2
comunicativo volto a determinare il comportamento e le emozioni del
destinatario.
Il nostro tentativo è stato proprio quello di mettere in luce queste tracce.
Tuttavia, al posto che elencarle e descriverle semplicemente, abbiamo ritenuto
molto più interessante inserirle all’interno di un percorso storico che, partendo
dal 1895 per arrivare fino ad oggi, inquadra le “tappe”, per noi più significative,
attraverso le quali questa relazione tra spettatore e regista (o testo filmico) si è
evoluta nel tempo.
Abbiamo infatti sottolineato come, da una parte, allo spettatore, sempre più
cosciente ed esigente nei confronti dell’effettiva finzione cinematografica, non
basti più assistere alla riproduzione fedele della realtà, come all’epoca dei
Lumière, per stupirsi ed emozionarsi. Dall’altra, invece, come il regista, da
Griffith in poi, prendendo mano a mano confidenza con i mezzi a sua
disposizione, elabori una versione di realtà in apparenza sempre più oggettiva e
verosimile, ma che nasconde, con grande maestria, le ragioni profonde del
coinvolgimento emotivo dello spettatore.
Inoltre, ci è sembrato opportuno inserire all’interno di questo quadro storico,
anche dei brevi cenni riguardanti l’evoluzione di alcune delle tecniche
cinematografiche, quali l’illuminazione, la ripresa e il sonoro, attraverso le quali
il cinema si è avvicinato gradualmente a quella forma d’arte particolarmente
espressiva, e a quel potente mezzo di comunicazione, che oggi conosciamo.
Resta ancora un’ultima considerazione da fare: il cinema è realtà o
immaginario? e lo spettatore è passivo o attivo interprete della realtà/finzione
rappresentata? La conclusione alla quale siamo arrivati è che, probabilmente,
3
entrambe le risposte siano valide: infatti, forse è proprio questo il motivo
principale del forte potere di coinvolgimento del mezzo cinematografico.
Nel secondo capitolo ci siamo spostati invece nell’ambito della comunicazione
verbale, per analizzare, anche in questo caso, le modalità attraverso le quali è
possibile produrre un coinvolgimento emotivo nel destinatario della
comunicazione.
Nella prima parte di questo capitolo, abbiamo rivolto un’attenzione particolare
alla struttura interna dell’unità comunicativa del testo o messaggio verbale,
facendo particolare riferimento agli studi di Eddo Rigotti e Andrea Rocci.
Da qui, abbiamo approfondito dettagliatamente i “concetti-chiave” di senso, di
rapporto, di interesse e cambiamento, che emergono soprattutto in rapporto ad
una concreta situazione comunicativa nella quale il testo è inserito (si veda in
proposito Rigotti-Cigada 2004).
In particolare, dare una definizione esatta di senso si è rivelato molto
problematico: siamo infatti riusciti soltanto a dire che cosa il senso non è, ma
non che cosa il senso è.
Tuttavia, ci è sembrato molto interessante notare che, spiegando che cosa
significhi avere senso (avere senso significa avere rapporto e quindi
interessare) e come il senso si manifesta (nel cambiamento del destinatario e
quindi, possibilmente, anche in un suo cambiamento di tipo emotivo), il senso si
è rivelato essere la dimensione fondamentale dello scambio comunicativo.
Nella seconda parte del capitolo, invece, facendo riferimento in particolare alla
teoria proposta da Christian Plantin, abbiamo cercato di individuare i principali
tratti argomentativi (tópoi o luoghi comuni) sottesi al testo, attraverso i quali il
4
mittente, stimolando l’interesse del destinatario della comunicazione, può
provocarne il cambiamento emotivo.
Dalla nostra analisi infatti è emerso, ancora una volta, che il coinvolgimento
emotivo non avviene a caso nel destinatario ma, al contrario, è motivato e
giustificato da un suo atteggiamento di interesse e di apertura nei confronti del
messaggio verbale che gli viene comunicato.
Per quanto possibile, vista la complessità della disciplina, abbiamo cercato di
completare le nostre osservazioni di natura linguistica a proposito dell’interesse
e delle emozioni, con ulteriori osservazioni tratte da alcuni saggi di psicologia.
Il capitolo si chiude con un breve accenno al Libro II della Retorica di Aristotele,
e con l’elenco di tutti quei tratti argomentativi che, secondo il filosofo greco,
possono essere sfruttati a scopo persuasivo per produrre un’emozione o un
determinato stato d’animo nell’ascoltatore.
Infine, il terzo ed ultimo capitolo è dedicato interamente all’analisi del testo
letterario e del testo filmico del Cyrano de Bergerac. Per quanto riguarda l’opera
di Rostand, l’abbiamo considerata solo come opera letteraria e non come
rappresentazione teatrale.
Le osservazioni ricavate dal primo capitolo si sono rivelate particolarmente utili
nella fase di ricerca degli elementi espressivi, capaci di emozionare lo
spettatore, di cui avevamo bisogno per l’analisi delle scene del film. Così come
anche le osservazioni relative al secondo capitolo sono state riprese per
individuare i tratti argomentativi, capaci di emozionare il lettore, sottesi ai
dialoghi dell’opera letteraria analizzata.
5
È emerso che il confronto operato tra testo filmico e testo letterario non è stato
esattamente un “confronto-scontro”: infatti, non è stata nostra intenzione
paragonare le due opere per contrapporle o per evidenziare le differenze
esistenti tra loro.
Al contrario, l’aspetto forse più affascinante della nostra analisi è stato proprio il
tentativo di “avvicinare” queste due opere, per mostrare come, nello stesso
momento del racconto, il regista e lo scrittore riescono, attraverso mezzi,
strumenti e linguaggi molto diversi tra loro, a trasmettere un’emozione.
6
CAPITOLO 1
IL CINEMA E LE EMOZIONI
Quando nella simbolica data del 28 Dicembre 1895, i fratelli Lumière proiettano
su schermo le immagini semoventi dei loro primi cortometraggi, quello a cui il
pubblico assiste è uno spettacolo nuovo: non soltanto da un punto di vista
tecnico, in quanto reso possibile da una tecnologia prima sconosciuta, ma
anche e soprattutto da un punto di vista estetico.
La fruizione dell’opera cinematografica si svolge infatti in una dimensione
razionale ed emotiva obiettivamente diversa da quella del teatro, delle altre arti
figurative, della musica e della letteratura.
In questo primo capitolo, ci occuperemo proprio della dimensione emotiva dello
spettacolo cinematografico, ossia della relazione particolare che si instaura tra
“chi parla”, il regista, e “chi ascolta”, lo spettatore.
Attraverso un percorso storico che parte proprio dal 1895 per arrivare fino ad
oggi, cercheremo di evidenziare alcune tra le “tappe” più significative di questa
relazione, che si è evoluta, modificandosi man mano nel tempo.
Infatti, se da una parte lo spettatore diventa a poco a poco sempre più
cosciente ed esigente nei confronti dell’effettiva finzione cinematografica,
dall’altra il regista, prendendo mano a mano confidenza con i mezzi a sua
disposizione, elabora una versione di realtà in apparenza sempre più oggettiva,
ma che nasconde, in realtà, tutte le ragioni profonde del coinvolgimento emotivo
dello spettatore.
7
1.1 La nascita del cinema: uno sguardo nuovo sulla realtà
Il 28 Dicembre 1895 nei sotterranei del Gran Café a Parigi, sul Boulevard des
Capucines, non lontano dall’Opéra, i fratelli Louis e Auguste Lumière proiettano
il loro primo cortometraggio: La sortie des ouvriers de l’usine Lumière.
Questa data segna la nascita del cinema.
Si tratta di una semplice convenzione, poiché tutte le ricerche tecniche nel
campo della fotografia e della riproduzione del movimento, sulle quali
l’invenzione del cinematografo si basava
1
, erano già state precedentemente
realizzate, ma resta comunque una data molto importante.
In effetti il cinematografo Lumière esce per la prima volta dai confini della novità
puramente tecnica e, da semplice invenzione di laboratorio, aspira a diventare
proprio quello “spettacolo collettivo per pubblico pagante”
2
tanto noto ai giorni
nostri.
Non è un caso che il cinema nasca proprio in quegli anni, nel passaggio dal XIX
al XX secolo. Il Novecento si pone sin dall’inizio come un secolo di rottura col
passato, di cambiamenti, di ricerca costante del nuovo e del diverso, sia in
ambito tecnologico che in ambito artistico
3
.
Le scoperte scientifiche, come l’automobile e l’aeroplano, si impongono con la
forza di vere e proprie conquiste rivoluzionarie che esaltano il progresso, la
1
G.Rondolino, Storia del cinema, Utet, Torino 2000, p. 18.
2
S.Alovisio, Il cinema delle origini e la nascita del racconto cinematografico, in Introduzione
alla storia del cinema. Autori, film, correnti, a cura di P.Bertetto, Utet, Torino 2002, p. 4.
3
M.Grande, Il cinema e le altre arti nel movimento futurista, dal sito internet www.univ-
paris3/recherche/chroniquesitaliennes/PDF/45/Grande.pdf, consultato il 18/07/04.
8
velocità e il movimento. Anche il cinema, dal greco kínesis, che significa proprio
“movimento”, nega la fissità, l'immobilità, esaltando la dinamicità e la velocità.
Ma fin dalla sua nascita, il cinema viene considerato appannaggio non solo
della tecnologia, ma anche dell’estetica: nel 1911, Ricciotto Canudo, letterato e
uomo di teatro, definisce il cinema come la “settima arte” che prende posto
dopo l’architettura, la musica, la poesia, la pittura, la scultura e la danza.
Canudo sostiene che la modernità del cinema sia proprio nella sua velocità e
nella sua capacità di abolire le distanze, rappresentando anche posti
geograficamente lontani davanti agli occhi di spettatori che non avrebbero
altrimenti l’opportunità di conoscerli, se non in fotografia.
Come l’aeroplano, esso sembra infatti in grado di dilatare i confini della Terra: i
film possono essere prodotti in una parte del mondo e visti da tutt’altra parte.
Il cinema non incontra però inizialmente i favori di tutti. I sostenitori delle arti
tradizionali sono i primi a criticarlo con forza e, vedendovi la materializzazione
del peggiore ideale popolare
4
, di una forma espressiva pericolosa e spuria che
minaccia i vecchi metodi artistici proponendosi come sostitutiva, non lo
accettano o cercano di ignorarlo.
Queste critiche contengono delle importanti verità.
Come fa notare Tredell, non si può negare che il cinema, come i quadri di
Picasso, la musica di Stravinsky, la poesia di T.S.Eliot e i romanzi di James
Joyce, sia effettivamente alla ricerca di rapidi cambiamenti e di nuovi codici di
rappresentazione. L’obiettivo è quello di cogliere l’eredità delle tradizionali
4
S.A.Luciani, Cinematografo: tecnica ed estetica del cinema, articolo consultato dal sito internet
www.treccani.it/site/Cinema/cinema30.htm, il 23/06/04.
9
forme artistiche
5
, considerate ormai, nella prima parte del XX secolo sempre più
decadenti e superate.
Il cinema arriva dunque proprio nel momento di crisi di certe arti tradizionali.
Ad esempio il teatro, che per ben venticinque secoli, nella sua forma in prosa e
in versi, in musica e sotto specie di balletto, aveva costituito pressoché l’unica
forma di spettacolo, aveva raggiunto a fine Ottocento un momento di forte crisi
6
.
Monopolizzato dal ceto medio, che aveva contribuito ad “imborghesirlo” e a
concedere alle masse i temi fioriti dei melodrammi, questa forma d’arte aveva
perso la capacità di emozionare come una volta la platea di spettatori ed era
perciò caduta in uno stato di sonnolenza
7
.
Anche la letteratura era alla ricerca di nuove forme espressive con cui sostituire
quelle passate, che apparivano ormai troppo classiche e lineari
8
.
Il cinema quindi si sviluppa nello spazio lasciato vuoto tra un passato non più
valido e un futuro al quale appartiene per via della sua natura meccanica,
fotografica, collettiva, tecnologica e per la sua capacità di trasmettere i
parametri del mondo moderno: la sensazione di velocità, simultaneità e
ubiquità
9
.
È anche evidente che il successo del cinema derivi parzialmente dal suo essere
percepito, sin dagli esordi, come uno spettacolo popolare capace di far presa su
centinaia di migliaia di uomini.
5
N.Tredell, Cinema of the mind.A critical history of film theory, Icon Books, Cambridge 2002,
p.13.
6
A.Solmi, Cinema specchio del tempo,La Scuola, Brescia 1963, p. 18.
7
Ibidem.
8
Ibid., p. 20.
9
F.Albera, Anatomique cinéma, le cinéma au déla de l’esthétique, in Art Press, XIV, 1993, p.
12.
10
Il cinema si esprime infatti in un linguaggio universale, che consente una lettura
immediata di quanto appare sullo schermo: è uno sguardo semplice, di facile
accessibilità, che permette a tutti, senza esclusione e senza che sia necessario
saper leggere o scrivere, di guardare attraverso la sua grande lanterna
magica
10
.
Il cinema, medium privilegiato di inizio Novecento, riesce ad intrattenere
abilmente, a comunicare con la sua epoca, a trasmettere il senso di quanto
dice, sensazioni e conoscenze, comportando in qualche misura un
cambiamento nel destinatario sul quale riesce facilmente a far presa.
Béla Balázs, critico e sceneggiatore ungherese, paragona per questo motivo
l’invenzione del cinema a quella della stampa.
Quest’ultima aveva reso la parola il principale canale di comunicazione tra
uomo e uomo, così come il cinema stava provvedendo a fare attraverso
l’immagine, soprattutto dopo che le parole, sempre secondo Balázs, non
riuscivano più a “trovare accesso nell’anima dell’uomo”
11
.
Nel suo libro Teoria del film, Balázs definisce il cinema come il più importante
strumento capace di influenzare le masse, come l’arte popolare del secolo
perché capace di incarnare la mentalità delle persone
12
.
Se il cinema riesce ad esplorare, confrontare e unificare le esperienze della sua
epoca perchè invita al contatto con la realtà, che viene rappresentata partendo
dagli oggetti e non da un’idea di essi, quindi dalla sua materialità, esso riesce
allo stesso tempo a incoraggiare lo spettatore all’evasione.
10
Ibid., p. 16.
11
Si veda a questo proposito il testo di B.Balázs, Der Sichbare Mensh oder die Kultur des Films,
segnalato da F.Casetti, Lo sguardo di un’epoca, dispensa consultata il 23/06/04 dal sito internet
http://rassegnastampa.unicatt.it/unicattolica/allegati/docenti/280/materiale/dispensa.doc.
12
N.Tredell, Op. cit., p. 28.
11
Dinanzi allo spettacolo che gli viene proposto, in effetti, il pubblico si comporta,
secondo il critico cinematografico Walter Benjamin, come il flâneur descritto da
Baudelaire. Infatti, è come se lo spettatore si addentrasse tra le strade di una
grande città, sentendosi un po’ ovunque fuori casa e nello stesso tempo a casa
propria, al centro del mondo e nello stesso tempo nascosto al mondo,
osservatore e allo stesso tempo distratto sognatore. Nel flâneur baudeleriano
non c’è semplicemente la volontà di vedere tutto, ma anche la volontà di vedere
diversamente e di vedere cose diverse, ed è questa la proposta innovatrice del
cinema
13
.
Le immagini che sfilano sullo schermo fluiscono in una continuità spazio-
temporale molto simile a quella reale. Lo spettatore arriva quasi a dimenticarsi
della loro mediatezza, reagendo come se si trovasse davanti all’universo
effettivo
14
.
La macchina da presa però non produce realtà, ma la riproduce, scandagliando
ciò che ha di fronte attraverso il suo occhio, con lo stesso atteggiamento che
potrebbe avere un uomo nel guardarsi intorno.
Secondo Benjamin, lo sguardo del cinema con il suo modo di osservare e
riprodurre l’universo circostante e lo sguardo dell’uomo di fine Ottocento sono in
sintonia
15
. Il critico descrive gli anni che vanno dalla fine dell’Ottocento agli inizi
del Novecento, come “gli anni delle grandi città dalle atmosfere rumorose e
affollate”, dove vedersi, guardarsi e incontrarsi diventa sempre più facile, dove
13
S.Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema,Casa Editrice Le Lettere, Firenze 1994, pp.
13-14.
14
G.Bettetini, Cinema: lingua e scrittura, Bompiani, Milano 1978, p. 29.
15
F.Casetti, Op. cit.
12
tutto viene messo in mostra, nella “fantasmagoria delle merci” delle Grandi
Esposizioni
16
.
L’occhio umano vede quindi improvvisamente moltiplicare le sue direzioni ed
entra in contatto con una realtà sempre più vasta e articolata, che cerca di
riconoscere, di classificare, avvicinando tutte le cose che lo circondano
17
.
Questa tendenza è tipica dello scienziato come dell’uomo comune di inizio
Novecento, ma è anche quella del cinema, che ci permette di vedere sullo
schermo di nuovo e in modo nuovo la realtà e, in aggiunta, all’interno della
realtà, anche lo spirito del tempo
18
.
Il suo sguardo sembra infatti capace di rompere le barriere tradizionali con la
realtà per farci entrare nel tessuto che la compone, di penetrarla inquadrando
ogni cosa e chiunque, secondo un principio di egualitarismo. L’occhio della
telecamera modifica significativamente lo sguardo dell’uomo sulla realtà, le sue
relazioni con il mondo circostante, il suo modo di rapportarsi ad esso e di
rappresentarlo
19
.
16
S.Bernardi, Op.cit., p. 11.
17
Ibid., p. 12.
18
F.Casetti, Op.cit.
19
A.Costa, Immagine di un’immagine: cinema e letteratura, Utet, Torino 1993, p. 47.