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INTRODUZIONE
La disamina del tema della dislessia nel presente
elaborato scaturisce da una primaria osservazione
personale delle peculiari caratteristiche di
apprendimento di un adolescente con un quoziente
intellettivo più alto della media, ma con difficoltà a
concentrarsi e memorizzare le informazioni appena
trattate. Attuando approcci di insegnamento differenti,
meno legati al testo scritto e più vicini al contesto visivo ed
esperienziale, si notavano picchi di attenzione e di
coinvolgimento e le informazioni trattate venivano
inglobate in modo più rapido. Il confronto con allievi di
età e contesti familiari, ambientali e scolastici simili, ha
evidenziato quanto queste stesse caratteristiche fossero
assenti o presenti in maniera minima e fossero più vicini
alle comuni manifestazioni di calo di attenzione dopo una
prolungata spiegazione.
Dunque la raccolta di queste osservazioni mi ha portato a
ricercare maggiori informazioni sulle modalità di
apprendimento, sul modo di agire del cervello davanti ai
nuovi input e sulla correlazione tra intelligenza ed
acquisizione di nuove nozioni, soprattutto nel contesto
7
scolastico ed educativo. Il sistema normativo italiano
scolastico nell’ultimo decennio ha iniziato a dedicare
maggiore attenzione alle caratteristiche individuali
dell’allievo, predisponendo metodi e tecniche adatte a
ciascun cervello; inoltre a livello scientifico la dislessia e gli
altri disturbi specifici dell’apprendimento sono
ampiamente osservati e con le più recenti tecnologie si
sono aperte nuove frontiere di studio e ricerca scientifica
che hanno permesso di avanzare nuove ipotesi a livello
neurobiologico e neurolinguistico. L’obiettivo del presente
elaborato è quello di promuovere la conoscenza delle
differenze cerebrali e quindi delle caratteristiche di
apprendimento di ciascun allievo, al fine di rendere
costruttivo l’insegnamento, a partire dal metodo di studio,
senza tralasciare componenti di estrema importanza
soprattutto negli anni della scuola primaria, che sono
l’autostima e la fiducia nelle proprie capacità,
indispensabili per costruire solide basi su cui poi far
poggiare la propria conoscenza.
Nel primo capitolo sono esposte le principali teorie
neurobiologiche e neurolinguistiche avanzate negli ultimi
decenni, che sono imprescindibili per comprendere
8
quanto la predisposizione genetica e dunque cerebrale
siano fattori di rilievo nella costruzione di un proprio stile di
apprendimento e di attitudini personali. Si è visto che la
dislessia è un disturbo legato ad un deficit nella porzione
sinistra del cervello, legata principalmente alle funzioni del
linguaggio.
Il secondo capitolo si ricollega al titolo di questa tesi: infatti
qui sono trattati i canali sensoriali, i differenti stili di
apprendimento legati ad essi e le metodologie didattiche
su cui orientarsi per permettere agli allievi con dislessia di
orientarsi nel modo a loro più congeniale, evitando di
etichettarli come demotivati o disinteressati.
Nel terzo capitolo si è reso necessario specificare in modo
più dettagliato quali fossero appunto i campanelli
d’allarme del disturbo della dislessia: vengono quindi
spiegati i sintomi più comuni che possono facilitare la
diagnosi anche al personale scolastico, oltre che alla
famiglia stessa. Inoltre, la dislessia è spesso associata ad
altre comorbilità, che verranno descritte a grandi linee
per poter capire a quali disturbi si va incontro. Una
diagnosi precoce può aumentare le possibilità che tali
9
disturbi vengano in qualche modo corretti grazie ad
un’istruzione mirata.
Il quarto capitolo illustra anche quelli che sono i vantaggi
di avere un disturbo specifico di apprendimento, perché,
come in tutte le cose, esiste un risvolto positivo se si sanno
sfruttare le atipicità a proprio favore. Non a caso
personaggi come Walt Disney, Albert Einstein, Steve Jobs
e molti altri erano dislessici. Inoltre, sempre nello stesso
capitolo sarà brevemente esposto un metodo piuttosto
conosciuto negli Stati Uniti, noto come il Metodo Davis, dal
nome dell’ideatore, che sembrerebbe efficace nel
trattamento dei sintomi di disorientamento provati dai
soggetti dislessici.
L’ultimo capitolo è incentrato sulla didattica. Si è visto che
metodi di studio o approcci troppo precoci e/o errati alla
scrittura e alla lettura potrebbero aumentare le possibilità
di sviluppare un disturbo specifico dell’apprendimento,
mentre una diagnosi precoce delle difficoltà del bambino
si rivela di grande ausilio per poter predisporre un piano
didattico individualizzato, che miri al potenziamento delle
capacità, senza mettere l’alunno in difficoltà davanti al
resto della classe, minandone anche l’emotivi
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CAPITOLO 1
IL CENTRO DI LETTURA NEL NOSTRO CERVELLO
La capacità di comunicare grazie ad un linguaggio
articolato ed organizzato è ciò che rende la nostra specie
unica e la più evoluta, in accordo con le teorie di Charles
Darwin, anche rispetto alle grandi scimmie ed ai primati,
a noi più simili. L’uso del linguaggio scritto però è
un’invenzione più recente che risale solamente a qualche
millennio fa. Il teso scritto è un sistema denso di
informazioni codificate nel codice linguistico, questo ha
richiesto la rapida riorganizzazione di alcuni circuiti
neuronali preesistenti al fine di renderli in grado di
processare il linguaggio scritto. In altre parole,
differentemente da quanto avviene ad esempio con
il linguaggio verbale, nel nostro cervello non esiste
un’area innata definibile come centro di lettura
1
.
Va considerato comunque che il cervello umano è in
qualche modo già predisposto all’incontro con il segno
ed alla manipolazione dello stesso per comunicare
1
Cit. S. Vicari, D. Menghini, La dislessia. Come riconoscerla e trattarla,
Raffaello Cortina Editore, Azzate (VA) 2018, p. 39
12
bisogni, sentimenti e desideri. In effetti, tra i 3 e i 6 anni i
bambini iniziano già a conferire qualche forma proto-
linguistica ad alcuni dei propri disegni. Dunque per
sopperire alla necessità di leggere, il cervello reimpiega
regioni che sostengono le attività di altre funzioni, come la
lingua parlata e il riconoscimento degli oggetti. Infatti,
quando leggiamo, nel cervello si attivano due sistemi
distinti: uno per il riconoscimento visivo delle forme, l’altro
legato all’analisi dei movimenti necessari per tracciare
lettere e parole
2
. Entrambi questi circuiti neuronali si
attivano sempre, sia per chi legge caratteri alfabetici, sia
per chi legge ideogrammi. Ne consegue che, a
prescindere dalla cultura o dal tipo di alfabeto che si
legge, leggere coinvolge due sistemi cerebrali universali.
Il quoziente intellettivo non influisce sul rendimento del
lettore, mentre ad influire è la consapevolezza fonologica
del soggetto: ciò che viene definito un elemento
inaspettato (unexpected), non è altro che un elemento
2
Fonte
http://www.lescienze.it/news/2012/11/27/news/lettura_scritura_alfabe
to_ideogrammi_aree_cerebrali-1385663/
13
ignorato o sconosciuto al lettore, per questo non può
essere identificato in maniera rapida e fluente
3
.
Le ricerche in ambito neurolinguistico mostrano come le
competenze grammaticali e fonologiche
nell’apprendimento di una seconda lingua, siano le
abilità più difficili da raggiungere.
Grazie alla sua plasticità, il cervello la massima
ricettività nei confronti del linguaggio nei primi anni di
vita [...] ed il livello di competenza raggiunto in una
lingua, soprattutto nei suoi aspetti morfologici e
morfosintattici, è fortemente correlato con l’età di
acquisizione
4
.
La padronanza del linguaggio scritto
5
non è un’abilità
innata, ma dipende dalla capacità, mediata
dall’educazione, di apprendere regole che collegano
codici scritti, suoni e significati delle parole. A livello
3
Cfr. C. Melero, Propuesta de definiciòn para la dislexia al interno de
la glotodidàctica, in <<EL.LE>>, vol. 2, 3, 2013, pp. 560- 561
4
Cit. C. Crescentini, A. Mariani, F. Fabbro, Competenza e disturbi di
linguaggio nel plurilinguismo, in <<EL.LE>>, vol. 1, 3, Novembre 2012, p.
541
5
Cfr. K.Nakamura et alii, Universal brain systems for recognizing word
shapes and handwriting gestures during reading, in <<PNAS>>, vol.
109, n. 50, Dicembre 2012
14
neuronale, imparare queste regole comporta alcuni
cambiamenti strutturali e funzionali, soprattutto nell’area
della corteccia visiva, ma anche in altre regioni del
cervello.
Tutto ciò spiega perché nella grande maggioranza dei
casi non possiamo imparare spontaneamente a leggere,
ma abbiamo bisogno che qualcuno ce lo insegni.
Sappiamo comunque che la riorganizzazione cerebrale
alla base dell’apprendimento della lettura è resa più
rapida se durante l’infanzia, nel periodo che precede
l’alfabetizzazione formale, ci sia stata una buona
esposizione al linguaggio.
Vediamo in modo più specifico le aree cerebrali coinvolte
nella lettura. (Figura 1)
15
Figura 1. Fonte https://www.tsw.it/journal/ricerca/doppia-via-
ledoux-come-reagisce-cervello-a-stimoli/
Per le persone con un’organizzazione dei sistemi cerebrali
coinvolti in questi compiti in qualche modo differente, con
qualche deviazione, come nel caso degli individui affetti
da disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), il processo
di transcodifica tra parlato e scritto non avviene in modo
così spontaneo e naturale.
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1.1 BREVE STORIA DELLA DISLESSIA
Il termine dislessia venne utilizzato per la prima volta nel
1887 da Rudolf Berlin, un oculista di Stoccarda
6
. In
particolare, il dottor Berlin parlò di dislessia riferendosi a un
ragazzo che presentava serie difficoltà nella lettura e
nella scrittura pur mostrando buone capacità cognitive e
uno sviluppo psicomotorio perfettamente nella norma.
Qualche anno dopo, fu Adolph Kussmaul a studiare casi
di adulti con problemi di lettura associati a danni
neurologici. Egli introdusse l’espressione cecità per le
parole per descrivere adulti e bambini che, dopo aver
subito un danno neurologico, presentavano difficoltà
nell’imparare a leggere o nella costruzione corretta delle
frasi
7
.
Solo nel 1881 però, grazie al medico tedesco Berkhan, si
identificò un disturbo nell’apprendimento della lettura.
Cecità per le parole, fu questa la definizione data dal
medico britannico W. Pringle Morgan nel 1896, quando
pubblicò una descrizione del disturbo in un ragazzo di
6
Cfr. Wagner, Rudolf Berlin: Originator of the term dyslexia, in <<
Annals of dyslexia >>, 23, 1, 1973, pp. 57-63
7
Cfr. S. Vicari, D. Menghini, La dislessia. Come riconoscerla e trattarla,
Raffaello Cortina Editore, Azzate (VA) 2018, pp. 8-14
17
quattordici anni, il quale era stato definito dallo stesso
medico intelligente, brillante, ma con un’impossibilità
nell’imparare a leggere. Tale difficoltà era così marcata
da spingere il dottor Morgan ad interpretarla come
l’espressione di un’alterazione genetica, all’origine,
presumeva, di uno sviluppo anomalo di alcune regioni
cerebrali come il giro angolare dell’emisfero sinistro, che
negli adulti, a seguito di un danno acquisito, provocava
problemi di lettura
8
. (vedi Figura 2)
8
Cfr. ivi, p. 8