che ciò esula dalle finalità stesse dello scritto e soprattutto dalle
competenze e dalla preparazione di chi lo scrive, ma unicamente di
sviluppare le potenzialità che l'incrocio fra tale concetto e la realtà che la
anoressia presenta agli occhi.
Questa tesi non introduce un caso come appoggio o supporto alle idee
che presenta, per il semplice fatto che non ne sente il bisogno in questa
fase di pura costruzione di un'ipotesi, di ricostruzione strettamente
concettuale e ipotetica di ciò che abbiamo ricavato dalla specifica
letteratura sull'argomento, della quale tenta di suggerire nuove
congruenze e sotterranei legami.
Questa tesi seguirà così un percorso per inquadrare teoricamente e
storicamente la anoressia, descriverne la specificità del sintomo e della
persona che lo incarna, per poi abbandonare per un istante l'argomento,
per tuffarsi nella descrizione-comprensione del portato teorico che
accompagna gli stati limite nell'ottica psicoanalitica di Bergeret,
focalizzandosi sulle particolarità che di queste organizzazioni sono
costituenti, cercando di traslarle sulla sindrome anoressica, se non in un
blocco monolitico, almeno nelle sfumature.
Questa tesi infine cercherà di trattare gli argomenti correlati alla
patologia, con uno sguardo che si prefigge, nell'intenzione, di essere il
meno banalizzante e superficiale possibile, pur coi limitati mezzi di cui
chi scrive dispone: argomenti quali la morte, il cibo, le relazioni con gli
altri e col proprio corpo, sono i pilastri fondamentali e al contempo le
sonde che scavano nelle profondità inaccessibili allo sguardo diretto, i
quali dobbiamo osservare con la più ferma attenzione, per scorgervi le
tracce di ciò che supponiamo possa essere.
“-Io- dici e sei orgoglioso di questa parola. Ma la cosa più grande -cui
non vuoi credere- è il tuo corpo e la sua grande ragione; questa non dice
io, ma fa da io.”, così parlò Zarathustra agli spregiatori del corpo; e in
questo discorso possiamo inserire l'anoressia mentale, come una
patologia dell'Io, che ricade, alla lettera, sul corpo e se ne serve da
stampella; ma il corpo ha sempre l'ultima parola: è il corpo che ci
testimonia la malattia, è il corpo che muore e smentisce beffardo
qualsiasi sogno di eternità.
La Dissipatio dell'Essere Umano.
Il paziente anoressico tipicamente non chiede aiuto, non si rivolge
spontaneamente ai servizi terapeutici, infatti egli non si vede affatto
malato, non si vede morire giorno dopo giorno nello specchio, che gli
rimanda sempre più, la dissipazione inarrestabile della sua vita; egli non
ha infine bisogno di nessuno che dica: “Tu stai (realmente) morendo!”;
grazie all'incredibile equilibrio che ha stabilito nel corso degli anni, egli
si sa mantenere come sull'orlo della morte, sull'orlo del baratro: il posto
che ritiene paradossalmente più sicuro, proprio per obliare la morte.
Egli, potremo dire, mette il proprio corpo di traverso al buco spalancato
della morte, l'anoressico non può morire proprio perché, in fondo, rifiuta
tutto della vita (e con essa della morte), mettendo in scena, fin che può,
una pantomima dell'esistenza, una commedia tragica, in cui affianca alla
propria auto-distruzione, un troppo-fare euforico, una misteriosa energia
che spinge al super-lavoro; è talmente surreale osservare un essere
umano chinarsi sui libri per otto ore di fila, fare cinquanta vasche in
piscina, stremarsi di fatica e poi rifiutare il cibo per la paura di ingrassare,
che sembra di assistere all'irrigidimento parossistico della condanna
biblica: “Tu mangerai il frutto del tuo sudore!”, dove rimane solo
l'assurdo della fatica senza scopo alcuno, del lavoro senza salario, del
dolore assurdo di vivere.
Ma questo, abbiamo detto, fin che può, fin che le riserve a cui attinge
(psicologiche e fisiche) non toccano il fondo, e allora, non potendo più
stremarsi con estenuanti e bizzarre “fatiche”, si stacca anche da questa
porzione di realtà che fino ad allora aveva tenuto, sebbene in modo
“pervertito” e volge l'attenzione tutta su di sé, sul miglioramento della
propria silhouette; lavora solo su se stesso, incessabilmente e
instancabilmente a quanto pare, “Devo essere ancora più magro!” “Il
grasso che ho addosso fa schifo!”, pesando come un fuscello.
E' un lavoro per la perfezione, la perfezione materiale della
fantasmagorica macchina a moto perpetuo, che una volta messa in
funzione, può ben dimenticarsi di tutto il resto, del tutto autosufficiente,
essa cammina per l'eternità, una volta accesa produce essa stessa l'energia
di cui ha bisogno, non ha bisogno di carburante-cibo per vivere, non ha
bisogno più di nulla: è questo un vecchio sogno dell'umanità, energia che
invece di perdersi e andare a morire del suo destino entropico, si auto
mantiene all'infinito, senza sprecare nulla, senza alcun bisogno di riserve
(di grasso!); è chiaro anche che una tale macchina, non serve a nulla e a
nessuno, se non a essa stessa: puro orgoglio presuntuoso di esistere.
Anzi, a ben vedere, punta ben al di là, punta al paradosso della WOM,
Without Output Machine (Eco, 1995), la macchina senza output: mangio
e non devo ingrassare, vivo e non devo mangiare, esisto e non devo
vivere: in effetti molti anoressici arrivano a dire che mangerebbero pure,
se trovassero la dieta adatta, che non ingrassa, che non causa alcun
mutamento alla perfezione ideale del loro corpo, quindi quello che
temono di più è il cambiamento del corpo, la sua ribellione al sogno
dell'ideale, se così possiamo dire, il suo non essere “statua adamantina”,
incorruttibile al tempo che passa: una statua coll'anima, che vuole essere
amata perché perfetta, perché è proprio per gli altri che essi dicono di
digiunare.
All'inizio infatti essi confessano proprio di voler piacere, di sentirsi
brutti, fuori posto, fatti male, anche se, meno superficialmente si coglie
che questo sguardo così severo che sentono su di sé, altro non è che il
riflesso del loro, sulla superficie divenuta opaca degli altri che li
circondano.
In questa tesi, l'anoressia mentale è guardata attraverso le lenti
psicoanalitiche, perché ritengo che il problema di fondo sia un problema
legato alla costruzione-separazione dell'individuo, alla accettazione della
morte e della vita, al rapporto del soggetto con la propria storia che lo
fonda e lo radica nella vita, tutti punti che l'occhio psicoanalitico, a suo
modo, può focalizzare e isolare sulla base delle proprie intuizioni cliniche
e teoriche, offrendo una visuale che ritengo abbastanza ampia o, in altre
parole, una luce che illumina una buona parte del palcoscenico buio dove
si consuma la drammatica farsa dell'essere umano; così anche se gli
spunti metapsicologici qui citati possono certamente essere rivisti in un
futuro e infatti sono presi più come supporti per inserire il discorso in un
panorama già formalizzato, credo che sia estremamente importante, non
tanto quello che dicono, ma ciò a cui rimandano, all'idea stessa della
costituzione dell'Io grazie all'incontro-scontro con la realtà, alle prime
relazioni coll'ambiente familiare, al “giusto” inserimento del nuovo
arrivato nella realtà umana, che è una realtà che deve essere fatta propria
ogni volta, riscoperta e rifondata da ognuno nella sua particolare storia
nel mondo. Certamente grazie alla psicoanalisi possiamo seguire la
traccia di ciò che è proprio del corpo, sessualità e fame, senza passare
sotto le forche caudine della coscienza che si fa da sé, al cosiddetto
bootstrap, per cui ci si salva dalle sabbie mobili sollevandosi per i lacci
delle proprie scarpe: l'Io si plasma come difesa contro la realtà frustrante,
e in questo processo, lascia dietro di sé tracce e “macerie” di questo
cammino: può sembrare esagerato ma credo che la auto-coscienza possa
essere una difesa per l'essere più indifeso e impreparato del pianeta: e chi
più indifeso e impreparato dell'anoressico? Sorta di feto troppo cresciuto,
testimonia una fondamentale verità: per vivere l'essere umano deve
credere di essere altro, di essere altro che corpo, di essere Io al di là del
corpo e del tempo, qualcosa che possiamo chiamare Anima, Spirito,
Verbo, sembra proprio che l'anoressico non si riesca a convincere del
tutto, preferisce così, conoscendo purtroppo la morte, e temendola al di
sopra di tutto, resistere e sopravvivere col corpo, che è ciò che è sicuro
che esista, che è ciò con cui condurrà la battaglia e si ancorerà allo
scoglio da cui guarda l'infinita danza delle stelle.
Essi non moriranno di inedia, ne devono essere sicuri.
Stringatamente potremmo dire così: l'anoressia appartiene a chi conosce
la propria morte sullo sfondo di una vita insensata alla quale cerca in tutti
i modi di donare il proprio senso.
Così le fasi dello sviluppo dell'essere umano possono essere viste come le
tre fasi per cui: non esiste Io, non esiste Morte, non esiste senso; esiste Io,
esiste Morte, non esiste senso; esiste Io, esiste Morte e finalmente esiste
un senso, un perché, che vale quel che vale, ma regge la baracca e i
burattini tramandati dagli altri uomini. Inteso che la vita (logicamente)
non può avere senso già dato, per nessuno (e proprio per questo ognuno
è libero solamente di ritrovarne uno, e che Aristotele può dire che
“l'essere è ciò che si dice in molti modi”).
Uno sguardo clinico.
Semi nel suo “Trattato di Psicoanalisi” (1988 p.583) introduce la
sindrome premettendo che “l'anoressia mentale è considerata uno
straordinario disordine psiconeuroendocrinologico” ed è proprio
nell'ambito di questa patologia che lega indissolubilmente e senza
possibilità di “manicheismo” il corpo e la psiche come parti di un tutto
non frazionabile artificialmente, che possiamo ritrovare uno dei quadri
clinici più drammatici e shoccanti: “rifiuto del cibo con conseguente
dimagramento e consunzione: masse muscolari ridottissime e ipotrofiche,
le gote scarne, gli occhi incavati, l'addome appiattito “a barca”, le
clavicole e le spine iliache prominenti, le coste rilevate ed evidenziate, le
mani scheletriche; la pelle arida, rugosa, accollata alle prominenza ossee,
sollevabile in vaste pieghe alle cosce e alle braccia; le mammelle sono
piccole, il tessuto adiposo è scomparso; quando si supera un calo di peso
di più del 30% possono comparire edemi da fame. In contrasto con altri
pazienti altrettanto defedati perché vittime di inazione forzata, o da
sindromi di origine organica, il livello di attività psicomotoria e l'energia
fisica appaiono sproporzionatamente elevati rispetto all'emaciaziaone
raggiunta.” (Reda 1993) e possiamo aggiungere ancora: “crescita di
peluria sul corpo (lanugine), tendenza al battito cardiaco irregolare
(bradicardia), livello degli estrogeni (del testosterone nei maschi)
inferiore alla norma; livello di GH superiore alla norma, livelli di
adrenalina, serotonina, dopamina, ridotti; anomalie nel metabolismo dei
carboidrati; anomalie nella regolazione della temperatura corporea;
ritardi nello svuotamento gastrico, stipsi ostinata”(Gordon 1991);
ipotermia.
E' da notare poi come le diverse funzioni fisiologiche ritornino per la
massima parte ai livelli normali quando si sono ripristinati il peso e
l'alimentazione (dimostrando così il loro significato di epifenomeni
slegati dall'eziologia della malattia), anche se possono rimanere danni
permanenti: anomalie mestruali o riproduttive, osteoporosi, (Gordon,
1991), alterazione dei centri ipotalamici “della fame e della sazietà”,
laterale e ventro-mediale, possibilità di sviluppare il diabete insipido.
Che lo voglia o no, rifiutando il cibo, il malato è costretto a nutrirsi del
proprio corpo.
E l'anoressico sopporta tutto questo in nome di una vita al di là della
impossibile accettazione della morte, sopporta le complicazioni mediche
che voglio segnalare con più forza qui di seguito, come si preferisce
l'amputazione dell'arto in cancrena al rischio per tutto l'organismo:
• disidratazione, crisi tetaniche;
• pelle gialla, alterazioni del gusto, ipoglicemia,
• rottura gastrica, ipertrofia delle ghiandole salivari, anomalie
pancreatiche;
• effusione pericardiaca, arresto cardiaco, pneumotorace;
• nefropatia ipopotassiemica, calcolosi renale;
• osteoporosi con fratture spontanee;
• colore giallo-arancio dei palmi dei piedi e delle mani, alopecia, pelle
secca e squamosa, calli sul dorso delle mani;
• anemia, petecchie e tendenza al sanguinamento, aumentato rischio di
TBC;
• amenorrea, infertilità, impotenza nei maschi.
(tratto da Dalla Grave, 1997)
Questa è la faccia dell'anoressia, queste le sue conseguenze dirette, è
questo il “fantasma” che introduce allo sguardo del clinico, fino alla
morte per inedia, per fortuna rara, e vedremo perché. Vedremo che
proprio l'incontro con la realtà della morte, può spingere fuori dal baratro
il paziente anoressico.
La mancanza del desiderio.
Nell'anoressia mentale, etimo greco “ανορεκσι ?”, come “mancanza di
desiderio”, in realtà il desiderio verso il cibo (appetito) rimane, anche se
può subire una grave distorsione il senso di sazietà (che è mediato dai
centri ipotalamici) (Reda, 1993), quindi ciò che descrive meglio la
patologia è il rifiuto, che può essere parziale o totale, del cibo; rifiuto di
alimentarsi, al quale il soggetto da come motivazione, a sé e agli altri, il
terrore di ingrassare, il terrore quindi che il cibo ingerito provochi un
cambiamento nel corpo: la fuga dal cibo è in fondo l'aspetto
“superficiale” di una situazione più complessa, che ruota intorno a
un'idea di corpo perfetto perché immutabile, sottratto al tempo e alla
profondità dello spazio: è un'esistenza a due dimensioni, le dimensioni
delle immagini fotografiche e della falsa vitalità del cinema, che
scimmiotta la vita con una serie infinita di fotogrammi “immobili” e
“morti”, un'esistenza che insegue infondo un ideale di perfezione
autarchico; come un fiume ghiacciato che per resistere al “Panta Rei” di
Eraclito, debba tenere ben lontano il calore del sole attorno al quale gira
l'essere: la Sessualità e il Cibo: l'Eros, ossia il fuoco del mutamento.
E con Brusset (1992) possiamo aggiungere più prosaicamente: “lo stato
adolescenziale dovrebbe così durare per sempre sfidando il tempo,
bloccando le trasformazioni somatiche”.
L'anoressia mentale è una sindrome sfuggente nella sua immobilità, si
presenta agli occhi di chi osserva come un punto di dubbio, come una
patologia tanto più sconcertante e complessa (Bruch, 1988) quanto più
suggerisce una sorta di compiacenza, di abbandono e, cosa forse più
sconvolgente per gli occhi, di punto di arrivo, di risultato da conseguire,
una sorta di lavoro quotidiano, per coloro che ne presentano i sintomi
patognomici, o, in altre parole, le stigmate; sì perché questi stessi segni
sul corpo, questa consunzione, questa erosione, sono negati con tutta la
forza dal malato: ad esso il corpo non parla più; anzi “probabilmente
nessun altro disturbo, tranne l'alcolismo, è tanto invariabilmente
accompagnato dalla negazione della propria condizione... dal ricorso
sistematico alla negazione e all'inganno per mantenere l'apparenza”
(Gordon, 1991), questo sarà il filo rosso che dovremo ricercare sempre
per una comprensione più attenta dell'anoressia mentale.
Ma allo sguardo superficiale si offre insieme al dispiegarsi di una volontà