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danzavano tra campi fioriti, o Klinger che trasferì sulle pareti di un vestibolo ariose scene di
fantasie marine, ispirandosi a Böcklin, l’artista prediletto dal committente Julius Albers.
Il decoratore può trovarsi di fronte a una duplice possibilità operativa: eseguire una decorazione
per un luogo preesistente, quindi adattare il proprio stile pittorico allo stile architettonico dello
spazio o progettare una decorazione ex-novo, esprimendo la sua libertà creativa e talvolta
cambiando radicalmente il proprio stile. Nella tesi ho proposto entrambe le soluzioni:
Edward Burne Jones, de Chirico, Redon, e Magritte rientrano nel primo caso, cioè applicano le
loro decorazioni in luoghi fortemente caratterizzati da un arredo e da una struttura
precedentemente collocate.
Burne Jones non aveva previsto il “Ciclo della Rosa selvatica” per la residenza di Buscot Park
e lo adattò al salone per via di pannelli di raccordo e cornici scolpite e dorate, sulle quali
iscrisse alcuni versi poetici che aiutavano la comprensione delle principali scene, ispirate alla
favola della Bella Addormentata. Lo stile era pittorico cioè rivelava una resa plastica e
mimetica del reale, dettagli molto elaborati e colori saturi e contrastanti che in una
decorazione dovrebbero essere riassorbiti in stesure cromatiche à-plat di toni attenuati e in
composizioni semplici.
Anche Odilon Redon eseguì i suoi trittici per una biblioteca preesistente, nell’ Abbazia
cistercense di Fontfroide e il suo stile rimase pittorico, infatti sia nelle superfici dei suoi quadri
che nei pannelli della biblioteca gli sfondi erano modulati in campiture larghe e ovattate di
colori accesi e spesso dissonanti sulle quali erano sparse pennellatine vibranti, a tratteggio o a
piccoli tocchi liberi per sfrangiare la materia, mostrando una realtà dipinta altamente
visionaria che raggiunse l’astrazione, liberandosi da ogni vincolo compositivo, evidente nelle
equilibrate composizioni di Puvis de Chavannes, il quale pur lavorando per uno spazio dato,
seguiva da buon decoratore i principi di armonia cromatica e consonanza spaziale.
Giorgio de Chirico propose una decorazione anomala che non era parte integrante dello
spazio, ma una serie di dipinti appesi al muro. “La Sala dei Gladiatori “ è decorativa
soprattutto perché i dipinti sono disposti in una sequenza narrativa, raccontando dall’ inizio all’
epilogo, il combattimento dei gladiatori , la corsa dei carri , la loro vittoria e il loro riposo.
Anche de Chirico trasferisce la sua pittura nella decorazione entrando in contrasto con le
esigenze della bidimensionalità della parete: la materia è densa, il tocco vibrante traccia
andamenti filamentosi, screziati di toni accesi, la deformazione anatomica dei gladiatori e i loro
corpi esaltati da un chiaroscuro netto rivelano la personalità e il talento dell’artista, piuttosto
che ricomporsi in forme equilibrate e concordanti. Solo in due tele della Sala, “La corsa dei
carri “ e “Gladiatori e belve” l’artista raggiunge una maggiore astrazione: i muscoli dei
gladiatori, michelangioleschi nelle tele grandi qui si riducono a volumi primari, disponendosi in
una successione ritmata, esaltata dal formato allungato e stretto delle tele.
Réne Magritte rimase coerente con il suo stile pittorico impersonale e ingenuo, affidando
ad altri artisti l’esecuzione del fregio “ Il Regno Incantato” nel Casinò di Knokke Heist le
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Zoute. I motivi di questa scelta stilistica, come vedremo non saranno dettati da motivazioni
estetiche o dalla voglia di comunicare se stesso.
Magritte fra tutti gli artisti da me proposti attuò una complessa riflessione sul fare pittura, sul
rapporto tra rappresentazione pittorica e mentale della realtà che si rivelava ai suoi occhi pura
immagine illusionistica. Magritte trascurava ogni impeto o passionalità pittorica, per far
emergere l’assurdo del quotidiano.
Nella seconda soluzione operativa rientrano invece i secessionisti, coerenti con il loro stile
modulare e stilizzato che propongono nei fregi decorativi, nelle strutture architettoniche e nella
grafica ai quali aggiungo Ernesto Basile, Ettore Ximenes e Amedeo Bocchi, artisti che di
riflesso risentono del fermento innovativo del Modernismo e della Secessione, riprendendo
alcune soluzioni stilistiche fino a sfiorare il plagio: si veda l’impronta di Alfons Mucha nelle
decorazioni di Villa Igea, le ceramiche e le vetrate policrome Art Nouveau di Ximenes o le
figure iconiche di un Klimt nelle allegorie di Amedeo Bocchi della Cassa di Risparmio di
Parma.
Infine Josef Hoffmann che esalta nel palazzo Stoclet, il quadrato e l’ essenzialità della linea
retta e Fernand Khnopff che nel soffitto della “Sala dei Matrimoni” del Municipio di Saint
Gilles dipinge alcune tele rimanendo fedele alla sua pittura morbida e smaterializzata,
raggiungendo però astrazioni pure soprattutto nelle tele a lunetta, sfondi nebulosi di
campiture sfumate o nei “ Quattro Elementi”, dove la purezza del bianco e la linea grafica
riecheggiano Klimt.
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Capitolo 1 Edward Burne Jones e il “Ciclo della Rosa Selvatica”,1873 -1890
Introduzione
L’ effetto pittorico del ciclo decorativo della “Rosa selvatica”, giustifica l’approccio di Burne
Jones verso le due discipline: la sua pittura era decorativa e la decorazione era pittorica. Non è
un gioco di parole. Per l’artista inglese i due campi non erano separati in quanto sia una tela che
una parete erano considerati da lui superfici in cui orchestrare forme e colori. L’essenza
decorativa della sua pittura risiedeva in una linea stilizzata e ritmica e in una costruzione
artificiosa dello spazio. Rispetto alla pittura virtuosa e materica di un Rossetti, Burne- Jones
esaltava la bidimensionalità, adottando alcune soluzioni compositive: sceglieva tele dal formato
allungato, disponeva in spazi claustrofobici e ornamentali figure femminili dai corpi esili e
ridotti a sagome ravvicinate, sedute o in processione, abbigliate con vesti dalle pieghe pesanti e
articolate. Anche il riflesso della figura in un pavimento o in un lago contribuiva alla
bidimensionalità, annullando ogni profondità prospettica. Ne sono esempi i dipinti “ Lo
specchio di Venere” del 1878 o “ Le Nozze di Psiche” del 1895, riprodotti in basso.
Lo specchio di Venere, 1878.
Le Nozze di Psiche, 1895
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Burne - Jones prediligeva il formato allungato e il carattere sequenziale di fregi e cicli, perché
attraverso la loro continuità poteva esaltare il racconto delle storie mitologiche e medievali,
fonti fantastiche che stimolavano la sua immaginazione. Non si sentiva un artista del proprio
tempo, anzi cercava di sfuggire ad esso e ai suoi avvenimenti costruendosi un mondo libero da
ogni interferenza materiale, più autentico e perfetto di quello reale: un mondo sublimato nella
sospensione letteraria e poetica. Egli definiva la sua pittura un “ paese dei sogni” perché non
era un riflesso di una visione en-plein air ma di una visione interiore, di paesaggi mai esistiti
ma desiderati, popolati di figure ideali, dai volti identici perché non ritratti dal vero e dalle
espressioni perennemente vaghe e quasi prive di vita.
L’artista progettò per la ditta Morris & Co e per il suo mecenate William Graham numerosi
cicli pittorici: uno dei più importanti, paragonabile alla Rosa Selvatica per elaborazione e
fama, è “ Il Ciclo di Perseo” che descrivo brevemente. Iniziato nel 1875 per decorare le pareti
della sala da pranzo del politico Arthur Balfour , non fu terminato a causa di alcuni
esperimenti con materiali particolari come lo stucco con cui Burne –Jones voleva eseguire
bassorilievi di alcuni cartoni preparatori. Rimangono molte tele ad olio che narrano le vicende
eroiche di Perseo, figlio di Zeus e Danae che per sottrarre la madre alle pretese del tiranno
Polidette gli promise la testa di Medusa.
Burne-Jones rappresentò la prima impresa nel cartone “ Perseo e le Graie” del 1877 – ’80 in
cui fu raffigurato l’eroe al cospetto delle tre Graie, sorelle anziane delle Gorgoni, che avevano
un solo occhio e un solo dente ( foto 1 Appendice). Perseo rubò l’occhio e il dente e costrinse
le donne a rivelargli il luogo segreto delle ninfe, l’ Isola di Serifo.
Cartone ad olio, “Perseo e le Graie”, 1877-‘80
La scena successiva “ Perseo e le ninfe del mare” del 1877 raffigurava l’ incontro tra Perseo e
le creature marine, di botticelliana bellezza, le quali gli donarono i sandali alati e un elmo
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invisibile per non essere riconosciuto da Medusa e anche un Kibisis, la magica borsa in cui lui
avrebbe trasportato la testa della Gorgone.
Dipinto ad olio, “ Perseo e le ninfe del mare”, 1877
La decapitazione fu raffigurata nel cartone “ La morte di Medusa“ del 1882 , dove Perseo,
inconsapevole dell’unione tra Medusa e Poseidone, tagliando la testa fece uscire fuori i due
figli della Gorgone: il cavallo alato Pegaso e il gigante Crisaore.
“ La morte di Medusa”, 1882
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L’ultima scena dipinta, la più famosa è “ Il destino compiuto” del 1884-’85, in cui Perseo si
trova nella terra degli Etiopi per liberare Andromeda, la figlia di Cefeo, condannata da
Poseidone ad essere divorata da un mostro marino. Nel dipinto le figure più belle sono il nudo
classico di Andromeda e le spire serpentine del mostro che presentano una superficie
metallica, a cui corrisponde l’armatura metallica di Perseo, in cui l’artista elaborò un intreccio
di forme sinuose e dinamiche, esaltando ancora una volta la linea.
“ Il destino compiuto”, 1884-‘85
Sento vicina a me la sensibilità di Burne Jones e soprattutto la sua pittura fiabesca e narrativa.
Anch’io in questi anni ho dipinto principalmente opere ispirate a romanzi e fiabe, testi che mi
hanno permesso di dare forma a figure immaginarie e distanti, riaffiorate nei miei ricordi. In
particolare ho scelto il Ciclo della Rosa Selvatica perché è ispirato alla favola della Bella
Addormentata, un soggetto ricorrente nella mia produzione accademica.
In Appendice ho riprodotto alcune opere ispirate alla favola: nei dipinti “ Aurora” e “L’
incantesimo di Aurora”, entrambi del 2004, ho narrato due momenti della fiaba.
Nel primo, il sonno della principessa e nel secondo l’istante precedente, quando Aurora si
punge con il fuso. Il titolo Aurora allude sia al nome della principessa che all’aurora che entra
dalla finestra.
L’altra opera è del 2007, un Libro d’Artista in cui ho illustrato i tre atti della Bella
Addormentata, nella versione musicale composta nel 1889 da Petr Cajkovskij.
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Edward Burne -Jones e il Ciclo della Rosa Selvatica, 1873 - 1890
Il “ Ciclo della Rosa Selvatica”: genesi dell’ opera
Il ciclo pittorico della Rosa Selvatica narra la favola della Bella Addormentata e impegnò
l’artista per oltre vent’anni, dal 1870 agli anni ’90, come testimoniano le numerose versioni del
soggetto. L’ universo immaginario e onirico delle favole affascinò molto Burne Jones, fin dal
1864 quando progettò alcune maioliche per decorare la casa di Myles Birker Foster, presso
Witley. I pannelli maiolicati furono eseguiti dalle maestranze della ditta di decoratori Morris,
Marshall, Faulkner & Co fondata nel 1861 dal designer-scrittore William Morris, specializzata
nella produzione di vetrate, mobili e ceramiche. I soggetti dipinti sulle maioliche di Foster erano
tratti da “Cenerentola” (foto 1a ), “La Bella e la Bestia” ( foto 1b) e “ La Bella
Addormentata”( foto 1c). In particolare, quest’ ultimo pannello fu il primo approccio al soggetto
ed era suddiviso in nove scene che illustravano le vicende della principessa, dalla sua nascita
fino al lungo sonno incantato. In basso riportava un’ iscrizione : “ Un principe liberò la figlia di
un Re da un sonno di cento anni, nel quale lei e i suoi cari erano stati gettati da un incantesimo.”
Intorno al 1869 l’ uomo d’affari di Glasgow William Graham, nonché mecenate di Burne Jones,
commissionò all’ artista dipinti sul tema della principessa addormentata e dei cavalieri incantati (
foto 1d). Burne Jones, incoraggiato da questo incarico, contemplò l’espansione del soggetto, in
una serie di dipinti grandi e nel 1870 dipinse subito una scena,” I cavalieri addormentati nel
bosco selvatico” (foto 2). Il dipinto, oggi custodito alla Walker Art Gallery di Liverpool,
presenta alcuni cavalieri nudi in un bosco di rovi aggrovigliati. Assente è la figura del principe in
piedi, che ritroveremo nelle versioni successive. Tra il 1871 e il 1873 l’artista rielaborò la favola
dipingendo una serie di tre tele di dimensioni modeste, conosciuta come “ La piccola Rosa
Selvatica” dove, alla prima scena de “ Il Bosco Selvatico ” ( foto 3a) aggiunse “La Stanza del
Consiglio” ( foto 3b) e “ La Dimora della Rosa ” ( foto 3c). La serie è oggi esposta al Museo de
Arte de Ponce a Puerto Rico.
Nei documenti del 1872 furono registrati quattro dipinti della serie, ma la quarta scena “Il
Cortile Del Giardino” fu eseguita solo negli anni ottanta. Nel 1873 infatti, l’artista considerò
l’idea di ampliare il formato delle tele ( oltre il metro e venti) e offrì il progetto a Graham che
rifiutò per mancanza di spazio. Burne Jones, allora, iniziò a dipingere nuove tele nel 1884,
rappresentando per primo “Il Bosco Selvatico” . Nel 1885 terminò anche gli altri tre soggetti
che furono acquistati nello stesso anno dai galleristi Agnew & Sons, grazie alla mediazione di
Graham. Impegnato a dipingere la suddetta serie, Burne Jones aveva interrotto l’ultimazione di
altre tre tele sulla Bella Addormentata, terminate solo dopo il 1890. Oggi sono disperse in tre
musei : “ Il Cortile del Giardino” (foto 4a) è al Bristol City Museum and Art Gallery, “ La
Camera del Consiglio”(foto 4b) al Delaware Art Museum di Wilmington e “La Dimora della
Rosa”( foto 4c) alla Huge Lane Gallery of Modern Art di Dublino.
Nonostante il successo della vendita presso Agnew, Burne Jones era insoddisfatto e rielaborò le
tele nel 1885. Tra il 1887 e il 1889 ridisegnò tutte le figure delle fanciulle dormienti,
presumibilmente riferendosi al “Cortile in Giardino”. Finalmente nell’ Aprile del 1890 la serie fu
ultimata e comprendeva quattro dipinti “ Il Bosco Selvatico”( foto 5a), “ La Camera del
Consiglio”(foto 5b), “ Il Cortile del Giardino”( foto 5c) e “ La Dimora della Rosa”( foto 5d).
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Graham aveva intuito che, oltre a un valore artistico il ciclo avrebbe avuto un valore
commerciale che in una sensazionale esposizione non sarebbe passato inosservato.
La previsione di Graham si rivelò accurata, in quanto la serie fu esibita da Agnew & Sons in
Bond Street nel 1890 con grande affluenza di visitatori, tanto che “ l’entusiasmo del pubblico
raggiunse l’estasi ”. In quanto al valore commerciale, i dipinti furono acquistati da Alexander
Henderson, Primo Lord Faringdon e installati nel salone della sua dimora presso Buscot Park,
nell’ Oxfordshire dove ancora oggi possono essere ammirati.
Il Salone della Rosa Selvatica
La residenza privata di Buscot Park ( foto 6 ) fu costruita da James Darley tra il 1779 e il 1783
per Edward Loveden un magistrato che, ancora bambino, ereditò dallo zio la tenuta di Buscot. L‘
edificio, in stile neorinascimentale fu acquistato poi da Alexander Henderson, un abile
finanziere, che iniziò a collezionare dipinti. Durante la permanenza del secondo Lord Faringdon,
Gavin Henderson, Buscot Park fu sede di conferenze politiche. Il Salone ( foto 7) conserva
ancora l’ ottocentesco soffitto in stucco, che insieme alle porte in mogano appartengono al
periodo di Loveden. I mobili e la tappezzeria in seta, in stile Impero recano il marchio dell’
ebanista Pierre-Antoine Bellange (1757-1840).
Degni di nota, la coppia di tavolini semicircolari con gambe parzialmente dorate e con i ripiani
finemente intarsiati con motivi floreali. Probabilmente essi furono donati da Giorgio III° durante
il suo soggiorno a Buscot.Sui loro ripiani poggiano vasi in ceramica cinese del periodo Kangxi (
1662-1722) e un piatto che reca il sigillo Jiaqing ( 1796-1820). Altri due comodini realizzati da
Giuseppe Maggiolini, si trovano agli angoli della sala. La loro manifattura è in stile Luigi XV e
hanno ripiani in marmo di Brescia. Su uno di essi è visibile l’orologio in marmo bianco e bronzo
della Martinot di Parigi e una coppia di piatti bianchi del periodo Song ( 760-1280). Il tavolo al
centro della sala è in mogano e bronzo e sorregge due vasi in vetro blu dal collo allungato della
Dinastia Qianlong (1736-1795). Tra gli elementi d’arredo più preziosi troviamo un lampadario in
vetro veneziano, esposto alla Grande Esposizione di Londra nel 1851 e un enorme tappeto tardo
ottocentesco realizzato da Ziegler.
Il resto della tappezzeria, con gli arazzi in seta d’ oro è contemporaneo al ciclo della Rosa
Selvatica. Al momento dell’ installazione dei quattro dipinti, Burne-Jones pensò di esaltarne
la continuità, intervallandoli con dieci pannelli di raccordo, dipinti ad olio e dai formati allungati
e quadrati che trasformarono l’opera in un fregio. I pannelli raffigurano scene di interni e scale
invase dai rovi, come se noi potessimo entrare nelle stanze del palazzo addormentato.
Osservando il Salone, dalla parete sinistra ( foto 8) si può rilevare il seguente ordine: il primo
pannello “L’atrio di pietra con rovi fioriti”, poi il dipinto principale “Il Cortile del Giardino”, un
altro “Atrio di pietra con rovi fioriti”, ” La cucina coperta di rovi”( foto 9), ” La cucina con la
credenza coperta di rovi” e “ La Dimora della Rosa” ( installata sopra il camino). Poi in
successione “ Una cucina, con lavabo, asciugamani e rovi”, “Rovi”, “ Il Bosco Selvatico”,
“rovi”, ”Rovi con elmetti “( foto 10), “ Un terrazzo, con una tenda sospesa davanti ai rovi fioriti”
la “Camera del Consiglio” e infine un’altra “ Tenda sospesa davanti ai rovi”.
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Dal 1956 la tenuta agricola di Buscot Park è salvaguardata dal National Trust (Ente Nazionale)
che si trova a Warrington, nel Regno Unito ed è amministrata dai fiduciari della Collezione
Faringdon. Nel 1995 fu compiuto un restauro del Salone per celebrare il centesimo anniversario
dell’ installazione del fregio e il centenario della fondazione del National Trust.
Il fregio come racconto: la composizione spaziale, la corrispondenza poetica
A livello compositivo, le quattro scene mostrano due elementi principali: Gruppi di figure
dormienti, individualmente belle e allo stesso tempo parte dell’ insieme e rovi. I corpi dei
personaggi sono impostati su ritmi orizzontali e fluidi mentre i rovi formano lenti arabeschi
spiraliformi. Entrambi creano una sorta di catena che, oltre a collegare le scene esaltandone la
narrazione, conduce gradualmente il principe e l’osservatore verso il culmine del Ciclo, la Bella
Addormentata. Un aneddoto interessante riguarda proprio la rosa selvatica. Edward Burne Jones
scrisse all’ amica Lady Leighton se nel suo terreno crescesse “ la rosa selvatica come quella
che lui avrebbe dipinto, dal fusto grosso quanto un polso e pieno di punte”. La donna inviò la
pianta all’ artista che iniziò a correggere il disegno dei rovi, in quanto dipinse le spine troppo
grandi. I quattro dipinti e le dieci scene annesse sono incastonate in cornici di legno dorato e
intagliato, in cui sono iscritti dei versi poetici. Essi furono composti da William Morris
appositamente per il Ciclo e inclusi successivamente nella raccolta “Poems by the way” del
1891, col titolo “Per la rosa selvatica”. Il componimento era stampato nel catalogo, così che le
quattro strofe potevano essere lette di fronte ai quadri. I titoli delle strofe e quelli dei dipinti
coincidono; sono “ Il Bosco Selvatico”, “La Camera del Consiglio” , “Il Cortile del Giardino” e ”
La Dimora della Rosa”. Tra poesia e immagini si instaura una particolare simbiosi dalla quale
scaturisce un’atmosfera coinvolgente. Burne Jones trascrive le strofe in quattro sequenze
pittoriche, facilitando l’osservatore nella “ lettura” del fregio. Sotto al dipinto “ Il Bosco
Selvatico “( foto 11a) i versi recitano:
“ Il sonno fatale ondeggia e fluisce sul groviglio della rosa ma ecco la mano e il cuore
destinati a lacerare la maledizione soporifera”.
Naturalmente la mano e il cuore si riferiscono alla forza e all’amore che guidano il principe
verso la meta. La composizione spaziale del dipinto riprende la scena centrale delle piastrelle
del 1864 ( foto 11b) con i rovi che aggrovigliano gli scudi dei cavalieri. Diversamente da questa,
dove simmetricamente giacciono tre figure umane, il dipinto mostra cinque cavalieri che
dormono rannicchiati e invadono il primo piano. I ritmi orizzontali dei loro corpi simboleggiano
un sonno simile alla morte. Mentre il principe in piedi col suo ritmo verticale, occupa le due
estremità della tela e simboleggia la vita ( essendo l’unico sveglio) e la determinazione nel
rompere l’incantesimo.
Il principe ha un aspetto maturo e sicuro rispetto all’ ingenuità e all’ esitazione mostrata nella
prima versione, dove l’uomo sembra proteggersi con lo scudo. L’intreccio dei rovi percorre tutto
lo spazio della tela, creando una barriera minacciosa. Morris, attraverso il rovo simboleggiò il
groviglio del bene e del male del mondo. Le armature dei personaggi, interamente inventate dall’
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artista non avevano alcun riferimento storico, perché i dipinti erano frutto della sua
immaginazione. In particolare l’armatura e l’atteggiamento del principe somigliano molto a un
disegno del 1861 raffigurante il cavaliere “ Childe Roland”( foto 11 c).
In successione, “La Camera del Consiglio” ( foto 11d ) è accompagnato dalla seguente strofa;
“ La minaccia della guerra, la speranza della pace il pericolo del Regno aumenta, dormiteci
sopra e aspettate l’ ultimo giorno quando il fato porterà via le sue catene”.
I primi versi alludono alla riunione che il Re e i suoi consiglieri stavano tenendo a proposito di
una guerra e che il sonno ha interrotto: le sue catene sarebbero state sciolte dal fato. Il vecchio
Re dorme sul trono a baldacchino. Il sonno l’ha colto nell’atto di scrivere, infatti in una mano
tiene ancora un pennino e una pergamena è srotolata sulle sue ginocchia. Anche il cortigiano ai
suoi piedi si è addormentato durante la lettura. Il tono predominante è il blu che troviamo nelle
vesti dei consiglieri e nella tenda parzialmente sollevata che lascia intravedere altri cavalieri
addormentati. Per bilanciare la figura del Re e del baldacchino l’artista inserì sulla sinistra, una
guardia con una lancia. Quest’ ultima figura è l’apice di un andamento curvilineo che, attraverso
le figure sdraiate si collega al Re. Numerose le corrispondenze tra le braccia abbandonate dei tre
dormienti al centro e le pieghe pesantemente adagiate della tenda. Un dettaglio suggestivo è la
clessidra accanto al trono, allusione al tempo trascorso durante i cento anni oppure al tempo della
vita, temporaneamente sospeso.
Per “Il Cortile del Giardino “( foto 11e) Morris scrisse :
“ Le dolci fanciulle del paese, nessun tumulto di voci o mani nessuna coppa è riempita
dall’acqua addormentata, la spola agitata giace ancora”.
In questi versi il poeta ci introduce nel cortile dove alcune tessitrici sono addormentate accanto ai
loro telai, ai quali allude la spola ( bobina che viene fatta passare tra i fili dell’ ordito). Il telaio è
anche il protagonista della favola, per via del quale la principessa cade addormentata. Ogni
movimento è cessato, non si odono le loro voci, le mani non scorrono sui telai, perfino l’acqua è
immobile. Il palo di legno divide a metà lo spazio, dove simmetricamente le fanciulle si
dispongono a gruppi di tre. Il primo gruppo a sinistra forma una diagonale discendente , che
risale nella figura della donna al centro per poi ricadere. In questo modo si crea un’ andamento
musicale che suggerisce tranquillità. Inoltre le forme hanno corrispondenze complementari;
partendo da sinistra le due fanciulle hanno il capo reclinato e speculare, al centro una ragazza è
di spalle e l’altra rivolta verso di noi. Non è da escludere un‘ interpretazione simbolista : le
fanciulle potrebbero essere in realtà la stessa donna ritratta in diversi stadi del suo sonno. Il
Giardino del Cortile era il dipinto assente nella “ Piccola Rosa Selvatica” e tra il 1887 e il 1889
fu oggetto di tanti bozzetti tra cui sei grandi schizzi a gouache. ( foto 11f, 11g, 11h).
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L’ultimo , fondamentale dipinto, “ La Dimora della Rosa “ (foto 11i ) reca l’iscrizione:
“ Qui giace l’amore ammassato, la chiave per tutto il tesoro che deve essere, arriva il cuore
destinato a portare il dono e a svegliare il mondo addormentato ”.
Il cuore è quello del principe e l’amore è personificato dalla principessa che lo attende. C’è solo
una allusione al bacio in quanto l’artista non dipinge il principe che risveglia la fanciulla. In
questo modo Burne Jones voleva stimolare l’immaginazione dell’ osservatore e lasciarlo in
sospeso. Nella prima serie, il sonno della principessa è inquieto, il suo collo e le sue spalle sono
forzate entro un angolo scomodo. La calma della fanciulla di Buscot Park è evidente dalla sua
posa rilassata e dalla sua testa che sprofonda nel cuscino. In quest’ ultima composizione Burne-
Jones riassume la progressione lineare delle figure degli altri tre dipinti. In particolare la tenda
verde determina la ciclicità del fregio. Notiamo infatti come le pieghe della tenda, sulla sinistra
ricadano verticalmente, richiamando la figura del principe in piedi. Procedendo verso destra esse
assumono gradatamente andamenti obliqui e distesi, come i cortigiani e le dame dormienti e
infine sfiorano l’orizzontale, in prossimità del corpo inerte della principessa. Così, il corpo
supino della bella addormentata, complementare al corpo eretto del principe, si congiungono.
Dietro la metafora fiabesca, Burne Jones cela dei significati affettivi molto profondi,
comprensibili solo dall’analisi appena svolta. A svelarlo è un dipinto a gouache con la
principessa e una damigella eseguito nel 1886-88. L’opera fu il regalo di nozze che l’ artista
donò alla figlia Margaret ( foto 13), sposata con J.W.Mackail nel 1888. In questo dipinto e nei
bozzetti ( foto 14) la principessa somiglia indiscutibilmente alla figlia e il quadro diventa un
riflesso della tristezza di Burne Jones per la separazione da lei, sua quotidiana compagnia. Così
come il Re vorrebbe la giovinezza della figlia intatta, così il Re-Burne Jones si rifugia in un
mondo incantato, dove la principessa Margaret può rimanere la sua bambina.
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Lo stile pittorico
Dopo questa interpretazione si può comprendere l’entusiasmo del pubblico all’ Esposizione del
1890 … e il nostro. Trovarsi di fronte a scene fiabesche è di per se un’ esperienza suggestiva,
alla quale si aggiunge un’ esecuzione pittorica perfetta. La bellezza del Ciclo risiede proprio
nello stile e nel colore, molto variabili da una versione all’ altra. Nei dipinti degli anni ’70 la
pennellata è molto morbida, le campiture di colore sono stese ora dense ora attraverso sfumature
soffuse. A Buscot la pennellata è più levigata e illusionistica nel rendere le superfici degli
oggetti. Nei primi soggetti il contorno è poco definito e il chiaroscuro non è contrastante, come si
può rilevare nella “ Dimora della Rosa” alla Huge Gallery di Dublino. O ancora nella “ Piccola
Rosa Selvatica”, le rose sono grandi e liberamente sparse mentre a Buscot i rami spinosi e
intricati predominano.
Nell‘ ambientazione è evidente la semplificazione formale, priva di orpelli decorativi. Nel ciclo
di Buscot Park invece, c’è una profusione di ornamenti, sulle tende, nei tappeti. Il contorno
nitido e preciso cesella le forme dei corpi. La loro evidenza plastica è esaltata da forti contrasti
chiaroscurali. Gli abiti ricamati aderiscono così tanto alle figure rendendole un po’ rigide, come
cristallizzate . Si osservi il Re col suo pesante manto argentato e la Bella Addormentata, fasciata
nel suo abito bizantino, più contestualizzato rispetto all’ evocativo peplo della prima principessa.
Probabilmente Burne-Jones aveva in mente la pittura del simbolista francese Gustave Moreau e
in particolare il dipinto “L’Apparizione” del 1876 ( foto 12).
Sebbene più visionario - la scena mostra Salomè spaventata dall’ apparizione della testa di San
Giovanni Battista - lo spazio architettonico e Il corpo della donna sono percorsi da preziosi
arabeschi e la figura evanescente di Erode seduto sul trono può aver ispirato il Re della “ Camera
del Consiglio”. Ai colori attenuati e uniformi delle versioni precedenti, la serie di Buscot si
accende di toni molto vivi, nel contrasto blu - rosso della “Camera del Consiglio” o
nell’accostamento complementare rosso - verde nella “Dimora della Rosa”. A questo proposito
la critica dell’ epoca ebbe alcune riserve. In particolare la rivista “ The Speaker ” riconobbe che
i colori erano superbi ma senza brillantezza.
Nella prima versione Burne-Jones esplora i significati della sua arte, dipingendo la Bella
Addormentata per raccontare una storia. L’esperienza visiva che ne risulta è espressionistica,
meno controllata rispetto alla versione tarda. Questo provocò l’insoddisfazione dell’artista che
realizzò numerosi schizzi e disegni negli intervalli di tempo tra le due versioni definitive.
Il fregio di Buscot adempie all’ idea dell’ artista rivolta ad un’ esecuzione impeccabile, rivelando
la maestria acquisita nel colore, nella forma e nella linea. L’impressione di languore è creata
dall’ effettivo uso di ritmi lineari e da un disegno controllato, gli elementi che secondo Burne
Jones dovevano esprimere la sua pittura. L’atmosfera del ciclo infatti è raggiunta grazie a un
lento profilo ondulato, alla luce unificante e all’ abilità nel rendere la forma anatomica. Questi
elementi traducono il soggetto che, dalla referenza verso il mondo naturale si separa da esso
diventando opera d’arte. Quest’ ultima interpretazione sembra riecheggiare le parole dell’artista:
“ Io amo i miei quadri come l’ orafo i suoi gioielli. Vorrei che ogni centimetro di superficie fosse
così bello che, se un frammento di essa fosse perduto, l’uomo che lo trovasse potrebbe dire che
esso è un’opera d’arte, bella in superficie e qualità cromatica”.
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La Bella Addormentata: una favola senza tempo, una suggestione poetica
La Bella Addormentata fu la fonte dove Burne Jones attinse i simboli per i suoi dipinti. La
storia della bella dormiente ha origini letterarie. Era nota all’ artista grazie a due versioni; quella
dello scrittore francese Charles Perrault ( Parigi 1628 -1703), pubblicata nel 1697 nella raccolta
“Racconti del tempo passato” e da “ Rosaspina”, la versione dei fratelli tedeschi Grimm del
1859. Le due versioni della favola narrano la celebre storia della piccola principessa, durante le
celebrazioni per la sua nascita. Le fate buone del regno regalano alla piccola tutte le virtù
femminili ma una di esse, non invitata lancia la sua maledizione; Al sedicesimo anno di età la
fanciulla sarebbe morta pungendosi con un fuso. L’ ultima fata buona trasforma la morte in un
sonno lungo cento anni, che sarebbe stato sciolto dall’ arrivo di un principe. Tra le due favole
alcuni dettagli cambiano; il numero delle fate oscilla tra 7 e 13, in Perrault c’è una maggiore
contestualizzazione storica (allude alla vita di corte del Re Sole ) e lo scrittore francese inventa
anche vicende macabre ( la madre del principe è un’ orchessa che tenta di divorare la
principessa).
L’elemento più importante, il bacio del principe è contemplato solo nella versione dei Grimm,
mentre in Perrault la Bella si risveglia solo perché i cento anni sono trascorsi. L’artista trasse
ispirazione anche da una poesia scritta nel 1842 dal poeta inglese Alfred Tennyson (
Somersby1809 – Aldworth House1892) intitolata “ Il sogno a occhi aperti ” (The Daydream)
inserita nella raccolta “Poesie” del 1842. Sia nel Ciclo che nella poesia aleggia la stessa
atmosfera distante ed evocativa. Il componimento di Tennyson è suddiviso in nove parti:
Attraverso il prologo il poeta ci introduce in un’atmosfera onirica e remota; Si rivolge a Lady
Flora parlando così : “ Un’ora piacevole ormai svanita, mentre sognando la tua guancia
rosea le palpebre si sono distese. Vicino la grata tu ti adagiasti e ti vidi sognare, dietro una
fresca estate con boschi splendenti”. Il poeta continua e suggerisce al lettore che sta per entrare
nel sogno “Anch’ io sognai, attraverso la mia fantasia, una leggenda passata”.
La leggenda naturalmente è la Bella Addormentata. Lo stesso Tennyson affermò :“ Per me il
mondo lontano sembra più vicino del presente poiché nel presente c’è sempre qualcosa di
indistinto e irreale”. Subito dopo leggiamo le tre parti direttamente riferite alla Bella
Addormentata.
Ne “Il Palazzo Addormentato” composto da sette strofe, Tennyson sembra prefigurare i dipinti
di Burne-Jones. I versi suggeriscono una dimensione immobile e silenziosa, dove “ la linfa
riposa dentro la foglia, il sangue dentro le vene, ombre deboli e deboli mormorii dai prati come
echi…” . E ancora descrive il castello e i cortigiani “ Qui ricade il vessillo sulla torre , i fuochi
festosi nel focolare…nessun suono è prodotto, tutto sembrava più simile a un quadro , di quei
vecchi ritratti di vecchi Re…” .
“Qui siede il maggiordomo con un fiasco mezzo vuoto tra le sue ginocchia, il paggio ha
afferrato la mano della damigella d’onore, le labbra di lei sono separate come per parlare,
quelle di lui come per baciare, i baroni addormentati durante il banchetto… “. Infine alludendo
al sonno centennale “ Fino a che cento estati non passeranno, i fasci di luce attraverso il
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bovindo a vetri creeranno prismi, quando cento estati moriranno e i pensieri e il tempo
nasceranno di nuovo”.
La descrizione del bosco poi è mirabilmente trasposta da Burne Jones nel “ Bosco Selvatico” :
“ Tutto intorno una siepe è germogliata, appare da lontano come un bosco. Spine, edere,
muschio un muro verde aggrovigliato di rovi. Sopra di essi, è appena visibile la più alta
guglia del castello”.
La terza parte “La Bella Addormentata” consta di tre strofe e presenta la principessa:
“ Lei giace sola sul suo divano lungo il copriletto porpora, i suoi capelli corvini sono
cresciuti e ondeggiano avanti in una treccia, il copriletto in seta modella le sue braccia
languidamente…”.
“ I suoi respiri non si ascoltano nelle stanze lontane del palazzo, i riccioli profumati giacciono
sul suo cuore incantato, lei dorme, una perfetta forma in un perfetto riposo” . La stessa forma
intangibile e composta che ritroviamo nella giovane fanciulla dipinta da Burne Jones.
Nella quarta parte intitolata “ L’Arrivo” entra in scena il principe:
“ Lui viaggia da altri cieli, il suo mantello scintilla sulle rocce – un principe fatato, con occhi
gioiosi e piedi agili più di una volpe, con scarsa conoscenza di ciò che deve cercare, rompe la
siepe ed entra”. Rispetto ai versi, notiamo come Burne Jones abbia dato allo sguardo adombrato
del principe un’aria malinconica. I versi introducono poi i cavalieri sfortunati:
” I corpi e le ossa di quelli che combatterono sono appassiti nel fitto roveto o pallidi, sono
sparsi sull’ erba. Lui guarda quei cadaveri silenziosi”. Burne Jones non dipinse quest’ aspetto
macabro, rappresentando i corpi dei cavalieri intatti e immobili nelle loro armature.
Il principe continua a riflettere sui cavalieri: “ Loro perirono nelle loro azioni, un proverbio
balenò nella sua testa “ molti falliscono: uno ha successo”.
Quest’ ultimo verso potrebbe aver ispirato l’ interpretazione morale che il critico Robert de la
Sizeranne diede a proposito del ciclo di Burne Jones : “ La causa più giusta, l’idea più autentica
non possono crescere trionfanti - per quanto coraggiosamente possiamo lottare per loro –
prima che il tempo abbia fissato con la misteriosa sentenza di forze superiori... il più forte e il
più saggio falliscono. Loro ( i cavalieri) esaurirono se stessi combattendo contro l’ignoranza e
la mediocrità della loro generazione, la quale li ostacolò come i rami della rosa selvatica e alla
fine caddero addormentati. Essi erano valorosi quanto i loro successori, ma vennero prima”.
Negli ultimi versi de “ L’ Arrivo” il principe giunge nella camera della principessa, si china sulle
sue ginocchia per baciarla. Ma Tennyson lascia in sospeso l’ istante del bacio:
“ Amore, se i tuoi capelli sono così neri come devono essere neri i tuoi occhi ! ”.
Il verso ci suggerisce che lei dorme ancora. Solo nella successiva parte del componimento ,“ La
Rinascita” Tennyson accenna brevemente alla fine dell’ incantesimo. L’ evento è compiuto e il
contatto tra i due protagonisti è sorvolato : “ Un tocco, un bacio! L’incantesimo era spezzato”.