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INTRODUZIONE
L‟assassinio, in generale, ove la simpatia degli uomini è rivolta unicamente
all‟assassinato, è fatto che desta un grossolano senso d‟orrore, per questo che
rivolge il nostro interesse soltanto sul naturale ma ignobile istinto pel quale siamo
attaccati alla vita. […] Tale istinto abolendo ogni distinzione fra gli uomini fino ad
abbassare il più eccellente di essi al livello del «bruco meschino» mostra la natura
umana nel suo aspetto più vile ed umiliante. Tale aspetto non è affatto interessante
per un poeta. Che deve dunque fare il poeta? Rivolgere il suo interesse sopra
l‟assassino. La nostra simpatia dev‟essere adunque per lui. […] Nell‟assassino,
dico in un tipo d‟assassino del quale il poeta può compiacersi, debbono infuriare
grandi burrasche di passioni – gelosia, ambizioni, odio, vendetta – che faranno del
suo animo un inferno: ed è appunto dentro a tale inferno che noi dobbiamo
scrutare.
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È possibile descrivere un delitto da un punto di vista estetico? E fino a che punto la
morale rappresenta un impedimento? De Quincey, a questo proposito, compie un passo
decisivo con L’assassinio come una delle belle arti, nel quale lo scrittore inglese
teorizza la possibilità di considerare l‟omicidio come, appunto, un‟opera d‟arte,
sovvertendo, per la prima volta, il potente impianto etico a favore di un‟analisi estetica.
Il primo capitolo presenta un‟analisi dei concetti e dei riferimenti letterari enumerati da
De Quincey nell‟edizione completa del saggio (1851), oltre a un excursus sulle atrocità
degli imperatori della Roma classica. La tesi dello scrittore inglese trova la sua
legittimazione nel concetto di sublime, elaborato da Burke e perfezionato da Kant, che
De Quincey applica, in modo brillante e innovativo, all‟assassinio: relegata in secondo
piano la legge morale, si può affermare che la sensazione sublime di smarrimento e
impotenza che si prova di fronte alle più maestose manifestazioni della natura
corrisponde al terrore del soggetto che si trova a contemplare un‟azione delittuosa.
Essendo l‟approccio imprescindibile dalla percezione del soggetto, la tesi di De Quincey
prende corpo nella figura del testimone, protagonista di alcune sue cronache e spettatore
privilegiato dell‟omicidio in via di compimento. Il suo rapporto ravvicinato con
1
T. De Quincey, Bussano alla porta di Macbeth, Caddeo, Milano 1921, pp. 18-19.
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l‟assassino sublima nel voyeurismo di registi quali De Palma e Hitchcock, che spesso
costruiscono il loro cinema intorno al punto di vista dell‟osservatore, occhio rivelatore
ed elemento cruciale del plot.
Lo studio di questi e altri film apre il secondo capitolo, che si orienta su diramazioni e
punti di vista dai quali si può sviluppare l‟estetizzazione del delitto, come l‟antidetective
story, il pure murder e la trance dell‟assassino. Il saggio di De Quincey dà rilievo e
prestigio al ruolo del criminale, a suo agio nei panni dell‟artista e protetto addirittura
dall‟aura dell‟eroe, che la figura del detective, creazione della società borghese, cerca di
sottrargli a tutti i costi, in un duello che si protrae dalla metà dell‟Ottocento fino a oggi.
L’assassinio come una delle belle arti non è, nonostante l‟irriverente humour nero,
completamente slegato da un condizionamento moralistico, ma resta, in ogni caso, un
punto di partenza per la sperimentazione artistica del delitto in tutte le sue sfumature, su
tutte quella del pure murder. Impensabile per un romantico, il delitto gratuito, portato
all‟estremo da Sade, si manifesta in ogni forma e pensiero possibili: dal cruento Tito
Andronico all‟esercizio gratuito, quasi divertito, del protagonista di A ritroso di
Huysmans, figlio di quel decadentismo che ispira i rocamboleschi delitti dei personaggi
di Wilde.
Aspetto fondamentale di un‟estetica del delitto è la psicologia dell‟assassino, in
particolare lo stato di trance, di suspension, nella quale egli vive un distacco dalla realtà,
confrontandosi con la delicata e inquietante prospettiva di un atto criminoso. Da
Macbeth a Raskolnikov, il punto di vista dell‟assassino consente la completa
immedesimazione del fruitore in un mondo sconosciuto e pericoloso, ma che rivela la
sinistra appartenenza dell‟istinto omicida alla complessità della natura umana. Come nel
caso dello studente russo, lo spettro dell‟omicidio non solo si presenta come elemento
scatenante dell‟azione, ma, manifestandosi dopo il crimine, costringe l‟assassino al duro
e infinito confronto con la propria coscienza. Il senso di colpa e il desiderio di
espiazione rappresentano il ritorno della morale, esclusa nel piano di De Quincey, ma
che rinasce nell‟animo stesso dell‟assassino, facendogli pesare il suo debito verso Dio,
inevitabilmente insanabile a causa del complesso di inferiorità dell‟uomo nei confronti
dell‟autorità morale.
Seven, oggetto del terzo capitolo, è la giusta compenetrazione tra l‟elemento etico e
quello estetico, entrambi caratterizzanti la missione di John Doe, giustiziere dei
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peccatori indulti nei sette vizi capitali. Il rigore morale del killer si concretizza
nell‟attenta e meticolosa preparazione dei delitti, torture mortali, impietose tanto quanto
la punizione divina. Assassino come intellettuale e come artista, Doe è lettore accanito e
scrittore prolifico, prima di trasformare quelle che saranno poi le scene del delitto in
autentiche installazioni, opere d‟arte nelle quali ogni dettaglio è studiato con cura e il
corpo della vittima riporta in auge l‟inquietante iconografia tardomedievale, che ritraeva
il peccatore afflitto da torture inimmaginabili. Il ruolo di Doe è ulteriormente
significativo in un contesto come quello della metropoli americana contemporanea,
massima espressione di una società che, dimentica del proprio substrato cristiano, si può
definire atea: si commettono peccati capitali ogni momento, ma vengono tollerati in un
mondo superficiale che ha scordato i dogmi della religione. Ma il retaggio della morale
è dietro l‟angolo e non tarda a manifestarsi nel momento in cui l‟evento straordinario,
gli omicidi di Doe, ricorda all‟uomo la sua condizione di peccatore e risveglia la paura
della dannazione eterna. L‟uomo non si può liberare dalla legge morale che alberga
dentro di lui.
Ed ecco che l‟estetizzazione del delitto trova la sua espressione più alta laddove il
dramma interiore rispecchia l‟eterno confronto tra etica ed estetica, proprio in quel
Macbeth che ha tanto impressionato De Quincey e che l‟ha convinto a portarlo come
esempio per la sublime lotta tra le manifestazioni del bene e del male, tra la realtà
quotidiana e il mondo parallelo dell‟assassino.
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1 DE QUINCEY E L’ARTE SUBLIME DELL’OMICIDIO
1.1 SCACCO ESTETICO ALLA MORALE
Prima di mettere in scacco l‟inquietante spettro della morale, Thomas De Quincey,
come preludio al suo saggio L’assassinio come una delle belle arti, pubblicato sul
Blackwood’s Magazine nel 1827, si affida ad un artificio classico per l‟epoca, quello del
„manoscritto ritrovato‟. Tradizionalmente un espediente degli autori per declinare ogni
responsabilità sugli effettivi contenuti della narrazione, l‟uso che ne fa De Quincey è
invece una brillante provocazione nei confronti della tradizione stessa. Infatti,
nell‟iniziale Avvertenza, un pedante moralista mette in guardia il pubblico su una
misteriosa
società degli intenditori d‟assassini. Si professano curiosi in materia di omicidio;
amatori e dilettanti nei vari tipi di carneficina; e, in breve, appassionati di assassini.
A ogni nuova atrocità del genere […], essi si riuniscono e la commentano come
farebbero con un quadro, una statua o altra opera d‟arte […] M‟è capitata tra le
mani per caso, malgrado la sorveglianza che essi esercitano per tener nascosti al
pubblico i loro verbali. Pubblicandola li si metterà in allarme, e la mia intenzione è
appunto questa.
2
È chiaro dalle primissime pagine che la figura del moralista viene messa alla berlina,
soprattutto alla luce del tenore dell‟intera opera, caratterizzata da uno humour di
altissimo livello. Humour nero, per la precisione; non a caso De Quincey, al quale
“l‟espressione humourist si addice meglio che a chiunque altro
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”, è uno dei protagonisti
dell‟Antologia dello humour nero di Breton, che è ben cosciente di quanto sia un pregio
essere degni esponenti di questa rara attitudine umoristica.
Per prendere parte al torneo nero dello humour, bisogna infatti aver superato
numerose prove eliminatorie. L‟humour nero è limitato da troppe cose, quali la
stupidità, l‟ironia scettica, la facezia senza peso… (enumerarle tutte sarebbe lungo)
ma è soprattutto il nemico mortale di quel sentimentalismo dall‟aria eternamente
2
T. De Quincey, L’assassinio come una delle belle arti, Mondadori, Milano 1994, p. 17.
3
A. Breton, Antologia dello humour nero, Einaudi, Torino 1996, p. 67.
8
braccata – quel sentimentalismo sempre all‟acqua di rose – e di una certa fantasia
di corto respiro, che troppo spesso si spaccia per poesia.
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È comunque doveroso ricordare che l‟intero corpus del saggio è composto da tre scritti,
appartenenti a diversi periodi; alla già citata Prima relazione del 1827, sono seguiti una
Seconda relazione nel 1839 – anch‟essa comparsa su un‟edizione del Blackwood’s
Magazine – e un Poscritto, allegato all‟edizione del 1854 delle opere complete
dell‟autore. Se nelle prime due relazioni il tono è appunto umoristico e ai limiti del
goliardico, pur non privo di perle di erudizione, il Poscritto si distingue per un vigoroso
cambio di registro, serioso e a tratti cupo, per la descrizione puntigliosa degli efferati
omicidi di Williams e dei M‟Kean; qui De Quincey attinge a piene mani dalla sua
esperienza di giornalista, pur arricchendo con frangenti di autentico thriller la sua prosa
cronachistica.
La voce narrante del saggio è quella di un “incaricato dell‟arduo compito di tenere la
Conferenza su Williams e l‟assassinio considerato come una delle belle arti
5
”, che
introduce subito i presupposti da cui prende piede l‟analisi dell‟arte di uccidere:
La gente comincia ad accorgersi che nella composizione di un bell‟assassinio v‟è
qualcosa in più di due sciocchi, l‟uccisore e l‟ucciso, un coltello, una borsa e un
vicolo buio. Trama, signori, armonia scenica, luce e ombra, poesia, sentimento,
sono ora giudicati indispensabili a prove di questa specie. Il signor Williams ha
elevato in noi tutti l‟ideale dell‟assassinio […], egli ha condotto la propria arte a un
punto di colossale sublimità; e come osserva il signor Wordsworth, ha in certo
modo “creato il gusto secondo cui va apprezzato”.
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Il punto di svolta è l‟introduzione di un duplice punto di vista da cui l‟omicidio può
essere contemplato, in modo da ridimensionare l‟aspetto etico in favore dell‟esperienza
emozionale del fruitore. La cautela con cui viene presentato questo enorme passo in
avanti permette ai componenti di questa Società di affrancarsi dalla prevedibile accusa
di essere considerati
4
Ivi, p. 17.
5
T. De Quincey, op. cit., p. 18.
6
Ibidem
9
Immorali! Dio mi benedica, signori, cosa voglion dire con ciò? Io sono, e sarò
sempre, per la moralità, per la virtù e tutto questo; affermo e sempre affermerò che
l‟assassinio è una linea di condotta sconveniente […] Ogni cosa, a questo mondo,
ha due manici. L‟assassinio, per esempio, può essere preso per il manico morale
(come avviene generalmente sul pulpito, e all‟Old Bailey); e quello, confesso, è il
suo lato debole; oppure può essere trattato esteticamente, come dicono i tedeschi –
cioè in relazione al gusto.
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In effetti il termine „esteticamente‟ non gode di una spiegazione efficace in questo
contesto, anzi, è piuttosto generico, viste le sfaccettature che lo contraddistinguono,
appunto, in ambiente tedesco; soprattutto l‟accezione in cui De Quincey lo utilizza è più
che significativa nell‟assorbimento del termine stesso nella filosofia occidentale a
seguire, dal momento che la Critica del giudizio di Kant – testo chiave per il concetto di
estetica – verrà tradotta in inglese con più di un secolo di ritardo. Quindi è chiaro
quanto sia delicata e spiazzante la scelta di applicare un termine che non ha trovato
ancora una definizione al tema dell‟assassinio. Estetica è, nel Settecento, un
atteggiamento teorico più che una disciplina compiuta; è un‟esperienza dei limiti del
pensiero, cioè di quegli ambiti disciplinari che non sono mai riducibili a fenomeno
esclusivamente conoscitivo: l‟estetica indica che la filosofia non è una disciplina
autoreferenziale, cioè non ha per oggetto se stessa o la purezza del pensiero, bensì la
realtà della natura o della vita psicologica dei soggetti. La disciplina vede la luce con
Aesthetica (1750 – 1758), l‟opera di Alexander Gottfried Baumgarten, anche inventore
del termine stesso, derivato dall‟uso sostantivale dell‟aggettivo greco ,
attinente dunque all‟ambito della sensazione, della sensibilità. Per Baumgarten l‟estetica
è la scienza della conoscenza sensibile e si pone come „gnoseologia inferior‟, arte del
pensare bello, il cui orizzonte è la bellezza, che è essenzialmente quella armonica
dell‟arte. Se dunque l'estetica è un analogo della ragione, ha un legame con la logica;
ma il contemporaneo apparire del problema della bellezza amplia ulteriormente i suoi
confini conoscitivi, definendola su un terreno esperienziale come „osservabilità della
perfezione‟ che genera piacere. Spicca un riconoscimento di un‟attività umana che era
ritenuta inferiore, quindi la possibilità di una più compiuta valutazione dell‟uomo nella
7
Ivi, pp. 19-20.
10
sua totalità, che non si riduce alla mera conoscenza logica, che appunto con l‟estetica
costituisce i due versanti della gnoseologia baumgartiana.
Fondamentalmente l‟attenzione è spostata dall‟oggetto d‟arte al fruitore, focalizzando la
relazione tra soggetto e oggetto, basilare nel discorso di De Quincey, nel momento in
cui un soggetto è chiamato a giudicare, appunto, esteticamente un omicidio.
Chiara la sintesi di Joel Black, nel suo saggio interamente improntato sull‟estetica del
delitto:
On the one hand, the object can be created, the idea conceived, the event
engineered, or the act performed by the artist with the express intention of making
it a work of art, whatever the “artist” may mean or understand by “art”. On the
other hand, any object or idea may be experienced or interpreted by a beholder as a
work of art-again, according to whatever the beholder‟s definition of “art” may be.
The first alternative is artistic, and entails the artist‟s production of an artifact. The
second alternative is aesthetic, and refers exclusively to the beholder‟s subjective
experience, regardless of whether or not the object of this experience was intended
as a work of art or designed for the beholder‟s aesthetic enjoyment.
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Il pensiero estetico è poi perfezionato nella Critica del giudizio di Kant, che, pur
dubbioso sulla concezione di „estetica come scienza‟ di Baumgarten, ne adotta
comunque il termine. Per Kant l'estetica è trascendentale e si occupa delle forme dell'
intuizione dei fenomeni; tale intuizione offre la materia che l'intelletto plasma. È un
giudizio riflettente, cioè che riguarda il sentimento, dal momento che la
rappresentazione si riferisce ad un oggetto “mirando non alla sua determinazione in
quanto tale, bensì alle molteplici possibilità funzionali del soggetto, quando instaura con
la natura non una relazione conoscitiva, bensì un rapporto libero
9
”. Ciò che è puramente
soggettivo nella rappresentazione di un oggetto, vale a dire ciò che costituisce il suo
rapporto col soggetto, non con l‟oggetto, è la sua qualità estetica; “ma quell‟elemento
soggettivo di una rappresentazione che non può essere oggetto di conoscenza, è il
8
J. Black, The Aesthetics of Murder, Johns Hopkins Univeristy Press, London 1991, p. 12.
9
I. Kant, Critica del giudizio, Laterza, Roma 2008, p. 159.