Tesi di laurea_FGianstefani_aprile 2007
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rinnovamento teatrale rivestire spesso anche il ruolo di veri project leaders dei loro teatri, insieme ai
migliori architetti del tempo (si pensi ad esempio, ad Appia e Jaques-Dalcroze con Tessenow per il
Festspielhaus, a Reinhardt con Poelzig per lo Schauspielhaus, o a Piscator e Gropius per il Totaltheater o
ancora a Mejerchol’d ed il suo Nuovo teatro disegnato da Barchin e Vachtangov, o infine a Copeau e
Jouvet nel Vieux Colombier, ed altri ancora).
Oggi è assolutamente imprescindibile la collaborazione multidisciplinare, con la sempre crescente
complessità tecnologica, unita alla varietà e complessità delle istanze a cui l’architetto deve rispondere
nel progettare un edificio in genere ed un teatro in particolare: economiche, culturali, sociali, e sempre
di più politiche e di immagine.
La tendenza ormai generalizzata, per esigenze di produttività economica e di pareggio degli alti
costi di gestione, privilegia le destinazioni d’uso “multifunzionali” ed i relativi spazi autonomi ormai
indispensabili negli “Art Center”, che rendono di più;
Il teatro “edificio-evento” segue ormai le regole del cosiddetto marketing mix
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, in particolare nelle
sue due componenti della comunicazione e del prodotto. Naturalmente non è una novità di oggi - nelle
epoche precedenti erano già presenti sebbene in misura diversa e con altri nomi - ma la velocità di
trasformazione dei gusti, del costume, della cultura, dei “bisogni indotti” è così elevata come mai nel
passato e questo richiede delle risposte pronte e precise - ben calibrate sulle effettive richieste e con
una certa capacità di previsione futura - che si devono tradurre in una massima flessibilità d’uso, una
buona redditività, ed in un accattivante impatto d’immagine.
Al progettista a volte, viene rimproverato di non curare sufficientemente quegli spazi nascosti alla
vista del pubblico – con le relative caratteristiche fisico-tecniche – che sono comunque essenziali al
buon funzionamento della “macchina teatro”, come ad esempio, il rivestimento o la capacità di
adattamento multifunzionale del palcoscenico, o i suoi spazi di pertinenza (per le prove, per gli incontri
prima dello spettacolo), o i camerini, e così via. Alla critica che riguarda sia la quantità che la qualità di
questi spazi, il motivo addotto come “giustificazione” è di tipo economico: il risparmio sui costi (sul
fronte della dotazione tecnica e degli arredi) e la necessità di riservare maggiore spazio, in sede di
progetto, alle destinazioni più redditizie (zone espositive, spazi-vetrina promozionali, sale da affittare
per eventi mondani o ricevimenti, spazi commerciali in genere, ecc.) che costituiscono una fetta
sempre più importante alla voce “entrate” nel bilancio di gestione del teatro.
Oppure, un altro rimprovero che viene mosso all’architetto è che il teatro è progettato come un
“oggetto” poco flessibile alle diverse necessità della varietà delle rappresentazioni, (e questo, come si
vedrà nel corso della sua storia, non è certo una novità, anzi, si può dire che costituisca uno dei motivi
fondamentali che hanno alimentato tutti i maggiori movimenti riformatori dal XVIII secolo in poi).
Tutto questo, oltre che causa di insoddisfazione o frustrazione, porta ad una vera e propria
contrapposizione tra chi progetta l’edificio-teatro e coloro che praticano il teatro-arte (coloro che lo
vivono “dal di dentro” e ne hanno fatto lo scopo di vita) e ripropone il problema del conflitto (come
nell’architettura dei musei, ad esempio) tra il “contenitore” ed il “contenuto” in cui l’importanza del
primo rischia di prevalere sul secondo, dando vita a situazioni in cui non è più l’architettura al servizio
del teatro ma il teatro al servizio dell’architettura.
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Le cosiddette “quattro leve” del marketing mix sono: prodotto, prezzo, distribuzione, comunicazione. Prodotto: il suo contenuto di qualità e di innovazione;
prezzo: la sua concorrenzialità rispetto ai prodotti simili; distribuzione: la sua reperibilità sul mercato; comunicazione: la sua immagine sui media (pubblicità, ecc.).
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In alcuni casi limite, si può arrivare alla frattura di fatto del dialogo e della collaborazione tra questi
due ruoli essenziali.
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Il vero nodo, a mio avviso (lo dico al termine del mio lavoro di ricerca) va ricercato nella difficoltà
di conciliare una differente visione del teatro: da una parte quella a volte narcisistica del progettista di
un oggetto urbano che anche quando si materializza in una forma emozionante o poetica, esprime
essenzialmente un valore percettivamente e formalmente esterno di “presenza” volumetrica, di segno
qualificante del suo contesto, che dialoga con l’architettura circostante e con il tessuto urbano più
generale, diventando in alcuni casi (e molto spesso cercandolo apertamente) un vero e proprio simbolo
della città. Viceversa, dall’altra parte, a coloro che usano “The House” (la Casa, come lo chiamano gli
anglosassoni) non interessa tanto una forma quanto un senso ed un ambiente, un luogo ideale
dell’espressione artistica (nelle sue diverse forme) e che necessita in fondo, di pochi essenziali elementi
di arredo, ma flessibili ed adattabili alle diverse richieste della scena e del copione. A questi artisti è
stato insegnato che per fare del teatro bastano “due panche e una passione” o come afferma Firmin
Gémier
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il teatro è “una pubblica piazza coperta e riscaldata.”
Nello scenario odierno con l’invadenza dell’“ipercomunicazione” e con le offerte di tutti gli altri
media (il cinema, l’home video, la tv in tutte le sue ramificazioni, il direct streaming da Internet su
computer o sui vari dispositivi portatili di ultima generazione), è in gioco la sopravvivenza stessa
dell’arte teatrale.
La comunicazione visiva oggi è digitalizzata, filtrata, elaborata e riprodotta attenuando o
annullando la distinzione tra virtuale e reale. Questo provoca per reazione, un desiderio di “verità”, di
concretezza, di contatto fisico vivo, diretto. Ed esattamente in questo il teatro esprime la sua
peculiarità, la sua magia, la sua ineguagliabile capacità di fondere realtà e finzione e che oggi come ieri
nasce dall’esigenza profonda dell’uomo di esprimere e comunicare – calandosi nel duplice ruolo di
attore e spettatore – i sentimenti e le paure dell’esperienza umana: ridere, commuoversi, riflettere,
sognare; in sostanza di rispecchiarsi, identificarsi in una “proiezione del sé” contestualizzata in un rito
sociale che lo ha accompagnato fin dalla sua comparsa sulla terra.
Il teatro nella sua storia ha attraversato fasi nelle quali la presenza delle “opportunità meccaniche e
tecniche” spostava il centro d’interesse verso queste ultime che non piuttosto sulla qualità del
contenuto o dell’interpretazione, descrivendo nel corso dei secoli una sorta di parabola il cui punto più
alto era rappresentato dal maggiore impiego possibile di artifici sul palcoscenico, quasi a voler stupire il
pubblico con la predominanza degli effetti scenografici.
La sperimentazione delle avanguardie teatrali del XX secolo – così come nell’arte e
nell’architettura - ha di fatto rimesso in gioco ogni regola precostituita, esplorando tutti i territori
espressivi. Sembra, tuttavia, aver comunque stabilito un punto fermo: oggi, tra tutti i teatri possibili,
mantiene un suo ruolo importante il teatro “della parola”, recitato, essenziale.
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A questo tema è stato dedicato un interessante seminario internazionale a Reggio Emilia nell’ottobre 2004, con la presenza di numerosi e prestigiosi
protagonisti dell’architettura e dell’arte teatrale contemporanea, con l’obiettivo di indagare le relazioni tra il progetto di architettura del teatro e le arti sceniche dal
titolo: Architettura & Teatro, Seminario internazionale sulle relazioni fra progetto di architettura dei teatri e arti sceniche.
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Attore e regista francese (Tonnerre; Parigi 1869 - ivi 1933). Dopo gli esordi in teatri di provincia, si forma al Théâtre Libre di Parigi, fondato e diretto da André
Antoine. Nella stagione 1895-96 recita al Théâtre de l'Oeuvre, passando così dal naturalismo di Antoine al simbolismo di Lugné-Poe. Nel 1912 fonda il Théâtre
ambulant, uno dei primi esempi di realtà teatrale decentrata, che sfocerà nel 1920 nella creazione del Théâtre national populaire (Tnp), esperienza ripresa nel
dopoguerra e portata al successo internazionale da Jean Vilar, il fondatore del festival d'Avignone. La traccia lasciata da G. e raccolta soprattutto da Vilar, è la
creazione di un grande teatro popolare, accessibile a tutti ma mai commerciale. La sua spinta ideale era concentrata in un entusiastico avvicinamento dei classici al
grande pubblico, cercando sempre nelle sue rappresentazioni di agire `in sottrazione' nei confronti dell'enfasi recitativa e dell'impianto scenico. Tra le sue regie e
interpretazioni più significative ricordiamo: Blanchette di Brieux (1892), Venezia salvata di Otway (1895), Ubu re di Jarry (1896) e L'annuncio a Maria di Claudel
(1920). [http://www.delteatro.it/hdoc/result_spett.asp?idspettacolo=5622]
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L’indispensabile excursus storico che precede necessariamente la lettura degli edifici teatrali
contemporanei, cercherà di evidenziare lo stretto e costante legame tra l’architettura e l’arte teatrale, e
le loro reciproche influenze.
Tra i teatri contemporanei realizzati o in corso di realizzazione in Europa, Stati Uniti e Asia tra il
1987 e il 2007, sono stati selezionati alcuni esempi rappresentativi seguendo un criterio di
catalogazione (che rappresenta il contributo originale e coerente col lavoro di ricerca), in base al quale
sono state individuate alcune “aree” che meglio identificano la produzione teatrale recente, e cioè:
• I poli di riqualificazione urbana (suddivisi in due sottogruppi: i progetti all’interno di interventi
più ampi ed in progetti individuali);
• I segni nel territorio (i teatri che sottolineano la loro individualità come “segno” nel
luogo in cui sono costruiti);
• I teatri storici recuperati (in aree urbane).
E’ inevitabile porsi la domanda su quale direzione prenderà il teatro che ci attende.
A conclusione della tesi, dalla voce di alcuni autorevoli protagonisti coinvolti nel processo
produttivo del teatro (come architetti o artisti) si cercherà di individuare la strada verso cui evolverà il
teatro prossimo, riflettendo sugli aspetti invarianti, in qualche modo imprescindibili e rappresentativi
del fondamento stesso del teatro, considerando (o forse nonostante) l’inarrestabile evoluzione
tecnologica, culturale e del costume che inevitabilmente permea tutti quei luoghi e contesti in cui esso
continua orgogliosamente ad esistere.