È stato difficile per la traduzione audiovisiva trovare una sua collocazione tra i vari studi della teoria
traduttiva, poiché non è un tipo di traduzione immediata e semplice, ma complessa e laboriosa.
Per quanto riguarda la metodologia, il traduttore deve far riferimento a più discipline: sono coinvolti
ambiti della linguistica, della sociolinguistica, della psicologia cognitiva, oltre alle indagini di
carattere interculturale.
Per quanto riguarda il lato pratico, una delle maggiori difficoltà è quella di reperire il materiale di
lavoro. L’avvento di Internet ha facilitato la ricerca dei copioni di film (o telefilm), risparmiando al
traduttore tutto il lavoro di trascrizione precedente alla traduzione. La spinta maggiore alla diffusione
della traduzione audiovisiva è data dallo sviluppo tecnologico, che, oltre a fornire nuovi strumenti di
lavoro, è anche fonte di nuovi servizi che necessitano di traduzioni: si moltiplicano i canali televisivi,
i giochi per le console, i film in DVD, i siti e le pagine Internet da tradurre.
La traduzione audiovisiva è caratterizzata da un testo multimediale molto articolato, poiché legato ad
una serie di problematiche insite nella presenza di più canali e di più codici, come il nome stesso
suggerisce. Il canale audio-orale, che, oltre al linguaggio verbale, comprende anche rumori, suoni e
musica; il canale visivo che, invece, comunica principalmente codici non verbali, come movimenti,
colori, immagini, insegne, didascalie ecc. Per trasporre dunque il prodotto in una lingua diversa
dall’originale, bisogna tenere conto di tutte queste variabili. Ovviamente, l’attenzione di questo tipo
di traduzione, nonostante i molteplici elementi che la compongono, si concentra sul dialogo, in quanto
unico elemento modificabile: immagini e suoni rimangono infatti invariati. Tutte le operazioni
traduttive dunque, “intervengono unicamente sul messaggio verbale sostituendo, nel doppiaggio, o
accompagnando, nel sottotitolaggio, i dialoghi originali”
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.
1
E. Perego, La traduzione audiovisiva, Carocci, Roma 2005.
2
M. Pavesi, La traduzione filmica. Aspetti del parlato doppiato dall’inglese all’italiano, Carocci, Roma 2005
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1.1 – Elementi culturospecifici
I dialoghi hanno un ruolo fondamentale nei film (nei telefilm o nelle serie), in quanto la conversazione
è il veicolo più importante per la ricostruzione della realtà e per lo svolgersi della trama. La
particolarità dei dialoghi filmici è che il testo viene scritto per essere riprodotto oralmente e per questo
si tratta di un “parlato-recitato”, dove la struttura del testo deve essere verosimile, spontanea e poco
macchinosa: è un parlato adattato e artificiale che però deve risultare autentico.
Una delle prime difficoltà del traduttore di prodotti audiovisivi è infatti quella di ricreare nella lingua
di arrivo l’oralità simulata propria del testo di partenza, tenendo quindi conto di modi di dire, delle
frasi e delle parole che potrebbero non trovare corrispondenza nella lingua in cui si traduce.
Ogni lingua usa delle parole per descrivere concetti e oggetti che un’altra può non utilizzare per i più
svariati motivi: quel concetto può non avere la stessa importanza nelle culture in oggetto, non essere
considerato nello stesso modo, ci possono essere altre parole per descriverlo o, addirittura, tale
concetto non esiste nella cultura di arrivo. Si tratta dei cosiddetti elementi culturospecifici, cioè quegli
elementi tipici di una specifica cultura, che potrebbero non corrispondere agli elementi
culturospecifici di un’altra, poiché ogni lingua “vede” le cose da punti di vista differenti.
I termini culturospecifici portano con sé immagini, significati e associazioni che solo la cultura di
appartenenza può cogliere. A volte ci sono problemi di incomprensione nella stessa cultura di
partenza, dove non sempre tutti riescono a cogliere un dato riferimento, per via di percorsi formativi
diversi o per l’appartenenza ad ambienti sociali o classi sociali diverse, o per via del divario
generazionale.
In molti hanno provato a categorizzare questi termini, e una delle divisioni più dettagliate è quella di
Jorge Dìaz Cintas e Aline Remael (2007:201), che dividono i riferimenti culturospecifici in:
Riferimenti geografici: oggetti della geografia fisica (savana, mistral, tornado); oggetti geografici
(Downs, Plaza Mayor); animali o specie vegetali endemiche (sequoia, zebra).
Riferimenti etnografici: oggetti della vita quotidiana (tapas, trattoria, igloo); riferimenti al lavoro
(farmer, gaucho, machete, ranch); riferimenti a cultura e arte (blues, Giorno del Ringraziamento,
Romeo e Giulietta); riferimenti a un’origine (gringo, Cockney, parigino); unità di misura (pollice,
oncia, euro, sterlina).
Riferimenti sociopolitici: riferimenti a unità territoriali o amministrative (contea, bidonville, stato);
riferimenti a istituzioni e funzioni (Reichstag, sceriffo, congresso); riferimenti alla vita socioculturale
(Ku Klux Klan, proibizionismo, Landed Gentry); riferimenti a istituzioni e oggetti militari
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(Feldwebel, marines, Smith & Wesson)
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.
Un’altra distinzione che si può fare di questi elementi è la seguente
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:
Riferimenti propri della cultura di partenza: possono essere riferimenti conosciuti solo all’interno
della cultura di partenza, oppure possono essere elementi transculturali, originari della CP ma in
seguito conosciuti anche altrove (è il caso ad esempio di personaggi, luoghi, istituzioni etc).
ESEMPIO 1: SEX EDUCATION – STAGIONE 1, EPISODIO 1
Contesto: Adam, bullizza sempre Eric, obbligandolo ancora una volta a dargli il suo pranzo.
Adam What’s in the bag? Cos’hai nello zaino?
Eric
My lunch. You know that, because you
always eat it.
Il mio pranzo. Lo sai perché te lo mangi
sempre.
Adam I think you forgot something. Hai dimenticato qualcosa.
Eric It’s just a pencil case. È un portapenne.
Adam
Don’t give a fuck about your pencil case.
Curly Wurly.
Non mi interessa il portapenne. Curly
Wurly.
Eric Come on, man. Not my Curly Wurly. Dai amico. Il mio Curly Wurly no.
Adam
Give me that Curly Wurly…Or I will
break your face.
Dammi quel Curly Wurly... O ti spacco la
faccia.
Eric Okay. Okay.
In questo caso, il riferimento culturale proprio della cultura di partenza, ovvero della cultura
britannica, è il Curly Wurly, una barretta di cioccolato sconosciuta alla cultura di arrivo (qui: in Italia).
Per rendere comprensibile la scena anche alla cultura italiana, sarebbe stato opportuno utilizzare una
strategia traduttiva come la trasposizione, ovvero la sostituzione di un elemento culturale della CP,
con un elemento conosciuto anche nella cultura di arrivo. In questo caso specifico, dove viene
nominata una marca, è meglio utilizzare un iperonimo, cioè una parola dal significato più ampio di
quello di uno o più termini dal significato specifico
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, usando la tecnica dell’esplicitazione, dal
momento che lo spettatore sente un nome e, leggendo nei sottotitoli un nome diverso, potrebbe
risultarne confuso.
3
J.D. Cintas, A. Remael, Audiovisual translation: Subtitling, Routledge, New York 2014.
4
I. Ranzato, Translating culture specific references on television. The case of dubbing, Routledge, New York 2014.
5
Treccani, definizione di “iperonimo”, http://www.treccani.it/enciclopedia/iperonimi_(Enciclopedia-dell'Italiano)/
7
Adam What’s in the bag? Cos’hai nello zaino?
Eric
My lunch. You know that, because you
always eat it.
Il mio pranzo. Lo sai perché te lo mangi
sempre.
Adam I think you forgot something. Hai dimenticato qualcosa.
Eric It’s just a pencil case. È un portapenne.
Adam
Don’t give a fuck about your pencil case.
Curly Wurly.
Non mi interessa il portapenne. La
barretta di cioccolato.
Eric Come on, man. Not my Curly Wurly Dai amico. La mia barretta no.
Adam
Give me that Curly Wurly…Or I will
break your face.
Dammi quella barretta... O ti spacco la
faccia.
Eric Okay. Okay.
Riferimenti interculturali: sono originari della cultura di partenza, ma sono stati assorbiti anche
dalla cultura di arrivo (es: McDonald’s). Oppure sono quegli elementi che tutti pensano appartenere
alla propria cultura, anche se in realtà l’origine è incerta (es: Babbo Natale).
Riferimenti propri di una cultura terza: sono elementi che non appartengono né alla cultura di
partenza né a quella di arrivo, ma a una terza. Il grado di familiarità della CA con la cultura terza può
essere maggiore o minore rispetto a quello della CP. Fanno parte di questa categoria, ad esempio,
cibi, festività, personaggi famosi ecc.
ESEMPIO 2: MODERN FAMILY – STAGIONE 1, EPISODIO 10
Contesto: Manny vuole festeggiare il Natale, unendo le tradizioni colombiane a quelle statunitensi.
Manny
When you told me we were going to watch
this movie, I got a joke copy from the
internet. You are the inocente!
Quando tu mi hai detto che avremmo visto
questo film, ho scaricato la versione con lo
scherzo da Internet. Inocente!
Jay
Well, maybe I'm a little confused right
now. What is this inocente stuff?
Be’, forse sono un po’ confuso. Cos’è
questa storia dell’inocente?
Gloria
In Colombia, practical jokes are a
Christmas tradition. The one that is fooled
is the inocente!
In Colombia gli scherzi sono una
tradizione natalizia. Quello che ci casca è
l’inocente!
Jay
We tell practical jokes on April fool's day.
Do not do that again.
Noi facciamo questi scherzi il primo di
aprile, quindi non fatelo più.
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Manny e Gloria sono colombiani e vivono negli Stati Uniti con Jay. A Natale, vogliono rivivere le
tradizioni natalizie colombiane, tra cui quella di fare scherzi. Questa tradizione è estranea sia alla
cultura di partenza (americana), che a quella di arrivo (italiana): per entrambe è comune fare scherzi
il primo di aprile, come sottolinea Jay, e non a Natale.
Riferimenti alla cultura di arrivo: sono elementi in parte estranei alla cultura di partenza, “esotici”
in quanto appartengono al panorama culturale della cultura di arrivo.
1.2 – Strategie traduttive
Gli elementi culturospecifici sono solo uno dei tanti scogli che il traduttore incontra e che può
raggirare utilizzando varie strategie di traduzione.
• Prestito: si usa quando un vocabolo è “intraducibile” ed entra a far parte della lingua di arrivo
nella sua forma originale. Si usa solitamente in ambito culinario (muffin, pancakes, pizza,
lasagna), in ambito politico ed economico (politically correct, peace-keeping, welfare), per
identificare nomi di luoghi (San Francisco), ecc.
• Calco: è una traduzione letterale che porta al conio di nuove parole, che riprendono le strutture
lessicali della cultura di partenza.
ESEMPIO 3: IL DIAVOLO VESTE PRADA
Miranda
[…]
And then it filtered down through the
department stores… And then trickled
on down into some tragic Casual
Corner, where you, no doubt, fished it
out of come clearance bin.
[…]
Dopodiché è arrivato poco a poco nei
grandi magazzini… E alla fine si è
infiltrato in qualche tragico Angolo
Casual, dove tu, evidentemente, l’hai
pescato nel cesto delle occasioni.
Casual Corner è una catena americana di negozi a basso prezzo. In Italia questa catena non
esiste, e sarebbe incomprensibile per il target di arrivo. Il termine “casual”, però, rimanda a
qualcosa di economico, per questo l’adattatore, giocando su questo termine, ha tradotto
letteralmente la parola con “angolo casual” senza perdere l’idea originale.