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CAPITOLO PRIMO
Alimentazione e società presso gli antichi Romani
1. L’eredità del passato
Negli usi e costumi di molte popolazioni della storia la cucina si caratterizza per un forte
legame nei confronti delle proprie origini e tradizioni, risultando influenzata in modo
rilevante dalla posizione geografica nella quale le singole civiltà avrebbero posto le
proprie radici. Nell’antichità, per gran parte di queste, il convito
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rivestiva un’importanza
fondamentale (si pensi ad Assiri, Egiziani e Greci) ma non meno importante esso era per
Roma, la cui arte culinaria conteneva i tratti migliori di tutte le cucine citate.
Ciononostante, fin dalle sue origini, la cucina romana era molto semplice e si
caratterizzava per una certa frugalità
2
: i Romani infatti erano principalmente pastori e
agricoltori i quali, come i loro antenati, i Prisci Latini
3
, traevano un modesto
sostentamento dai campi.
I primi cereali di cui si è trovata traccia nelle loro coltivazioni furono l’orzo e soprattutto
il farro (quest’ultimo presente in alcune varietà come l’ador e la spelta), con la farina del
quale si otteneva la puls
4
, il nutrimento essenziale insieme ai legumi (fave
5
, ceci e
1
Vedi sul tema SALZA PRINA RICOTTI, L’arte del convito nella Roma antica, Roma, 1983.
2
È la tendenza dell’uomo a nutrirsi con semplicità dei frutti della terra; sarebbe poi durata per secoli
presso gran parte della popolazione, anche nei momenti d’oro della storia di Roma.
3
Erano agricoltori e pastori che vivevano sulle alture del Lazio, da cui ogni giorno scendevano per
dissodare il terreno non molto fertile della pianura, allora paludosa e malsana, al fine di ricavarne risorse
alimentari che integrassero quelle della pastorizia. Per fronteggiare la necessità di valorizzazione delle
terre, avvenuta tramite opere di risanamento e di prosciugamento, e per difenderla dalle razzie dei
vicini, i Prisci si raggrupparono in federazioni che condussero alla fondazione di Roma nell’anno 753
a.C. Vedi sul tema DOSI – SCHNELL, A tavola con i Romani Antichi, Roma, 1984, 15 ss. Sulle origini di
Roma si veda BONFANTE, Storia del diritto romano, Milano, 1959, 55 ss. e SCAPINI, Corso di storia del
diritto romano, Parma, 1997, 17 ss.
4
La puls era la polenta di farro: veniva preparata in un contenitore di terracotta detto pultarium dove al
farro trattato si aggiungeva acqua, sale e un po’ di latte e che, a seconda dei gusti, veniva arricchito con
fave (puls fabata), cavoli, cipolle, formaggio (puls caseata), insieme ad alcuni pezzi di carne o di pesce. Ciò
serviva per arricchirne il sapore, fino ad arrivare ad un vero e proprio miscuglio che conteneva
7
lenticchie) e agli ortaggi: nell’alimentazione dell’epoca le verdure completavano la base
dietetica e rivestivano un ruolo di grande importanza sotto tale profilo. Le più comuni
erano la lattuga, il cavolo
6
, il carciofo, ma anche l’aglio e la cipolla, di cui tutti i Romani
fecero a lungo e indiscriminatamente un uso assai esteso
7
; inoltre, erano conosciute
decine di erbe, in gran parte selvatiche, che venivano utilizzate come verdura (tra queste
l’ortica, che era considerata commestibile). In autunno, volendosi disporre di una valida
alternativa ai cereali, si mangiavano frutti selvatici, bacche e castagne, che venivano
raccolte nelle zone di montagna; infine, tuberi, funghi e radici come la carota e la rapa, di
cui i testi antichi hanno parlato con frequenza
8
, completano il quadro dell’alimentazione
vegetale.
Per quanto riguarda gli alimenti di origine animale, il pesce e la carne nei primi tempi
erano poco diffusi; in particolare quest’ultima veniva per lo più arrostita o bollita. Si
consumava con maggiore frequenza carne ovina
9
e di maiale, quasi mai quella bovina
poiché mucche e buoi erano rari e, quasi sempre, utilizzati nei lavori dei campi. Insieme a
quella di altri animali da cortile, come le oche
10
, era importante anche la carne del
pollame, che forniva quotidianamente le uova, consumate dai Romani in grande
quantità
11
. Il burro, adoperato come medicamento, era invece sconosciuto come
condimento; il sale, infine, in questo periodo era usato pochissimo perché considerato
un bene assai prezioso e costoso, tant’è che all’occorrenza per cucinare si usava l’acqua
di mare.
Come abbiamo visto, il nutrimento dei Romani nel periodo che intercorre tra la
fondazione di Roma e il IV secolo a.C. circa fu soprattutto vegetariano, e solo in seguito
al contatto con altri popoli e altre civilizzazioni, soprattutto di origine greca, i gusti
un’infinità di ingredienti, chiamato satura o satira (da cui l’utilizzo moderno di queste due parole:
saturazione e satira nel senso di battute o scherzi pesanti). Cfr. STACCIOLI, La vita quotidiana nel mondo
romano, Novara, 2003, 130 ss.
5
HOR., Serm., II, 6.64
6
CATO M., Agr., 156.1
7
DOSI – SCHNELL, A tavola, cit., 19
8
MART., Epigram., Xenia, XIII, 16; IUV., Sat., XI, 78
9
Soprattutto di agnello, ma anche di pecora e capra, col cui latte si facevano i formaggi. Cfr. DOSI –
SCHNELL, A tavola, cit., 23
10
Furono consacrate a Giunone poiché durante l’invasione dei Galli del 390 a.C. diedero l’allarme e
salvarono così il Campidoglio.
8
alimentari iniziarono a raffinarsi
12
, anche grazie all'evoluzione di innovative coltivazioni e
quindi di nuove preparazioni.
1.1 Invenzioni e novità
Se i Romani arcaici erano frugalissimi, i loro discendenti invece avevano per la buona
tavola un amore che non risparmiava cure e non badava a spese
13
: la dieta
prevalentemente vegetariana della cucina repubblicana
14
si avviava a diventare un ricordo
del passato. Grazie alle influenze degli Etruschi, dei Greci e dell’Oriente
15
in un primo
tempo e, successivamente, alle conquiste, la cucina romana ebbe la possibilità di
conoscere nuovi prodotti dell'agricoltura e di affinare tecniche di conservazione
16
. Nuove
abitudini alimentari la trasformarono progressivamente e la condussero, nell’Età
imperiale (31 a.C. – 476 d.C.), al suo massimo splendore.
Le colture più importanti vanno senza dubbio individuate nella viticoltura e
nell’arboricoltura, in particolare dell’ulivo; grazie ad esse infatti iniziò a diffondersi l’uso
dell’olio
17
e del vino che, a partire da quel momento, sarebbero diventati i protagonisti
indiscussi della tavola mentre l’alternativa alla bevanda preferita dal Dio Bacco
18
era la
birra, praticamente sconosciuta nella penisola ma che, nelle province, fu il vino dei
poveri
19
.
Il grano, già conosciuto, arrivò ad assumere una tale importanza da indurre i Romani a
11
Soprattutto di gallina, ma anche di oca e di uccelli.
12
DOSI – SCHNELL, A tavola, cit., 26
13
PAOLI, Come vivevano i Romani, Torino, 1962, 52
14
L’età repubblicana è compresa tra il 509 a.C. e il 31 a.C.
15
Vedi sul tema DOSI – SCHNELL, A Tavola, cit., 26 ss.
16
In particolare riguardo alle carni. Da queste si ottenevano i salumi, che costituivano una vera
prelibatezza della cucina romana dell’epoca essendo lavorati con il sale e le spezie, questi ultimi beni
preziosi; i Romani appresero questa tecnica dai Galli durante la loro espansione verso il Nord della
penisola italiana. Cfr. DOSI – SCHNELL, A tavola, cit., 28
17
Plinio scrive: “Ci sono due liquidi che fanno molto bene al corpo umano: il vino per uso interno e
l’olio per uso esterno” (PLIN., Hist. Nat., XIV, 150). Per i Romani l’olio era polivalente perché, oltre
che nell’alimentazione, veniva impiegato per finalità mediche e anche a scopo estetico; il suo uso era
talmente esteso che nelle ville romane dell’epoca non era inconsueto trovare apposite presse (cfr.
CATO, De re rustica, XVIII; SALZA PRINA RICOTTI, L’arte, cit., 39). Il vino, dal canto suo, aveva
un’importanza particolare per i Romani in quanto era la bevanda più amata e concludeva tutte le cene.
18
Vedi sul tema LAFFI, Studi di storia romana e di diritto, Roma, 2001, 20 ss.
9
promulgare perfino leggi che ne regolavano la corretta distribuzione (Lex Sempronia
frumentaria, Lex Clodia)
20
; dalla sua macinazione si ricavava la farina con cui si iniziarono a
produrre il pane (il quale lentamente sostituì la puls, alimento essenziale dei secoli
precedenti) e alcune varietà di focacce
21
.
La cucina romana mostrò una singolare e quasi morbosa attrazione per il raro, l’esotico e
lo stravagante tanto che, oltre alla carne più classica
22
, comparvero sulle tavole
(soprattutto dei ricchi) animali come pavoni, pappagalli, fenicotteri, gru e cicogne.
Nell’alimentazione di quei tempi, il pesce
23
assunse sempre maggiore importanza fino a
diventare prevalente: esso veniva bollito prima di essere fritto o arrostito, e se ne
conoscevano centinaia di specie, tra cui lo storione, il rombo, la murena, lo scaro e la
triglia (mullus), insieme ai frutti di mare che erano a loro volta molto apprezzati, in
particolare crostacei, ostriche (ostrea) e datteri di mare
24
. Il pesce, alla base delle
preparazioni culinarie dei Romani, diede origine a una caratteristica innovativa:
l’introduzione delle salse, le quali venivano preparate nei modi più fantasiosi e avevano
19
Cfr. DOSI – SCHNELL, A tavola, cit., 41 nt. 74
20
La Lex Sempronia frumentaria fu emanata nel 123 a.C. da Caio Sempronio Gracco, che aveva ottenuto il
tribunato lo stesso anno. Egli aspirava all’ottenimento di un potere personale, come attestato da alcuni
provvedimenti di carattere prettamente demagogico da lui fatti votare tra l’entusiasmo dei populares: così,
principalmente, la Lex Sempronia frumentaria stabilì che ogni proletario avesse mensilmente diritto, con
non lieve carico per le pubbliche finanze, ad un’assegnazione di grano ad un prezzo inferiore a quello
del mercato (GUARINO, Storia del diritto romano, Napoli, 1981, 164-165; BESSONE–SCUDERI,
Manuale di storia romana, Bologna, 2005, 109 ss.; SCHERILLO – DELL’ORO, Manuale di storia del diritto
romano, Milano, 1987, 264 ss.). La Lex Clodia venne invece promulgata nel 58 a.C. da Clodio, tribuno
della plebe che godeva dell’appoggio di Cesare. Essa stabiliva che il grano distribuito con le
frumentationes (distribuzioni di grano appunto) dovesse essere dato gratuitamente alla popolazione
povera; un curator annonae (una sorta di ispettore degli approvvigionamenti) doveva procedere alla
compilazione dell’elenco degli aventi titolo alla frumentatio gratuita. Cfr. DE MARTINO, Storia della
costituzione romana, Napoli, 1973, 174 e GARCIA GARRIDO, Diritto privato romano, Padova, 1996, 57-58
21
Potevano essere arricchite con diversi ingredienti rappresentando così una prima rudimentale pizza: è
il caso ad esempio del ‘moretum’, una sorta di torta salata a cui venivano aggiunti formaggio, aglio,
sedano e alcune erbe; se ne parla in un poemetto attribuito a Virgilio. PSEUDOVIRGILIO, Moretum;
SALZA PRINA RICOTTI, Ricette della cucina romana a Pompei e come eseguirle, Roma, 1993, 101-102
22
Oltre alla carne ovina, la più usuale, e a quella di maiale, di cui erano ghiottissimi, i Romani
mangiavano anche carne di cinghiale, di cervo, di asino selvatico (onager) e dedicavano cure
scrupolosissime all’allevamento del ghiro, cibo molto raffinato. PAOLI, Come vivevano i Romani, cit., 54
23
Probabilmente la sua offerta aveva un carattere rituale simbolico poiché dalle iniziali della parola
greca Λ̉ Φ − Ξ̃ 9 (pesce) si otteneva la frase “Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore”: è per questo che spesso
nella liturgia cristiana Gesù è rappresentato nel pesce. Cfr. DOSI – SCHNELL, A tavola, cit., 177
24
IUV., Sat., IV, 37-71; APIC., De re coquinaria, X, II; SALZA PRINA RICOTTI, L’arte, cit., 180 ss.;
DOSI – SCHNELL, A tavola, cit., 175 ss.; PAOLI, Come vivevano i Romani, cit., 55; SALZA PRINA
RICOTTI, Ricette, cit., 59 ss.
10
spesso il compito di ‘coprire’ il gusto dei cibi mal conservati, ma che in seguito
divennero elementi caratterizzanti delle ricette. Rappresentante principale di questa
categoria era il garum
25
o liquamen, l’onnipresente salsa ottenuta dalla macerazione e
fermentazione al sole di interiora e avanzi di pesce a cui venivano aggiunti sale, vino ed
erbe odorose: l’uso di queste ultime e di ingredienti piccanti, inoltre, era molto frequente
e abbondante per un gran numero di vivande.
Un altro importante tratto distintivo della cucina dell’Urbe era l’agrodolce: si
prediligevano cibi e accostamenti di sapori in contrasto tra loro, combinando il dolce
con il salato o con l’acido. Le pesche immerse nella salamoia, il dentice servito con le
mele, le sarde presentate con i datteri e i funghi trattati con il miele erano piatti molto
amati
26
. Quanto al miele, esso veniva utilizzato con diverse finalità: nelle preparazioni di
bevande, come ingrediente per carni, pesci, salse e soprattutto nella pasticceria poiché
era un’ottima alternativa allo zucchero, ancora sconosciuto, nonché per conservare frutta
e carne
27
.
La triturazione e lo sminuzzamento in poltiglia degli alimenti, che dava origine alla
preparazione di polpette, involtini e salamelle, costituirono un’altra novità nella cucina
della Roma imperiale.
È da sottolinearsi il fatto che non tutti potevano permettersi di assumere i cibi e
sviluppare le abitudini alimentari qui descritte: animali esotici e pesci pregiati erano
presenti sulle tavole dei gruppi più elevati, che avevano un’ampia disponibilità finanziaria
per acquistarli e per reclutare cuochi in grado di cucinarli. Agli strati più poveri, che per
lungo tempo continuarono a nutrirsi in maniera frugale, erano destinati invece cibi di
qualità inferiore e in alcuni casi scadente; sarebbe stato impensabile per loro potersi
nutrire ad esempio di ostriche, di ghiro o di miele genuino, cibi dal costo esorbitante, ed
allora dovevano accontentarsi di piccoli pesci conservati in salamoia, carne ovina e miele
mescolato con altri liquidi zuccherati.
25
Dal greco ϑά Υ Ρ Θ, che era il nome del pesce o della categoria di pesci più utilizzati dai Greci come
ingrediente principale. Vedi sul tema ANDRÉ, L’alimentation et la cuisine à Rome, Paris, 1961, 198 ss.
26
Cfr. BERTOZZI, Recensione a APICIO, Manuale di Gastronomia, Milano, 1967, 6
27
Vedi sul tema DOSI – SCHNELL, A tavola, cit., 206-207