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svoltosi a Lione nel 1990 intitolato: Existence: crise et création- Rencontres avec Henri
Maldiney.
Oltre a ciò, un vivo interesse è giunto dall’area fenomenologica, tra cui é da
segnalare quello di Mikel Dufrenne. Uno dei pochi filosofi che ha dimostrato
un’importante attenzione per il suo pensiero é stato Gilles Deleuze, che nel suo
Francis Bacon: logica della sensazione ricorre esplicitamente all’approccio
fenomenologico di Maldiney per interpretare la pittura di Bacon e attraverso questa
tutta la pittura.
Dopo aver letto queste poche righe coloro che giudicano un filosofo e il suo
pensiero secondo i criteri della carriera accademica e della celebrità mondana,
probabilmente, chiuderanno questa tesi senza proseguire oltre.
Tuttavia, se io ritenessi che l’esistenza di un uomo si può esaurire mediante pochi
cenni biografici, tradirei l’insegnamento stesso di Maldiney. Vorrei invece prendere
come pensiero guida della presentazione e della tesi una frase di Deleuze, non a
caso estimatore di Maldiney:
quando scrivo su un autore, il mio ideale sarebbe di riuscire a non dire nulla che potesse
rattristarlo, o, se é morto , che potesse farlo piangere nella tomba: pensare a lui, all’autore
sul quale si scrive. Pensare a lui con tanta forza che non possa più essere un oggetto e che
non sia neanche più possibile identificarsi con lui.
Evitare la doppia ignominia dell’erudizione e della familiarità. Restituire a un autore un po’
di quella gioia, di quella forza, di quella vita politica e di amore che lui ha saputo donare,
inventare.
1
Per tenere fede a questo proposito vorrei seguire il metodo stesso che propone
Maldiney, cosicché il lettore possa già giudicare l’autore leggendo il suo stesso
pensiero: il solo metodo per comprendere un’esistenza é quello di leggere le
esperienze della sua vita nella loro dimensione espressiva, piuttosto che
significativa, secondo un modo che obbliga ad essere fenomenologo, un modo che
1
Deleuze, Gilles, Dialogues,1977.
6
dal che cosa (Quoi ) dell’esistenza ci riporta al suo come (Comment ); in questo modo,
forse, come diceva Maldiney presentando Nietzsche
noi lo chiariremo con la sua propria luce; l’attenderemo sotto l’angolo che si é scelto lui
stesso
2
Il fatto di essere nato nel 1912 e in quella determinata zona della Francia ci dice
quindi come é stata la sua esistenza: innanzittutto studiare filosofia negli anni ‘30 in
Francia voleva dire formarsi sulla famosa triade Husserl, Heidegger, Hegel, letti
secondo l’interpretazione di Sartre e Merleau-Ponty; tuttavia sempre presenti,
quanto meno come termine di paragone, sono Bergson e Cartesio. Più in
particolare l’esperienza di studio a Lione gli permette l’incontro (parola chiave della
filosofia maldineyana) con la persona e il pensiero di Pierre Lachièze-Rey.
Altrettanto importante é l’incontro con le cose della sua regione: l’attaccamento ai
monti e alle sorgenti del Giura, la vicinanza con il mondo di Cézanne.
Quindi l’esperienza della prigionia, esemplarmente descritta in questa pagina:
La prigionia avrebbe potuto annientarci. La semplice disposizione delle cose e l’azione stessa
del tempo raggiungevano il machiavellismo dei campi di concentramento. Il nostro universo
ridotto era fatto di segni e non di cose. Tutto era mezzo. Niente esisteva per sé. Quando un
ricordo, un’idea, un desiderio, un raggio di sole ancora vergine, ci aveva per un istante senza
data, trasportati verso qualche altrove, come era difficile aprire la porta della propria stanza.
La vita quotidiana ci balzava agli occhi. Ogni oggetto significava un gesto incancellabile: essi
erano tutti là, pronti per la rivista, i nostri atti del giorno e di tutti i giorni... Il paesaggio al di
là del filo spinato era fatto per essere usato dagli occhi; era originato anch’esso
dall’organizzazione quotidiana: si sarebbe potuto rimpiazzarlo con degli immensi porta-
ritratti, posti come telai al limite del campo. Eravamo votati alla Ripetizione. Il tempo
mangiava la vita come un ingranaggio. Tutto era organo e funzione; mezzi e fini si davano il
cambio come i cavalli di legno di un maneggio. Niente resisteva al gesto quotidiano. Non
conoscevamo ostacoli. Quante volte ho desiderato il morso di una pietra di montagna. Quante
2
Maldiney, Henri, L’homme nietzschéen p. 38 in Les grands appels de l’homme contemporain, Paris, 1947.
7
volte mi sono augurato di sentire nascere una mano al contatto della forma
gratuita,insostituibile, di una patata reale nell’erba vera.
Io sapevo che la mia libertà sarebbe stata contemporanea della realtà delle cose. Noi
saremmo nati nello stesso tempo, lei ed io, in una conoscenza non più simbolica ma
immediata.
3
In queste righe si sentono ancora l’influenza della concettualità di Husserl e di
Hegel.
Viene poi l’insegnamento a Gand, che é forse il periodo più felice della vita di
Maldiney, quello dei grandi incontri che accompagneranno tutta la sua esistenza e
caratterizzeranno le sue opere: é in questo periodo che comincia la sua amicizia con
lo psichiatra Binswanger, con il poeta Francis Ponge e con il pittore Pierre Tal-
Coat.
Infine il ritorno a Lione, che rappresenta il ritorno verso la sua terra e verso
Cézanne.
3
Maldiney, Henri, La dernière porte pp. 18-19 in Les Vivants ,Paris, Boivin, 1945.
8
INTRODUZIONE.
Gli interessi di Maldiney, come si é potuto notare dall’elenco delle sue opere e dalle
cattedre che egli tiene negli anni ‘70 a Lione, sono piuttosto vasti, e la sua
riflessione interesssa parecchi campi, i quali peraltro non sono considerati dei
settori specialistici isolati l’uno dall’altro, ma degli approcci diversi finalizzati alla
conoscenza e al chiarimento di un unico problema: il modo di esistere dell’uomo
(vedremo in seguito come esso é concepito).
Io scelgo di occuparmi in questa tesi principalmente delle sue analisi estetiche,
esplicitando i suoi contributi negli altri campi (antropologia fenomenologica, quella
parte della psicologia influenzata da Husserl e da Heidegger, filosofia intesa nel
senso più ampio) solo per chiarire quei concetti e quei metodi, di cui egli si avvale
in ambito estetico derivandoli dagli altri suddetti ambiti. Più in particolare ritengo
giusto sottolineare subito i “ debiti “ di Maldiney nei confronti della Daseinsanalyse
di Binswanger e della Schicksalsanalyse di Szondi; inoltre importantissimi sono i
lavori di Minkowski e di Von Weizsacker.
Ho operato questa scelta principalmente per due motivi: in primo luogo perché i
miei interessi convergono verso l’estetica e ritengo che una tesi in estetica
rappresenti la più coerente conclusione del mio percorso universitario.
Il secondo motivo deriva dalla concezione stessa che il filosofo francese ha
dell’esistenza psicotica: infatti se é vero che Maldiney, in virtù di una analisi
profondamente fenomenologica, non oggettivizza lo stato malato separando
radicalmente una presunta esistenza normale dall’esistenza psicotica, ma ritiene che
la malattia sia una delle possibilità dell’esser-ci (e di conseguenza si rivela utile per la
comprensione dell’esser-ci stesso), tuttavia vede nell’esistenza malata una esistenza
inautentica:
9
l’esser-ci (Dasein) psicotico é una esistenza in cui l’autenticità é in gioco nella sua
inautenticità stessa
4
Di conseguenza mentre l’arte viene ad essere, nella maniera che vedremo, la verità
dell’esistenza, l’esistenza psicotica sembra essere un’esistenza deficitaria, mancante
di un rapporto pieno con le cose e le persone.
5
4
Maldiney, Henri, Penser l’homme et la folie ,Millon, Grenoble, 1991.
5
Anzi spesso la malattia é comprensibile proprio tramite le esperienze “ artistiche” dei malati: Maldiney riporta
spesso, per comprendere l’esistenza di schizofrenici o di depressi, le loro composizioni poetiche, i disegni...
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ANALISI PRELIMINARE DELL’ESTETICA COME DISCIPLINA
FILOSOFICA SPECIFICA.
Coloro che iniziano oggi i loro studi in campo estetico si trovano di fronte a due
fatti che stupiscono, credo, la maggior parte di questi neofiti. Innanzittutto il fatto
che l’estetica, come disciplina filosofica, nasca piuttosto tardi, cioé nel Settecento.
In secondo luogo ci stupisce il fatto che un termine come estetica, il cui significato
etimologico originario (dal greco aisthanomai, percepisco con i sensi, sento; e
aisthesis, sensazione) ci rinvia al mondo sensibile, sia oggi adottato per indicare
quella disciplina filosofica che si occupa del bello e dell’arte.
Ho quindi trovato fin dall’inizio due problemi fondamentali che possono costituire
due diversi punti di partenza per la mia ricerca. Proseguo allora chiedendomi:
Prima della nascita dell’estetica, i problemi connessi all’arte e al bello non
erano stati oggetto di nessuna riflessione?
Perché la riflessione filosofica sull’arte si chiama estetica?
Che cosa ha a che fare la sensazione con il bello?
Perché l’estetica non é la riflessione su tutto il sensibile, ma solo su
quella parte di esso che é chiamata arte?
6
6
Domande tanto più legittime visti i termini in cui pone il problema Hegel nella sua Introduzione alle Lezioni
sull’estetica : “ Signori, queste lezioni sono dedicate all’estetica; il loro oggetto è l’ampio regno del bello e, più
precisamente, il loro ambito è l’arte, anzi l’arte bella.
Certamente per questo oggetto il nome di estetica non è completamente adeguato, giacchè estetica designa più
esattamente la scienza del senso, del sentire e, con questo significato di nuova scienza, o piuttosto di qualcosa
che sarebbe dovuto diventare una disciplina filosofica, ha avuto origine nella scuola wolffiana al tempo in cui in
Germania si consideravano le opere d’arte riferendole ai sentimenti che dovevano suscitare, come per esempio i
sentimenti del gradevole, della meraviglia, della paura, della compassione ecc. A causa della inadeguatezza, o
più propriamente della superficialità di questo nome, si è cercato, in seguito, di formarne degli altri, per esempio
quello di callistica . Tuttavia anche questo si dimostra insufficiente, giacchè la scienza che qui si intende non
considera il bello in generale, ma semplicemente il bello d’arte. Quindi noi vogliamo tenerci paghi del nome di
estetica, perchè in quanto semplice nome ci è indifferente e, inoltre, ora è passato a tal punto nel linguaggio
comune che può essere mantenuto come nome. Tuttavia l’espressione appropriata per la nostra scienza è filosofia
dell’arte e, in maniera più determinata, filosofia dell’arte bella .
11
Mi dedico al primo problema. La risposta é certamente negativa, infatti prima del
Settecento gli argomenti dell’estetica, pur non essendo oggetto di una trattazione
unitaria e specifica, sono tuttavia discussi o in sede metafisica o nei trattati
riguardanti le singole discipline artistiche e tecniche (trattati di poetica,
sull’architettura, sulla pittura...), e non mancano certo riflessioni, come quella
platonica, aristotelica e neoplatonica, che hanno influenzato profondamente tale
riflessione addirittura per due millenni. La domanda diventa allora questa: perché
dei temi che prima si ritenevano trattati in maniera adeguata in quelle sedi, nel
Settecento cominciano a mostrare l’esigenza di essere trattati in una disciplina
creata appositamente per loro?
A questa domanda devo dare due risposte che sono complementari l’una con l’altra.
In primo luogo fino al Rinascimento manca una concezione unitaria delle arti belle:
infatti fin dall’antica Grecia sotto lo stesso termine (tecne ) erano raggruppate sia
quelle tecniche che ora vanno sotto il nome di arti belle(pittura, scultura e
architettura), sia le attività artigianali.
Tale commistione é mantenuta anche per tutto il Medio Evo.
7
Solo con il Rinascimento le arti belle cominciano a distinguersi dal resto delle attività
artigianali e dalla scienza: inizia così un processo lungo tre secoli di progressiva
separazione che nel Settecento culminerà (anche grazie all’opera del Winckelmann)
in una netta divisione tra, arti belle , aventi come fine la Bellezza dell’opera, e le
attività artigianali, aventi come fine la costruzione di strumenti utili.
La seconda risposta la ricaverò analizzando il secondo problema.
Per rispondere alle prime due domande del secondo problema penso che sia
necessario prendere in considerazione l’opera di colui che per primo ha usato il
termine estetica in questo senso, cioé Baumgarten (1714-1762). Allievo di Wolff, la
7
Celebre é l’esempio del comune di Firenze nel Basso Medio Evo, in cui delle Arti maggiori e delle Arti minori
facevano parte professioni diversissime come i medici e speziali, i lavoratori della lana, i calzolai, i barbieri, i
mercatanti...
12
sua filosofia risente profondamente del sistema di Leibniz; la sua opera più famosa
é l’Aesthetica (in due volumi, rimasta incompiuta), nella quale enuncia la sua teoria
della conoscenza
8
che suddivise in due parti: la logica, che concerne la conoscenza
intellettuale, e l’estetica appunto, che concerne sia la conoscenza sensibile sia “ la
teoria del bello e delle arti liberali”.
Baumgarten segue Leibniz, ritenendo che la conoscenza sensibile sia subordinata e
propedeutica alla conoscenza intellettuale
9
, ma si differenzia da Leibniz
conferendo all’estetica anche un suo valore intrinseco: il fine dell’estetica é
la perfezione della conoscenza sensibile in quanto tale e questa perfezione é la bellezza
10
.
Essa inoltre, essendo concepita come perfezione della conoscenza sensibile, è
universale, anche se un universale diverso e inferiore da quello che ci restituisce la
logica: infatti la logica raggiunge un universale astratto, mentre l’estetica solamente
una unificazione fenomenica.
Se noi a questo punto consideriamo che le arti belle ci si rivelano sempre attraverso
dei sensibilia (come del resto la musica e la poesia), ci accorgiamo di aver trovato
una spiegazione alle prime due domande.
La riflessione sulla seconda parte del secondo problema mi permetterà di
cominciare ad entrare nel cuore del tema della mia tesi.
Una persona che fosse del tutto ignara del significato che oggi ha la parola estetica,
e avesse seguito solamente queste prime analisi, troverebbe fuori luogo questa
domanda. In effetti, abbiamo visto che l’estetica per Baumgarten ha come oggetto
sia l’arte sia il bello naturale. Aggiungo che anche in Kant l’estetica interessa
entrambi i campi di indagine.
11
8
Cui egli per primo darà il nome di gnoseologia .
9
Lebniz chiamava oscura la conoscenza sensibile, la quale é quella che si ha di qualcosa senza essere
appercepito, ossia senza essere riconosciuto coscientemente. Per tali problemi si veda: Ferraris, Maurizio,
Estetica razionale , Raffaello Cortina Editore, Milano, 1997.
10
Ovviamente vi è compreso il bello naturale, verso il quale l’uomo dimostra una inclinazione naturale.
11
Nella Critica della ragion pura Kant usa il termine estetica (estetica trascendentale) ancora nel vecchio senso
13
Invece è dalla fine del Settecento che si verifica un cambiamento: l’estetica diviene
solamente la disciplina che si occupa dell’arte e del bello, e non più del mondo
naturale; tale concezione trova la sua espressione più matura con la filosofia di
Hegel. Da Hegel ai giorni nostri, rimane insoluto il problema di un’estetica come
dottrina della sensibilità (secondo il significato etimologico) e il suo effettivo
restringimento al solo ambito artistico.
Maldiney sente anch’egli questo problema, e lo affronta nella prima parte del saggio
Le devoilement de la dimension esthetique dans la phénoménologie d’Erwin Straus .
12
Maldiney
esordisce citando un’interessante affermazione di Schiller:
molti hanno il talento e l’intelligenza, ma tutti valgono per uno, perchè tutti sono governati
dal concetto . Triste è l’impero del concetto: di mille forme diverse ne fa’ una, indigente,
vuota..
13
Tale frase influenza non poco la teoria della morte dell’arte di Hegel. In Schiller e in
Hegel (per citare i due casi più emblematici) avviene il passaggio cruciale: mentre
prima l’arte era messa in relazione con il mondo sensibile, in questi filosofi l’arte è
posta sotto la tutela del concetto, ovvero del mondo intellettivo, ovvero dello
spirito. Merito di Hegel è, per Maldiney, l’aver messo in luce tale relazione; tuttavia
l’estetica da Hegel in poi perde di vista quello che è l’oggetto essenziale dell’estetica:
L’arte, scrive Maldiney, vive dello spirito quanto lo spirito vive dell’arte. Ma come essi
vivono l’uno dell’altra, l’estetica non lo sa dire.
di dottrina della sensibilità. Nella Prefazione alla Critica del giudizio , la quale è divisa in critica del giudizio
estetico e critica del giudizio teleologico , Kant chiama estetico il giudizio che riguarda ” il bello e il sublime
nella natura e nell’arte”.
12
in Maldiney, Henri, Regard Parole Espace, L’Age d’homme, Lausanne, 1973.
13
Schiller, TABULAE VOLTIVAE , § 62. Citato in Maldiney, Henri, op. cit., p. 124.
14
A questo punto egli dichiara fondamentali gli studi di Erwin Straus, dicendo:
Ora l’opera fenomenologica di Erwin Straus, poichè mette allo scoperto le direzioni di senso
e lo statuto esistenziale dell’aisthesis , permette la costituzione dell’estetica come scienza
rigorosa dell’arte e dell’esperienza artistica. Per far capire il senso e l’urgenza di questo
apporto, è necessario fare uno schizzo della situazione attuale dell’estetica e mostrarne il
vizio costitutivo.
14
Seguiamo quindi l’analisi di questo saggio: Maldiney prende in esame le seguenti
estetiche:
quella di Hegel, considerata il più compiuto sviluppo di quelle estetiche che
sono derivate dalla filosofia speculativa, chiamate estetiche filosofiche.
l’interpretazione, molto diffusa nel Novecento, che considera l’arte come
una forma di linguaggio.
la concezione della Gestalttheorie, ritenuta il più raffinato sviluppo delle
estetiche positivistiche, ovvero quelle estetiche che intendono applicare
all’arte i metodi scientifici delle matematiche e delle scienze naturali.
la fenomenologia di Husserl, che propone (o sembra proporre) una terza via
tra l’idealismo hegeliano e il realismo-positivista delle estetiche scientifiche.
14
Maldiney, Henri, op. cit., pp. 124-125.
15
La caratteristica principale delle estetiche filosofiche è quella di subordinare e
derivare la concezione estetica dal sistema generale della filosofia speculativa.
15
Analizzo quindi il pensiero di Hegel. Egli nelle sue Lezioni sull’estetica , riprendendo
la concezione schilleriana, annuncia che l’arte è alla sua fine;
16
del resto la voce
hegeliana non resta isolata, infatti mezzo secolo dopo Baudelaire scrive a Delacroix:
“Voi siete il primo nella decadenza della vostra arte. “ Oggi molti gridano alla
morte dell’arte, anche se da Hegel ai giorni nostri non sono mancate opere ed artisti
di notevole spessore.
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Maldiney individua subito il difetto costitutivo di queste estetiche: “ I fondatori dell’estetica filosofica, da
Kant a Schopenauer, si sono mostrati più preoccupati di accordare l’arte ai piani di clivaggio o alle linee di forza
della loro problematica generale, che di accordare lo stile delle loro domande a una nuova regione
dell’esperienza, di cui lo stile precisamente costituisce la dimensione fondamentale, che anima ogni atto
donatore originario.” (op. cit., p. 125). Almeno in nota voglio poi occuparmi della riflessione di Vico sull’arte, la
quale gode di grande fortuna nell’ambiente romantico tedesco e rappresenta di conseguenza un importante punto
di riferimento anche per Hegel. Vico da un’importanza particolare alla poesia: egli,riprendendo il problema così
come era stato pensato dal mondo greco ed in particolare da Aristotele, si interroga sul valore del mondo di
apparenze prodotto dalla poesia: tuttavia la poesia per Vico non produce apparenze, ma è la primitiva sapienza
del genere umano, la sapienza di quel mondo abitato da uomini che erano “stupidi, insensati ed orribili bestioni
“ , privi della ragione e della riflessione, ma dotati di potentissimi sensi e di una fantasia illimitata. Ciò che è
interessante notare è che questo riconoscimento della verità poetica (seppure sia una verità al più basso grado),
avviene all’interno della più ampia riflessione filosofica vichiana, in particolare quella sulla filosofia della storia.
La riflessione vichiana può quindi essere considerata una estetica filosofica ante litteram .
16
E’ la famosa teoria della Morte dell’arte . Pur essendo così conosciuta ritengo necessario fornirne qualche
cenno. Non entro comunque qui nel merito delle considerazioni sulle singole arti.
Per Hegel l’arte è una manifestazione dello Spirito Assoluto; l’arte tuttavia non ne è la sola manifestazione,
anche la religione e la filosofia sono manifestazioni dello Spirito Assoluto. Esse hanno quindi lo stesso
contenuto, ma vi accedono in modi diversi:
l’arte attraverso la sensibilità.
la religione attraverso il sentimento.
la filosofia attraverso la ragione.
L’Assoluto si mostra all’uomo in forme diverse; tali forme non sono equipollenti: infatti la concezione hegeliana
è una concezione progressista: in senso cronologico sono manifestazioni fondamentali dell’Assoluto prima l’arte,
poi la religione, infine la filosofia. La storia è dunque il prodursi di diversi modi di vivere l’Assoluto.
Questa tabella ci facilita nella lettura di tale concezione.
EPOCA MANIFESTAZIONI DELL’ASSOLUTO
Grecia Arte
Medio Evo Religione
Mondo Moderno Filosofia