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Chiaramente, questa è una situazione insostenibile nel lungo termine e ciò
impone un ripensamento, una modifica dei nostri stili di vita e modelli di
sviluppo sociale ed economico.
Il presente lavoro si pone l’obiettivo di affrontare queste due tematiche,
sottolineando poi il gap esistente tra la teoria e la pratica, tra ciò che
dovrebbe essere e quella che è invece la situazione reale, e tentando infine
di offrire una risposta concreta ad uno dei problemi evidenziatisi durante il
processo di analisi.
Nel primo capitolo, viene approfondito il rapporto tra l’Industria e
l’Ambiente.
Le imprese, nello svolgimento della propria attività, pongono in essere
un’interazione continua con il territorio (inteso, in senso lato, sia come
ambiente fisico, sia come comunità, composta da cittadini e autorità
pubbliche).
Si verifica infatti con esso uno scambio incessante di beni ed informazioni
e l’azienda si trova nella condizione di avere sì la possibilità di sfruttare le
risorse materiali ed immateriali disponibili, ma anche di dover sottostare a
vincoli legislativi e sociali.
Negli ultimi anni, si è avuto un aumento della sensibilità ambientale del
mondo economico, fatto questo prodotto principalmente da due ordini di
motivi:
- uno di carattere legislativo, dovuto alla normativa in materia sempre più
pressante;
- uno di tipo sociale, legato al crescente interesse da parte della
collettività verso questo tema.
Esistono diversi modelli di gestione ambientale, i quali spesso possono
essere considerati non antitetici tra loro, ma come tappe successive di un
preciso cammino.
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Il primo di essi è quello passivo, che indica un’impresa che realizza
interventi ambientali ex post, a valle del processo produttivo, sempre dietro
la spinta di una normativa avvertita come “ostile”.
La seconda fase, di transizione, è quella adattiva, nella quale l’impresa, pur
continuando a privilegiare la normale gestione, comincia a rendersi conto
della necessità di comprendere l’ambiente tra le variabili capaci di garantire
vantaggi nei confronti della concorrenza, anche in relazione alla nascita di
un nuovo segmento di consumatori, gli ecocostumers.
Ed infatti nel modello chiamato proattivo, questa prospettiva viene
ampliata fino a farle permeare l’intera struttura organizzativa, attraverso la
creazione di una funzione ad hoc, detta E.H.&S. (Environment, Health and
Safety).
La direzione è consapevole dei vantaggi competitivi e di costo derivanti da
una corretta gestione ambientale e per questo motivo aumenta la quota di
investimenti stanziati a tale scopo. Gli interventi ambientali sono ex ante e,
soprattutto, vengono realizzati a monte del processo produttivo, spesso già
nella fase della progettazione.
Cardine di tutto il procedimento è la definizione di un determinato
Programma ambientale, che si concretizza attraverso l’implementazione di
tutte le fasi di cui si compone un Sistema di Gestione Ambientale.
Parleremo poi degli altri strumenti a disposizione, tra cui il Regolamento
E.M.A.S.-Ecolabel, le norme ISO 14001, il bilancio ambientale, la
progettazione “dalla culla alla tomba” (L.C.A.) e le tecnologie pulite, il
benchmarking e così via.
Il secondo capitolo affronta l’argomento da un’ottica “macro”,
considerando non solo il mondo economico, ma la società in generale.
Sono stati analizzati i tentativi compiuti, a partire dall’ambito
internazionale fino ad arrivare a quello locale, per coinvolgere i vari attori
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(l’intera popolazione mondiale, comprendente amministrazioni pubbliche,
semplici cittadini e soprattutto imprese) nell’adozione di principii volti al
conseguimento di uno sviluppo sostenibile.
Con quest’ultimo termine si indica uno sviluppo che riesce a soddisfare i
bisogni delle generazioni presenti senza compromettere le capacità delle
generazioni future di soddisfare i propri.
Tale concetto è alla base dei numerosi convegni organizzati nel corso degli
anni da associazioni ambientaliste, organizzazioni non governative e così
via, il più importante dei quali, la Conferenza Mondiale sull’Ambiente e lo
Sviluppo, tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, è riuscito a dare origine a
quattro documenti (tra cui Agenda XXI) capaci di fissare in modo concreto
le tappe di un cammino in questa direzione.
Infatti, i vari progetti, proposte e piani di lavoro sono stati presi in attenta
considerazione dalle autorità dei vari paesi.
Agenda XXI si propone come un programma d’azione che costituisce una
sorta di manuale per lo sviluppo sostenibile del nostro pianeta, da qui al 21°
secolo, e le indicazioni e i temi presenti in esso riguardano sia la parte
ambientale che quella politico-economico-finanziaria.
All’interno del documento è possibile identificare dei concetti-base, quali
la cooperazione, l’eguaglianza dei diritti, la capacity building e le
informazioni relative alle tematiche ambientali.
Il futuro dell’umanità dovrà essere indirizzato verso la sostenibilità tramite
il rilievo posto su vari temi, tra cui logicamente lo sviluppo economico, ma
anche le problematiche dell’energia, dell’aria e dell’acqua, dei trasporti e la
pianificazione e gestione del territorio.
Ma la concezione innovativa di Agenda XXI consiste nell’affermazione
che per riuscire ad ottenere risultati a livello globale è fondamentale agire
partendo da una prospettiva locale (approccio bottom-up).
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A questo scopo, le amministrazioni locali vengono aiutate
nell’implementazione di strategie verso la sostenibilità dallo strumento
Agenda XXI Locale e da appositi networks quali ICLEI.
Gli elementi principali di Agenda XXI Locale sono il processo (l’aver
quindi creato interesse attorno a questo tema), l’approccio orizzontale, la
partecipazione, la prospettiva locale e di lungo termine e la ricerca di
soluzioni innovative.
Tale schema è diviso in due fasi successive: la prima è di tipo tecnico e
richiede azioni all’interno dell’Ente locale, la seconda invece, ben più
difficoltosa, è vitale per riuscire a stabilire un dialogo con la comunità
locale.
Nel corso del secondo capitolo, vengono studiate la situazione estera e
quella italiana, anche attraverso diversi esempi di “best practices”, le quali
mostrano come, nel nostro paese, si sia ancora fermi ad una fase
propositiva nell’adozione dell’Agenda (escludendo le realtà più
all’avanguardia come Modena e Celle Ligure che l’hanno utilizzata come
strumento di marketing territoriale).
Nei paesi del Nord Europa, infatti, la sperimentazione di strategie di
sviluppo economico in accordo con i principii del programma ha fatto
raggiungere ottimi risultati, anche dal punto di vista economico-aziendale.
Sorge quindi il dubbio che le nostre amministrazioni non abbiano ancora
ben chiare le reali possibilità offerte da questo strumento.
Esso permetterebbe di attivare la programmazione e la gestione della
pianificazione territoriale, orientando le politiche ambientali e relative alle
attività produttive, offrendo la possibilità di interpretare al meglio la realtà
del territorio e i suoi problemi più rilevanti.
Allo scopo di avere un riscontro pratico con quanto affermato in
precedenza, nel terzo capitolo vengono analizzati diversi casi aziendali.
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Le imprese prese in considerazione sono coinvolti dalle problematiche
ambientali o perché costituiscono l’offerta di servizi ambientali o perché ne
fanno richiesta.
Nel primo caso, esamineremo la cosiddetta Industria Verde, che riunisce un
gran numero di tipologie di servizi legati all’ambiente (quali analisi
chimico-fisiche, bonifica, consulenza, formazione, raccolta e smaltimento
rifiuti e così via).
Nel secondo, si è scelto di approfondire un particolare settore, quello
chimico, che per vari motivi è stato additato, nel corso degli anni, come
uno dei principali colpevoli dell’inquinamento e che attualmente si pone
invece all’avanguardia per quanto riguarda lo svolgimento delle proprie
attività produttive nel rispetto dell’ambiente.
Dall’esame condotto attraverso lo svolgersi di tali colloqui, sono emerse
numerose “crepe” nell’immagine ideale di una società e di un’Industria
finalmente consapevoli dell’importanza assunta dalla tutela ambientale.
Infatti:
• La sensibilità ambientale delle imprese è ancora molto bassa e limitata
alle realtà più grandi.
• In generale, viene privilegiata un’ottica di mero profitto alla volontà di
limitare le conseguenza dell’attività economica sul territorio.
• Gli interventi ambientali posti in essere in minima parte riguardano la
prevenzione. La stragrande maggioranza è costituita da operazioni a
posteriori volte a riparare al danno commesso. Chiaramente, in questo
caso il costo finanziario e ambientale sarà maggiore.
• La spinta a compiere tali interventi proviene non da una autonoma presa
di coscienza dell’importanza di attuare una gestione ecologicamente
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sostenibile, ma dal tentativo di evitare sanzioni e multe imposte da una
normativa ambientale sempre più pressante.
• L’eventualità di dar vita a forme di collaborazione all’interno di un certo
settore comincia solo ora ad essere presa in considerazione dalle
imprese, le quali gradualmente iniziano ad intravedere i vantaggi
connessi alla condivisione delle informazioni e dei knowhow.
• Sono soprattutto le PMI ad incontrare difficoltà nell’intraprendere il
cammino verso una corretta gestione ambientale.
Prendiamo spunto da quest’ultima affermazione, per evidenziare le
disparità esistenti tra PMI e realtà di grandi dimensioni.
La spiegazione più logica di questo fatto è la maggior disponibilità di
risorse economiche da investire che hanno queste ultime e gli stimoli legati
alla concorrenza internazionale con la quale esse devono confrontarsi.
In particolare, il vantaggio che esse hanno nei confronti delle PMI è la
facilità rispetto a queste di appropriarsi di dati e competenze specifici.
Le piccole imprese incontrano grossi ostacoli nell’ottenere informazioni
riguardanti le possibilità di finanziamento, gli strumenti di gestione
ambientale esistenti, le tecnologie pulite disponibili e soprattutto le
esperienze di imprese che hanno avuto problemi simili ai loro e che sono
riuscite a risolverli con successo.
L’impossibilità di ottenere questo genere di notizie può essere
efficacemente ovviata tramite l’applicazione del principio di Agenda XXI
circa la cooperazione.
In pratica, ogni impresa dovrebbe mettere a disposizione delle altre la
propria esperienza e le proprie conoscenze, allo scopo di creare una rete di
supporto per risolvere i problemi ambientali che si vengono a creare.
A questo proposito, il quarto capitolo trae spunto da una “best practice”
estera di Agenda XXI per proporre un’idea di attività economica, la cui
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mission consiste nell’offrire competenze ed interventi pratici in materia
ambientale e, nello stesso tempo, creare un network informativo i cui dati
vengono forniti dalle stesse imprese associate.
Nel tentativo di dare concretezza a tale progetto, sono state approfondite
diverse caratteristiche “tecniche”.
L’innovazione nei servizi offerti sarà quindi il mettere a disposizione dei
clienti, all’interno di una rete informativa, tutti i dati derivanti dalle
esperienze di gestione della società stessa e delle associate e, in aggiunta, il
poter accedere ai dati provenienti da altre fonti, allo scopo di dare un
incentivo al processo di miglioramento continuo e instaurare un effetto
“benchmarking” tra le imprese.
Per quanto riguarda la struttura organizzativa, essa dovrà garantire
flessibilità ed efficienza, permettendo quindi un rapido adattamento ai
cambiamenti richiesti ed un ottimo rapporto costi-ricavi.
Nello svolgimento dell’attività, verranno poi instaurate collaborazioni con
vari enti (agenzie regionali per l’ambiente ed il territorio, parchi scientifici
e tecnologici, università, ecc. ecc.).
Queste ultime saranno coinvolte al duplice scopo di non lasciare
inutilizzate capacità e menti aperte al nuovo e di dare concretezza alla
formazione universitaria.
Si è poi presa in considerazione l’eventualità di rientrare nel settore del no
profit, per sottolineare come il migliore approccio al problema ambientale
non debba scaturire da una prospettiva di guadagno, ma dalla totale
condivisione di un ideale di rispetto dell’ambiente.
Dato che uno dei problemi principali del no profit è la difficoltà di disporre
di risorse finanziarie da investire, sono state analizzate forme di
finanziamento innovative, quali i fondi di investimento e i conti correnti
etici, le affinity cards, i fondi verdi e la Banca Etica.
14
In conclusione, le osservazioni a cui siamo pervenuti sottolineano numerosi
aspetti negativi emersi dal nostro studio.
Il più delle volte, la situazione reale non corrisponde a quell’ideale di
sensibilità ambientale che teoricamente dovrebbe ormai essere condiviso da
tutte le imprese.
Vi sono infatti enormi differenze tra il comportamento delle PMI e quello
delle grandi.
Inoltre, esistono grandi ritardi nell’adozione di strumenti atti ad
implementare a livello di territorio e di singola impresa uno sviluppo
sostenibile, quale Agenda XXI.
Inoltre, essendo il processo nel nostro paese ancora in una fase preliminare
le opportunità derivanti da esso rimangono un po’ “astratte”.
In definitiva, esiste un forte gap tra la situazione teorica e quella pratica,
dato che i buoni propositi non si sono, per lo meno fino a questo momento,
concretizzati in azioni tangibili.
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CAPITOLO I
RAPPORTO IMPRESA - AMBIENTE
1.1 - PREMESSA
L’impresa è un’attività economica organizzata, profondamente integrata
nel contesto in cui opera.
Il suo agire non è passivo, ma è caratterizzato da un’interazione costante:
l’impresa modifica l’ambiente nel quale è inserita ed allo stesso tempo
viene influenzata da esso, attraverso un interscambio continuo di azioni,
informazioni, vincoli ed opportunità.
L’insediamento di un’attività produttiva ha dei riflessi più o meno evidenti
sul territorio circostante; ne modifica l’aspetto fisico, ma anche quello
socio-culturale. L’impresa può avvalersi delle risorse disponibili, ma
contemporaneamente deve rispettare tutta una serie di obblighi ed impegni
derivanti dalle esigenze della collettività e dell’ambiente naturale.
1.1.1 - Interesse verso l’ambiente da parte delle imprese
L’aumento della popolazione mondiale, delle produzioni e dei consumi
(soprattutto nei paesi più industrializzati) e la concentrazione degli uomini
in grandi città hanno portato a crescenti problemi di inquinamento sia a
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livello locale (per singoli fattori ambientali), sia a livello di ecosistema
mondiale, quali la riduzione della fascia di ozono o il surriscaldamento
dovuto all’effetto serra.
L’ambiente rappresenta oggi una delle grandi priorità economiche e sociali,
e la sua tutela richiede un impegno sempre più consistente di uomini, mezzi
e organizzazioni. La difesa dell’ambiente comporta una spesa molto alta,
ma a questo costo esplicito occorre aggiungere quello ben più elevato (e
non solo monetario) dei danni provocati dal degrado ambientale.
Negli ultimi anni, l’aumento vertiginoso dell’interesse da parte della
collettività verso le tematiche ambientali può essere spiegato con ragioni
antropocentriche di tipo egoistico (migliorare la qualità della vita umana) o
altruistico (lasciare in eredità il patrimonio naturale).
Oggi, le imprese non possono esimersi dal porre particolare attenzione alla
salvaguardia dell’ambiente. Ma questo perché?
E’ un interrogativo legittimo, se si osserva che durante l’intero percorso
dell’industrializzazione (da fine ‘800 sino ai primi anni ‘70), il sistema
industriale e lo sviluppo tecnologico, caratterizzati da un’espansione
continua e da una forte crescita dei consumi di materie prime e di energia,
non si sono posti obiettivi ecologici né hanno avuto percezione dei
problemi relativi all’ambiente ed alla sicurezza.
Per quasi un secolo quindi fenomeni come lo scarico di reflui industriali e
di rifiuti nelle acque, il fall-out atmosferico sui terreni, l’uso indiscriminato
di sostanze pericolose e tossiche, si sono accumulati devastando
silenziosamente intere aree terrestri e marine, al di fuori di qualsiasi
controllo, e i gravi danni derivanti da tale processo si sono manifestati solo
17
in questi ultimi anni, con un’estensione e con effetti non ancora del tutto
noti
2
.
In un’ottica “cinica”, potremmo affermare che è nell’interesse dell’intero
sistema industriale preservare la fonte di materie prime e risorse
energetiche, elementi fondamentali per l’attività produttiva.
In realtà, sono due le principali ragioni che hanno spinto le imprese ad
adottare strategie in materia ambientale:
• di carattere legale, dovuti alla necessità di rispettare la sempre più
vincolante normativa, sia nazionale che internazionale, esistente in
materia;
• di carattere sociale, legati alla crescente sensibilità dell’opinione
pubblica verso la difesa del patrimonio naturale.
In Italia, la legislazione ambientale ha affrontato una profonda crisi,
rivelandosi inadeguata per diversi motivi.
Intanto, alla base di essa mancano principi omogenei e coerenti: ciò
dipende dalla mancata elaborazione di una politica ambientale concordata
tra i diversi centri di interesse e in grado di integrarsi in modo trasversale
nelle politiche economiche e sociali.
Inoltre la normativa attuale in materia è troppo complessa, con un numero
eccessivo di leggi, a volte ripetitive, altre volte contrastanti e spesso
frazionate in ulteriori atti legislativi attuativi.
Ancora, la nostra legislazione ambientale è ispirata da una logica
prevalente di urgenza e di emergenza, che porta ad una forte disomogeneità
(alcuni settori sono stati del tutto trascurati, ad esempio l’inquinamento
elettromagnetico) e scarso coordinamento interno: in parte si è sviluppata
per settori ed in parte per linee generali.
2
F. Bernabè, “L’evoluzione del rapporto industria – ambiente”, ENI, Milano 1998, pag. 5.
18
Attualmente si stanno compiendo numerosi sforzi per mettere in atto una
riorganizzazione, allo scopo di dare un nuovo assetto alla legislazione in
materia e nello stesso tempo recepire le direttive europee in merito.
Come già affermato, recentemente si è avuto un crescente interesse da parte
della collettività nei riguardi dell’ambiente e della sua tutela.
Tra i fatti che hanno scosso l’opinione pubblica, c’è stato il verificarsi di
incidenti gravissimi quali esplosioni di impianti chimici e nucleari, che
hanno ucciso, sfigurato e minato per sempre la salute di milioni di persone,
oltre a distruggere e compromettere il territorio circostante; collisioni in
mare tra petroliere, che hanno provocato fuoriuscite di greggio tali da
avvelenare la flora e la fauna di interi tratti costieri; veri e propri atti di
vandalismo ecologico posti in essere da organismi economici, ma anche da
singoli individui, come lo smaltimento irresponsabile di rifiuti altamente
nocivi, capaci di inquinare la falda acquifera sottostante, o emissioni non
regolamentate di sostanze tossiche in atmosfera, responsabili di fenomeni
come le piogge acide e l’assottigliamento dello strato di ozono atmosferico.
Abbiamo cominciato a renderci conto che l’ambiente può essere
compromesso e le sue risorse non sono né inesauribili né capaci di
autorigenerarsi velocemente, quindi il verificarsi di qualsiasi fatto che le
vada a ledere riguarda ognuno di noi in prima persona.
Si sono formati di conseguenza associazioni e movimenti ambientalisti,
alcuni capaci di attirare l’attenzione con plateali gesti dimostrativi,
contribuendo a “smuovere” un po’ le nostre coscienze.
In seguito, è nato un nuovo tipo di consumatore, attento alla difesa della
natura ed esigente in materia di acquisti.
Per lui sono stati ideati tutta una serie di prodotti come alimenti ottenuti
senza l’impiego di diserbanti o fitofarmaci, beni di consumo derivanti dal
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riciclaggio di materiali ormai inutilizzabili, detersivi biologici senza
tensioattivi inquinanti e così via.
La coscienza ambientalista ha iniziato a prendere piede, sono nati partiti
politici, in Italia ed all’estero, aventi come obiettivo dichiarato la
salvaguardia del patrimonio naturale, e si è assistito alla formazione di
numerose organizzazioni internazionali, aventi come mission la protezione
dell’ambiente.
Una delle modalità di azione di quest’ultime è stata quella di organizzare
dei convegni su diversi argomenti, sia per sensibilizzare l’opinione
pubblica su problemi sconosciuti ai “non addetti”, sia per proporre
l’adozione di provvedimenti e risoluzioni.
Ad esempio, la “Conferenza delle Nazioni Unite sullo Stato dell’Ambiente
e lo Sviluppo”, nel 1987, ha coniato, nel Rapporto Bruntland, una prima
definizione di Sviluppo Sostenibile quale quello che “soddisfa le necessità
della generazione presente, senza compromettere la capacità delle
generazioni future di soddisfare le proprie”.
Nel 1991, varie organizzazioni hanno specificato il concetto, intendendo
per Sviluppo Sostenibile “un miglioramento della qualità della vita, senza
eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto dai quali essa
dipende”. A questa, numerose altre definizioni si sono susseguite,
conservando però lo stesso significato.
1.2 - MODELLI DI GESTIONE AMBIENTALE
3
Inizialmente, l’impresa ha fatto fronte a tali pressioni attraverso la
definizione di tre modelli di comportamento ambientale.
3
E. Sassoon – C. Rapisarda Sassoon, “Management dell’ambiente”, Il Sole 24 Ore, Milano 1993, pag. 14
e seguenti.