5
CAPITOLO I
Disastro
<<Da un certo punto di vista, un disastro diventa un disastro
solo quando vengono coinvolti uomini o ambienti creati dagli
uomini. Una valanga in una valle disabitata o un terremoto in
Artide sono eventi geofisici, non sono disastri>>.
Karl A. Wester .
1
I.1 Definizione di disastro
La definizione di Karl A. Wester è chiara sul concetto di disastro: senza
morti, feriti, distruzioni e crolli un disastro non è tale. È semplicemente un
evento della natura. Un terremoto, uno tsunami, un‟alluvione diventano
eventi critici e disastrosi quando impattano su una data popolazione
provocando danni fisici e materiali.
Nella terminologia corrente usiamo la parola disastro o catastrofe per
indicare un evento o una serie di eventi con conseguenze nefaste e tragiche
per un periodo non troppo breve. Per esempio un incidente automobilistico
può essere chiamato disastro quando procura dei danni rilevanti a persone e
cose con conseguenze che non si esauriscono nell‟immediato.
Unanime è il parere di una prerogativa del disastro: il coinvolgimento
dell‟uomo. L‟uomo può essere sia artefice del disastro, come nel caso
dell‟automobilista imprudente o soggetto dello stesso come nei casi elencati
nelle prime righe, quindi terremoti, tsunami, alluvioni eccetera. In questo
ultimo caso ci troviamo nella categoria di catastrofi naturali, ovvero una
categoria di problemi ambientali completamente a se stante. Interessano i
mass media e il pubblico per la elevata portata dei loro effetti, hanno una
prevedibilità scarsa e ridotta e portano con sé svariate conseguenze. Le
calamità naturali che possono minacciare l‟ambiente e l‟uomo sono le
tempeste di vento, gli uragani, le burrasche, i tornado, i cicloni, i danni
1
Ligi G., 2009, op. cit., pag.3.
6
provocati dal gelo, le ondate di calore, i grandi incendi, le bufere di neve, i
tifoni, le tempeste di grandine, i sismi e le eruzioni vulcaniche.
Ora la storia ci ha insegnato che la natura e la portata del loro impatto
dipendono sia dalle caratteristiche dell‟evento stesso sia da fattori che
interessano direttamente l‟uomo, ovvero la densità demografica, le misure di
prevenzione adottate contro le calamità naturali e la pianificazione degli
interventi di emergenza. Le attività umane possono rendere disastrosi gli
effetti di fenomeni anche non particolarmente forti. Ad esempio le
inondazioni sono eventi naturali. I danni causati dipendono dalla durata
dell‟evento e dall‟altezza raggiunta dal livello dell‟acqua, dalla topografia,
dall‟uso del terreno, dalle misure di difesa previste e dal grado di
preparazione della popolazione colpita. Le attività umane possono influire
sia sulla frequenza sia sulle conseguenze delle alluvioni: il drenaggio, la
canalizzazione aumentano il pericolo di piene e le strade possono agire da
convogliatori di acqua, causando ulteriori frane.
2
Riporto qui un tratto di un
sociologo spagnolo dopo la frana a Manila, capitale delle Filippine, nel
2000:
<< [... ] non si trattava assolutamente di un disastro naturale. Si
scoprì che il quartiere era una specie di bidonville costruita su
una discarica di rifiuti, popolata da circa 50.000 persone la
maggioranza delle quali vive del cibo e degli oggetti recuperati
rovistando tra i rifiuti della città. Quando due giorni di pioggia
battente infradiciarono la montagna di rifiuti, questa scivolò
verso il basso, investendo migliaia di case e le linee elettriche
della discarica e provocando un enorme incendio. Molti abitanti
del quartiere rimasero sepolti sotto le macerie, altri morirono
bruciati e molti altri furono avvelenati dagli agenti chimici
rilasciati a causa del fuoco>>.
3
2
European Environment Agency, L‟ambiente in Europa: seconda valutazione. Rischi tecnologici e
naturali (capitolo 13). pag.2-14. http://www.eea.europa.eu/it/publications/92-828-3351-8/13it.pdf
3
Flavin C., 2001, pag.29.
7
Si tratta di un fenomeno naturale ma è evidente come l‟azione dell‟uomo
amplifica enormemente le dinamiche dell‟evento. Ad ogni modo per individuare
un disastro naturale dobbiamo tenere in considerazione il danno indotto dallo
stesso. Tale danno deve essere severo, con la distruzione o messa fuori uso di
infrastrutture, danneggiamenti ad edifici, vittime e feriti. Se non ci fossero danni
non si parlerebbe di disastro. Per chiarire questo punto riporto lo studio di
Gianluca Ligi riguardante la nozione di disastro. È possibile differenziare due
classi di nozioni: le nozioni tecno centriche e le nozioni socio-antropologiche.
4
La
prima classe di nozioni sono formulate nell‟ambito delle scienze fisiche,
geologiche e dell‟ingegneria. Tendono a identificare un disastro con qualche
caratteristica di un agente fisico e con gli effetti fisici di tale agente. Un disastro
quindi può essere ad esempio un terremoto che procura degli effetti fisici quali:
crollo di edifici, morti, feriti, dispersi e altro. Anche la gestione del disastro e le
varie strategie di intervento vengono interpretate facendo riferimento a parametri
tecnici e fisici. I sismografi, nel nostro caso del terremoto, le scale di magnitudo
oppure il calcolo delle vittime, la stima degli edifici crollati sono tutti elementi
che risalgono a un approccio del tipo tecno centrico. La casistica però, mostra
chiaramente dei limiti: il necessario miglioramento dei modelli geofisici o
informatici e delle tecniche di gestione degli impianti si è dimostrato inefficiente
per comprendere, prevedere ed evitare un disastro. Per di più non spiega perché se
un evento estremo si verifica con la stessa intensità ed è caratterizzato da simili
variabili fisiche in due differenti sistemi sociali, i danni che produce in ciascun
sistema non risultano mai uguali e talvolta sono anche difficilmente paragonabili.
Facendo un esempio: il terremoto di L‟Aquila del 6 aprile 2009 ha riportato 308
vittime, 1600 feriti, con un danno al patrimonio storico e artistico notevole.
L‟intensità del sisma fu stimata pari a 5,8 gradi di magnitudo della scala Ricther.
In Umbria e nelle Marche invece, il 26 settembre del 1997 si verificò un terremoto
con un‟intensità di 6,0 gradi della scala Richter. Le vittime furono 11 mentre il
patrimonio storico artistico perduto e danneggiato fu enorme. Rispetto al sisma
del capoluogo abruzzese le vittime furono molto di meno nonostante l‟intensità
fosse lievemente maggiore. Perché quindi eventi naturali di uguale magnitudo
provocano danni notevolmente differenti? Le variabili tecniche e fisiche non
4
Ligi G., 2009, pag. 9-19.
8
bastano a spiegare perché non esiste un rapporto proporzionale tra il grado di
impatto di un agente pericoloso e i danni causati dallo stesso. Il sociologo Marco
Lombardi chiarisce questo punto affermando che:
<<il problema non è più dentro all‟evento, ma è fuori
dall‟evento, nel sistema sociale che è colpito>>.
5
Dobbiamo considerare un disastro non solamente come un evento fisico, ma
piuttosto come un fenomeno sociale che dipende principalmente dal tipo di
società e sistema coinvolto. Differente quindi saranno le conseguenze di un
disastro in una società fortemente urbanizzata e con tecnologie pronte per
l‟immediato intervento rispetto a una società arretrata tecnologicamente e con
esistenti problemi economici e culturali. Con queste concezioni siamo nella
seconda classe di nozioni di disastro, socio-antropologiche.
Proseguendo lo studio di Ligi un disastro non viene identificato solamente con
parametri fisici in termini di danni a cose e persone ma, al pari di un qualsiasi
fenomeno sociale viene studiato dentro la società coinvolta. Per ciò per disastro si
intende il tipo e il grado di disgregazione sociale che segue l‟impatto di un agente
distruttivo o potenzialmente distruttivo. La semplice minaccia di un terremoto o
di una inondazione ha effetti notevoli su una data popolazione: allarme, panico,
paura sono alcuni effetti possibili. Questa prospettiva è ben descritta da Enrico
Quarantelli e da Dennis Wenger nella loro definizione del termine disastro:
<<i disastri sono fenomeni sociali, osservabili nel tempo e nello
spazio, in cui entità sociali subiscono uno sconvolgimento delle loro
attività sociali quotidiane, come risultato di un impatto effettivo o di
una percezione di minaccia a causa dell‟apparire relativamente
improvviso di agenti naturali e/o tecnologici, che non possono essere
controllati direttamente e completamente dalla conoscenza sociale
esistente>>
6
.
5
Ligi G., 2009, pag.14.
6
Quarantelli E., Wenger D., 1987, pag. 675.
9
Gli effetti di un disastro si trovano dentro il sistema sociale coinvolto. Come
reagisce una data comunità umana a un evento disastroso dipende dal grado di
vulnerabilità che la stessa possiede. Un terremoto può per esempio diminuire o
aumentare il grado di integrazione sociale della popolazione, possono sorgere
conflitti di ruolo, incomprensioni sulle decisioni da adottare, strategie politiche
contraddittorie, possono venir meno sistemi di credenze condivise e così via.
Inoltre, esistono delle precondizioni già prima dell‟arrivo dell‟evento disastroso. Il
periodo precedente all‟impatto è caratterizzato da numerosi segnali di
avvertimento che possono venire interpretati differentemente a seconda del tipo di
società coinvolta.
La corretta circolazione di informazioni influenza la gravità dell‟impatto, il modo
in cui si affronta e si gestisce l‟evento. Non si può quindi misurare la gravità di un
evento disastroso esclusivamente in termini numerici: numero di vittime, di feriti,
edifici lesionati o distrutti. Bisogna tener conto di molteplici variabili, sociali e
culturali che variano da società a società.
I.2 Studi sui disastri
Il primo sociologo a studiare i disastri fu Samuel Henry Prince. Allora era un
giovane studente canadese, laureando in Scienze Sociali alla Columbia University
di New York. Ha compiuto una ricerca approfondita sul disastro di Halifax,
collegando tale fenomeno in relazione al cambiamento sociale. Intorno al primo
decennio del Novecento la città di Halifax era il terzo porto commerciale più
importante dell‟impero britannico, con possibilità di attracco per centinaia di navi.
Il 6 dicembre del 1917, la nave di carico francese Mont Blanc giunse ad Halifax,
proveniente da New York. Trasportava circa 170 tonnellate di TNT, trinitro-
toulene, pericoloso e micidiale esplosivo. Per un errore di segnalazione Mont
Blanc entrò in collisione con un bastimento belga. L‟impatto fu fatale. Vi fu una
tremenda esplosione: chiese, scuole, ferrovie furono bruciate e rase al suolo, il
porto e il centro cittadino diventarono rovina. Causò 2 mila morti, 6 mila feriti e
10 mila senzatetto. La ricerca di Prince consisteva in un indagine sul terreno,
condotta con il metodo dell‟osservazione partecipante e fu il primo studio
empirico di un disastro secondo una prospettiva socio-culturale. Prince affronta il
10
tema della catastrofe come un evento che pone problemi, non solo pratici di
gestione dei soccorsi, di miglioramenti tecnici ma anche e soprattutto come una
situazione che sovverte e sconvolge la struttura sociale. Scrive così la sua
definizione di disastro:
<<Un evento che produce una sovversione dell‟ordine o del sistema di
cose e che, aggiunge può, o può non essere, causa di miseria per
l‟uomo>>.
7
Per lo studioso canadese il disastro rappresenta un‟interferenza con l‟equilibrio
ordinario della società, ossia un cambiamento sociale. Definisce anche la nozione
di mutamento sociale come:
<<rapidi cambiamenti che accompagnano improvvise interferenze
nell‟equilibrio di una società, che rompono lo status quo, dissipano
l‟inerzia mentale e ribaltano le tendenze a resistere ai mutamenti
strutturali. Le forze di vario tipo che producono il disordine sono
fattori di mutamento sociale. Questi fattori possono essere intra-sociali
– interni ai gruppi – come quelli che operano nei regolari processi, ad
esempio di imitazione o adattamento; oppure possono essere extra-
sociali, fattori stimolo – che provengono dall‟esterno dei gruppi –
come ad esempio gli incidenti e gli eventi drammatici>>.
8
La comunità colpita da un disastro subisce infatti una trasformazione profonda
nell‟organizzazione sociale. È costretta ad affrontare un periodo di dis-
integrazione per poi riorganizzarsi e integrarsi in un ordine nuovo e ricreare la
normalità. Una catastrofe dunque può essere il fattore di stimolo determinante per
il mutamento sociale: predispone condizioni di cambiamento, altera o arresta il
flusso delle consuetudini, crea cambiamento. Può anche assumere una valenza
simbolica significativa come nel caso dei terremoti in Cina che rappresentano il
presagio di imminenti rivoluzioni politiche. Sono infatti il segno che è caduto il
mandato celeste per la dinastia al potere e che quindi sarà presto rovesciata.
7
Ligi G., 2009, cit., pag. 22.
8
Ligi G., 2009, cit., pag. 22.
11
Il tema si allarga anche in merito a disastri tecnologici come l‟incidente nucleare
di Cernobyl: il paese stava per crollare in mano a un regime politico totalitario che
propagandava slogan di energia pulita, economica e fonte di benessere per tutti ma
che non riuscì a garantire un ambiente sicuro né un sistema sanitario efficiente e
adeguato per far fronte all‟emergenza.
Nei decenni successivi allo studio di Prince i disastri assumono importanza
rilevante nell‟ambito dell‟informazione. I giornali prima e la televisione poi
trattano il tema del disastro in una prospettiva di emergenza: attraverso il
racconto, i reportage, le immagini cercano di sensibilizzare le popolazioni e le
nazioni vicine e lontane ad intervenire per contenere le conseguenze e ricostruire i
danni.
Con il tempo gli studi sui disastri aumentano e si specializzano. Durante i primi
anni Cinquanta venne fondato, all‟università di Chicago, il NORC, National
Opinion Research Center, con l‟intento di compiere ricerche su disastri naturali in
tempo di pace per poi utilizzare i risultati e applicarli in situazione d‟emergenza.
Charles Fritz fu una figura rappresentativa in merito perché ebbe l‟accortezza di
adottare nuovi metodi: invio di équipe sul luogo del disastro, impiego di tecniche
di indagine qualitativa per la raccolta dei dati, interazione costante con i soggetti
coinvolti. Utilizzò quindi il metodo dell‟osservazione partecipante. Altro merito
che si attribuisce a Fritz è di aver criticato fortemente gli stereotipi riguardanti le
vittime di un disastro. Dalle sue ricerche emerge che non sempre e non
necessariamente le persone cadono in preda al panico o subiscono traumi
psicologici violenti e neppure si comportano in modo irrazionale. Secondo Fritz in
determinate circostante gli eventi estremi possono creare una sorta di comunità
terapeutica o sistema di sostegno sociale che può portare effetti benefici per i
sopravvissuti. Al riguardo si dimostrò che coloro che sopravvivono generalmente
mantengono un notevole autocontrollo, sono altruisti e molto attivi durante
l‟emergenza considerando la situazione che stanno vivendo come normale. Molti
aspetti del lavoro intrapreso da Fritz e dai ricercatori del NORC vennero ripresi
dalle successive ricerche condotta negli Stati Uniti, utilizzando metodologie di
ricerche come l‟intervista aperta, l‟osservazione partecipante e la raccolta di
documentazione su vasta scala. Sulla base delle conoscenze acquisite da Fritz e
dai ricercatori del NORC, Allen H. Barton definisce disastro una <<situazione di
12
stress collettivo>>
9
che si verifica quando la maggior parte dei membri di una
comunità ritiene di non trovarsi più in quelle condizioni di vita che si aspetta
vengono garantite dal normale funzionamento del sistema sociale.
Nel 1963 i sociologi fondarono il Disaster Research Center (DRC), le cui ricerche
si basavano sulla preparazione di organizzazioni e comunità per fronteggiare le
situazioni di emergenza di massa. Il DRC ha svolto numerosissime ricerche di
questo tipo, costituendo oltresì la prima biblioteca specializzata sul problema dei
disastri, attualmente la più grande al mondo.
Oltre gli studi condotti dal DRC, tutti quelli che si sono sviluppati dagli anni ‟60
in poi, hanno iniziato a considerare i disastri come prodotti sociali in termini di
vulnerabilità di una società all‟accadere di un determinato evento naturale. La
vulnerabilità è definita dall‟interazione in un determinato contesto delle proprietà
fisiche dell‟agente della catastrofe e dai fattori psicologici, culturali e sociali. Il
disastro quindi si delinea come un prodotto sociale. È quanto ritengono E.
Quarantelli e D. Wenger , secondo cui il disastro, in quanto fenomeno sociale, è
una costruzione mentale e culturale.
Gli anni settanta e i primi anni ottanta portarono negli Stati Uniti un aumento
sostanziale degli studi sull‟emergenza di massa e i disastri. In questo periodo la
ricerca si è ampliata in due direzioni principali: da una parte lo studio dei rischi di
natura tecnologica, come per esempio impatti causati da produzione e trasporto di
sostanze chimiche pericolose o incidenti negli impianti nucleari pericolosi,
dall‟altra ci si è interessati a misure per prevenire e ridurre il rischio dei possibili
danni e problemi successivi all‟evento. Il DRC per esempio ha condotto studi sui
problemi socio comportamentali. Figura importante di questo periodo è Barkun
che nel 1974 elabora una definizione di disastro, scrive:
<<con il termine disastro intendiamo la distruzione grave,
relativamente improvvisa e frequentemente imprevista, della struttura
organizzativa normale di un sistema sociale, provocata da una forza
9
Ligi G., 2009, cit., pag. 30.
13
naturale o sociale, interna al sistema o esterna ad esso, su cui il
sistema stesso non ha completo controllo>>.
10
Proseguendo con la cronologia degli studi sui disastri arriviamo all‟ultimo
decennio del ventesimo secolo in cui sono stati istituiti uffici, laboratori e centri
per lo studio, la valutazione, la riduzione dei rischi imminenti a un disastro.
Ad ogni modo i diversi autori che si sono susseguiti nello studio di questi
fenomeni naturali hanno raggiunto un certo grado di consenso sulla dimensione
sociale e simbolica dell‟evento. L‟idea centrale e comune a tutte le definizioni è
che un disastro implica sempre una discontinuità del contesto sociale nel quale gli
individui e le strutture sociali hanno funzionato fino al suo verificarsi ed un
allontanamento dallo schema di aspettative quotidiane condivise da una
collettività. Il momento di crisi diviene utile per comprendere il funzionamento
ordinario e le dinamiche normali di una società. Il disastro quindi, rompendo il
funzionamento ordinario delle cose, mette in luce le strutture e i processi di una
società con maggiore chiarezza e permette di porli più facilmente in questione.
10
Ligi G., 2009, cit., pag. 31.
14
CAPITOLO II
II.1 Paradosso dei disastri
Roberto Almagià, figura cardine della geografia italiana della prima metà del
Novecento afferma:
<<la carità del natio loco, più forte negli abitanti che il timore
del pericolo, li fa restii ad abbandonare le loro dimore, anche
quando conoscono che sono votate a certe ruina>>.
11
Almagià sottolinea l‟importanza della percezione del pericolo da parte della
popolazione per la quale è più forte l‟attaccamento alla loro terra che la paura di
fronte a un pericolo. Si tratta di un comportamento paradossale quello della
comunità che consapevole dei rischi decide di non abbandonare le proprie case, il
proprio paese. Siamo di fronte a un complesso comportamento sociale per il quale
alcuni gruppi umani o addirittura intere popolazioni, ritengono maggiore il rischio
di smarrire la propria cultura essendo costretti ad abbandonare il loro territorio
d‟origine rispetto al rischio di essere esposti a gravi disastri naturali o tecnologici
continuando a vivere nei loro insediamenti tradizionali. Ma da che cosa dipende
questo comportamento? Si tratta qui di indagare il rapporto società-ambiente.
II.2 Soggetti e luoghi
L‟antropologia dello spazio è un filone di ricerca che si pone il problema di
interpretare i significati simbolici che le varie società attribuiscono allo spazio.
Spiega oltresì la funzione che lo spazio svolge nel formarsi dei rapporti
interpersonali dell‟uomo, nel modo in cui l‟individuo percepisce e organizza
culturalmente il territorio e più in generale ogni tipo di azione sociale. Francesco
Remotti riporta:
<<ogni società è fatta di luoghi e di corpi, ovvero di corpi che vivono,
operano, interagiscono, abitano certi luoghi. Rispetto a una qualsiasi
dimensione immaginativa o simbolica corpi e luoghi rivendicano una
11
Ligi G., 2009, Roma, cit., pag.44.
15
loro evidente e innegabile fisicità. Come non possiamo pensare a una
società se non in quanto costituita da individui che coincidono
visibilmente con i loro corpi, così non possiamo considerare una
società se non occupante un certo spazio, e più precisamente luoghi
dello spazio. Lo spazio sociale (occupato dalla società) non è mai
neutro e uniforme: è variegato, è fatto di luoghi che si differenziano
spesso in modo notevole (luoghi del lavoro, dello svago, della vita
familiare, della vita religiosa individuale e collettiva, luoghi dei vivi,
luoghi dei morti, e così via). Ogni società si distende in uno spazio, lo
articola e lo organizza in certi luoghi, eleggendo o ritagliando certi
abiti specifici del suo territorio in quanto destinato a certe attività. La
cultura è un “abitare”, un intervento modificatore dello spazio e dei
corpi che lo abitano mediante la produzione di “abiti”(di costumi, di
mores), i quali conferiscono a corpi e ad animi un‟importanza, uno
stile, una foggia, una forma particolare di umanità>>.
12
L‟ambiente naturale viene ricostruito culturalmente da una data comunità che
abita e vive un dato territorio. I soggetti umani individuali o collettivi sono sempre
soggetti localizzati e allo stesso modo, i luoghi della vita umana sono luoghi
soggettivati.
13
In effetti non esistono esseri umani che non stiano in qualche posto
e non esiste un posto che non sia umanizzato, se non altro per il fatto di essere
stato pensato da esseri umani. Ma in che modo e in che misura gli esseri umani
condizionano i luoghi e come invece i luoghi condizionano gli esseri umani?
Amalia Signorelli individua tre possibili strutture dei rapporti tra soggetti e
luoghi
14
:
1. Rapporti tra soggetti, individuali o collettivi e i luoghi
2. Rapporti tra soggetti, individuali o collettivi nei luoghi
3. Rapporti tra i luoghi nell‟esperienza e nelle rappresentazioni mentali dei
soggetti, individuali o collettivi
12
Ligi G., 2009, cit., pag.48,49.
13
Signorelli A., 2008, pag. 43.
14
Signorelli A., 2008, pag.45.
16
Il primo tipo di rapporto ci mostra non tanto l‟importanza ma l‟evidenza del fatto
che un soggetto umano sia localizzato, che stia cioè in un luogo. Ma a che cosa
servono i luoghi per i soggetti? Servono innanzitutto al soddisfacimento dei
bisogni primari o biologici: mangiare, dormire, ripararsi, muoversi eccetera.
Secondo poi servono per soddisfare i bisogni sociali riguardanti il buon
andamento dell‟intera comunità, e infine per i bisogni culturali ovvero per
produrre sistemi condivisi di valori e conoscenze. Ma a questo punto nasce un
altro interrogativo: che valore ha un determinato luogo per coloro che lo usano?
Per rispondere dobbiamo osservare attentamente tutti i comportamenti dei
soggetti, anche quelli che non sono strettamente pertinenti al soddisfacimento
diretto del dato luogo. Nella mia ricerca indago il rapporto tra i soggetti aquilani e
il loro attuale luogo di residenza. Il luogo è il Progetto C.A.S.E.: alloggi costruiti
a spese dello Stato e assegnati a cittadini privi di una casa e dei mezzi per
procurarsela. Ora, questi alloggi oltre a soddisfare le funzioni primarie di abitare,
ripararsi, dormire, mangiare svolgono una funzione latente ovvero hanno un
valore altro: protezione, riparo, senso di sicurezza, stabilità.
Il secondo tipo di rapporto ci serve per comprendere il condizionamento che i
rapporti tra i soggetti esercitano suoi luoghi e viceversa cioè quello che i luoghi
esercitano sui rapporti tra i soggetti. Un luogo, strutturato e concepito in un
determinato modo può condizionare le relazioni che si formano e si sviluppano tra
i soggetti. Viceversa determinati rapporti tra soggetti possono condizionare e
trasformare i luoghi. Nel caso degli alloggi de L‟Aquila essi stessi sono stati
concepiti e realizzati a tempo di record, in uno stato di emergenza primaria. Sono
abitazioni definite al tempo “momentanee” dagli addetti ai lavori, idonee per
ospitare un gran numero di sfollati in fretta perché bisognosi di un tetto. Sono per
l‟appunto identiche fra loro, si differenziano per pochissimi particolari a seconda
della ditta che ha eseguito i lavori. Gli aquilani residenti sono tutti accumunati
dall‟aver partecipato e subìto un evento traumatico che ha demolito in parte o del
tutto le loro case. L‟essersi ritrovati a vivere in questi quartieri ha fatto sì che si
stabilissero tra di loro rapporti del tutto diversi se gli stessi quartieri fossero abitati
da cittadini senza una simile storia alle spalle.
Il terzo e ultimo tipo di rapporto riguarda come i soggetti fanno esperienza dei
luoghi e come se li rappresentano. Ogni soggetto porta con sé una specie di mappa
17
mentale del mondo che gli consente di orientarsi nei rapporti con i luoghi e con gli
altri soggetti e grazie a queste rappresentazioni riesce ad essere mentalmente in
rapporto con altri luoghi e con soggetti distanti. La diversità delle mappe dei vari
soggetti è legata alle diversità delle condizioni e dei percorsi storico-sociali dei
vari gruppi di soggetti umani e di conseguenza modella le idee generali che i
soggetti hanno circa le relazioni tra i luoghi.
Amalia Signorelli sottolinea che la distinzione dei tre tipi di rapporti è puramente
analitica, nella concreta esperienza questi tre tipi di rapporti sono presenti
contemporaneamente. Noi incontriamo sempre soggetti che sono in rapporto con
il luogo in cui si trovano, sono in rapporto con altri soggetti in quel luogo e sono
portatori di una mappa mentale del mondo che permette loro di orientarsi nei
rapporti con i luoghi e, attraverso le rappresentazioni, di essere mentalmente in
rapporto con luoghi altri e con soggetti distanti. I soggetti sono sempre in rapporto
con i luoghi. Non esiste quindi nessun agire umano che non si strutturi all‟interno
del rapporto con i luoghi. Esistono moltissime modalità dei rapporti tra soggetti e
luoghi, Amalia Signorelli ne sottolinea tre
15
:
1. L‟assegnazione dei soggetti ai luoghi;
2. L‟appropriazione dei luoghi da parte dei soggetti;
3. L‟appaesamento dei luoghi ad opera dei soggetti.
Un rapporto di assegnazione è quello che un soggetto, individuale o collettivo ha
con uno o più luoghi determinati in un tempo determinato, allorché quel
medesimo soggetto non ha la capacità o le risorse e il potere per modificare le
caratteristiche dei luoghi e dunque le condizioni che quelle caratteristiche
impongono al suo stesso agire. Tornando alla mia ricerca, gli assegnatari degli
alloggi non hanno alcuna possibilità di scegliere in quale quartiere abitare, non
dipende da loro la forma e l‟altezza degli edifici, non partecipano a nessuna
decisione relativa alla forma delle strade, delle piazze o dei giardini. Le condizioni
in cui abitare sono assegnate e in base a queste si svolge la vita dei cittadini, si
compiono attività, si instaurano relazioni e si soddisfanno bisogni. Si tratta di
condizioni immodificabili per gli assegnatari in un lasso di tempo dato.
Ovviamente un luogo può essere immodificabile per un certo soggetto mentre per
15
Signorelli A., 2008, pag. 51.
18
un altro no o ancora un luogo che un soggetto non può modificare oggi potrebbe
modificarlo nel futuro, al mutare delle condizioni generali o delle risorse a
disposizione. Tra le modifiche possibili va tenuta presente anche quella
dell‟abbandono di certi luoghi da parte di certi soggetti, e anche l‟abbandono in
alcuni casi è realizzabile mentre in altri non lo è.
Un‟ultima considerazione in merito al rapporto di assegnazione è che tutti noi
sottostiamo in qualche modo a processi di assegnazione: non scegliamo noi il
luogo dove nascere e crescere. Da adulti invece scegliamo i luoghi dove abitare,
lavorare, divertirci solo all‟interno di condizioni date che non controlliamo
interamente.
Con il termine appropriazione si rimanda ad un soggetto attivo, intenzionato che,
agendo, fa proprio qualcosa. Ci si può appropriare di un luogo con la forza, con la
illegalità ma ci si appropria di un luogo anche semplicemente percorrendolo,
svolgendoci una qualsiasi attività, cioè usandolo. Tornando all‟esempio de
L‟Aquila le modifiche apportate dagli stessi residenti all‟interno degli alloggi
sono un chiaro segno di appropriazione. I panni stesi ad asciugare, i vasi che
abbelliscono i terrazzi, le recensioni che delimitano la proprietà, sono tutti
interventi che rientrano nell‟azione di appropriarsi. Hanno tutti la caratteristica di
essere utili per chi li realizza mentre possono essere dannosi o innocui per gli altri.
Nell‟operazione di appropriarsi bisogna tenere conto tutti coloro che sono
interessati a usare quel luogo. In definitiva, l‟appropriazione è la modalità
dell‟utilizzazione pratica dei luoghi.
La terza modalità è quella l‟appaesamento. Che cosa significa? L‟appaesamento è
quel processo per mezzo del quale un soggetto umano individuale o collettivo
investe di valore una porzione di spazio, trasformandola così in un luogo-simbolo
di quello stesso valore. Si tratta quindi di intervenire sui luoghi, in quanto
ambienti materiali con interventi che modificano i luoghi stessi, cioè mediante
segni che hanno valore per i soggetti. Statue votive di santi protettori o
monumenti in ricordo delle 308 vittime che ha subìto la città de L‟Aquila sono
tutti segni che appaesano un ambiente materiale, segni che diventano simboli del
valore che quell‟ambiente ha per chi vi ha posto quel segno. Queste tre modalità
sono nella realtà compresenti e interagiscono tra di loro.
19
II.2.1 Senso di appartenenza
Angela Giglia
16
nel suo studio approfondito sul bradisismo
17
che ha colpito la città
di Pozzuoli ha sottolineato il forte legame che spinge gli abitanti a non
abbandonare il proprio paese, il loro luogo di origine.
La storia di Pozzuoli è caratterizzata da frequenti e pericolosi sismi che si sono
radicati nella memoria collettiva della comunità. Ciò nonostante si è sviluppata
un‟idea unanime per cui il territorio non deve essere abbandonato. Lo dimostra il
fatto che i terremoti del passato sono stati affrontati dalla autorità locali con il
riassetto e la ricostruzione in loco, sugli stessi luoghi se pur soggetti a possibili
nuove sollecitazioni del sottosuolo. L‟eventualità di una fuga o di una
evacuazione, la necessità di dover abbandonare rapidamente i luoghi della vita
quotidiana, viene fronteggiata con specifiche soluzioni culturali: molte famiglie
posseggono un bagaglio a press, letteralmente un bagaglio di fretta, ovvero una
scatola, una cassetta dove sono conservati tutti gli oggetti che è indispensabile non
abbandonare in caso di un allontanamento immediato.
Parecchi studi dimostrano inoltre, come anche in altre parti del mondo, in seguito
a un disastro si tende a ricostruire sugli stessi luoghi o comunque poco distante da
essi. La ricostruzione sul posto, se pur irrazionale, sottintende la ricerca di una
continuità con il passato
18
. La continuità con il passato è racchiusa nel valore
simbolico che riveste un luogo per colui che lo abita e lo vive. Abitare per filosofi
come Heidegger e Marx è la vera essenza dell‟uomo e come riporta l‟antropologo
Remotti:
<< Abitare significa forse assumere certe abitudini, cioè il fatto che
l‟abitare un certo luogo comporta la produzione e/o l‟adozione di
abitudini locali, peculiari di quel luogo>>.
19
I monumenti, le piazze, gli edifici, i vicoli, le chiese contribuiscono a creare un
senso di appartenenza, un sentimento che rafforza il legame uomo-territorio.
16
Giglia A., 1997, pag.17-18.
17
Il bradisismo è un lento movimento tellurico ascendente o discendente, cui si susseguono in
alcune occasioni delle vere e proprie scosse di terremoto.
18
Giglia A., 1997, pag. 18.
19
Scandura G., 2005, cit. pag.123.