Introduzione
Questo lavoro di tesi nasce dalla mia passione che potrei definire cine-foto-
grafica, cioè per le immagini siano esse statiche o in movimento, analogiche o digitali,
spezzettate o costruite, assemblate, fotomontate.
Dalle origini, la fotografia e il cinema hanno creato un rapporto diretto con la
realtà, così da far credere che quel che si vedeva nell’immagine era la verità, ossia ciò
che veramente si trovava davanti all’obiettivo. In realtà, e soprattutto confrontando
la fotografia con la pittura, l’immagine risultava una rappresentazione fedele della
realtà, ma presto anche questo assunto è stato confutato dalle numerose tecniche
di manipolazione della fotografia che già da fine Ottocento vennero sperimentate da
alcuni fotografi.
L’immagine costruita è centrale nelle tecniche di montaggio fotografico e
cinematografico degli anni Venti e Trenta: nella nascente tecnica cinematografica si
adoperava il montaggio alternato per creare l’unione di due punti di vista; nell’arte Dada
vi era la costruzione di una nuova immagine derivante dalla fusione, dall’accostamento
e dal montaggio di due o più immagini. I due codici si sono influenzati a vicenda, ed è
evidente la stretta parentela del fotomontaggio con il linguaggio cinematografico, i cui
caratteri peculiari sono il taglio e il montaggio delle immagini/sequenze. La differenza
potrebbe identificarsi con un paragone con il linguaggio verbale proposto da Patti,
Sacconi e Ziliani, teorici e praticanti del fotomontaggio nella controinformazione
italiana degli anni Settanta, che con il loro manuale, decidono di delineare per la
prima volta i tratti di questa tecnica artistica spesso relegata ai giochi di creatività
infantili. Secondo questo paragone, possiamo dire che il cinema spezza il flusso del
discorso visivo in frasi, mentre il fotomontaggio spezza le singole immagini in parole
o, addirittura, frantuma le parole in entità ancora più ridotte (1979, p. 10).
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In arte, il percorso del fotomontaggio è molto silenzioso e comincia con la sua
applicazione materiale nel Cubismo con il collage, che si caratterizza per l’utilizzo
di oggetti reali. Con maggiore o minore discrezione, ma sempre con l’intento di
sovvertire quelli che erano i canoni classici dell’arte, viene utilizzato da alcuni artisti,
in quasi tutte le Avanguardie storiche, fino a giungere alla sua consacrazione ufficiale
nel Costruttivismo e nel Dada, che si contendono la paternità di questo potentissimo
mezzo espressivo perché è praticamente impossibile stabilire chi è stato l’iniziatore
e l’inventore del fotomontaggio. Nel Costruttivismo la sua applicazione diviene
funzionale alla propaganda sovietica, mentre nel Dada il fotomontaggio diventa la
tecnica artistica distintiva di tutto il movimento, ma soprattutto di quello berlinese.
Il fotomontaggio berlinese prende pezzi di linguaggi diversi, come la fotografia e
la stampa, e li affianca creando tra di loro un dialogo incrociato. Ogni frammento
diventa a sua volta un testo che rinvia al testo da cui è stato tagliato, ma in realtà, una
volta che vengono ricomposti su un piano di rappresentazione proprio, i legami con
l’originale vengono tagliati, a meno che l’occhio dell’osservatore non riesca a cogliere
la citazione. Questo assemblaggio di testualità, mettendo in crisi la tesi di Benjamin
sulla scomparsa dell’aura dell’opera d’arte a causa della riproducibilità (1966, p.
43), crea una nuova testualità. A mio parere, piuttosto che distruggere l’aura, si da
vita ad una nuova opera con la propria aura, la propria unicità e un nuovo messaggio,
benché grazie alla riproducibilità oggi non più tecnica, ma tecnologica, possa essere
riprodotta infinite volte e raggiungere uno ad uno i suoi fruitori.
Nel Dada e nel Costruttivismo, il fotomontaggio diventa una vera e propria forma
di comunicazione, grazie anche alla sua applicazione nella stampa di partito, nelle
pubblicazioni dei nascenti libri illustrati, nei manifesti degli eventi ecc. È forse per
questo che il critico Eduard Roditi, nel 1959, dice che i collage dei dadaisti berlinesi,
in piena epoca della riproducibilità meccanica dell’opera d’arte, hanno accelerato
e ampliato i procedimenti meccanici della fotografia e della tipografia moderna
(cit. in Zaccaria 2005, p. 21). Infatti, oggi con il termine fotomontaggio indichiamo
spesso tutti i modi di impiego della fotografia nella stampa politica, pubblicitaria ed
editoriale e l’accostamento ad essa di altri elementi grafici e tipografici. Credo che
l’introduzione del testo nei fotomontaggi e l’attribuzione di una funzionalità specifica
abbia sottratto il fotomontaggio dall’ambito artistico per proiettarlo tra le tecniche
di comunicazione più utilizzate nel mondo contemporaneo. L’unione di immagine
e testo nei fotomontaggi artistici delle Avanguardie storiche hanno preannunciato
quella che è oggi la composizione intermediale della pagina web.
Oggi, il montaggio è un’esperienza visiva quotidiana nella televisione, e la
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molteplicità dei punti di vista nell’interpretazione di ogni immagine che troviamo in
Rete rende Internet il medium più democratico che ci sia. È qui che si diffonde la
pratica del subvertising con la quale grafici pubblicitari “pentiti” o semplici navigatori
con particolari doti grafiche e creative, grazie all’ausilio dei moderni software di graphic
design, rovesciano i messaggi delle immagini pubblicitarie che ci invadono ovunque,
attraverso l’inserimento di elementi che sovvertono quello che la comunicazione
ufficiale vuole trasmettere ai consumatori. Con lo stesso intento, i billboard bandits
utilizzano il collage e il fotomontaggio alla vecchia maniera con carta e colla per
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modificare i cartelloni pubblicitari che invadono le nostre città.
L’arte della sovversione, dunque, si esprime ancora oggi con il fotomontaggio,
proprio come avveniva nelle Avanguardie storiche, con il rovesciamento dei messaggi
politici e sociali ottenuti semplicemente decontestualizzando i ritagli originali e
ricomponendoli in shockanti costruzioni artificiali di quella che forse, in fondo, è la
realtà che non riusciamo a vedere, accecati dal bombardamento visuale della nostra
società dell’immagine.
Note
1 Cfr. alcuni testi di riferimento:
Ballardini B., La morte della pubblicità: la stupidità nell’epoca nella sua riproducibilità tecnica, Castelvecchi,
Roma, 1994.
Gruppo Marcuse Miseria umana della pubblicità: il nostro stile di vita sta uccidendo il mondo, Eleuthera,
Milano, 2006.
Lasn, K. Culture jam: manuale di resistenza del consumatore globale (traduzione di Silvia Rota Sperti),
Oscar Mondadori, Milano, 2004.
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Capitolo I
Collage e fotomontaggio
attraverso il Novecento e le sue Avanguardie
1. Panoramica sul primo Novecento
I primi anni del Novecento furono un periodo di straordinario rinnovamento cui,
naturalmente, partecipò il mondo dell’arte rimettendo radicalmente in discussione
i principi del fare artistico stesso attraverso i movimenti di avanguardia, ovvero “le
ricerche di gruppi artistici che propongono una radicale innovazione rispetto a una
tradizione artistica considerata sorpassata, accademica e insignificante”. Proprio
il rapporto con i moduli artistici ottocenteschi ha spinto la critica a considerare
storiche le Avanguardie di inizio Novecento, distinguendole terminologicamente
dalle “avanguardie contemporanee” o “neo-avanguardie”, affermatesi nel secondo
dopoguerra (Calza e Maffini 2000, p. 226).
Il fatto che ci sia una “sistematica conflittualità con i precedenti ottocenteschi”
conferma la sostanziale antitesi tra i due modi di pensare e fare arte. Questo
lascia prevedere, rispetto alla “finitezza” esecutiva e compositiva della tradizione
accademica, quella linea di “progressiva disgregazione formale e spaziale” che sarà
tipica di tutte le Avanguardie. Così spiega questo fenomeno lo storico dell’arte Mario
De Micheli in Le avanguardie artistiche del Novecento:
L’arte moderna non è nata per via evolutiva dell’arte dell’Ottocento; al contrario è nata
da una rottura dei valori ottocenteschi. Ma non si è trattato di una semplice rottura
estetica. Cercare una spiegazione alle avanguardie artistiche europee indagando solo
sui mutamenti del gusto è un’impresa che non può avere fortuna (1998, p. 9).
Ripercorrendo, seppure sinteticamente, la storia delle Avanguardie, a partire
dall’Espressionismo, cioè la tendenza che perseguiva una esasperazione
dell’immagine stessa, va detto che intorno al 1905 questo movimento si coagulò in
due gruppi: la Brücke in Germania e i Fauves in Francia.
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Nel 1906, a Parigi la meditazione sulle ultime opere di Paul Cézanne portò Georges
Braque e Pablo Picasso a un nuovo concetto di spazialità: quello del Cubismo che
moltiplicava i punti di vista, giungendo a frantumare l’oggetto raffigurato.
Nel 1909, sempre in Francia, uscì il Manifesto del Futurismo firmato dall’italiano
Filippo Tommaso Marinetti, le cui istanze erano di dinamismo e modernità si diffusero
in Italia e in Russia, due paesi in ritardo dal punto di vista economico, sociale,
culturale e artistico. Futurismo e Cubismo si diffusero in tutta Europa, dando luogo a
una serie di movimenti, dal Raggismo e dal Cubo-Futurismo in Russia, al Vorticismo in
Inghilterra, che ne raccolsero e ne contaminarono le teorie artistiche (Calza e Maffini
2000, p. 229).
L’astrazione geometrica trovò i suoi massimi interpreti intorno alla metà del
decennio in Russia nel Suprematismo di Kazimir Malevič, mirante alla “ricerca della
forma assoluta, dell’essenza”, e nel Costruttivismo di Vladimir Tatlin, più preoccupato
di una “funzione progettuale ed operativa dell’arte”, e in Olanda nel Neoplasticismo
di Piet Mondrian, le cui espressioni geometriche si proponevano di sostituire
all’espressione individuale l’universalità delle strutture logiche e matematiche,
eliminando “il dato naturale, cioè l’aspetto tragico delle cose” (p. 239).
Lo scoppio del conflitto mondiale interruppe molte ricerche, rese difficili i contatti
tra gli artisti e disperse molte energie, ma non concluse la parabola espressiva delle
Avanguardie.
Il Dada, nato nel 1916, giunse ad un provocatorio rifiuto dell’arte, col suo tentativo
di sostituire opere “già fatte” alla pratica artigianale, con l’utilizzo di materiali di rifiuto
che l’artista organizzava più che creare. Era, in fondo, il tentativo di giungere ad una
posizione più oggettiva nei confronti dell’espressione artistica.
Nel 1919, Walter Gropius fondò in Germania il Bauhaus: una scuola che aveva
l’obiettivo di raggiungere una nuova sintesi tra arte, artigianato e produzione industriale.
Molti artisti vi insegnarono, da Kandinskij a Mholy-Nagy. Fu punto di convergenza e
rielaborazione delle esperienze costruttiviste, neoplastiche e astratte.
L’ultima avanguardia di un certo rilievo fu il Surrealismo che ebbe inizio nel 1924
in ambiente artistico-letterario francese, “sulle ceneri del movimento dadaista, di cui
ereditò le ricerche e le istanze dissacranti e provocatorie” (Calza, Hernandez e Varini
1999, p. 208).
Con gli anni Trenta cambiò il clima culturale e politico in tutta Europa: mentre
fascismo e nazismo erano ormai diffusi in molti Paesi (Italia, Germania, Ungheria,
Polonia, Jugoslavia, Grecia, Bulgaria, Spagna), si delineò un’esigenza di classicità, di
ritorno alla tradizione, alla figura, all’oggettività, al realismo. Si assistette, da parte
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di alcuni artisti, al recupero del rapporto con la storia e con i maestri del passato:
“semplificazione, rigore plastico e precisione furono i valori guida” della cosiddetta
stagione del “ritorno all’ordine” (p. 209).
Invece, dopo la seconda guerra mondiale si ripropone “l’ansia di rinnovamento
a tutti i costi e il rifiuto di tutto ciò che sapesse di già fatto”, proprio in perfetto stile
d’avanguardia: questa corsa alla novità si è affiancata ad “uno spirito di rivolta, di
dissacrazione e profanazione”, come a riprendere l’ideologia Dada (Calza e Maffini
2000, p. 271). Infatti, una di queste “nuove avanguardie” si chiamerà New Dada.
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2. Il filo conduttore: collage e fotomontaggio
La nostra panoramica sulle Avanguardie artistiche del Novecento avrà come filo
conduttore l’utilizzo delle tecniche artistiche del collage e del fotomontaggio, molto
diverse tra loro, ma spesso confuse nel linguaggio comune, anche perché sono state
utilizzate insieme soprattutto in ambito artistico.
Nel collage e nel fotomontaggio, come nelle opere ipermediali, ossia quelle
composte da più medium, “creare implica riposizionare forme esistenti”: queste
forme, nelle opere ipermediali, sono una “combinazione di prosa, grafica, animazione,
video e suoni”, mentre nel fotomontaggio sono le fotografie, e nel collage sono gli
oggetti (Bolter e Grusin 2002, p. 65).
Louis Aragon, poeta surrealista, propose che la differenza tra le due tecniche
consisteva “nella natura dell’illusione”: mentre nel collage gli elementi cartacei e
gli oggetti interpretano se stessi, nel fotomontaggio i frammenti di fotogrammi
e le immagini del reale, una volta assemblate, cercano di evocare un linguaggio
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simbolico.
Ma proviamo a delineare origini e caratteristiche del collage e del fotomontaggio.
2.1. Il collage
Collage è un termine francese entrato nel linguaggio tecnico della pittura per
indicare le opere di quegli artisti che, invece di servirsi soltanto di colori, per realizzare
i quadri incollano sulla superficie materiali eterogenei: fotografie, francobolli, tessuti,
carte colorate strappate o ritagliate.
Il collage “lavora nell’arte figurativa abbinando il casuale e il raccogliticcio inserendo
nelle immagini particelle di realtà” (Autonome a.f.r.i.k.a. Gruppe, Blissett e Brünzels
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2001, p. 61). Come tecnica artistica è ancora tutt’oggi utilizzato per la realizzazione
di opere di diverso livello, dallo scolastico-ludico all’artistico-artigianale ecc. Infatti, è
parte integrante delle lezioni di arte nelle scuole e di workshop creativi.
Il collage sembra rispecchi un profondo, fondamentale istinto umano e si possono
trovare molti esempi umili nell’arte popolare e non ufficiale di fine Ottocento, finché
Picasso nel 1911 cominciò a trattare “il collage con grande intelligenza e lo portò
a un livello che andava ben oltre i tentativi più ingenui di artisti alla buona” (Scharf
1979, p. 293).
Nel collage elementi dipinti e incollati non sono più distinguibili a prima vista, in
quanto oggetti e materiali vengono collocati su un piano comune, in un nuovo contesto
e privati del loro senso originario. Analogamente, vengono riportati nell’opera d’arte
significati e associazioni dall’esterno: “l’artista definisce uno spazio attraverso la
disposizione e l’interazione di forme diverse che sono state sradicate dai loro contesti
originali e ricombinate per andare a formare qualcosa di nuovo” (Bolter e Grusin
2002, p. 65).
Jay David Bolter e Richard Grusin, studiosi di new media, nel loro volume
Remediation, ritrovano nel collage una certa multimedialità data proprio da
quell’effetto a strati che accomuna i due tipi di prodotto visuale: le fotografie ritagliate
vengono incollate e assemblate nel contesto di altri media, come la stampa, la pittura
(p. 66).
2.2. Il fotomontaggio
Nel linguaggio comune e contemporaneo con il termine fotomontaggio si indicano
sia il processo, che il risultato dell’intervento su materiale fotografico. Le immagini
ritagliate e incollate sopra un altro supporto possono essere modificate attraverso
l’accostamento e la sovrapposizione. Possono anche essere ritoccate con pittura
a pennello. Il risultato estetico deriva dall’equilibrio della composizione e quello
espressivo dagli accostamenti delle figure (De Giorgio e Prette 2001, p. 228).
Molto spesso si assemblano manualmente frammenti fotografici, ma molti sono
i metodi per la creazione di un fotomontaggio: dalla classica stampa combinata (la
stampa di due o più negativi su un unico foglio di carta fotografica), alla moderne
tecniche di montaggio al computer con software di fotoritocco, come Adobe Photoshop,
che elaborano i cambiamenti digitalmente, velocizzando il lavoro e producendo
risultati più precisi, in meno tempo e a costo zero rispetto ai procedimenti necessari
250 anni fa per creare gli stessi effetti.
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Infatti, il fotomontaggio ha le sue radici tecniche nel procedimento della fotografia
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composita (Fig. 1), sperimentato da alcuni fotografi inglesi a partire dagli anni
Cinquanta dell’Ottocento. Si diffonde così l’usanza di comporre fotografie mettendo
insieme un certo numero di vedute prese in condizioni diverse: l’artista fotografo
studia singolarmente ogni figura, poi compone insieme i diversi negativi per formare
una sola positiva.
Quel che caratterizza queste composizioni fotografiche (che in realtà danno vita
materialmente ad una positiva fotografica) è l’idea di montaggio e artificiosità che
suscitano nell’osservarle, data dalla mancanza di una coesione formale. Infatti, in
esse sono decisamente assenti, anche se sono visibili in natura e si riscontrano di
solito nelle fotografie comuni, “quelle morbide unificanti aureole di luce intorno a toni
e colori contrastanti che si fondono quasi impercettibilmente nelle zone adiacenti”
(Scharf 1979, p. 110): questo trucco fotografico dà proprio l’impressione di vedere
figure ritagliate collocate su uno sfondo comune.
Intanto, a livello popolare si diffondevano pratiche fantasiose di combinazione in
modo bizzarro e affascinante delle immagini più disparate. “Album e paraventi del
XIX secolo ne offrono un larghissimo campionario”, ma li troviamo anche in riviste
Figura 1. H.P. Robinson, Donne e bambini in campagna, 1860
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fotografiche, in libri di passatempi fotografici degli anni Novanta dell’Ottocento,
nelle cartoline postali dopo il 1900 e nelle prime fantasie dei cineasti Ferdinand
Zecca e Georges Méliès che, sul finire del XIX secolo, cominciarono a sperimentare il
montaggio cinematografico (p. 293).
Per quanto gli artisti fossero contrari a usare nell’arte immagini fotografiche
convenzionali, dal Cubismo in poi il loro uso nel collage e nel fotomontaggio fu
ritenuto pertinente e conforme alla natura dell’arte moderna: queste composizioni
seguivano la logica dell’ipermediazione che si esprimeva “sia come elemento di
frattura nello spazio pittorico, sia come presa di coscienza o riconoscimento nei
confronti dei media”. Proprio “come il collage mette in discussione l’immediatezza
della prospettiva pittorica, così il fotomontaggio sfida l’immediatezza della fotografia”
(Bolter e Grusin 2002, p. 64). L’immagine fotografica aveva mantenuto la sua grande
forza persuasiva e quando, frammentata, si combinava con altri elementi di una
rappresentazione pittorica, assumeva nuovi significati (Scharf 1979, p. 294): il
fotomontaggio si presenta così come transcodifica perché prende pezzi di testualità
diverse e li pone uno accanto all’altro incrociando i rispettivi significati. Questi, pur
rinviando al testo da cui sono stati tagliati come una citazione, vengono ricomposti in
un piano di rappresentazione proprio che comunica un nuovo messaggio (Zaccaria
2005, p. 22).
3. A partire dal Cubismo
Come sappiamo, il Cubismo è un movimento artistico che si propone di
rivoluzionare il modo di rappresentare i soggetti ed il mondo circostante attraverso la
loro scomposizione in piani e in forme geometriche elementari. Questo stile afferma
il rifiuto di due elementari aspetti fondamentali dalla pittura Rinascimentale in poi: la
regola classica per la rappresentazione della figura umana e la raffigurazione illusoria
dello spazio ottenuta, secondo la prospettiva, da un unico punto di vista.
Karel Teige ci ricorda che nel Cubismo “si sono cristallizzate le condizioni per un
nuovo tipo di quadro [...]; finisce l’illusionismo naturalistico e si formano gli elementi
di una nuova arte ottica”, per giungere alla “pittura atematica” di quadri che non
raffigurano nulla se non armonie di colori e forme (Teige 1982, p. 190).
All’interno della pittura cubista si identificano convenzionalmente tre fasi: una fase
iniziale, compresa tra il 1907 e il 1909; una analitica, compresa tra il 1909 e il 1911; e
una sintetica, intorno al 1912-1913 (Calza, Hernandez e Varini 1999, p. 159).
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