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Capitolo I
La genesi dell’arbitrato irrituale: giurisprudenza e dottrina
nei primi 50 anni del secolo.
Parte prima: le origini dell’istituto.
Già alla fine del secolo scorso si hanno le prime sporadiche manifestazioni
di quel fenomeno, tipico prodotto della pratica italiana, e ritenuto dalla
maggior parte della dottrina assente invece negli altri ordinamenti, tramite il
quale si è col tempo instaurata, accanto all‟arbitrato regolato dal Codice di
Procedura Civile, un‟altra forma di risoluzione delle controversie ad opera
di uno o più terzi, svincolata però dall‟osservanza delle norme del codice di
rito e, in conseguenza, priva di efficacia esecutiva e incapace di dare luogo
alla sanzione della cosa giudicata. Questa nuova figura assunse le varie
denominazioni di arbitrato irrituale, libero, irregolare, improprio: con tale
terminologia si è voluto dare rilievo all‟antitesi dell‟istituto in esame rispetto
a quello disciplinato dal codice e detto quindi rituale, formale, regolare,
proprio. Tuttavia va ricordato che si tratta di una terminologia di comodo e
non tecnica, poichè, come vedremo in seguito, struttura e natura del
cosiddetto arbitrato irrituale sono state a lungo considerate, e per una certa
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scuola lo sono ancora, nettamente diverse da quelle dell‟arbitrato
disciplinato dal codice di procedura civile.
Il nuovo sistema di risoluzione delle controversie divenne presto,
soprattutto presso i ceti industriali e commerciali, un agile strumento atto a
conciliare due esigenze molto sentite: quella di una soluzione del
contenzioso ad opera di persone di fiducia delle parti dotate di speciali
requisiti di competenza (per lo più tecnica), e quella di una soluzione della
controversia rapida ed economica. Non va poi sottaciuto l‟ulteriore
malcelato intento delle parti, reso possibile dalla pratica in questione, di
celare certi negozi, e quindi la reale capacità contributiva dei contraenti,
alla vigilanza del fisco, inevitabile nel giudizio arbitrale non meno che in
quello ordinario
1
.
Ben presto si pose innanzi ai giuristi e alla magistratura giudicante il
seguente problema: se il codice di procedura civile consente alle parti di
derogare alla giurisdizione ordinaria tramite l‟arbitrato, ma al contempo
delinea per questo istituto una data disciplina procedurale, come può
riconoscersi efficacia a un sistema di risoluzione delle controversie
tramite arbitri che non osservi tale disciplina? E quale natura e fondamento
avrebbe tale efficacia? A tali interrogativi rispose per prima la Cassazione
torinese nel 1904, che riconobbe la piena validità dell‟arbitrato irrituale,
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considerandolo una forma di risoluzione convenzionale delle liti, attuata
tramite terzi e non direttamente dalle parti, ed avente l‟efficacia di un
contratto tra queste concluso
2
. Pertanto, l‟arbitrato libero deriva la propria
efficacia unicamente dalla volontà delle parti, le quali potranno avvalersi
esclusivamente dei poteri posti dall‟ordinamento giuridico a disposizione
dell‟autonomia privata. In ciò sta la fondamentale differenza con l‟arbitrato
rituale, il cui lodo può, invece, tramite il procedimento di omologazione,
essere parificato a una vera e propria sentenza.
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Vedi Calamandrei, Il processo civile sotto l‟incubo fiscale, in Riv. dir. proc. civ., 1931, I, 56;
Carnelutti, Sistema di dir. proc. civ., I, Padova, 1936, 557.
2
Cass. Torino, 27/12/1904, Ruschetti c. ditta Butet Freres (Foro It., 1905, I, 366; Riv. Dir. Comm., 1905,
II, 45 e segg..
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Parte seconda: le concezioni dottrinarie.
Contrariamente alla giurisprudenza, che, superate le prime incertezze, si è
costantemente pronunciata a favore della validità dell‟arbitrato libero,
anche se non si è sempre ispirata, nelle singole pronunce, ad un criterio
giuridico uniforme, la dottrina è stata invece lungamente divisa, benché si
possa affermare che la corrente favorevole alla validità dell‟arbitrato è
sempre stata prevalente. Lo scopo principale degli studiosi che hanno
affrontato il problema è stato quello di dare riconoscimento giuridico ad un
fenomeno affermatosi imperiosamente nella pratica, riconducendolo ad
una delle figure contemplate dal nostro diritto positivo. Tanto pressante era
questa esigenza che alla fine, nonostante i divari di vedute manifestatesi
circa la qualificazione giuridica da attribuire all‟arbitrato irrituale, questo
istituto è riuscito a imporsi anche sul piano dottrinario, come una realtà che
non può più essere disconosciuta neppure da chi, a suo tempo, ne era
stato oppositore.
Dopo tale premessa, si cercherà ora di delineare un quadro delle varie
correnti di pensiero che si sono manifestate sul problema dell‟arbitrato
irrituale nel sistema del diritto positivo: un esame delle teorie proposte e
dibattute in passato dalla nostra dottrina in tema di arbitrato irrituale, può
esserci utile per impostare, successivamente, l‟indagine sulla sua natura
giuridica.
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A) Teorie sull’efficacia contrattuale dell’arbitrato libero.
1 Appartiene al Mortara
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il primo riconoscimento esplicito della facoltà
spettante alle parti, in base al “principio della libertà delle private
convenzioni”, di deferire le controversie tra loro insorte alla decisione di
terzi, con la conseguenza che la parte che non osservi la decisione del
terzo sia tenuta al risarcimento dei danni per la violazione del patto e possa
essere costretta con azione giudiziaria ad osservarla. Tuttavia il Mortara,
ammettendo che la parte inadempiente potesse spiegare le proprie ragioni
innanzi a un giudice, rinnovando così la discussione sull‟intera
controversia, faceva perdere sostanzialmente valore alle proprie
affermazioni: in pratica, veniva negata al lodo irrituale efficacia vincolante,
lasciando aperta la porta a quel giudizio ordinario che le parti volevano
invece evitare. Quest‟ultima tesi espressa dall‟autore citato non ha avuto,
del resto, seguito, mentre il principio della libertà delle convenzioni è
servito ad altri autori per conferire il massimo riconoscimento all‟efficacia
dei lodi irrituali.
2 In tal senso si sono mossi il Rocco (Alfredo) e il Satta, sostenitori della
c.d. teoria contrattualistica pura dell’arbitrato. Il primo
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giunge a una
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Mortara, Commentario del Codice e delle Leggi di Procedura Civile, 3 ed., vol. III, Milano, s.d.,
p.42.
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Rocco, La sentenza Civile, Torino, 1906, pag. 45-46
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completa assimilazione delle figure dell‟arbitrato rituale e irrituale,
quest‟ultima considerata come arbitraggio, sostenendo che in entrambi i
casi si ha a che fare con un istituto generale del diritto privato, l‟arbitrio del
terzo come elemento di determinazione della volontà privata. In base a tale
concezione, il compromesso regolato dal Codice di Procedura Civile non
sarebbe altro che una transazione in bianco, le cui condizioni non
verrebbero determinate dalle parti, ma dal terzo: quindi l‟arbitro previsto dal
Codice di rito sarebbe in pratica un arbitratore del tipo di quelli previsti dal
Codice Civile in materia di vendita, società, ecc.; il lodo dell‟arbitro avrebbe
per le parti la stessa efficacia contrattuale della pronuncia dell‟arbitro
irrituale-arbitratore, ricevendo dal decreto del magistrato unicamente la
qualità di titolo esecutivo.
Questa tesi del Rocco, che ha portato all‟estremo la concezione
privatistica dell‟arbitrato, è stata ripresa e perfezionata dal Satta
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, il quale,
intenzionato a dimostrare la contrattualità dell‟arbitrato in genere, è stato
costretto a sua volta a ricondurre l‟arbitrato all‟arbitraggio, e a far rientrare
entrambi entro il concetto della volontà contrattuale. Per questo autore
l‟unica nota distintiva tra arbitrato e arbitraggio-arbitrato libero sarebbe
data dal fatto che nel secondo si ha un conflitto di interessi accessorio,
assorbito da quello che sta alla base del contratto, mentre nel primo il
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conflitto di interessi è autonomo e viene composto dall‟arbitro direttamente
tramite la concreta costituzione di un contratto.
Una volta ammesso, a mezzo delle concezioni suesposte, il carattere
contrattuale dello stesso arbitrato rituale, ed ammesso di conseguenza
che le forme dettate dal codice di rito siano necessarie solo per far
acquistare al lodo ivi stabilito la qualità di titolo esecutivo, ma non l‟efficacia
obbligatoria tra le parti, che esso già possederebbe in virtù del principio
dell‟obbligatorietà dei contratti, ne risulta automaticamente l‟efficacia,
contrattuale, del lodo irrituale. Quello che, però, non appare facile da
giustificare è proprio la premessa all‟assunto surrichiamato, e difatti la
maggior parte della dottrina ha, a lungo, trovato ostacoli per definire come
contrattuale la natura dell‟arbitrato rituale
6
.
3 Partendo, invece, dall‟opposta concezione secondo cui l’arbitrato
rituale avrebbe carattere giurisdizionale il Bonfante
7
ha affermato che
la disciplina formale sancita dal Codice di Procedura Civile con riguardo a
questo istituto, in considerazione del carattere che è proprio del
procedimento arbitrale ivi stabilito e degli effetti giurisdizionali del lodo che
ne consegue, non implica necessariamente una restrizione della facoltà
5
Satta, Contributo alla dottrina dell‟arbitrato, Milano,1931, 169 e segg..
6
Vedi Lipari, Considerazioni sul tema degli aritrati e egli arbitraggi, Messina, 1931-32, pagina
78 e segg.
7
Bonfante, Dei compromessi e lodi stabiliti fra industriali come vincolativi dei loro rapporti ma
non esecutivi nel senso e nelle forme dei giudizi, Riv. Dir. Comm., 1905, II, 45 e segg..
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delle parti di regolare i propri rapporti entro la sfera del diritto delle
obbligazioni.
È quindi da ritenersi legittimo un compromesso che sia svincolato dalle
forme del Codice, tramite il quale le parti affidino a un terzo la decisione
della controversia per ottenere una pronuncia che non abbia l‟effetto di
imporsi loro con la forza esecutiva della sentenza, ma solo di obbligarle, in
virtù della precedente accettazione, con la stessa efficacia di un contratto.
L‟autore aggiungeva che ha senso parlare della giurisdizione come
funzione esclusiva dello Stato solo se la si intende come giudizio
imperativo e sentenza esecutiva, ma non come funzione logica del
decidere. Lo Stato non avrebbe nessun interesse ad arrogarsi il diritto di
giudicare ogni controversia riguardante esclusivamente il singolo. Lo Stato
difatti vieta la giustizia privata nel senso della violenza, ma la promuove nel
senso della conciliazione e della eliminazione delle controversie.
Dall‟assunto di una netta separazione dei due istituti, il Bonfante negava
inoltre la possibilità di convertire un lodo rituale in uno libero, perchè è
difficile ammettere che la volontà delle parti di sottostare a un giudizio
implichi la volontà di stipulare un contratto.
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4 Atonio Scialoja
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, dopo aver distinto un aspetto privato e uno pubblico del
problema della qualificazione giuridica e dell‟efficacia dell‟arbitrato irrituale,
e dopo aver concluso che, dal punto di vista del diritto privato, il
deferimento di una controversia ad arbitri irrituali e l‟efficacia obbligatoria
tra le parti dei lodi relativi sono giustificati dal principio di libertà delle
convenzioni, identifica il nocciolo dell‟indagine nello stabilire quali siano i
limiti ai poteri decisori degli arbitri irrituali fissati dall’ordinamento
giuridico. Secondo l‟autore, quando si dice che la giurisdizione è funzione
esclusiva dello Stato, si deve intendere la giurisdizione non come il potere
di formulare la decisione di qualsiasi controversia, ma come quello di poter
dare efficacia esecutiva alla decisione. Lo Stato non ha il monopolio della
risoluzione delle controversie, ma della attuazione del diritto oggettivo. In
virtù di ciò, se la risoluzione arbitrale di una controversia deve avvenire
secondo le norme del diritto oggettivo si richiede l‟osservanza delle forme e
delle garanzie previste dal codice; ciò non è invece necessario se gli arbitri
devono pronunciarsi secondo equità. Da ciò derivano due conseguenze:
- l‟assenza della previsione di forme per gli arbitrati irrituali si spiega col
fatto che questi attuano sempre l‟equità;
- la differenza tra l‟arbitrato rituale di equità e quello irrituale sta
nell‟efficacia spettante al lodo: giurisdizionale nel primo caso, contrattuale
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Scialoja, Arbitrati liberi, Riv. Dir. Comm., 1922, I.
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nel secondo, e dipende dalle parti, allorché desiderano un giudizio di
equità, utilizzare un arbitrato rituale o uno libero a seconda che vogliano
una decisione dotata di forza esecutiva o soltanto di forza obbligatoria.
Tuttavia si deve ricordare che il codice di procedura civile prescrive le
stesse forme sia per l‟arbitrato secondo diritto che per quello secondo
equità. Cercare di superare tale ostacolo ricorrendo alla diversa efficacia
del lodo irrituale rispetto a quello rituale ci riporta al problema di base, a
cercare cioè un fondamento giuridico alla obbligatorietà del lodo emesso
senza osservare le procedure del codice.
B) Critica alle teorie contrattualistiche.