Mentre i problemi di armonizzazione fiscale nel diritto interno si risolvono
quasi sempre in problemi di competenza, sia in senso verticale (Stato-regioni)
che in senso orizzontale (regioni-regioni), il terreno di naturale vocazione per
l’ armonizzazione fiscale e quello dell’ Unione europea.
Nel diritto comunitario si agitano i problemi della comparazione fra i diversi
sistemi tributari, del superamento delle differenze e del perseguimento di un
sistema tributario europeo, già previsto dal trattato. Contro questa visione, si
rileva invece come l’ armonizzazione fiscale comunitaria sia generalmente
modesta ed abbia raggiunto, fino ad oggi, solo risultati puntuali.
Quel che manca realmente al disegno di armonizzazione fiscale delineatosi fino
ad oggi a livello comunitario è, per dirlo alla maniera anglosassone, una
efficace tax policy, intesa come indirizzo unitario di politica fiscale che fornisca
criteri e principi fiscali a rilevanza pre-legislativa, cioè pilastri fondamentali per
la redazione concreta delle future disposizioni fiscali da emanarsi in seno ai
singoli Stati membri.
Una politica fiscale improntata in questi termini potrebbe rappresentare il giusto
compromesso tra le istanze “centraliste”, che affermano l’ esigenza di far
convergere, anche se in maniera graduale, la sovranità in materia fiscale sugli
organi dell’ Unione Europea, proclamando la necessità di disposizioni fiscali
uniformi nei singoli Stati, e quelle “autonomiste”, che difendono la sovranità
statale nel settore in questione, intendendo l’ armonizzazione fiscale come mero
avvicinamento delle legislazioni fiscali dei singoli Stati, un lento e graduale,
sebbene inevitabile, coordinamento.
A questo punto sorge la questione del come mettere in atto una efficace tax
policy comunitaria, che si articola a sua volta in due problemi.
1) Quali strumenti utilizzare per dettare disposizioni fiscali di principio che
abbiano sicura attuazione nell’ ordinamento degli Stati, grazie al consenso
politico di questi ultimi? Non è possibile dimenticare che la sovranazionalità
dell’ Unione Europea si basa sul consenso dei Paesi membri. Il maggiore
ostacolo che si incontra nel predisporre regole cardine di fiscalità europea è
rappresentato quindi dalla difficoltà di disciplinare un settore così delicato
senza urtare la suscettibilità e gli interessi dei singoli Stati.
2) Quale contenuto dare alla tax policy europea al fine di pervenire ad una
politica fiscale realmente efficace per la stabilizzazione e l’ ulteriore sviluppo
dell’ Unione Europea? Forse un aiuto in tal senso può venire dall’ esperienza
delle legislazioni di Paesi federali, visto che l’ Unione Europea, anche se non è
ancora una federazione, è pur sempre un’ unione di Stati europei.
Negli Stati federali la potestà tributaria originaria era attribuita agli Stati
membri. Tuttavia è in atto, negli ultimi decenni, una fase di progressivo
allargamento dei poteri tributari dello Stato centrale, che appare irreversibile.
Ciò è particolarmente evidente negli Stati Uniti d’ America, con un processo
che è iniziato con le colossali spese militari per la seconda guerra mondiale.
Il moderno principio di sussidiarietà, che coinvolge ogni tipo di Stato ma sopra
tutti il modello Federale, sta a significare che lo Stato centrale interviene solo in
mancanza di una competenza, formale od effettiva, degli ordinamenti particolari
(stati membri - regioni - comuni ecc.). Esso è stato particolarmente enfatizzato
per gli Stati Federali e per l’ Unione Europea. Ciò non esclude, tuttavia, che
l’ intervento unificante dello Stato Centrale sia sempre più rilevante.
Il vero problema sembra piuttosto essere quello della ricerca di un corretto
punto di equilibrio fra le esigenze e le potestà tributarie degli enti territoriali
autonomi e quelle dello Stato Centrale.
L’ armonizzazione fiscale ha un ruolo fondamentale anche nel diritto fiscale
internazionale, disciplina tradizionale che esamina le relazioni fra gli
ordinamenti degli Stati in materia fiscale.
Il diritto fiscale internazionale ha lo scopo principale di: a) evitare la doppia o
plurima imposizione, cioè la sovrapposizione di due o più obbligazioni fiscali,
in diversi Stati, per un identico presupposto d’ imposta; b) all’ inverso, evitare
che un presupposto d’ imposta sfugga all’ imposizione da parte di qualunque
ordinamento fiscale statale, utilizzando la mobilità dei rapporti economici e
commerciali o servendosi dei c.d. paradisi fiscali.
Al fine di reprimere le frodi fiscali internazionali ed il fenomeno della c.d.
elusione fiscale internazionale si parlava, tradizionalmente, di collaborazione
fiscale internazionale. Oggi esiste una vera e propria necessità d’ armonizzare le
finanze pubbliche degli Stati e delle burocrazie finanziarie.
L’ obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare le diverse fasi della politica
della Comunità Europea in materia, alla luce degli obiettivi proposti e degli
strumenti utilizzati, al fine di comprendere i possibili sviluppi della tassazione
in Europa.
Il lavoro è organizzato come segue.
La prima sezione ripercorre le iniziative comunitarie dagli anni Settanta agli
anni Novanta, durante i quali prevalse l’ obiettivo di un’ ampia armonizzazione
delle imposte sui redditi da capitale, passando poi ad analizzare le direttive
proposte nel 1990 fino ad esaminare gli sviluppi della politica comunitaria,
sulla base delle conclusioni del Rapporto Ruding del 1992, e si conclude con i
nuovi orientamenti del commissario Mario Monti.
La seconda sezione definisce il concetto di armonizzazione, dalla terza si
esaminano i nuovi orientamenti della Comunità, in particolare le misure
recentemente proposte per combattere la cosiddetta tax competition,
armonizzazione della fiscalità diretta ed indiretta, la proposta di Direttiva sulla
tassazione del risparmio e l’ introduzione del Codice di condotta per la
tassazione delle imprese.
Il lavoro si chiude con l’ analisi degli elementi per la costituzione di un
sistema fiscale europeo ed in particolare con il semestre italiano di
presidenza U.E. e la sua sfida della base consolidata.
L’ esame di questi temi vuole rappresentare uno spunto per compiere un
ulteriore passo verso l’ armonizzazione fiscale, strumento indispensabile per lo
sviluppo socio-economico, giuridico, culturale e, soprattutto, civile, non
soltanto dell’ Unione Europea, ma di tutta la comunità internazionale.
CAPITOLO PRIMO
EVOLUZIONE E SVILUPPO
DELL’ ARMONIZZAZIONE FISCALE
COMUNITARIA
1. Rapporto Neumark (1961).
Il Rapporto Neumark rappresenta il primo tentativo di affrontare i problemi
fiscali comunitari in termini che vanno oltre il semplice processo di
integrazione nell’ ipotesi di costituire un impianto normativo comunitario
che possa superare il livello nazionale e divenga, a tutti gli effetti,uno
strumento di politica economica sopranazionale.
1
Il comitato finanziario e fiscale (CFF) che assunse il nome del suo presidente
iniziò i lavori nel 1960 per finirli nel 1962.
Il mandato affidato dalla Commissione al Comitato era il più ampio
possibile, esso doveva esaminare se e come le differenze esistenti tra i
1
Bignamini S., L’ armonizzazione fiscale dalla Comunità all’ Unione, La sfida europea, ISDAF, Pavia, 1995.
sistemi fiscali degli Stati membri potessero creare degli ostacoli alla
creazione di un solido mercato comune, si faceva riferimento alla necessità
che il comitato fiscale si occupasse anche della fiscalità diretta, degli
eventuali effetti economici della disparità degli oneri fiscali globali e della
diversa ripartizione delle entrate. La giovane età della CEE consentì al
comitato di assumere un ruolo di elaborazione teorica, proponendo una sorta
di modello a cui, in anni successivi, in più occasioni, la Commissione fece
riferimento.
Il Comitato prese in esame i seguenti tipi di imposta: imposte sulla
formazione dei redditi, imposta sulle società, imposte sugli affari, imposte
sul consumo ed imposta sul patrimonio. Il CFF considerando che
armonizzazione della fiscalità era (ed è) un’ opera a largo respiro da
realizzarsi per tappe, stabilì che taluni suoi elementi non potevano essere
fissati in maniera definitiva. Il rapporto Neumark non reputò politicamente
realizzabile qualunque tentativo di unificazione della struttura dei sistemi
fiscali degli Stati membri, mentre vide in modo favorevole un
ravvicinamento delle strutture fiscali, soprattutto con il fine di eliminare le
doppie imposizioni.
2. Dagli anni Settanta agli anni Novanta: l’ obiettivo della completa
armonizzazione.
Il problema dell’ armonizzazione delle imposte sui redditi da capitale è stato
affrontato dalla Commissione delle Comunità Europee fin dagli anni
Sessanta, in quanto considerata un elemento fondamentale nell’ ambito del
processo di formazione di un mercato unico dei capitali e di un sistema
finanziario integrato a livello europeo, uno degli obiettivi principali del
trattato CEE.
2
Sotto questo aspetto, l’ armonizzazione delle imposte sul capitale avrebbe
avuto il duplice scopo di rimuovere gli ostacoli ai movimenti internazionali
dei capitali e, al tempo stesso, di minimizzare le distorsioni di natura fiscale.
Essa avrebbe costituito il presupposto per raggiungere un certo grado di
neutralità fiscale nei confronti delle scelte delle imprese, nel senso di evitare
disparità troppo marcate nella redditività dei capitali investiti, di ridurre la
rilevanza del fattore fiscale nelle scelte di localizzazione degli investimenti,
di favorire lo sviluppo, la concorrenza e la riorganizzazione delle imprese
stesse.
2
Emmanuele Emanuele , L’ imposizione dei redditi di capitale delle persone fisiche residenti nei paesi dell’
Unione Europea; con prefazione di Victor Uckmar, Cacucci Editore, Bari, 1998.
Sul piano pratico, tuttavia, la prima proposta di Direttiva volta a promuovere
un sistema comune d’ imposta sulle società, con particolare riferimento al
problema della doppia imposizione economica dei dividendi, e un regime
armonizzato di ritenute alla fonte sui dividendi risale al 1° agosto del 1975 e
trae origine da un progetto di armonizzazione di vasta portata definito fin dal
1967. L'intera materia era stata infatti per la prima volta affrontata
nell'ambito del "Programma di armonizzazione delle imposte dirette" del 26
giugno del 1967, con particolare riguardo al problema del trattamento fiscale
del capitale nei suoi molteplici aspetti: dal regime di ritenute alla fonte sui
dividendi e interessi da obbligazioni alla disciplina dei fondi di investimento,
dagli aspetti tributari della concentrazione delle imprese al regime degli
ammortamenti.
Gli obiettivi del Programma furono poi ridefiniti nel marzo del 1968, quando
il consiglio dei Ministri della Comunità stabilì le priorità dell’ azione della
Comunità stessa nel breve e nel lungo termine. Nel breve periodo, si sarebbe
dovuta concentrare l’ attenzione soprattutto sulle disposizioni fiscali che
potessero ostacolare i movimenti internazionali dei capitali e la
concentrazione delle imprese; si sarebbero dovute quindi studiare e
predisporre misure volte ad eliminare le diverse forme di doppia imposizione
all’ interno dell’ area comunitaria e si sarebbero dovute coordinare le misure
di incentivo previste nei singoli ordinamenti tributari.
Nel lungo periodo si sarebbe dovuto invece affrontare il problema più
complesso della vera e propria armonizzazione dell’ imposta sui redditi
societari, muovendosi nella direzione di un regime di tassazione degli utili
societari, “sufficientemente” omogeneo, caratterizzato da:
a) identico campo di applicazione dell’ imposta,
b) identico sistema di imposta,
c) aliquote ravvicinate,
d) comune base imponibile.
Tali indicazioni costituirono i presupposti e le linee guida della proposta di
Direttiva del 1975, i cui contenuti possono essere così sintetizzati:
a) applicazione di un’ aliquota unica sui profitti societari,
indipendentemente dalla loro destinazione, compresa fra il 45% e il 55%;
b) concessione agli azionisti di un credito di imposta compreso fra il 45% e
il 55% dell’ imposta societaria prelevata sui dividendi (con inserimento dei
dividendi e del credito di imposta nella base imponibile dell’ imposta
personale o societaria del percettore di dividendi);
c) diritto ad un rimborso nel caso di credito d’ imposta eccedente l’ imposta
personale o societaria dovuta dal percettore dei dividendi;
d) applicazione di un’ imposta di conguaglio ai dividendi derivanti da profitti
non soggetti ad imposta societaria;
e) applicazione di una ritenuta alla fonte armonizzata del 25%.
Le proposte della Commissione si limitarono dunque al sistema di imposta e
al livello delle aliquote, lasciando in sospeso i problemi del campo di
applicazione e della base imponibile, molto più complessi, oltre che per le
notevoli differenze esistenti nei regimi vigenti nei diversi Stati membri, per il
fatto che la loro soluzione avrebbe richiesto che fossero affrontate svariate
questioni inerenti l’ intera organizzazione dell’ ordinamento tributario in
ciascuno Stato membro ed anche problemi di natura giuridica.
La proposta di Direttiva del 1975, proprio per l’ ampiezza degli aspetti
implicati e per le consistenti modifiche che si sarebbero rese necessarie agli
ordinamenti dei diversi Stati membri, si arenò al Parlamento europeo e, dopo
lunghe controversie, fu definitivamente ritirata nel 1990, sulla base dei nuovi
orientamenti espressi dalla Commissione, di seguito illustrati.
3
3
Brivio E., Il Fisco europeo punta all' imponibile unico, le tappe di avvicinamento, Il sole 24 ore, 24-10-01.
3. Le Direttive e le proposte del 1990: l’ obiettivo dell’ armonizzazione
parziale.
Dopo un lungo periodo di studi e riflessioni, nel 1990 la Commissione delle
Comunità presentò al Consiglio e al Parlamento europeo un documento
contenente nuovi principi in merito alla tassazione delle società, il cui
elemento
di maggiore interesse e rilevanza fu l’ introduzione del "principio di
sussidiarietà", secondo il quale a livello comunitario dovrebbero essere
affrontate solo quelle questioni che non possono essere adeguatamente
risolte da parte dei singoli Stati membri.
Obiettivo della Commissione era dunque quello, meno ambizioso, di
armonizzare le imposte societarie, solo nella misura in cui si fosse reso
necessario al fine di rimuovere le distorsioni che avrebbero potuto ostacolare
la formazione del mercato unico.
La Commissione, di conseguenza, decise di attuare, nel breve periodo, una
serie di interventi volti ad eliminare le principali forme di doppia tassazione,
inaccettabili all’ interno del mercato unico europeo.
Secondo i criteri dettati dalla Commissione, il Consiglio delle Comunità
Europee adottò due proposte di Direttive, che risalivano al 1969, ed una
Convenzione in materia di arbitrato, che risaliva al 1976, con lo scopo di
eliminare gli ostacoli fiscali ai flussi di capitali e alla cooperazione fra
società collocate in stati diversi, mediante l’ abolizione delle principali forme
di doppia tassazione, in modo da creare all’ interno della Comunità
condizioni simili a quelle di un mercato interno.In particolare, la prima
Direttiva, comunemente nota come "parent/subsidiaries" Directive, concerne
il trattamento fiscale delle società madri/figlie, in modo da eliminare la
doppia tassazione dei profitti distribuiti sotto forma di dividendi da una
società figlia collocata in uno Stato membro alla società madre situata in un
altro Stato membro, con l’ adozione a livello comunitario del "privilegio
dell’ affiliazione" fra società collocate in diversi Stati membri, e l’ abolizione
della ritenuta d’ acconto sui dividendi intersocietari pagati dalla società
figlia.
La seconda direttiva ("mergers" Directive) riguarda invece le fusioni, le
scissioni e i conferimenti di attività fra società situate in diversi Stati
membri, con l’ esenzione delle plusvalenze derivanti da fusioni, estendendo
alle fusioni intracomunitarie le agevolazioni già previste dalle normative dei
singoli Paesi.
La Convenzione di arbitrato serve invece ad eliminare le forme di doppia
tassazione conseguenti all’ applicazione di particolari regole di
determinazione del transfer pricing.
Infine, sempre nel 1990, la Commissione delle Comunità presentò due
proposte di direttive, inerenti l’ abolizione delle ritenute d’ acconto sui
pagamenti di interessi e royalties tra gruppi di società in diversi Stati membri
ed il trattamento delle perdite subite dalle stabili organizzazioni e dalle
affiliate situate in diversi Stati membri (in modo che la società madre potesse
incorporare le perdite subite all’ estero dalla sua società controllata).
Per quanto riguarda invece gli obiettivi di più lungo periodo, in attesa degli
ulteriori sviluppi del mercato unico, essa richiese ad una commissione di
esperti indipendenti ancora uno studio sulla situazione Europea, al fine di
stabilire necessità, modalità e contenuti di un eventuale intervento a livello
comunitario, il che significò rimettere in discussione l’ intero problema
dell’armonizzazione.
4
La Commissione di studio lavorò sotto la presidenza di Onno Ruding e
presentò il suo rapporto conclusivo nel marzo 1992.
4
Benedetto S., A tappe la marcia di avvicinamento verso disposizioni tributarie comuni, Il sole 24 ore , 04-07-
01.