6
delle banche la scelta è stata di espandersi soprattutto in paesi dell’Europa orientale,
caratterizzati da un forte rischio esogeno. Cosa importante poi è la scelta della struttura
con la quale la banca deciderà di espandersi, fattore fondamentale perché dà l’idea in
quale misura la stessa decide di insediarsi nel paese scelto, quindi se in modo profondo
o leggero. In ultima istanza si è presa in considerazione la strategia di marketing che
principalmente riguarda una decisione di internazionalizzazione: il re-branding.
Nel terzo capitolo è stata analizzata in particolare l’azione di
internazionalizzazione nei paesi dell’Europa centro-orientale prendendo in
considerazione le determinanti che l’hanno caratterizzata soffermandomi nello specifico
su quella che riguarda il cosiddetto “follow the client” o per meglio dire l’azione
bancaria di sostenere l’internazionalizzazione delle imprese clienti. A riguardo si è
voluta integrare l’analisi con l’indagine empirica presentata da Farabullini e Ferri nel
lavoro: “Passaggi a est per le banche italiane e i distretti industriali: collegati o
indipendenti?” che cercava di vedere se l’internazionalizzazione delle banche fossero in
qualche modo legate all’internazionalizzazione delle imprese loro clienti.
Nell’ultimo capitolo verrà presentato il caso Veneto Banca, presso la quale
l’autore ha avuto l’onore di svolgere lo stage. Veneto Banca si è caratterizzata per aver
avuto una certa dinamicità a livello internazionale. Vengono quindi presi in
considerazione due casi e cioè quello di Banca Italo Romena e quello di Gospodarsko
Kreditna Bank che a breve prenderà il nome di Veneto Banka.
7
Cap. I°: L’INTERNAZIONLIZZAZIONE DELLE BANCHE ITALIANE
NELLA STORIA E ALCUNI PUNTI DI RIFLESSIONE.
Nell’ultimo decennio la spinta alla globalizzazione dei mercati, la necessità
degli intermediari finanziari di diversificare l’attività esercitata e i conseguenti introiti
hanno prodotto una forte propensione all’internazionalizzazione delle banche.
E’ cominciata quindi una fase di penetrazione nei sistemi finanziari dei paesi
in via di sviluppo o per meglio definirli emergenti. Il caso specifico dell’Europa
riguarda tutti i paesi dell’est, ex comunisti, che dopo il crollo del regime comunista
hanno visto l’instaurarsi del libero mercato, necessario per il loro progresso economico.
Appare comunque necessario citare anche le chiare possibilità di apertura di
mercati più distanti come quello cinese e quello indiano, che i più grandi player
dell’Europa e del mondo non possono ignorare.
8
Per poter parlare di internazionalizzazione di Istituti di credito sembra
necessario dover prima aprire un capitolo in tema di internazionalizzazione produttiva,
consci comunque del fatto che paragonare il fenomeno di internazionalizzazione di una
banca con il fenomeno dell’internazionalizzazione di un’impresa produttiva sia riduttivo
dato che la prima presenta grosse differenze con la seconda. Il fenomeno di
internazionalizzazione delle banche presenta infatti dei fattori di criticità che lo rendono
diverso dal fenomeno di internazionalizzazione che una multinational corporation può
attuare.
I servizi finanziari, infatti, contrariamente alle merci sono caratterizzati da
una sostanziale immaterialità. La fruizione del servizio comporta una interazione
personale con la clientela finale. L’immaterialità del servizio, la mancanza appunto di
un elemento fisico, sebbene comporti un vantaggio dato che non sussistono più
problemi di immagazzinamento o spedizione, porta problemi sostanziali nell’analisi del
processo di erogazione del servizio stesso.
Sta di fatto però che analizzando l’evoluzione di un’impresa di produzione
che decide di espandersi all’estero forse ci può aiutare a cogliere degli aspetti
interessanti per addentrarci nel tema di internazionalizzazione bancaria.
Sebbene le iniziative di internazionalizzazione siano percepite talora come
negative per l’economia nazionale di un paese, tramite investimenti esteri le imprese
decidono comunque di allargarsi oltre i confini nazionali perché vedono in questa
strategia maggiori possibilità di aumentare la loro competitività grazie al efficienza
nell’utilizzo delle risorse e alla maggiore prossimità con i mercati finali.
Dati alla mano si riscontra che le imprese italiane che investono all’estero
hanno un tasso di crescita annuo del fatturato del 5%. Ciò non vuol dire che per questo
l’occupazione in Italia sia in decrescita, anzi si mantiene in linea con quella che è la
media (Rapporto ICE 2003/2004). La delocalizzazione è quindi uno strumento per
mantenere le imprese competitive per spingerle a trasferire le competenze presenti in
Italia verso paesi dove il livello del valore aggiunto è più alto
1
.
1
“Internazionalizzazione attiva e attrattività dell’Italia per gli investimenti diretti” tratto
dal sito: www.ice.gov.it/editoria/bollettino/ studi.
9
La crescita multinazionale però implica ampie disponibilità finanziarie,
strutture organizzative articolate e competenze manageriali complesse e queste
caratteristiche non sempre sono presenti nelle imprese italiane caratterizzate per la loro
piccola o media dimensione.
Gli ultimi dati UNCTAD sullo stock di investimenti diretti esteri
documentano che nel 1995 la loro consistenza in percentuali del PIL erano dell’8%
mentre nel 2003 il valore era quasi raddoppiato. L’internazionalizzazione nell’economia
italiana, però, era ancora contenuta se confrontata con quella degli altri paesi europei
tipo Francia passata dal 13,2% al 36,5% e Germania dal 10,5% al 25,8%. I differenziali
della dimensione media delle imprese hanno giocato certamente un ruolo fondamentale
nello spiegare il gap esistente tra Italia e gli altri paesi europei, ma nonostante ciò è bene
ricordare come altri paesi europei dall’economia molto simile a quella italiana come
Spagna e Portogallo hanno visto in questo ultimo decennio espandersi a livello
internazionale in misura maggiore. Ad ogni modo la partecipazione all’estero di
imprese italiane nel 2005 era di 15.058, le imprese investitrici 5.415, tra gruppi e
imprese autonome. I dipendenti all’estero erano di circa 1.110.000, mentre il fatturato
realizzato dalle affiliate estere nel 2003 è stato di 265.625 milioni di euro
2
.
Un grosso supporto nel loro processo di internazionalizzazione produttiva le
imprese lo hanno avuto con l’allargamento all’estero anche delle banche che in qualche
modo andavano a sostenere l’attività in termini finanziari dell’impresa italiane.
Il processo di espansione all’estero delle banche italiane ha conosciuto
diverse fasi. Le caratteristiche dei Paesi di destinazione, le modalità di espansione, la
tipologia delle attività svolte all’estero, obiettivi e risultati effettivamente raggiunti
hanno contribuito a rendere ciascuna fase specifica.
La presenza di banche italiane all’estero ha avuto come origine le varie
iniziative coloniali che il nostro paese ha intrapreso; in secondo luogo le nostre banche
si sono concentrate in quei paesi segnati dall’immigrazione di massa dei nostri cittadini
come America Latina e Nord America. In tal caso l’apertura di filiali di banche italiane
2
“Internazionalizzazione attiva e attrattività Dell’Italia Per Gli Investimenti Diretti”
tratto dal sito: www.ice.gov.it/editoria/bollettino/ studi; op. cit..
10
rispondeva all’esigenza di soddisfare i bisogni di finanziamento delle iniziative
economiche avviate in quei Paesi dai connazionali, di intermediare il loro risparmio e
canalizzare le rimesse degli emigranti; proprio per questa attività le banche italiane
beneficiavano di un indiscusso vantaggio competitivo, rispetto alle banche locali, che
derivava loro dalla più approfondita conoscenza della clientela e da affinità della
matrice culturale. Negli anni Sessanta/Settanta le nostre banche hanno aperto filiali nei
grandi centri finanziari internazionali di Londra e New York che hanno permesso di
acquistare expertise nei mercati di capitali ma soprattutto di poter operare in un mercato
più grande. Complessivamente l’incidenza dell’attività svolta all’estero dalle banche
italiane era piuttosto contenuta e così pure la loro rilevanza nel panorama
internazionale. Questo a conferma della poca rilevanza che la nostra economia in
passato ha avuto e della debolezza della nostra moneta sempre penalizzata da continui
episodi di svalutazione
3
.
Agli inizi degli anni Ottanta la presenza delle banche italiane all’estero era
dunque piuttosto limitata. Il numero totale di filiali estere era pari a 44 e le banche
controllate erano 11. Inoltre il processo d’internazionalizzazione era di pertinenza di un
numero assai ristretto di banche di grandi dimensioni.
A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta il processo di espansione bancaria
all’estero riceve un rinnovato slancio. I principali fattori propulsivi sono stati i
seguenti
4
:
- l’emanazione delle direttive CEE e la conseguente graduale
rimozione dei vincoli regolamentari per la costituzione di unità
operative estere;
- l’aumento dell’importanza del mercato dei capitali all’interno del
sistema finanziario, che ha indotto un ampliamento della sfera
operativa delle banche; di qui anche la volontà di operare
maggiormente nei principali centri finanziari, in particolare mediante
insediamenti a Londra, piazza nella quale era possibile apprendere e
3
Cesarini F., “Prospettive in tema di espansione all’estero delle banche italiane”
Notiziario di Economia e Finanza, n° 86 pagg. 22.
4
Cesarini F., op. cit., pagg. 22-23.
11
testare le diverse innovazioni negli strumenti di debito e di capitale e
nelle tipologie di intermediari;
- la crescente internazionalizzazione del sistema economico italiano e
la necessità di fornire un supporto finanziario alle imprese
maggiormente impegnate nell’interscambio con l’estero o che
realizzavano in altri Paesi una delocalizzazione dell’attività
produttiva;
- la maggiore rilevanza degli strumenti finanziari diversi dai depositi
bancari nel portafoglio delle famiglie e il conseguente interesse per i
centri tradizionalmente specializzati nella gestione del risparmio
(Lussemburgo e Svizzera).
In numero di filiali di banche italiane aumentava esponenzialmente. Si
cercava di costruire una rete di filiali in tutto il comparto europeo in modo tale che si
potesse coprire l’orario di apertura del mercato mondiale dei cambi nell’avvicendarsi
dei fusi orari.
Questa espansione però non ha avuto le conseguenze che si erano
precedentemente sperate. Le nostre banche infatti sul loro cammino hanno trovato una
serie di ostacoli come appunto la debolezza della nostra moneta, le loro ridotte
dimensioni che non permetteva loro di essere concorrenziali in centri finanziari, nei
quali si insediavano, fortemente concorrenziali trovandosi quindi in una situazione di
inferiorità. Tutti questi ostacoli hanno condotto quindi a chiusure di filiali, a cessazione
di filiazioni e al ridimensionamento delle attività che venivano svolte.
Verso la fine degli anni Novanta sono intervenuti diversi fattori di
cambiamento che hanno avuto un significativo impatto sulle politiche di espansione
all’estero mutandone, almeno in alcuni casi, la dimensione e la finalità.
Tra essi possiamo ricordare
5
:
- la privatizzazione e il conseguente processo di concentrazione del
sistema bancario che hanno consentito alle banche italiane di
5
Op. cit. pagg. 23-24.
12
raggiungere dimensioni meno inadatte a competere sui mercati
internazionali;
- una maggiore focalizzazione su obiettivi di redditività e di creazione
di valore. In questa ottica l’espansione all’estero è vista non tanto
come necessità di presidiare a qualunque costo taluni mercati
particolari, ma come un’opportunità per sfruttare vantaggi
competitivi offerti dal mercato estero o le specificità operative e
l’esperienza di cui il gruppo bancario si ritiene portatore;
- la costituzione dell’UME e la crescente integrazione dei mercati
europei, che da un lato hanno fatto venir meno i rischi di cambio
connessi con l’attività internazionale e dall’altro hanno posto in ancor
maggiore evidenza la necessità di sostenere finanziariamente la
parallela espansione all’estero delle imprese italiane e di assecondare
la tendenza degli investitori italiani a diversificare il proprio
portafoglio con attività sull’estero divenute meno rischiose sotto il
profilo dell’andamento del cambio;
- il progresso tecnologico e nelle telecomunicazioni, che ha accorciato
le distanze tra casa madre e unità operativa estera, riducendo i costi
del coordinamento e del controllo (di cui peraltro viene aumentata
l’efficacia).
Si è così assistito a un rinnovato interesse per la rete estera a cui è seguito un
graduale ampliamento. In particolare, a fronte della tendenziale stabilità nel numero di
filiali, si è osservato un sensibile incremento nelle partecipazioni in banche locali e in
organismi finanziari ubicati soprattutto nei paesi dell’Est Europa, in Irlanda e nel Nord
America.
Negli ultimi anni la banca sembra presentare sempre più le caratteristiche di
una multinazionale che opera trasversalmente in più mercati. Molto spesso si assiste
però all’uso indifferenziato di termini come “multinational bank”, “international
13
bank”, “foreign banking” e “offshore banking”. E’ però importante saper distinguere le
diverse realtà.
6
Robinson (1972) nel voler definire il fenomeno di Multinational banking ha
cercato di dare una definizione puntuale dei termini internazionale e multinazionale. In
particolare egli osserva come il primo identifichi una relazione di scambio tra due o più
paesi mentre il secondo può essere preferibilmente associato ad un’appartenenza a due o
più sistemi economici. In questa luce la possibilità di qualificare come multinational
banking processi di internazionalizzazione creditizia è condizionata dalla sussistenza di
una affinità culturale e di una reale integrazione nel tessuto sociale di destinazione. La
banca multinazionale si trasforma in una sorta di melting pot in cui si fondono tradizioni
di origine differente, in cui ogni conoscenza arricchisce la conoscenza della istituzione
nel suo complesso e riverbera i suoi effetti benefici in ogni paese dove essa risulta
essere impegnata commercialmente.
7
Una distinzione nella definizione tra banca multinazionale e banca
internazionale l’abbiamo anche quando andiamo a definire la natura dei soggetti che
avviano un processo di internazionalizzazione della propria attività.
Non è sempre detto che la banca di più grandi dimensioni abbia
maggiormente le carte in regola o comunque si senta maggiormente più sicura a
procedere con l’internazionalizzazione solo per le sue grandi dimensioni. Non a caso in
Italia le banche che hanno deciso di allargare i propri confini erano di medie dimensioni
(vedi Veneto Banca). Molto spesso infatti le ragioni per cui banche di medie dimensioni
decidono di espandersi anche all’estero è perché voglio seguire il loro cliente che ha
deciso di espandersi.
Alla luce di questi fatti si può evincere che il settore creditizio procede a
internazionalizzare il proprio business secondo due modelli tra di loro distinti
8
:
6
Oriani M., “Banche italiane e internazionalizzazione. Strategie e casi di successo”
2006, Banca Editrice, Milano, pagg. 20-30.
7
Questa accezione del fenomeno di multinational banking appare dunque coerente con
le teorie finanziarie che sottolineano l’esistenza di costi informativi che tendono a
privilegiare l’ingresso di istituzioni creditizie estere all’interno di sistemi economici in
cui siano presenti elementi di affinità socio culturali. Al tempo stesso si sottolinea come
l’apertura di succursali all’estero non identifica una società multinazionale.
8
Oriani, “Banche italiane e internazionalizzazione. Strategie e casi di successo”. Banca
Editrice, 2006.
14
- Multinational banks: interessate a espandere la propria sfera di
influenza su paesi terzi al fine di incrementare la capacità di
intelligence e migliorare il proprio posizionamento competitivo;
- Banche Internazionali: che in virtù delle loro minori dimensioni
partecipano alla globalizzazione finanziaria come risposta alla mosse
della loro clientela corporate.
Il termine “foreign banking” molto spesso viene utilizzato come sinonimo di
multinational banking. La succedaneità però non è ragionevole. La differenza sta sulla
maggiore o minore attitudine a perseguire strategie di diversificazione geografica dei
mercati di sbocco.
Multinational bank, infatti, si riferisce a una banca che ha la capacità di
operare contemporaneamente su più fronti esteri avendo quindi una più grande affinità
con le grande corporation. L’ultimo termine che prendo in esame è quello di offshore
banking che viene usato per descrive transazioni tra operatori privati e istituzionali che
avvengono nell’ambito di strutture regolamentari particolarmente flessibili e
solitamente prevedono ampie esenzioni da vincoli su scambi di capitali
9
.
Come si evince dall’analisi sopra descritta, la terminologia associata ai
fenomeni di internazionalizzazione di un Istituto di credito è particolarmente variegata e
la sua sostituzione non è così facile da poter fare.
Quello che mi sento di dire nel voler definire le caratteristiche di una banca di
medie dimensioni italiana è che siamo in presenza per la maggior parte delle cosiddette
banche internazionali che hanno deciso di espandersi all’estero per poter seguire i propri
clienti, dandogli un sopporto nella loro strategia di internazionalizzazione.
Le nostre banche infatti hanno sostanzialmente puntato a espandersi su paesi
come Romania, Ungheria, Moldavia che presentano delle situazioni economiche
9
Una banca non può considerarsi una multinazionale se si espande su più paesi con le
stesse condizioni economiche. Per godere di questa accezione deve perciò saper operare
su più paesi dalle realtà economiche differenti.
15
alquanto similari. Proprio per questo le nostre banche che si trovano in questi paesi non
possono godere di quella caratteristica delle cosiddette multinazionali e cioè il saper
operare trasversalmente su mercati dalle condizioni economiche dinamiche e differenti.
Non possono quindi essere categorizzate come multinational banks ma come
banche internazionali.