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INTRODUZIONE
Solo 8 mesi dopo la scoperta del “Nuovo Mondo”, Papa Alessandro VI,
il 4 maggio 1493, con una bolla pontificia decreta che le nuove terre scoperte a
ovest di un determinato meridiano sono attribuite alla sovranità della Spagna,
mentre quelle ad est di quella linea appartengono al Portogallo.
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L’anno seguente, il Trattato di Tordesillas, firmato nell’omonima località
della Castiglia, sancisce la spartizione del globo secondo i medesimi canoni del
documento papale, praticamente dividendo il mondo, al di fuori del vecchio
continente, in un duopolio tra gli imperi di Spagna e Portogallo, escludendo, tra
gli altri, le potenze marittime emergenti di Olanda e Gran Bretagna.
Probabilmente come reazione a questa spartizione fra due sole potenze,
negli anni seguenti si rafforza la linea di pensiero che vede i mari res
communis a tutte le nazioni. Gli olandesi rivendicano strenuamente il diritto di
tutte le popolazioni alla navigazione e al commercio e istituiscono nel 1602, la
Compagnia delle Indie Orientali Vereenigde Oost-Indische Compagnie
iniziando col Portogallo una forte competizione per gli scambi commerciali
con una varietà di sistemi politici nelle Indie Orientali.
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La notevole concorrenza presto degenera in scontri vis a vis tanto che nel
febbraio 1603 la flotta olandese cattura nello stretto di Malacca, un galeone
portoghese carico di preziosi, il “Santa Caterina”.
Dopo aver condotto l’imbarcazione nel porto di Amsterdam, comincia il
processo che vede tra i suoi protagonisti un giovane giurista olandese, Hugo de
Groot (Grozio) che viene incaricato di preparare una difesa in grado di
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PAPA ALESSANDRO VI, Bolla Inter caetera Sull’educazione cattolica da impartire ai popoli
pagani contattati in occasione delle conquiste, 4 maggio 1493.
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DAVID J. BEDERMAN, The Sea, in The Oxford Handbook of the History of International Law,
Edited by Bardo Fassbender and Anne Peters, December 2012.
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giustificare, dal punto di vista politico e giuridico, l’interruzione del monopolio
commerciale portoghese.
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Il lavoro di Grozio tra il 1604 e il 1605, viene condensato nell’opera, “De
jure predae commentarius” di cui il capitolo riguardante la controversia sulla
“Santa Caterina” è pubblicato anonimamente nel 1609 con il titolo “Mare
liberum”.
Seguendo i precetti del diritto romano, il giurista stabilisce che da alcune
fonti si apprende che, benché in antichità si riconoscesse alle nazioni un
limitato diritto ad occupare i mari, questo fosse subordinato all’onere di
garantire una “servitù pubblica” e ciò dimostra come non sia fondata la tesi
secondo cui vi potrebbe essere invece un dominio sui mari.
Grozio osserva come l'uso dei mari per la pesca e la navigazione da parte
di alcuni, non impedisca ad altri di farne il medesimo utilizzo e, alla luce di
ciò, conclude che gli oceani sono creati dalla natura affinché il loro uso non sia
esclusivo, ma bensì appartenga a tutto il genere umano. Il giurista conclude
rilevando che, alcune cose, non potendo essere catturate e rinchiuse, non sono
idonee a diventare delle proprietà.
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Il concetto della libertà dei mari elaborato da Grozio si impone ovunque
in modo schiacciante, nonostante i tentativi di alcune nazioni di imporre la
propria sovranità sugli oceani per monopolizzare le rotte commerciali, tanto
che negli ultimi cinque secoli il diritto del mare si basa fondamentalmente sul
principio di mare liberum.
Tuttavia, questo successo non si fonda solo sull’efficacia persuasiva degli
studi di Grozio e degli accademici, del resto anche opinioni contrarie erano
ugualmente fondate su argomenti molto interessanti. Ciò che determina il
cambiamento e l’accettazione del concetto di mare liberum è l’ascesa di
3
Ivi.
4
HUGO GROTIUS, The Freedom of the Seas, Or, The Right which Belongs to the Dutch to Take
Part in the East Indian Trade, Translated with a Revision of the Latin Text of 1633 by Ralph van
Deman Magoffin, Edited with an Introductory Note by James Brown Scott. New York: Oxford
University Press, 1916.
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potenze marittime come Francia, Olanda e Gran Bretagna a spese dei Paesi
costieri e degli interessi basati sugli imperi territoriali. La libertà di
navigazione che ne scaturisce, favorisce le nazioni che possono impiegare
significative flotte navali nelle comunicazioni e nel trasporto di merci e
persone nei domini d'oltremare, sfruttando contemporaneamente a proprio
favore il sistema di mare liberum che consente alle navi da guerra il transito
continuo nelle diverse aree di influenza politico-militare.
Sebbene il concetto si applichi perfettamente all’alto mare, nelle acque
adiacenti alle coste è imperativo proteggere gli interessi nazionali, sia in
materia di pesca che di sicurezza, e quindi devono restare giurisdizione
esclusiva del paese costiero.
A causa di questa duplice natura i medesimi spazi vedono scontrarsi le
rivendicazioni degli Stati costieri, che reclamano il diritto di assicurare la
sicurezza del proprio territorio, e delle potenze navali, che fondando sugli
scambi commerciali la loro ricchezza difendono ardentemente il sistema della
libertà dei mari che li rende possibili.
Nei secoli si passa dal rivendicare la piena sovranità sull’arco di mare
coperto dalla gittata dei cannoni, che nel XVIII secolo si ritiene essere di 3
miglia, sino a cercare un accordo con i Paesi vicini sul tratto di mare in cui
sarebbe stato possibile esercitare la giurisdizione dello Stato. Nelle zone
marittime, in cui non è possibile tratteggiare dei confini definiti, è da sempre
necessario giungere ad accordi riconosciuti dalle parti affinché i diritti di tutti
non vengano intaccati.
Uno sforzo di codificazione del diritto del mare si rende sempre più
necessario anche in seguito all’emergere, durante gli anni delle guerre
napoleoniche, del fenomeno della pirateria che erode il principio di mare
liberum scoraggiando altresì i commerci e minacciando gli imperi navali.
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Quindi tra il XVIII e il XIX secolo le potenze europee, insieme a Stati
Uniti e ai paesi dell’America latina, si impegnano simultaneamente per
sviluppare regole, basate sui principi di libertà dei mari, che prevedono la
cattura delle imbarcazioni sospettate di fenomeni di pirateria e più tardi di
commercio degli schiavi. Dal 1815 viene elaborato un complesso sistema
interno di organi che, per processare l’equipaggio delle navi sequestrate, sono
chiamati ad applicare il diritto internazionale consuetudinario.
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Ciò nonostante, dopo la sconfitta della Francia napoleonica, il diritto del
mare entra in cento anni di quiete, con poche sfide teoriche al principio di
libertà dei mari. Nel XIX secolo la Gran Bretagna impone la propria
supremazia sugli oceani all’insegna della dottrina fondata su libero commercio,
autorità dello Stato costiero estremamente limitata e regole chiare per la cattura
in mare.
Il primo conflitto mondiale cambia totalmente il modo di guardare al
diritto internazionale. La guerra distrugge le nazioni europee che hanno creato
il sistema fondato su mare liberum e che si concretizza nel libero commercio e
negli imperi marittimi e coloniali. Le avvisaglie di cambiamento si notano
negli sforzi della Società delle Nazioni prima per codificare il diritto
internazionale consuetudinario e poi per chiarire il diritto del mare che è
prevalso nei secoli, provando anche a definire l’estensione del tratto di mare
adiacente alle coste di uno Stato su cui esercitare la giurisdizione. La
Conferenza si svolge all’Aja nel 1930 ma a causa del permanere di numerosi
contrasti non approda ad alcun trattato.
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BEDERMAN, cit. supra nota 2.
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Dopo pochi anni, la deflagrazione del secondo conflitto mondiale
evidenzia ulteriormente, qualora ce ne fosse bisogno, l’importanza di avere un
diritto internazionale chiaro, efficace e perciò codificato. Le aspirazioni
pacifiche di popoli ormai stanchi della guerra che in pochi anni lascia il
continente europeo in macerie e la “lungimiranza” delle élites di governo
conducono all’adozione della Carta delle Nazioni Unite e all’istituzione
dell’ONU nel 1945.
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Tuttavia, pur riconoscendone l’importanza, la materia del diritto del mare
fatica a trovare una codificazione sotto forma di convenzione ampiamente
condivisa. La Commissione delle Nazioni Unite sul Diritto Internazionale
(ILC) intraprende già dal 1949 l’opera di codificazione giungendo a sottoporre
nel 1956 all’Assemblea Generale un progetto di articoli che servono come base
per i negoziati della Prima Conferenza delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare
(UNCLOS I) convocata a Ginevra il 24 febbraio 1958 al fine di stipulare una
Convenzione internazionale sul diritto del mare largamente condivisa.
Purtroppo ai negoziati partecipano solo 86 Stati, che il 29 aprile 1958 giungono
alla firma di quattro convenzioni ed un protocollo opzionale riguardanti diversi
aspetti del diritto internazionale marittimo.
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Ciò nonostante non si giunge ad un accordo sull’estensione delle acque
territoriali, elemento di importanza cruciale tanto che una Seconda Conferenza
delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS II) principalmente per
risolvere la questione, viene convocata poco tempo dopo la firma delle
convenzioni di Ginevra. I negoziati dell’UNCLOS II cominciano nel 1960 per
sei settimane, ma non portano alcun accordo.
6
Sul punto si veda l’opinione di MARK MAZOWER in No Enchanted Palace, The End of
Empire and the Ideological Origins of the United Nations, Lawrence Stone Lectures, Sponsored by
The Shelby Cullom Davis Center for Historical Studies and Princeton University Press, 2008.
7
TULLIO TREVES Judge of the International Tribunal for the Law of the Sea, 1958 Geneva
Conventions on the Law of the Sea. Consultabile all’indirizzo:
http://legal.un.org/avl/ha/gclos/gclos.html
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Infine, la Terza Conferenza LOS
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(UNCLOS III) allo scopo di stipulare
una convenzione comprensiva di ogni aspetto legato al diritto internazionale
marittimo, viene convocata a New York per il dicembre 1973 e si conclude a
Montego Bay il 10 dicembre 1982 con la firma della United Nations
Convention on the Law of the Sea (d’ora in poi UNCLOS o Convenzione).
Nella Parte prima del lavoro, si considerano le necessità che con la
stipula di una nuova Convenzione sul Diritto del Mare si intendevano colmare.
Quindi, ponendo l’accento sull’eccezionalità dei meccanismi per la soluzione
delle controversie, integrati nell’UNCLOS, se ne paragona la ratio al principio
di parità sotteso al diritto internazionale. In seguito si vagliano i compromessi
che durante il lungo negoziato conducono le delegazioni a riservare la
giurisdizione residuale per dirimere una disputa, qualora le altre modalità non
possano essere applicate, al procedimento di arbitrato descritto nell’allegato
VII della Convenzione. Dopo averne delineato brevemente le caratteristiche
principali, si esaminano alcune critiche sorte relativamente alle procedure
obbligatorie previste nella seconda sezione della XV parte dell’UNCLOS.
Nella Parte seconda si porta l’esempio della controversia Arctic Sunrise
che vede contrapposti il Regno dei Paesi Bassi alla Federazione Russa in un
arbitrato obbligatorio. Dopo aver ricostruito i fatti alla base della disputa, si
esaminano i passi intrapresi dalle autorità olandesi per iniziare il meccanismo e
il ruolo svolto dall’ITLOS nel disporre le misure cautelari insieme ad alcune
critiche sorte al riguardo. Ponendo l’attenzione sulle regole procedurali si
evidenzia come, nonostante il rifiuto di Mosca a partecipare, l’arbitrato
continui senza alcun impedimento o ritardo. Si valutano quindi le basi su cui
poggia l’eccezione russa che nega la giurisdizione del Tribunale e si pone
l’accento sul ragionamento con cui il Collegio arbitrale le demolisce,
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LOS= Law Of the Sea, Diritto del Mare.
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confermando la propria piena competenza a decidere in materia. Si considera
infine la scelta delle autorità russe di non partecipare al procedimento arbitrale
e le conclusioni che i giudici traggono nel merito del caso.
La Parte terza analizza l’iniziativa delle Filippine che ricorrendo ad un
arbitrato obbligatorio secondo quanto descritto dall’allegato VII, mirano ad
ottenere dai giudici delle pronunce ufficiali sulle azioni condotte dalla
Repubblica Popolare Cinese (di seguito PRC o Cina) nel Mare Cinese del Sud
(di seguito SCS). Si parte analizzando le rivendicazioni della Cina che si
basano sulla Nine-dash-line, - la curva tratteggiata che comprende le aree
pretese - e quanto questo fondamento sia compatibile con la Convenzione. Ci si
focalizza quindi sulle richieste di Manila ai giudici. Si esaminano poi le basi
del rifiuto cinese e come la questione preliminare posta alla giurisdizione del
Tribunale venga gestita dai giudici e infine chiarita nella pronuncia sulla
giurisdizione del foro.
Nelle conclusioni, tornando a considerare gli obiettivi che con la stipula
dell’UNCLOS la comunità internazionale si proponeva, si cerca di dare un
parere di quanto questi possano considerarsi effettivamente raggiunti. Infine,
alla luce dei casi descritti nella seconda e terza parte si valuta l’importanza
dell’arbitrato obbligatorio disposto dalla Convenzione. Benché la sua sentenza
sia obbligatoria, con tutti gli effetti che ne derivano come contromisure in caso
di non osservanza, non ci può essere esecuzione forzata, ovvero gli Stati non
possano essere forzati ad adempiere alla sentenza.
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