1. I contratti a contenuto formativo.
1.1. Premessa.
Il decreto legislativo n. 276/2003 ha avviato un complesso programma di modifica della
disciplina relativa ai contratti a contenuto formativo; le finalità di tale intervento riformista, già
prospettato dalla legge n. 196/1997, sono da individuarsi prevalentemente nella necessità di
aumento di occupazione regolare, migliorando qualità e stabilità del lavoro. In tale disegno, in
osservanza delle direttive comunitarie, viene posta particolare attenzione al ruolo della formazione
come strumento privilegiato per innalzare la dotazione di capitale umano, e rendere i lavoratori più
garantiti nei molti percorsi volti a raggiungere l’occupabilità. L’ordinamento italiano prevedeva due
contratti a contenuto formativo, e questi erano l’apprendistato ed il contratto di formazione e lavoro.
La presenza di due tipologie contrattuali aventi la medesima finalità ha tuttavia generato diversi
problemi negli anni; accanto ad una sovrapposizione funzionale dei due istituti si è aggiunto un uso
distorto degli stessi, in quanto questi venivano utilizzati, nelle pratiche di gestione delle risorse,
come strumento per ridurre i costi del personale più che come mezzo per il conseguimento di scopi
formativi. Con il decreto legislativo n. 276/2003 l’intento del legislatore è stato quello di porre fine
a tali questioni, distinguendo nettamente le finalità perseguite dai due istituti, e seguendo la linea di
pensiero già anticipata dal Libro Bianco sul Mercato del Lavoro del 2001; l’apprendistato viene così
valorizzato come strumento formativo per l’acquisizione di una qualifica (articolo 48 d.lgs.
276/2003) o di una qualificazione (articolo 49 d.lgs. 276/2003) professionale, mentre il contratto di
formazione e lavoro viene sostituito, almeno per il settore privato, dal contratto di inserimento
(articolo 54 d.lgs. 276/2003), quale mezzo per favorire l’ingresso nel mercato del lavoro di alcune
categorie di soggetti, perlopiù svantaggiati. L’impianto teorico della riforma si è tuttavia venuto a
scontrare con una realtà ed una prassi operativa non facili da cambiare, ed il periodo di transizione
dal vecchio al nuovo regime ha così evidenziato alcuni problemi pratici ed operativi, rendendo
necessario un intervento correttivo e di sostegno per la definitiva messa a regime del nuovo lavoro.
1.2. Il contratto di formazione e lavoro.
A seguito di esigenze occupazionali e formative, oltre all’apprendistato si è quindi venuta a
delineare in passato una normativa complessa dedicata ad un tipo di rapporto di lavoro subordinato
flessibile, e cioè il contratto di formazione e lavoro. Questo tipo di contratto (che nel 1994 è stato
suddiviso in due tipologie) dalla fine degli anni Novanta ha visto fortemente ridotto il suo impatto
5
occupazionale; infatti, la convenienza e l’uso dei contratti di formazione e lavoro hanno subito una
notevole frenata a seguito delle decisioni prese dalla Commissione Ce (1999)
1
e dalla Corte di
Giustizia Ce (2002 e 2004)
2
, che hanno considerato il regime di benefici economici previsto per i
datori di lavoro che sceglievano questo contratto in contrasto con il diritto comunitario della
concorrenza (articolo 87 del Trattato Ce), ed hanno imposto al Governo italiano il recupero degli
aiuti forniti ai datori di lavoro. Tenendo conto di queste vicende, nel 2003 il legislatore italiano,
operando una scelta che portava alla valorizzazione dell’apprendistato e alla creazione di un nuovo
contratto (il contratto di inserimento), ha ridotto ulteriormente l’ambito di applicazione del contratto
di formazione e lavoro; a partire dal 24 ottobre 2003 la disciplina dei contratti di formazione e
lavoro è stata circoscritta all’ambito del pubblico impiego, e solo transitoriamente ha trovato
applicazione nell’impiego privato per i contratti in corso e per quelli stipulati entro termini
precisamente individuati
3
(articolo 86 comma 9 d.lgs. 276/03). Fin dalla sua origine il contratto di
formazione e lavoro è apparso un contratto non facilmente classificabile; è un tipo di contratto a
termine a causa mista o complessa con una doppia obbligazione principale a carico del datore di
lavoro, e cioè retribuzione e formazione. I lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro
possono essere inquadrati e retribuiti ad un livello inferiore a quello di destinazione (così come
similmente avverrà per il nuovo apprendistato); la previsione di un cosiddetto salario d’ingresso,
che permette di retribuire i contrattisti con salari più bassi di quelli percepiti dagli altri dipendenti,
lascia tuttavia aperto un problema di legittimità costituzionale ex articolo 36, nell’ipotesi di quella
tipologia di contratto di formazione e lavoro che prevede l’assenza di un momento formativo di un
certo spessore. Dopo il monito comunitario e il ridimensionamento del campo di applicazione dei
contratti di formazione e lavoro, risultano ridimensionati anche i benefici contributivi per le
assunzioni con questi tipi contrattuali
4
.
1
Decisione della Commissione Ce dd. 11 maggio 1999, 2000/128/Ce.
2
Sentenza Corte di Giustizia Ce 7 marzo 2002, causa c-310/99, Repubblica Italiana c. Commissione, LG, 202, 5;
Sentenza Corte di Giustizia Ce 1° aprile 2004, causa c-99/2002.
3
Le parti sociali hanno infatti dato tempestivamente attuazione all’art. 86 c. 13 d.lgs. 276/03, delineando una disciplina
transitoria per i cfl. In data 13/11/03 è stato stipulato l’Accordo Interconfederale sul regime transitorio per cfl. Si
segnala che l’art. 59 bis del d.lgs. 276/03, introdotto dal d.lgs. correttivo al d.lgs. 276/03 – d.lgs. 251/04 -, approvato in
via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 5 settembre 2004, recepisce in parte l’Accordo Interconfederale cennato.
4
Vd art. 59 bis d.lgs. 276/03 introdotto dal d.lgs. correttivo al d.lgs. 276/03 – d.lgs. 251/04 -, approvato in via definitiva
dal Consiglio dei Ministri il 5/9/04.
6
1.3. Il contratto di inserimento.
Il decreto legislativo n. 276/03 introduce una tipologia contrattuale nuova, con finalità più
occupazionali che formative, richiamando istituti precedenti sia per disciplina che per
denominazione. E’ possibile sostenere che il contratto di inserimento segni la fine del contratto di
formazione e lavoro, il quale sopravvive solo nelle pubbliche amministrazioni; tuttavia, per quelli
che risultavano ancora in vigore era stato previsto un periodo di lenta transizione. La disciplina del
contratto di inserimento è stata resa operativa dall’Accordo Interconfederale firmato l’11 febbraio
2004 da Confindustria, CGIL, CISL e UIL per consentire ai datori di lavoro di tutti i comparti
produttivi una fase di prima applicazione di tale istituto. Per quanto riguarda la disciplina di questo
contratto, esso è diretto a categorie di persone considerate dal legislatore particolarmente deboli sul
mercato del lavoro; condizione per l’assunzione con contratto di inserimento è la definizione, con il
consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento, finalizzato a garantire
l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al contesto lavorativo (aspetto
che richiama in modo notevole il vecchio contratto di formazione e lavoro, soprattutto nella sua
tipologia a minore valenza formativa). Ciò dovrebbe significare che non sono assumibili con questa
tipologia contrattuale soggetti privi di una capacità professionale adattabile, per i quali dovrebbe
invece essere utilizzato l’apprendistato. Il progetto individuale di inserimento può prevedere solo
eventualmente la formazione professionale, poiché viene demandata alla contrattazione collettiva la
scelta sul se erogarla o meno, quanta erogarne, e in che modo; così, la causa del contratto di
inserimento può essere considerata mista se è prevista una formazione professionale, per quanto di
basso profilo. Quanto alla forma, come per i contratti di formazione e lavoro anche il contratto di
inserimento deve essere stipulato per iscritto, e deve essere specificamente indicato il progetto
individuale di inserimento; si tratta quindi di una particolare tipologia di contratto a termine e per
questo, salva diversa determinazione della contrattazione collettiva, trova applicazione la disciplina
contenuta nel decreto legislativo n. 368/01. Analogamente a quanto era ed è previsto per i contratti
di formazione e lavoro, il legislatore, per incentivare la stipula del contratto di inserimento, prevede
la possibilità di inquadrare il lavoratore sino a due livelli inferiori rispetto alla categoria spettante, in
applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro; altro incentivo economico-normativo
consiste nell’esclusione dal computo della forza occupazionale ai fini di determinati istituti dei
lavoratori così assunti. Quanto agli incentivi propriamente economici, in attesa della riforma del
sistema degli incentivi all’occupazione, quelli previsti dalla disciplina vigente in materia di
contratto di formazione e lavoro trovano applicazione per tutte le tipologie di contratto di
7
inserimento, ad eccezione dei soggetti compresi tra 18 e 29 anni; tale limitazione deriva
chiaramente dell’applicazione delle indicazioni della Ue in tema di sostegni all’occupazione
5
.
1.4. L’apprendistato.
Ancor più del contratto di formazione e lavoro e del contratto di inserimento, strumento
principe dell’alternanza tra formazione e lavoro è l’apprendistato, denominato tirocinio dal codice
civile, e considerato classico strumento d’ingresso del giovane nel mondo del lavoro; esso è stato
rinnovato nelle sue forme dal decreto legislativo n. 276/03, che ne triplica i tipi pur rimandandone la
completa attuazione ad un futuro prossimo. La disciplina dell’apprendistato come conosciuto fino al
2003 risale ad una regolamentazione sostanzialmente datata (articoli 2130-2134 c.c., legge n.
25/55), più volte modificata ed integrata (articolo 21 legge n. 56/87, e articolo 16 legge n. 196/97).
Il decreto legislativo n. 276/03, nel riformare la disciplina dell’apprendistato, suddivide la
fattispecie in tre distinte tipologie negoziali, destinatarie in parte di norme specifiche per ognuna di
esse, in parte di norme comuni. La prima tipologia si riferisce al contratto di apprendistato per
l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, ove l’apprendistato diviene una delle
forme di fruizione dell’offerta di istruzione e formazione pubblica. I giovani tra i 15 ed i 18 anni,
destinatari di questo tipo di apprendistato, dovrebbero conseguire, al termine del processo formativo
di durata non superiore ai tre anni, una qualifica generica, da raggiungere a seguito
dell’individuazione da parte delle Regioni di specifici profili formativi, che si snodano nell’ambito
di una formazione professionale sia interna sia esterna all’azienda. L’apprendistato
professionalizzante è diretto invece al conseguimento di una qualificazione attraverso una
formazione sul lavoro ed un apprendimento teorico professionale; tale variante di apprendistato
dovrebbe permettere al lavoratore di acquisire una competenza professionale più elevata, in
considerazione della maggior durata del contratto (da 2 a 6 anni) e della sua destinazione a giovani
maggiorenni (da 18 a 29 anni) che già potrebbero possedere una qualifica professionale. Su tale
tipologia contrattuale è intervenuto l’articolo 13 della legge n. 80/05 che, in attesa delle leggi
regionali, ha rimesso la disciplina dell’apprendistato professionalizzante ai contratti collettivi
nazionali di categoria stipulati da associazioni dei datori di lavoro e prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. L’ultima tipologia in esame è il nuovo
contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione,
applicabile ai giovani tra i 18 e i 29 anni. La norma fornisce solo una descrizione sommaria
dell’istituto, con una formulazione che richiama la necessità di interventi integrativi a livello
5
Vd Circ. Inps 51/04.
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