5
Per verificare la loro ipotesi, Singh e Carroll hanno studiato le “inter L3
phonologies” di 9 soggetti e non hanno trovato nessuna correlazione tra la
durata dell’esposizione a una lingua non – nativa, il periodo dedicato allo
studio della lingua e il contesto in cui è stata appresa/acquisita e l’origine
degli errori nella L3.
Singh e Carroll hanno osservato che i parlanti lingue europee
generalmente, nell’apprendimento della fonologia della L3, subiscono
l’influenza della lingua nativa europea, mentre i parlanti lingue indiane
subiscono l’influenza dell’inglese.
5
Questo fenomeno non può essere
spiegato soltanto alla luce del prestigio della L2 o della L3, ma bisogna
prendere in considerazione anche l’atteggiamento nei confronti della L1.
Questo concorda con le conclusioni cui giunge Aditi Mukherjee nello
studio dell’assimilazione dell’hindi da parte dei diversi gruppi etnici di Delhi.
6
In India, esiste un bilinguismo ufficiale e istituzionalizzato che comporta
una situazione di non-competizione tra le diverse lingue e l’inglese, che si è
sovrapposto ad esse. Singh e Carroll ritengono che l’inglese eserciti
un’interferenza negativa su tutte le lingue apprese, ad eccezione, forse, della
lingua madre;
7
giungono alla conclusione che chi impara una L3 può attingere
alla L1 e alla L2 a seconda delle proprie esigenze.
Personalmente, concordo con questa conclusione, dal momento che ho
potuto constatare che gli studenti indiani utilizzano tutte le loro conoscenze
linguistiche nello studio di una nuova lingua. Una determinata caratteristica di
una lingua può richiamare alla mente una caratteristica parallela di un’altra
lingua e questo fenomeno è tanto più frequente quanto maggiore è il numero
di lingue conosciute dallo studente.
5
Vorrei notare, però, che in questo studio le L3 prese in considerazione erano sempre lingue
europee e mai lingue indiane. Sarebbe interessante verificare se anche nel caso
dell’apprendimento di altre lingue indiane un parlante lingue indiane continui ad essere
influenzato dall’inglese.
6
La Mukherjee ha studiato la considerazione in cui è tenuta la lingua e la cultura di una
comunità presso la comunità stessa, nella città di Delhi. Le due comunità studiate da lei sono
quella punjabi e quella bengalese. La studiosa ha trovato un rapporto inversamente
proporzionale fra l’autostima della comunità e il grado di assimilazione dell’hindi. Infatti,
mentre i punjabi, che hanno interiorizzato il discredito nei confronti della loro cultura, vigente a
Delhi, tendono a imparare meglio l’hindi (la lingua maggiormente parlata a Delhi) dei
bengalesi, che invece hanno un’alta considerazione della loro cultura. V. Mukherjee, Aditi,
Language Maintenance and Languange Shift: Punjabis and Bangalis in Delhi. New Delhi,
Bahri Publications, 1996.
6
Nel corso delle mie lezioni, ho potuto constatare che gli studenti
individuano quasi automaticamente questi parallelismi fra l’italiano e l’inglese.
Questo succede, per esempio nel caso delle trasformazioni sintattiche da
effettuarsi nel passaggio dal discorso diretto al discorso indiretto, che sono
simili nelle lingue europee ma diverse da quelle delle lingue indiane
8
.
La stessa cosa non avviene nel caso delle somiglianze tra italiano e
lingue indiane. Per esempio, il verbo “piacere” in hindi, può essere costruito in
due modi, uno simile all’italiano (a me piace), l’altro all’inglese (I like). Gli
studenti indiani sono decisamente influenzati dalla costruzione inglese (da cui
frasi come “io piace/piaccio la pizza”), piuttosto che da quella hindi.
Ogni volta che ho cercato di indicare questa somiglianza tra l’italiano e
l’hindi, ho notato che gli studenti faticavano molto a rendersene conto e, di
conseguenza, ad apprenderla.
9
Anche nel caso della pronuncia e dell’intonazione il transfer da lingua a
lingua non è consapevole. Molte consonanti della lingua madre sostituiscono
quelle italiane
10
mentre è la conoscenza di una lingua europea (con maggior
frequenza l’inglese) che si riflette nella pronuncia e nell’ortografia delle
consonanti raddoppiate.
E’ notevole il transfer negativo dal francese nella pronuncia e
nell’ortografia e il transfer positivo che aiuta a comprendere costrutti sintattici.
Mi sembrava importante e non preso in considerazione finora da
nessuno studio il fatto che si impari l’italiano attraverso l’inglese che non è la
lingua madre degli studenti. Che l’inglese sia, come l’ho chiamato in questo
studio, la prima lingua, ha un peso non indifferente per le competenze
linguistiche degli studenti.
7
V. Singh, R. e Carroll, S., op.cit., p. 147.
8
Per esempio, la frase "ha detto che sarebbe venuto", in hindi suona: "usne kaha ki vah
ayega".
9
Questa difficoltà potrebbe essere anche ascrivibile all’impostazione seguita da molti manuali
di italiano, che sono per lo più concepiti per un pubblico di lingua inglese e che perciò tengono
soprattutto conto della differenza tra questa lingua e l’italiano. Io ho finora usato questi testi
ma il nostro è un pubblico diverso e il testo e la metodologia didattica si dovrebbero adattare a
questo fatto.
10
Ad esempio, il suono /v/ in bengalese non esiste, e nei nomi di origine straniera che lo
contengono, viene reso, in alcuni casi con /b/ (es.scr. Vishnu> bangla Bishnu), in altri con /bh/
(es. ingl. volume > bangla bholium). Così, gli studenti bengalesi tendono inizialmente a
rispettare la stessa norma, spesso aggiungendo l’aspirazione (/bh/) forse per analogia alla
resa di /f/ con /ph/ e di /v/ con /bh/.
7
È opportuno ricordare, a questo punto, che la realtà sociolinguistica
indiana presenta delle caratteristiche molto peculiari.
In un discorso tenuto il 22 settembre 1993, in occasione della
pubblicazione del primo volume di “People of India: An Introduction” l’allora
Primo Ministro Narasimha Rao ha detto:
“…(le) lingue cambiano così impercettibilmente. Si trovano zone dove la
gente conosce tre o anche quattro lingue. A Adoni, dove s’incontrano le tre
regioni dell’Andhra Pradesh, del Karnataka e una piccola parte del
Maharashtra, non geograficamente parlando, ma a livello degli abitanti,
vedevo che gli anziani parlavano quattro o cinque lingue e tutti capivano tutto.
Non sempre riuscivano a parlare in tutte e cinque le lingue, ma le capivano
tutte... “
11
L’Ottavo Piano della costituzione indiana specifica diciotto lingue
appartenenti a cinque famiglie linguistiche. Tuttavia, Singh e Manoharan
constatano che le lingue indiane si assomigliano nella fonologia, grammatica
e lessico; condividono strutture fondamentali quali “echo-formation”, sistemi
numerici, saluti verbali e non, e la terminologia riguardante parentele.
Praticamente tutte le lingue indiane hanno in comune le strutture delle
frasi semplici. Seguono tutte la forma soggetto-oggetto-verbo (SOV)
contrariamente alla struttura italiana che segue l’ordine soggetto-verbo-
oggetto (SVO). Forse questo è uno dei motivi per cui la diversità linguistica
non viene vista come un ostacolo alla coesistenza dei diversi popoli che
abitano l’India.
L’interazione linguistica attraverso i secoli è riscontrabile nella
condivisione di aree linguistiche. Pandit (1972) definisce l’India un’area socio-
linguistica
12
e R. Srivastava dice che la caratteristica più importante del
bilinguismo indiano è l’attribuzione di diversi ruoli sociali a diverse lingue che
formano un’unità complessa di comportamenti socio-culturali
13
.
11
Libera traduzione del discorso di P.V.Narasimha Rao dal Foreward di Language and
Scripts; Singh, K.S. e Manoharan,S; Anthropological Survey of India, Oxford India Paperbacks
1997.
12
Pandit 1972
13
Srivastava 1968
8
0.2 Descrizione
Ai problemi accennati, la ricerca tenta di rispondere secondo
l’articolazione che segue.
Nel primo capitolo si cerca di tracciare un quadro della situazione
sociolinguistica indiana e quindi l’analisi viene limitata a Delhi. Più del 90 per
cento degli abitanti di Delhi appartengono al gruppo di parlanti hindi, panjabi o
urdu. Benché queste siano tre lingue diverse a livello ufficiale,
linguisticamente parlando si possono raggruppare perché differiscono
soprattutto nel lessico e nella grafia ma non nella sintassi. L’hindi utilizza i
caratteri devanagari, il punjabi quelli gurumukhi e l’urdu i caratteri arabo-
persiani. “Devanagari” significa “della città di Dio” e ”Gurumukhi” “rivolto verso
il maestro”.
Ognuno degli altri gruppi rappresentati dagli studenti (di bangla, di
telugu, di oriya e di inglese), costituisce meno dell’uno per cento della
popolazione. I parlanti nativi d’inglese sono ancora di meno: meno di 4000 in
un totale di più di 10 milioni di abitanti ci dice il censimento del 1991.
Nel secondo capitolo è presa in analisi la figura dello studente d’italiano
a Delhi. Gli studenti che si presentano all’Istituto Italiano di Cultura sono
diversi dagli studenti delle due università.
Molti sono gli studenti che si iscrivono ai primi corsi di una lingua
straniera, ma pochi quelli che arrivano a livello intermedio o avanzato.
Per il presente lavoro ho raccolto i dati personali di circa cinquanta
studenti che si erano iscritti ai corsi d'italiano all’Istituto Italiano di Cultura di
Delhi (IIC), alla Jawaharlal Nehru University (JNU) e alla Delhi University
(DU) per avere un'idea del profilo dello studente d'italiano a Delhi; la sua età
media, le lingue madri, il numero di altre lingue conosciute, il livello
d'istruzione, il motivo per cui ha scelto lo studio dell'italiano.
La metodologia didattica utilizzata nelle due università e nell’Istituto di
Cultura è diversa.
9
L’IIC usa una versione adattata della grammatica In italiano di Chiuchiù,
Minciarelli e Silvestrini dell’Università per Stranieri di Perugia. Questa
versione è stata pensata proprio per il pubblico indiano ed è usata in tutta
l’India. Si chiama Certificato di lingua italiana I, II e III. Il corso all’IIC è diviso
in tre livelli di tre quadrimestri ognuno. Nei primi due livelli si seguono
strettamente i libri di testo Certificato di lingua italiana I e II mentre nel terzo si
dà più importanza ai communication skills.
Anche la Delhi University usa i tre volumi menzionati ma mette più
enfasi sulla comunicazione e sulla letteratura già dai primi corsi.
Alla JNU uso la stessa grammatica integrata con diversi materiali
didattici. Questi possono essere testi di autori italiani e materiali audio-visivi
per una comprensione più globale.
Dai questionari compilati è stato possibile farsi un’idea più precisa dello
studente e dei fattori psico-socio-linguistici che si integrano nel suo
background.
Nel 1994, allo scopo di avere un primo quadro generale degli “errori”
presenti nella produzione linguistica (scritta e parlata) dei discenti, è stato
eseguito un “pilot study”, dove si è cercato di vedere non solo le diverse
categorie morfo-sintattiche a cui appartenevano gli “errori”, ma anche le
correlazioni con i diversi fattori presi in esame.
Il terzo capitolo è dedicato alla metodologia per raccogliere i “corpora” e
per l’analisi. Gli studenti hanno scritto dei brani su argomenti da me suggeriti:
un sogno; la descrizione di una persona che vorresti avere come amico/a;
una lettera ad un amico in cui descrivi la tua città; un invito a un amico in cui
parli della tua città.
Chi voleva, ha scritto su argomenti a piacere.
Le interviste che sono state registrate e trascritte erano su tre argomenti
diversi: il primo semplicemente sul corso d’italiano seguito dallo studente; il
secondo sulla donna indiana e il terzo su se stesso.
Le note bibliografiche spiegano quali lavori mi abbiano guidato nel
lavoro a formare e a modificare le ipotesi, a partire dall’analisi contrastiva di
Katerinov, fino allo studio su “anche” di Andorno, attraverso lo studio di Singh
e Carroll.
10
Il prof. Katerin Katerinov dell’Università per Stranieri di Perugia ha fatto
uno studio sulla frequenza di diversi errori rilevati in studenti provenienti da
madrelingue diverse. Questo studio è molto interessante per l’attuale ricerca
che era partita con l'idea di vedere se c'erano diversità fra studenti d'italiano
che avevano il medium d'insegnamento come L1 o L2. È, però, uno studio
quantitativo che prende in esame gli errori di studenti di diverse lingue alla
luce dell’analisi contrastiva e dell’Error Analysis. Lo squarcio che dà sulle
movenze delle cause degli errori è stato un punto di partenza per questo
studio ma non era sufficiente per spiegare in modo soddisfacente i dati dei
corpora. L'analisi, dunque, parte da una considerazione contrastiva per finire
con un’interpretazione che teneva conto dell’interlingua.
Passo quindi alla teoria dell’interlingua, termine coniato da Larry
Selinker. Nel libro Explorations in Interlanguage Singh riporta studi su aspetti
diversi dell’interlingua le cui fasi sono comuni a comuni a studenti di lingue
(straniere) in tutto il mondo. Con Carroll lui analizza le interfonologie di 9
apprendenti di una L3 (terza lingua). Pochi studi sull’acquisizione /
apprendimento di una terza lingua sono stati fatti e per questo il libro citato
era ancora più prezioso.
Pochissime grammatiche italiane trattano esplicitamente del
focalizzatore “anche” e il suo uso. Dalla grammatica alla linguistica di
Andorno è una di queste. Lei ha, però, trattato l’argomento in modo più
dettagliato nella tesi di dottorato (non ancora pubblicata, Università di Pavia,
2000) che esamina la posizione assegnata ad "anche" da discenti d’italiano
come Lingua Seconda
14
. Ha elencato tutti i focalizzatori presente nel corpus
studiato da lei
15
e la frequenza della loro comparsa. Inoltre, ha considerato le
diverse fasi attraversate dagli apprendenti d’italiano nell’acquisizione della
lingua italiana. Le fasi riconosciute da lei sono state confermate dall’analisi
dei miei dati.
14
Lingua seconda: “il termine può avere un senso più ristretto se usato in contrapposizione a
‘lingua straniera’, con cui si intende una lingua non nativa che viene appresa e utilizzata
prevalentemente al di fuori della comunità dei parlanti nativi. Il senso in cui useremo
l’espressione ‘acquisizione di seconda lingua’ è appunto quello ristretto di ‘acquisizione di una
lingua non materna in situazione di bagno linguistico, ovvero attraverso l’immersione nella
comunità dei parlanti nativi’” Andorno, tesi di dottorato, Università di Pavia, 2000.
11
Il quarto capitolo riguarda l’analisi dei dati e si distingue nell’analisi delle
frasi contenenti “anche” e in una rassegna delle frasi con strutture anomale
con i pronomi soggetto e i pronomi oggetto / clitici. Quest’uso viene
commentato in quanto la lontananza dall’italiano standard è notevole. Le
stesse strutture si trovano anche nell’inglese indiano mentre non sarebbero
accettabili nell’inglese britannico o in quello americano.
Il materiale analizzato proviene solo da quindici studenti; sia per l'alto
tasso di mortalità nei corsi sia per i soliti problemi incontrati ovunque nel
raccogliere corpora linguistici.
In questo corpus, come in qualsiasi corpus di interlingua, gli errori
abbondano. C'è di tutto, a partire dall'errore apparentemente trasparente a
quello di cui non si capisce subito né la provenienza e né tanto meno la
causa.
Un "errore" potrebbe esserci perché quella forma morfologica o
sintattica fa parte dell'interlingua dello studente in quel momento. Un altro tipo
di errore è quello dovuto alla conoscenza di un'altra lingua e cioè, un errore di
interferenza.
Nel corpus linguistico raccolto sono state riconosciute forme
appartenenti a interlingue di diversi livelli. Lo studio del continuum
dell’interlingua non doveva essere il tema centrale di questa ricerca, ma le
teorie di interferenza linguistica non sono bastate a spiegare i fenomeni
studiati e così, ho dovuto modificare l’ipotesi di partenza.
Ho notato alcuni tratti che caratterizzano la fonetica e l'ortografia del
corpus ma mi sono occupata soprattutto di alcune anomalie a livello
sintattico. In una prima fase della ricerca, sono stati rilevati tutti gli errori
commessi da un campione di dieci studenti (il pilot study). Era il primo passo
per avere materiale che volevo studiare e per averne una panoramica
generale. Non c’erano precedenti studi da cui sapere cosa aspettarsi e volevo
avere un quadro per scegliere poi gli aspetti che avrei cercato di analizzare
più dettagliatamente. In quello studio ho rilevato errori che andavano dal
campo morfologico a quello sintattico e preso in considerazione diversi fattori
psicolinguistici.
15
Corpus preso dalla Banca dati di Pavia.
12
Ho scelto tre elementi per un'analisi più approfondita: la posizione della
congiunzione “anche” che mi ha colpito nella produzione linguistica degli
studenti; l’uso del pronome sia soggetto che oggetto e la presenza oscillante
dell’articolo. Dico oscillante perché gli studenti non sembrano aver capito
chiaramente quando si deve usare l’articolo determinativo o meno e neanche
la differenza che questo crea a volte nel significato del loro enunciato. Si
trovano anche dei casi di confusione nell’uso dell’articolo determinativo e
indeterminativo.
Ho selezionato le frasi contenenti le forme che avevo deciso di studiare
e le ho sottoposte a tre madrelingua italiani. Ho chiesto loro quali delle frasi
erano accettabili, il loro significato e, nel caso che fossero errate, come le
avrebbe dette un italiano.
Secondo la struttura della frase italiana, “anche” modifica l’elemento
sintattico che lo segue. In hindi avviene il contrario e questa struttura invertita
la troviamo spesso nel corpus. Sarebbe interessante vedere se questo
avviene anche per altri studenti d’italiano che hanno come la L1 una lingua
SOV.
Il discorso della posizione di “anche” rispetto al verbo è più complicato
giacché l’hindi ha la struttura SOV, e cioè ha il verbo alla fine della struttura
della frase, mentre l’italiano ha la struttura SVO, e quindi, ha il verbo prima
dell’oggetto. I tempi che richiedono forme verbali semplici o composte in
italiano e in hindi non corrispondono. Secondo la grammatica dell’italiano
standard, il focalizzatore “anche” si trova in posizione adiacente a sinistra
dell’elemento modificato, eccetto nel caso del verbo quando il focalizzatore
segue. L’attuale studio, come anche altri studi fatti sull’acquisizione di “anche”
da parte di studenti stranieri, mostra la tendenza a collocare “anche” a sinistra
dell’elemento modificato, anche quando è il verbo a seguire.
Ho riscontrato e preso in considerazione numerose frasi con “anche”
all’inizio della frase prima del verbo o in altra posizione ma sempre
precedentemente al verbo. La frase inglese ha la stessa struttura di una frase
italiana; soggetto, verbo, oggetto. L'ordine di "also taught (teach) " è
mantenuto in "anche insegno". Il pronome soggetto precede la forma verbale
e sembrerebbe non essere particolarmente rilevante nella decisione
dell'ordine delle parole.
13
Quindi nell'uso della stessa parola "anche", abbiamo a volte
l'interferenza dell'hindi e altre volte dell'inglese. Non si è trovato l’influenza di
un’unica lingua neanche nelle costruzioni dello stesso studente. Questo ci fa
spostare l’ipotesi dell’interferenza di una lingua alla presenze di interlingue.
Troviamo non un’interlingua ma diverse interlingue anche fra studenti dello
stesso gruppo che, quindi, dovevano essere allo stesso stadio
nell’apprendimento dell’italiano. Da questi dati è possibile elencare i diversi
modelli adottati dagli studenti per l’uso di “anche”. Per stabilire l’ordine di
acquisizione dei modelli, non sembrerebbe bastare uno studio sincronico.
Seguono delle osservazioni sull’uso dei pronomi. In certi casi, l’uso del
pronome in inglese e nelle lingue indiane si assomigliano e questo decide
l’uso che lo studente farà del pronome anche in italiano. Altre volte, invece,
l’uso del pronome nelle lingue indiane è diverso da quello fattone in inglese e
in italiano e vediamo che è la struttura delle lingue indiane a decidere l’uso
dei pronomi sia nell’inglese indiana che nell’italiano che loro parleranno e
scriveranno.
L’analisi dei dati raccolti è resa più complicata dal fatto che ormai
l’inglese si sta affermando come una lingua indiana e abbiamo molti indiani
che lo considerano come la loro lingua madre.
Ho considerato anche le frasi con altre strutture anomale che si
riscontrano molte volte. Le categorie dove si notano tali strutture non
coincidono del tutto nella produzione scritta e in quella parlata. I performance
error compaiono in maggior numero nella lingua parlata; ad esempio, la
mancanza di concordanza fra articolo e sostantivo. Si trovano errori di
concordanza anche nella lingua scritta Questi sono simili agli errori di
concordanza nella lingua parlata ma ci sono molti esempi di errori ad un
livello sintattico più complesso, come nella concordanza fra tempi verbali.
Mentre la lingua scritta presenta delle frasi che dovrebbero essere complete
ed è facile notare errori nella posizione della parola, la stessa cosa diventa
quasi impossibile nella lingua parlata che è caratterizzata da cambiamenti
nella struttura della frase, autocorrezioni, sovrapposizioni e frasi incomplete.
14
Il quinto capitolo contiene i risultati e le conclusioni della ricerca con la
formulazione di alcune indicazioni relative a ulteriori ricerche possibili nel
settore.
Un'ipotesi: mi aspetto l’interferenza
16
dell’inglese nell’ortografia;
l'interferenza della madrelingua indiana e anche in parte dell’inglese nella
fonetica. Un esempio a livello grafico è ph al posto della f es. telephono
invece di telefono. Molti dei miei studenti hanno già studiato francese e
questo si sente sia nella loro pronuncia (le vocali soprattutto la /y/; e la / / che
nella scrittura: (et invece di e); nell’accento sulla vocale finale ed in altri
fenomeni simili. Questi tratti si trovano in discenti provenienti da tutte le lingue
indiane, diversamente dai tratti di interferenza a livello fonetico di cui abbiamo
un esempio negli studenti della fascia centrale – settentrionale dell’India nella
quale rientrano i parlanti di hindi e di punjabi: /w/ per /v/. Nel Bengala e
regioni attigue: /ph/ invece di /f/; /bh/ al posto di /v/. Non limitato a soli parlanti
hindi o bengalesi abbiamo /dz/ per /z/. Nel corpus parlato come in quello
scritto, non si trova mai l’influenza di una sola lingua ma una commistione di
interferenze. La domanda a cui non si è ancora trovata la risposta è “quale
lingua interferisce di più o quale lingua in quali situazioni e casi?”
Rimangono altri aspetti da investigare. Segnalo alcune cose da
studiare ancora in questo corpus. Linguaggio parlato e linguaggio scritto:
sembrerebbero appartenere a due mondi. Mi piacerebbe vedere quali errori si
rivelano solo come “performance error”
17
e quali “competence error”
18
e la
12
interferenza linguistica: Jack Richards (1971) dice che gli errori di interferenza sono il
risultato dell’uso di elementi di una lingua mentre se ne parla un’altra. (“….errors occurred
primarily as a result of interference when the learner transferred native language “habits” into
the L2. Ellis, Rod, op. cit. p. 48). Quando le lingue conosciute in precedenza sono più di una,
l’interferenza potrebbe essere di una qualsiasi di queste lingue o di più/tutte le altre lingue
conosciute.
13
performance error: “It is helpful to recognize two different kinds of performance mistake:
those that result from processing problems of various kinds, and those that result from such
strategies as circumlocution and paraphrase, which a learner uses to overcome lack of
knowledge.” Ellis, Rod, The Study of Second Language Acquisition, Oxford University
Press,1994, p. 58.
“The main goal of Second Language Research is to characterize learners’ underlying
knowledge of the L2, i.e. to describe and explain their competence. However, learners’ mental
knowledge is not open to direct inspection; it can only be inferred by examining samples of
their performance.” Ellis, Rod, op. cit. p.13.
18
competence error: “It is competence errors that are considered central to the study of L2
acquisition.” Ellis, Rod, op. cit. p. 58.
15
differenza nella loro presenza nella lingua scritta e in quella parlata.
Continuando sulla linea da cui è scaturita ricerca, vorrei vedere che
corrispondenza ci sia fra questa divisione di errori e l’interferenza a cui sono
dovuti.
La ricerca sul francese in India ha mostrato che, a livelli avanzati, gli
studenti superano errori a livello sintattico ma hanno molti problemi di
comprensione di testi. Succederebbe lo stesso agli studenti d’italiano?
Cosa comporta la flessibilità psicologica che ha lo studente indiano
verso la coesistenza e l’uso contemporaneo di più lingue? Come impostare lo
studio per avere finalmente la risposta alla domanda dalla quale si era partiti?
Si dovrà scendere a livello di idioletti e di fattori psico-socio-linguistici per
questo? Non esiste una dinamica di gruppo che possa spiegare i fenomeni di
questi corpora?
A conclusione del lavoro ci sono gli allegati:
ξ Il questionario preliminare in inglese che è stato distribuito a studenti
dell’Istituto Italiano di Cultura, della Delhi University e della Jawaharlal Nehru
University. È da questi che ho potuto farmi cosa comporta un’idea del profilo
dello studente d’italiano a Delhi.
ξ Una relazione sull’insegnamento dell’italiano in India: uno sguardo a
tutte le università indiane dove l’italiano viene insegnato. Qui sono elencati i
corsi offerti in ognuna delle università, i libri di testo usati, le lingue conosciute
dagli studenti d’italiano e i problemi a cui vanno incontro sia gli insegnanti che
gli studenti.
ξ Il corpus di lingua scritta, costituito di brani scritti da studenti
dell’Istituto Italiano di Cultura. Essendo questo uno studio sincronico quasi
tutti gli studenti scelti appartenevano al terzo livello.
“ Corder distinguished errors of competence from mistakes in performance and argued that
Error Analysis should investigate only errors…..Competence errors can result from transfer,
intralingual or unique processes. They can also be induced through instruction. Error Analysis
studies have produced widely differing results regarding the proportion of errors that are the
result of L1 transfer, but most studies concur that the majority of errors are intralingual.The
precise proportion varies as a product of such factors as the learners’ leve, the type of
language sampled, the language level (for example, lexis v. grammar) and the learners’ ages.
Also, errors can have more than one cause.” Ellis, Rod, op. cit. pp. 68-9.
16
ξ Il corpus di lingua parlata (trascrizione di due cassette di interviste
fatte agli studenti). Non tutti gli studenti che hanno consegnato i brani si sono
presentati per le interviste e quindi non è stato possibile paragonare la lingua
scritta e parlata di ogni singolo studente.
17
CAPITOLO I
LA SITUAZIONE SOCIOLINGUISTICA IN INDIA
1.1 Profilo sociolinguistico dell’India in generale
L’India è un brulichio di persone, di vita e di lingue. Mentre si viaggia dal
nord al sud, dall’est all’ovest si passa impercettibilmente da varietà a varietà,
attraverso un continuum di lingue che va dal sanscrito all’ultimo arrivato,
l’inglese indiano.
Gli studi comprensivi di quest’enorme realtà sono fondamentalmente
tre:
1. l Linguistic Survey of India di Grierson
2. l Census of India
3.’Anthropological Survey of India
Il Linguistic Survey of India di E. Grierson
19
, una monumentale opera
sulla realtà linguistica indiana, pubblicata in 18 volumi dal 1905 al 1927,
rimane tuttora l’unico studio linguistico di questa portata. Ovviamente, il suo
utilizzo per la comprensione della realtà attuale, presenta dei limiti, non solo
perché si riferisce all’inizio del Novecento, ma anche perché presenta delle
imprecisioni nella classificazione delle lingue (inevitabili, se si pensa che si
tratta di un’opera pionieristica, scritta da un solo studioso).
20
Grierson identificò 179 lingue e 544 dialetti e li classificò in gruppi e
sottogruppi; la sua indagine, però, esclude Madras e gli stati di Hyderabad e
Mysore.
L’altra importante fonte per la comprensione della realtà linguistica
indiana sono i dati raccolti per il Censimento. A partire dal 1881, ogni dieci
anni viene effettuato in India un censimento degli abitanti che registra anche il
numero di lingue e il numero di parlanti per ogni lingua.
19
Grierson, Sir George Abraham; Linguistic Survey of India, Calcutta, 1905 –1927.
20
Uno dei pochi studi comparativi sulle lingue indiane, precedenti il Linguistic Survey è A
comparative grammar of the modern Aryan Languages of India: to wit, Hindi, Panjabi, Sindhi,
Gujarati, Marathi, Oriya and Bengali, di John Beames, pubblicato dal 1872 al 1879 (rist. 1966,
Delhi, Munshiram Manoharlal). L’opera di Beames è ancora oggi pregevole e ricca di
interessanti notazioni.
18
È solo nel 1901, però, che compare il concetto di bilinguismo ma riferito
solo a quella parte di popolazione che, oltre a una lingua indiana parlava
inglese, non, per esempio, a chi parlava hindi e bengalese.
Nel 1931 il censimento registrò la seconda lingua indiana parlata
dall’individuo dopo la madrelingua. Nel 1961 si passò a registrare anche la
seconda lingua, indiana o straniera, parlata oltre alla madrelingua. Solo quelle
lingue che risultavano avere più di 10.000 parlanti erano registrate.
I dati degli ultimi decenni mostrano un aumento nel bilinguismo dal 9,7
% nel 1961 al 13,34 % nel 1981.
Il numero di parlanti di hindi che non sono parlanti nativi della lingua ma
la conoscono come seconda lingua è aumentato da circa 17 milioni nel 1971
a più di 44 milioni nel 1981
21
. Elaborazioni su questi dati si possono trovare
in Language and Scripts di Manoharan e Singh del 1993.
Nel 1993 è uscito il primo volume dei dati raccolti dal progetto People of
India, promosso dall’Anthropological Survey of India e iniziato il 2 ottobre del
1985. La diversità fra questo progetto e il censimento sta nell’attenzione alle
comunità e le lingue.
21
Singh, K.S. e Manoharan, S., Languages and Script, Calcutta, 1993.