8
il legislatore ha voluto autonomo e differenziato rispetto
all’ordinario procedimento di cognizione.
Ne è prova evidente il fatto che se, da un lato,
come processo ordinario, esso è comunque soggetto
oltre che alle “disposizioni generali” del libro I del c.p.c.,
anche a quelle dettate per il processo davanti al
tribunale, dall’altro l’applicazione di quest’ultime è
prevista in via sussidiaria solo in quanto compatibili con
le peculiarità del “nuovo rito”.
1
In una tale ottica, è, pertanto, lecito parlare del
processo del lavoro come procedimento speciale, in
ragione dei molteplici punti di distacco dal processo
ordinario di cognizione.
Così intesa, la peculiarità del processo del lavoro
ne accompagna le cadenze dal momento instaurativo
del giudizio sino al suo epilogo.
Basti pensare, ad esempio, alla obbligatorietà del
previo tentativo di conciliazione, precedentemente
previsto solo in via facoltativa ed oggi divenuto
obbligatorio
2
.
1
Cfr. MONTESANO-MAZZIOTTI, pag.71 s.,che argomentano anche dall’art. 151
disp. Att. C.p.c.; PROTO PISANI, Problemi di coordinamento posti dal rito speciale del
lavoro, in Riv. Giur. Lav.1974, I , 385 ss.(ripubblicato in Studi di diritto processuale
del lavoro ,Milano, 1976 p.181 ss.).
2
A far data dall’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80/98, tutti coloro che
intendono in giudizio una domanda relativa ai proporre rapporti previsti dall’ art. 409
c.p.c., devono aver previamente tentato la procedura di conciliazione che funge quindi
da condizione di procedibilità della domanda(art.412-bis c.p.c.)
9
La si riscontra nella forma postulata per l’atto
iniziale del processo, atteso che la domanda va
proposta non con l’ordinario atto di citazione, ma con un
ricorso, rivolto direttamente al giudice.
Proseguendo, la si rinviene, altresì, nella fase
istruttoria, con il riconoscimento del potere ufficioso del
giudice per l’acquisizione delle prove sui fatti affermati
dalle parti, e nella fase decisionale, dove il disposto
dell’art. 429 c.p.c., imponendo la lettura del dispositivo in
udienza, introduce quella che, forse, è la più radicale
innovazione del sistema del nostro processo civile
3
.
(Circa questa modalità di emanazione della sentenza
bisogna osservare che la lettura del dispositivo in
udienza è il logico e necessario coronamento dell’oralità,
concentrazione ed immediatezza del processo del
lavoro
4
.)
3
Cass. Sez. Un, 22 giugno 1977, n. 3632, in Riv. Dir proc., 1978, 546, ed in
Riv. Dir. Proc., 1978, II , 721, con nota critica di FABBRINI; Cass. 5 settembre 1980, n.
5114 e 12 dicembre 1980 , n. 6463, in Foro it., 1980, I , 2982; Cass. 4 ottobre 1991, n.
10354, in Giur. It. 1994, I , 1, 672; Cass. 9 dicembre 1992, n. 13001, in Giust. Civ.,
1982, I , 320 con nota critica di LUISO, Della regola del vantaggio nel processo civile.
4
Cass. Sez. Un., 17 gennaio 1987, n. 299, in Foro it., 1987, I , c. 1065: in cui
si ribadisce che l’omessa l’ettura del dispositivo comporta la nullità della sentenza
trattandosi<<non di una formalità marginale, bensì di un’innovazione qualificante del
nuovo sistema in quanto strutturalmente ordinata al perseguimento delle finalità di
concentrazione processuale e di sollecita definizione delle controversie>>.
10
Dall’esame dell’intero sistema ne emerge, quindi,
un processo del lavoro rapido, scandito da preclusioni
severe, informato ai principi di oralità, immediatezza e
concentrazione, che, nelle intenzioni del legislatore, si
poneva indubbiamente come un elemento di rottura
rispetto all’usuale andamento della giustizia civile.
Un processo orale, destinato a svolgersi - nel suo
modello “puro” - in una sola udienza, o in poche udienze
tra loro vicine.
Un processo che esige che la causa giunga
all’udienza già preparata: che le parti cioè, prima
dell’udienza, abbiano non solo definito la materia del
contendere, mediante la precisa e completa
formulazione delle loro domande ed eccezioni, ma
abbiano anche prodotto i documenti e indicato tutti i
mezzi di prova, dei quali intendono avvalersi. Inoltre,
l’immediatezza e la fecondità della discussione
postulano che ognuna delle parti abbia conosciuto, in
tempo utile, le difese dell’altra.
Tra le ragioni a fondamento della scelta legislativa
di disciplinare un processo del lavoro “rapido”, va di
certo annoverata l’intenzione di concretizzare la comune
convinzione che “le controversie del lavoro sono
11
normalmente caratterizzate dalla disuguaglianza
economica e sociale delle parti”.
Una disuguaglianza che si rilette sullo svolgimento
del processo, nel senso che la parte economicamente e
socialmente più debole (il lavoratore) subisce dalla
lunghezza del processo danni gravissimi, e comunque
maggiori della parte economicamente e socialmente più
forte (che normalmente è il datore di lavoro) che, invece,
di regola è avvantaggiata dalla durata del processo
5
.
Vi era, infatti, la consapevolezza che la dilatazione
dei tempi giudiziali giovava in maniera duplice per il
datore, in quanto, da un lato, in un processo lungo era
più probabile che il lavoratore fosse indotto a transazioni
inique; dall’altro, in una situazione di inflazione costante,
il datore eventualmente condannato poteva pagare in
moneta svalutata la somma spettante al lavoratore.
Sotto quest’ultimo profilo, l’esigenza di tutelare il
lavoratore dinanzi al fenomeno della lungaggine
processuale è alla base dell’introduzione nel sistema del
3° comma dell’ art. 429, il quale espressamente
5
PROTO PISANI, voce Lavoro (controversie individuali in materia di),in
Novissimo Dig. It,App.,1983, 675.Sull’intento essenzialmente sostanzialistico del
legislatore del 1973,intenzionato ad attuare una riforma che potesse recepire la
peculiarità degli interessi e delle posizioni proprie delle parti sostanziali cfr. SANDULLI,
La legge sul nuovo processo del lavoro(profili di diritto sostanziale),in Dir.Soc,
1974,319.
12
sancisce che la sentenza di condanna al pagamento di
somme di denaro “per crediti di lavoro” deve contenere
anche la condanna al pagamento degli interessi nella
misura legale ed al risarcimento del maggior danno per
la eventuale diminuzione del valore di credito, ossia del
danno da svalutazione monetaria.
Volgendo l’attenzione all’evoluzione esegetico-
applicativa di quest’ultima peculiare disposizione,
possiamo legittimamente presumere che il legislatore
del ’73 non potesse nemmeno immaginare a quali e a
quanto accese diatribe essa avrebbe dato luogo;
contese inevitabili in considerazione dell’entità delle
implicazioni economiche derivanti dalla sua
applicazione.
Infatti, benché il testo di quest’ultima disposizione sia
rimasto invariato nel corso degli anni, il suo ambito di
operatività è più volte mutato, a causa sia delle
oscillazioni interpretative della giurisprudenza
ordinaria, sia dei numerosi interventi della Corte
Costituzionale, sia, ancora, della successiva produzione
normativa in materia.
13
Sebbene non si possa pretendere, in questa sede, di
approfondire in via esaustiva l’intera evoluzione
dottrinale e giurisprudenziale che ha accompagnato la
vita applicativa della norma in questione, riteniamo di
indubbio interesse tracciarne quanto meno un quadro
generale, nei suoi aspetti maggiormente rilevanti, che
tenga in debita considerazione sia le più autorevoli
posizioni affacciatesi sullo scenario della dottrina
giuslabourista, sia le più emblematiche pronunzie in
materia della Corte Costituzionale e della Corte di
Cassazione.
14
CAPITOLO 1
Struttura della disposizione.
1.1. L’art. 429, comma 3, c.p.c.: norma
sostanziale o processuale?
Il terzo comma dell’ art. 429 dispone che “ il
giudice,quando pronuncia sentenza di condanna al
pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro,
deve determinare, oltre gli interessi nella misura legale,
il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore
per la diminuzione di valore del suo credito,
condannando al pagamento della somma relativa con
decorrenza dal giorno della maturazione del diritto”.
Dalla semplice lettura della disposizione, emerge
ictu oculi la prepotente portata sostanziale della stessa,
quanto meno anomala in relazione alla collocazione
della norma nel codice di rito.
15
Non stupisce, pertanto, che la dottrina più
propensa alle dogmatiche ed astratte decurtazioni de
iure condendo, abbia sin da subito sollevato il dubbio
sull’esatta natura processuale o sostanziale della
norma.
Nell’ottica di tale classificazione, è opinione ormai
pacifica, in dottrina e in giurisprudenza, che la norma di
cui all’art. 429, c. 3, abbia natura sostanziale
6
.
A tale conclusione si giunge sulla scorta del rilievo
che essa delinea una nozione composita della
retribuzione, peraltro costituita da due elementi, uno dei
quali contrattualmente statico-nominalistico (la
retribuzione-base), e l’altro dinamico-funzionale
(l’incremento indicizzato del credito base), attuato con il
riferimento al sistema di scala mobile, inderogabilmente
richiamato dalla norma di completamento dettata
dall’art. 150 della disposizioni di attuazione del codice di
rito, e tale da operare automaticamente per forza
propria, al fine di salvaguardare la funzione alimentare
6
Secondo VALLEBONA, Istituzioni di diritto del lavoro II. Rapporto di
lavoro,1999, la disciplina dell’ art. 429, c. 3 cod. proc. civ. è di natura non processuale,
ma sostanziale di deroga, ora più limitata al diritto comune delle obbligazioni, con
conseguente esclusione del principio di applicazione immediata proprio del diritto
processuale; Corte Cost. 20 luglio 1990 n. 350, FI, 1991, I , 27; Corte Cost. 2 giugno
1994 n. 207, FI, 1994, I , 2034. E’ dubbio se il credito di lavoro sia divenuto, così, un
credito di valore oppure sia rimasto un credito di valuta seppur indicizzato.
16
della retribuzione e di impedirne la sterilizzazione in
caso di ritardo nel pagamento.
La disposizione ha quindi natura esclusivamente
sostanziale
7
e si apparenta all’ art. 1224 c.c.
8
, da cui si
differenzia, peraltro, sotto alcuni profili, che vedremo in
dettaglio più tardi, e che si possono riassumere nella
automaticità del meccanismo, che prescinde dalla
costituzione in mora, dalla domanda e dalla
dimostrazione del danno sofferto; ed inoltre,
fondamentalmente ed essenzialmente, dal fatto che l’
art. 1224 c.c. prevede l’ulteriore risarcimento rispetto
alla copertura garantita dagli interessi, e pertanto il
maggior danno ha per oggetto solo la eccedenza
rispetto alla copertura assicurata dagli interessi. Invece,
per la norma in esame, la rivalutazione si aggiunge agli
interessi.
Tuttavia, se ad oggi, dalla quasi totalità della
dottrina, è pacificamente accettato e condiviso il valore
sostanziale della disposizione, da un altro versante
9
si
7
VOCINO-VERDE , Processo del lavoro, cit., 101; PROTO PISANI, Lavoro
(controversie), cit. , 139; DENTI S. , La decisione della causa, cit., in Il nuovo
processo, 141.
8
In arg. vedi MASSETANI, Sui rapporti tra art. 1224 c.c. e art. 429, terzo
comma, c.p.c., in Foro it. , 1990, I , 3434 ss.
9
Vedi PROTO PISANI in Lezioni di diritto processuale civile, 2002, cit pp.
844-846.
17
sottolinea anche l’importanza che la norma ha in ambito
processuale.
Si afferma che, per quanto concerne gli aspetti
processuali della disposizione, la giurisprudenza e la
dottrina hanno desunto dall’ uso del verbo “deve”,
adoperato dall’ art. 429, terzo comma, c.p.c., la
conseguenza che il giudice debba provvedere a
liquidare interessi e rivalutazione d’ufficio, anche
indipendentemente da qualsiasi domanda in tal senso
del lavoratore, ogni qual volta pronunci sentenza al
pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro.
Questa impostazione comporta che con
riferimento ai crediti di lavoro, interessi e rivalutazione (a
differenza di quanto accade con riferimento alle
ordinarie obbligazioni pecuniarie di origine contrattuale)
sono privi di autonomia e costituiscono un accessorio
inscindibile del credito di lavoro; il che significa innanzi
tutto che una volta dedotto in giudizio un credito di
lavoro e passata in giudicato la sentenza relativa, il
principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il
deducibile preclude la proposizione di una successiva
domanda avente ad oggetto solo rivalutazione e/o
interessi; corollari per questa impostazione sono la
18
possibilità per la parte di chiedere e per il giudice di
disporre anche d’ ufficio la rivalutazione monetaria e gli
interessi anche nel corso del giudizio di appello e di
rinvio, nonché la ricorribilità per Cassazione avverso la
sentenza d’appello che non si sia pronunciata al
riguardo.
Qualche incertezza sussiste invece tuttora in
ordine al se, soddisfatto in via stragiudiziale un credito di
lavoro, il lavoratore possa chiedere in autonomo giudizio
la rivalutazione monetaria ovvero se a ciò si opponga
per un verso la non autonomia della rivalutazione
rispetto al credito e per altro verso la lettera del 3°
comma dell’art 429 che subordinerebbe la sussistenza
del diritto alla rivalutazione alla circostanza ineliminabile
che sia fatto valere in giudizio un credito di lavoro.
Nonostante il doppio valore, di diritto sostanziale e
processuale della norma, bisogna ritenere che la
caratteristica peculiare della disposizione sia da
rinvenire proprio nel carattere sostanziale della stessa,
indubbiamente anomalo all’ interno di un codice di
procedura.
19
1.2. Ambito d’applicazione temporale.
Prima e fondamentale conseguenza della natura
sostanziale della norma è la sua retroattività anche
anteriormente al 13 dicembre 1973: i crediti di lavoro,
quindi, si rivalutano dalla data del loro sorgere,
quand’anche questa data si collochi in un momento
anteriore all’ entrata in vigore della L. n. 533/1973.
La giurisprudenza su questo senso è ora
univoca
10
, ma la Corte Costituzionale, in un primo
momento, l’aveva negata definendo quello dell’
irretroattività delle leggi un principio di civiltà derogabile
soltanto per esplicita disposizione.
Investita nuovamente della questione dalle Sezioni
Unite della Cassazione, la consulta ha radicalmente
mutato opinione, prendendo atto della “norma vivente”
costituita dall’interpretazione giudiziaria avallata dalle
Sezioni Unite e ritenendo legittima la sua retroattività,
che rispetta il principio costituzionale di uguaglianza,
10
Cass. n. 3289/1990; Cass. n. 2571/1986; Cass. n. 425/1985, Giust. Civ. 85 ,
I , 1353, n. MENCHINI; S.U. n. 1670/1982; Cass. n. 712/1980 R. g. lav. 80, II, 348, n.
FRATTINI; Corte Cost. n. 161/1977; per ulteriori riferimenti vedi DE ANGELIS, Il
processo, cit., 284 ss.; in dottrina, tra gli altri, anche con motivazioni differenti,
PEDRAZZOLI, D. lav. 75, I ,14 ss.;DI MAJO, R. g. lav. 75, II , 33 ss.; contra ,tra le altre,
Corte Cost. n. 13/1977, F. it 77, I , 257; in dottrina soprattutto MAGRINI, Nov. D., App.
, Crediti di lavoro, 905 ss.; FABBRINI, Diritto processuale, cit. 187; ZANINI, D. lav. ,
74, I , 72 ss.
20
non essendo i crediti non di lavoro in alcun modo
rivalutabili ex art. 429 comma 3°.
1.3. Ambito di applicazione soggettivo e
oggettivo.
Risolto il problema dell’ ambito d’applicazione
temporale della norma, resta da verificare l’ambito di
applicazione soggettivo ed oggettivo della stessa.
L’ art. 429, comma 3, c.p.c., stabilisce che la
rivalutazione abbia luogo relativamente al “pagamento di
somme di denaro per crediti di lavoro” ma limitatamente
ai crediti “del lavoratore” e non di quelli del datore di
lavoro
11
.
Della disposizione sono state tentate applicazioni
restrittive, e sono stati, in relazione ad essa, anche
sollevati dubbi di costituzionalità. Ma le une e gli altri
sono da respingere.
Per quanto riguarda, in particolare, i dubbi di
costituzionalità, per diversità di trattamento fra i crediti
del “lavoratore” e quelli del “datore di lavoro”, sembra
chiaro che la previsione, operando sul piano del diritto
sostanziale, non fa che prendere atto della diversa
11
Cass. n. 7488/2000, N. g. Lav 01, 121, che ha precisato che ciò riguarda
anche le restituzioni di quanto pagato in forza della sentenza di primo grado.
21
rilevanza che hanno i crediti in questione quando essi
costituiscono il compenso per il lavoro prestato, rispetto
ai casi in cui i crediti nascono da diversi presupposti.
Infatti, con le sentenze 14 gennaio 1977, n. 13, 20
gennaio 1977, n. 43
12
e la sentenza n. 207 del 1994, la
Corte Costituzionale ha individuato nella natura
privilegiata – ex artt. 1, 3, 2°comma, 4 , 34 e 36 Cost. –
dei crediti dei lavoratori la ragione prima giustificativa
della norma, e della legittimità costituzionale del difforme
trattamento riservato ai crediti del datore di lavoro: in
ragione di tale natura dei crediti di lavoro, sono apparse
“razionali” le esigenze cui la norma risponde, e cioè
a) di mantenere inalterato il potere di acquisto di
beni reali, in relazione al principio della giusta
retribuzione di cui all’ art. 36 Cost.;
b) di porre una remora al ritardo nell’
inadempimento, data la funzione alla quale
assolve la retribuzione;
12
in Foro it.,1977, I ,257.