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Capitolo 2
2.1 La rivoluzione industriale
“Il fenomeno che prende il nome di rivoluzione industriale è caratterizzato
da un insieme di fattori: la recinzione delle terre comuni, l’abbandono delle
campagne,
21
lo scioglimento delle corporazioni medievali
22
, la presenza di
grandi proprietari terrieri, le loro capacità d’investimento e innovazione, la
divisione del lavoro, lo sviluppo della scienza, l’espansione dell’incipiente
industria manifatturiera, la crescita della capacità estrattiva del carbone, la
tendenza all’urbanizzazione, il sostegno delle istituzioni all’iniziativa
individuale. Il tutto coadiuvato dal miglioramento della rete dei trasporti e
dalla possibilità di operare in un ampio mercato, come quello dell’impero
coloniale britannico”
23
. In letteratura sembra che ogni autore voglia porre
l’accento su uno di questi elementi e renderlo caratterizzante per lo sviluppo
dell’intero fenomeno. Molti sostennero che fosse la divisione del lavoro ad
aver scaturito la rivoluzione, compreso Adam Smith, ma tale posizione
viene smentita da Polanyi. Egli infatti dimostra che la divisione del lavoro è
21
Il cambiamento demografico che si registra in quegli anni è dovuto anche alla rivoluzione
agraria che gioca un ruolo fondamentale nello sconvolgimento in atto. I tre fattori che
contribuiscono alla riduzione della popolazione rurale sono: la distribuzione del sistema di
coltivazione dei campi comunitari, la recinzione su larga scala di terre demaniali e
l’assorbimento delle piccole fattorie da parte delle grandi. Da una parte, il concentrarsi delle terre
nelle mani di pochi riduce il numero degli agricoltori, dall’altra, le recinzioni cacciano dai poderi
i contadini che, senza diritti di pascolo, sono costretti in condizioni al limite della sopravvivenza.
(Tognonato, Economia senza società. Oltre i limiti del mercato globale, 2014)
22
Lo scioglimento delle corporazioni medievali, secondo Weber, è un processo che muove
dall’ascesa di singoli artigiani allo stato di mercanti o mercanti-imprenditori che, anche se in
contrasto con la democrazia corporativa, acquistavano la materia prima, assegnavano il lavoro ad
altri colleghi della corporazione che seguivano il processo di produzione e vendita del prodotto.
In tal modo l’intera corporazione di artigiani si trasforma in una corporazione di commercianti
che obbliga le altre al suo servizio. Ciò avviene anche perché per alcuni prodotti, la cui materia
era molto costosa e doveva essere importata, le corporazioni divenivano dipendenti dai
commercianti che anticipavano il denaro, fornendo i fattori di produzione per poi ritirare la
merce (Verlagssystem), venderla e con il ricavato pagare il lavoro. Il Verlagssystem può essere
ritenuto un “protocapitalismo” che si sviluppa parallelamente all’artigianato e che le
corporazioni cercano di contrastare senza successo. (Tognonato, Economia senza società. Oltre i
limiti del mercato globale, 2014)
23
Cfr. C. TOGNONATO, Economia senza società. Pag. 4.
16
“un fenomeno antico quanto la società, [che] nasce dalle differenze inerenti
al sesso, alla geografia e alle doti individuali”
24
. Ne “La grande
trasformazione” Polanyi sostiene che il fattore decisivo a decretare la
rivoluzione industriale, sia l’introduzione della macchina sul mercato; grazie
a quest’ultima i commercianti non acquistano più prodotti finiti ma
direttamente le materie prime, la manodopera e coordinano loro stessi la
produzione. L’organizzazione dei fattori produttivi, e la capacità
imprenditoriale hanno dato luogo al sistema di produzione capitalistico che,
sebbene abbia dato impulso al progresso sotto molteplici aspetti, è
responsabile del depauperamento dell’essere umano come lavoratore. La
nostra riflessione sul valore attribuito alla persona, parte proprio dalle
condizioni disumane cui erano costretti gli operai in questo determinato
periodo storico: in tale contesto non vi erano, principi ispiratori di sviluppo
e crescita della persona ma, al contrario, l’operaio veniva sfruttato per più di
dodici ore al giorno, senza pausa e senza la possibilità di interiorizzazione
dell’esperienza. Il lavoro cosi imposto, ha creato una situazione tale in cui
“il rapporto tra essere umano e lo strumento si rovescia e la logica del
soggetto fa propria quella dell’oggetto”
25
,quindi non è l’operaio che usa i
mezzi di produzione ma viceversa: il prodotto del lavoro dell’uomo viene
alienato dallo stesso perché diviene proprietà privata dell’imprenditore sotto
forma di capitale. L’alienazione è un tema fondamentale che si ritrova in
moltissimi autori di fine ‘800 e inizio ‘900: ma già dalla seconda metà del
‘700 Rousseau descriveva come nel contratto sociale gli individui si
alienassero dei loro diritti a favore di un’entità superiore
26
. Feuerbach
introduce il concetto di alienazione partendo dalla proiezione, ossia il
processo attraverso il quale l’uomo traspone il proprio essere fuori di sé
considerandosi alla stregua di un oggetto. Nel primo manoscritto
27
, Marx
invece espone la teoria dell'alienazione che adatta dal testo di Feuerbach:
“Essenza del cristianesimo”. In questa sede Marx sostiene che il lavoratore
24
K. POLANYI, La grande trasformazione, Einaudi, Torino 2000, pag. 55.
25
C. TOGNONATO, Economia senza società. Cit., pag 6
26
L’idea rimanda all’idea di bene comune di Socrate e Aristotele.
27
K.MARX, Manoscritti economico-filosofici 1844, Op.cit., p. p.5.
17
dipende nel suo vivere esclusivamente dal proprio lavoro, dal quale ottiene
denaro. Tuttavia, egli non vive, ma si limita a sopravvivere, come lavoratore
e come oggetto. “Si sbaglia quando l’individuo diventa mezzo ed è
manipolato come uno strumento. È un errore usare il soggetto, perché il
soggetto non è oggetto, non ha l’inerzia delle cose e quindi non può essere
adoperato come la materia. Quando è usato come una pedina
interscambiabile e anonima della struttura si sbaglierà. Usarlo è un errore, in
primo luogo perché non lo è e non si otterranno i risultati previsti ma,
soprattutto perché l’errore rischia di generare l’antiumano”
28
.
Sotto il profilo filosofico Marx capovolge il pensiero hegeliano in quanto si
passa da un idealismo assoluto al materialismo storico: infatti dell’ideologia
hegeliana conserva la centralità della storia, ma giudica come eccessiva la
rilevanza intellettuale, ideologica, creativa e artistica della vicenda storica
stessa: tutto ciò che è immateriale non è parte fondamentale della realtà.
Attribuisce, invece, significativa importanza a tutto ciò che c’è di concreto.
Sebbene tale modello garantisca organicità al processo produttivo capitalista
e all’influenze sociali da esso generate, d’altro canto potremmo sostenere
che crei immobilità sociale, poiché non considerando i principi cardine
dell’idealismo hegeliano non vi sarà sviluppo della comunità, e di
conseguenza non si avrà progresso.
Nonostante ciò, Marx introduce il materialismo storico come paradigma
interpretativo del proprio pensiero. Nei diversi lavori emerge il ruolo
primario dell’economia nei confronti della vita sociale, tanto che si potrebbe
parlare di una sorta di determinismo economico, in quanto è molto
ricorrente l’influenza della struttura economica sulla società. Di qui si
configura un nesso di causalità tra le tecniche di produzione e la formazione
delle classi, che al contrario di quanto afferma il padre del liberismo
economico (Smith), sono in conflitto tra loro. L’errore dell’economia
classica, secondo Marx, è considerare l’attore economico come individuo
isolato che tende a soddisfare il proprio egoismo, separandolo dalla propria
28
Cit. C. TOGNONATO, Il corpo del sociale, pag 98
18
situazione culturale e ambientale. L’agire è inevitabilmente sociale e non si
può non considerare l’incidenza dei rapporti, che sempre secondo Marx, si
delineano in base alla proprietà dei mezzi di produzione: di qui il continuo
conflitto tra borghesia capitalista e proletariato. I rapporti sociali di
produzione fanno parte di un costrutto storico statico: attraverso questo
processo gli esseri umani entrano a far parte della vita sociale e a loro volta
la generano
29
, cosicché i rapporti si cristallizzano grazie all’istituto giuridico
della proprietà. Per Marx è proprio attraverso la proprietà dei mezzi di
produzione che si determina l’appartenenza ad una classe sociale. La
proprietà privata è l’elemento essenziale che separa l'operaio dai mezzi
produttivi e dal prodotto del suo lavoro, che sarà distribuito in base agli
stessi rapporti di produzione.
La struttura economica è inevitabilmente influenzata dalla tecnica di
produzione, e s’infonde di un carattere sociale perché si passa da un
rapporto diretto con la natura ad uno mediato, sia per quanto attiene alla
produzione, sia per quanto concerne la fruizione. Tali mediazioni sono la
materializzazione dell’esperienza sociale e storica di un gruppo umano. “Su
questo sostrato economico si erigeranno le diverse dimensioni della società,
quali: il diritto, la religione, la scienza, l’arte ecc. che altro non sono che la
sovrastruttura risultante da particolare modo di produzione, ma ne
rappresenta anche la causa perché, a sua volta, condiziona l’organizzazione
sociale e politica della sua società”
30
. La struttura sedimentata si cristallizza
ma non è immutabile, infatti, quando si verifica un cambiamento nei
rapporti di produzione e/o nelle forze produttive, anche la sovrastruttura si
trasforma di conseguenza. Secondo Marx questo è il momento in cui si
producono le rivoluzioni sociali.
29
Cfr. K.MARX,Il capitale, libro terzo pag 1505
30
Cfr. TOGNONATO, Economia senza società. pag. 122 s.
19
2.2 La nascita del pensiero economico
Dopo secoli di analisi frammentarie, costituite da diversi indirizzi senza
effettiva sistematicità e metodologia scientifica, con gli economisti classici
del 1700 nasce la prima e vera dottrina economica. Gli studiosi appartenenti
a questa corrente, ormai non più subordinata a finalità extraeconomiche
(quali l’etica, la morale, la filosofia), affermano che l’essere umano, se
lasciato libero nei suoi comportamenti, per lo più diretti ad un tornaconto
personale, grazie anche alla mano invisibile delineata nella concorrenza
perfetta, è in grado di generare il benessere dell’intera collettività. Si delinea
cioè un soggetto capace di cercare in modo naturale il proprio bene
inseguendo soltanto il suo interesse personale. Hobbes sostiene che nello
stato di natura il singolo essere umano ha diritto a tutto e può fare ciò che
desidera per raggiungere il proprio bene personale. Un simile presupposto
non può che portare ad una situazione conflittuale in cui diviene necessario,
per il vivere sociale, l’intervento dello Stato, unico in grado di regolare ed
armonizzare le diverse pulsioni egoistiche. Adam Smith rielabora il pensiero
di Hobbes in chiave economica, sostenendo che la ricerca del bene da parte
dell’individuo, a scapito altrui, non dovrebbe essere regolata dallo Stato ma
lasciata alla libertà del singolo
31
. Lo Stato non deve, con il proprio
intervento, alterare l’equilibrio naturale del mercato. Ogni equilibrio
naturale converte l’egoismo della ricerca del proprio interesse in un
beneficio per tutta la società. In questo modo domanda e offerta si
equilibrano grazie alla mano invisibile, identificata da Smith con la
Provvidenza, che trasforma vizi privati in pubblici benefici
32
. Ma il
comportamento degli individui non si basa esclusivamente su meccanismi di
domanda e offerta, bensì anche su norme morali, che Smith individua nella
31
Cfr. C. TOGNONATO, Economia senza società. Pag. 42
32
Uso terminologia di Bernard de Mandeville che ne “La favola delle api, ossia Vizi privati,
pubblici benefici” vede la prosperità della società come il risultato delle azioni egoiste degli
esseri umani.
20
morale della simpatia: oggi si potrebbe definire “socializzazione” quel
processo a cui l’autore allude quando si riferisce all’azione dello spettatore
esterno e interno. Il primo è costituito dall’approvazione o disapprovazione
altrui difronte a un nostro comportamento, il secondo invece è il giudizio
“dell’uomo dentro al nostro petto” che rappresenta i nostri principi morali,
la nostra coscienza. Da questa premessa Smith asserisce che gli impulsi
egoistici sono armonizzati e guidati dai sentimenti sociali che vogliono
realizzare il bene comune, ma sottolinea la gerarchia implicita fra i due,
tanto è vero che l’approvazione sociale non garantisce l’approvazione di
coscienza. In questo modo Smith include nella sua analisi anche l’influenza
sociale e inserisce la propria trattazione in un’ottica non solo economica ma
anche sociale
33
.
Rientrando in Inghilterra nel 1766 Smith si concentra sulla stesura
dell’Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, opera
che sarà pubblicata dieci anni dopo e che risentirà degli effetti della
frequentazione dei circoli illuministici filosofici francesi. La divisione del
lavoro è il tema fondamentale dell’opera poiché per Smith è il fattore
determinante della ricchezza e dello sviluppo della società. Se per il
mercantilismo la ricchezza si identifica con la quantità di moneta
accumulata, per la fisiocrazia questa è rappresentata dai beni prodotti, per
Smith la prosperità si misura in base al tenore di vita dei cittadini. Egli,
infatti, attraverso quello che oggi definiremmo “reddito pro capite” misura
la ricchezza di una nazione. Un altro indice che rivela il benessere dello
Stato è la produttività che è direttamente proporzionale all’adeguato
sviluppo della divisione del lavoro e l’ampiezza del mercato. Sebbene tale
rappresentazione potrebbe riportare uno stato di benessere della società,
d’altro canto, non si rivela altrettanto ottimale per rilevare lo stato
d’indigenza della popolazione, creata dal sistema capitalistico. Se da una
parte la suddivisione del lavoro viene celebrata come la tecnica produttiva
più efficace ed efficiente per produrre ricchezza, dall’altra questa produce,
33
Cfr. C. TOGNONATO, Economia senza società. Pag. 43-51
21
con la stessa efficienza, disumanizzazione e degradazione sociale e di
questo Smith ne è consapevole:
“in ogni società progredita e incivilita, questa è la condizione in cui i poveri che
lavorano, cioè la gran massa della popolazione, devono necessariamente cedere
34
”
Difronte a tale compromesso anche altri autori sembrano non essere provati
dal tema, ma si incoraggia ad una politica educativa che aiuti i lavoratori ad
evitare questo destino, ma non a garantire migliori condizioni a coloro che
invece ne sono costretti, anzi per Robert Malthus le ingiustizie prodotte dal
sistema capitalistico sono conseguenze di fatti naturali e non dell’operato
delle istituzioni. Sostenendo che la popolazione si riproduce più
velocemente di quanto lo facciano i mezzi di sussistenza, Malthus
deresponsabilizza le istituzioni, che sarebbero inermi difronte alla disgrazia
che tocca una considerevole parte della società. L’economista suggerisce
come unica possibilità d’intervento, influenza dell’andamento demografico
per renderlo più proporzionato alla disponibilità di beni: se si vuole far
fronte al crollo dei salari, i poveri devono avere meno figli, diminuendo cosi
l’offerta di manodopera e quindi generando un incremento delle
remunerazioni. Continua affermando che “nessun bambino nato dopo il
trascorrere di un anno avrebbe avuto diritto al sussidio; gli imprevidenti
dovevano essere lasciati alla punizione della natura”
35
. Toynbee e Godwin si
oppongono alla visione fatalista di Malthus e sostengono invece Smith
attribuendo la responsabilità degli squilibri e dei cambiamenti economici
all’essere umano.
Altro elemento fondamentale nella trattazione smithiana è la fiducia. È noto
che un mercato non possa funzionare senza la fiducia tra gli attori
economici, in particolare tra i contraenti, ma Smith, nelle sue analisi, tenta
di capire come e quanto la fiducia possa essere razionale e le condizioni
34
A. Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, cit. pag. 638
35
A.TOYNBEE , La rivoluzione industriale, cit., pag 97