negli ultimi dieci anni, è diventata il principale paese di transito dell'immigrazio-
ne illegale dall'Africa sub-sahariana verso l'Europa.
La premessa di questo schema, volutamente semplificato, mi aiuta a spiegare
quali intenzioni si celino dietro la stesura della presente tesi. Un primo interesse è
sicuramente di natura conoscitiva e scientifica: superare la visione parziale e con-
tingente con cui l'informazione di massa racconta di fenomeni, luoghi e persone.
Se la voglia di conoscenza si fermasse a tale livello avremmo una visione distorta
della realtà che, come dimostrano i recenti fatti di Rosarno1, potrebbe generare
fenomeni pericolosi come razzismo, paura del diverso, chiusura sociale.
L'esigenza di spingere lo sguardo oltre il Canale di Sicilia mi ha spinto a spo-
stare l'asse di interesse da un'analisi del fenomeno migratorio contemporaneo e
delle relative politiche europee a un approfondimento storico incentrato su uno
stato chiave nello spazio geo-politico mediterraneo. La gestione della questione
migratoria da parte della Libia, infatti, si inserisce nel quadro più ampio dei rap-
porti di politica estera che, dall'indipendenza alla rivoluzione di Gheddafi, hanno
subito non poche evoluzioni. Desideroso di comprendere alcuni passaggi chiave,
ho scelto di approfondire la storia di questo paese. Le questioni, dunque, di più
immediata attualità, come i flussi migratori, saranno affrontate alla luce del per-
corso ideologico e delle esigenze pragmatiche manifestate dal leader libico. In
questo percorso, la ricostruzione storica si intersecherà con le categorie e i temi
della scienza politica internazionale.
Come viene esposto nel primo capitolo, la Libia in quanto tale ha una storia
molto recente. Dopo decenni di dominazione straniera, prima ottomana e poi ita-
liana, alle quali si fa un sintetico accenno per analizzare quale sia stato dall'inizio
il rapporto antitetico e conflittuale tra quei popoli – il plurale vuole sottolineare la
differente identità tra i popoli delle varie provincie – e lo stato, quale forma di
governo, il Regno Unito di Libia nasce nel 1951 grazie al compromesso trovato
tra le vecchie potenze coloniali e la nuova superpotenza americana. Allora non
1 Spari sugli immigrati e scoppia la guerriglia: Rosarno a ferro e fuoco, «la Repubblica», 8 gennaio
2010.
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sembrava un territorio interessante da amministrare in modo diretto poiché appa-
riva scarso di risorse e difficile da controllare. Inoltre la creazione di una Libia
indipendente conveniva alle potenze atlantiste perché avrebbe permesso l'instal-
lazione di basi militari utili al controllo del Mediterraneo – cosa che non sarebbe
stata possibile se quel paese fosse stato sottoposto a regime di mandato sulla base
della Convenzione dell'Aja. Inoltre l'unificazione politica delle tre provincie, Ci-
renaica, Tripolitania e Fezzan, fu il frutto di un compromesso tra le rispettive éli-
tes tribali, conseguito dopo secoli di storia vissuti separatamente. Questo dimo-
stra come la creazione dello stato-nazione in Africa sia avvenuta sostanzialmente
calata dall'alto. E ciò emerse nel compromesso trovato nella prima costituzione
formale dell'apparato di governo della Libia, basato su un federalismo forte che
lasciava ampi poteri decisionali ai governi provinciali, affinché fosse mantenuta
una bilanciata autonomia periferica dal governo centrale.
Il regno monarchico di re Idris tuttavia mostrò, sin dalla sua nascita, una de-
bolezza e un sostanziale disinteresse al governo di quel paese. Ancora non esiste-
va un sentimento di unità nazionale che prevalesse sui particolarismi locali e tri-
bali e il monarca stesso sembrava non concepire il suo regno come un tutt'uno.
Ad un certo punto, nella prima metà degli anni Cinquanta, la scoperta di vasti
giacimenti di petrolio e la convinzione di molte compagnie occidentali che era
possibile sfruttare quella risorsa così pregiata determinarono un mutamento epo-
cale per quel paese. Da paese poverissimo con indici economici sconsolanti an-
che per gli osservatori internazionali, la Libia fu improvvisamente scossa da una
prima rivoluzione storica, certamente diversa da quella di Gheddafi del 1969, ma
forse molto più importante per quel paese: la vera rivoluzione era proprio la sco-
perta del petrolio. Quella risorsa avrebbe sconvolto le più pessimistiche previsio-
ni per il futuro, perché avrebbe portato la Libia tra i paesi che contano nella co-
munità internazionale. Ne conseguirono mutamenti politici e sociali di grande
portata – se si considerano le condizioni sociali di partenza in cui molti libici era-
no stati lasciati dagli italiani.
Più tardi però, il nazionalismo arabo, soprattutto nella versione panarabista di
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Gamal Abd el-Nasser, avrebbe incitato i giovani libici – più istruiti e informati
dei padri sulle possibilità derivanti dallo sfruttamento dell'oro nero – a sovvertire
la condizione di sudditanza all'Occidente in cui re Idris aveva condotto la Libia.
Già nel 1967, durante la guerra arabo-israeliana dei Sei Giorni, molti libici si era-
no mossi svolgendo dure manifestazioni contro la base americana di Wheelus
Field e quella inglese di el-Adem. Tra i giovani ribelli iniziava ad emergere una
figura egocentrica, con una vocazione innata al leaderismo, che – ancora col ruo-
lo di capitano nel poco battagliero esercito libico – aveva già in mente la rivolu-
zione del mondo arabo nel nome e per conto di Nasser.
Due anni più tardi il progetto dell'ancora ventisettenne Muammar Gheddafi
avrebbe preso vita. Il primo settembre del 1969, Gheddafi e i suoi fedeli compa-
gni avrebbero preso il potere in Libia. Dopo un avvio poco cruento di un proces-
so di trasformazione dello stato libico, ebbe inizio la vera fase rivoluzionaria. Col
discorso di Zuara del 1973 l'ideologia politica del leader degli Ufficiali Liberi
iniziò a definirsi meglio. L'autoproclamatosi colonnello Gheddafi soprannominò
il suo pensiero la “terza teoria universale”, equidistante tanto dal capitalismo
“imperialista” occidentale che dal socialismo “ateo” sovietico. La sua formazione
e la sua cultura derivavano da una conoscenza molto profonda del Corano, dagli
scritti di Nasser, suo principale ispiratore, ma anche da Jean Jacque Rousseau. Le
sue originali teorie divennero presto note con la pubblicazione, pochi anni più
tardi, del Libro Verde. L'applicazione dei dettami di questo testo avrebbe creato
una nuova forma di organizzazione politica, la Jamahiriyya.
Ma Gheddafi, per indole, non poteva accontentarsi di una rivoluzione nazio-
nale. Il suo sogno, dopo essere diventato l'unico erede di Nasser, era la realizza-
zione dell'unità araba e per far ciò era disposto a sacrificare tutto se stesso e la
sua stessa patria. Tuttavia egli non aveva uno stato forte con cui fare guerre per
realizzare il suo progetto; più rapida e veloce risultava la pratica terroristica: fu
così che la Jamahiriyya iniziò a sostenere diversi movimenti terroristici islamici
e non, portando avanti una guerra nascosta e silenziosa contro l'Occidente e i
paesi arabi traditori della causa panarabista. La ricerca dell'unità araba sarebbe
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passata anche attraverso sette diversi tentativi di unificazione con altri paesi, por-
tati avanti tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, tutti destinati inesorabilmente al
fallimento.
Oltre al panarabismo, antimperialismo e antisionismo sono stati per molto
tempo i punti fondamentali della politica estera di Gheddafi. A questi va aggiunto
l'odio contro gli ex dominatori italiani, tradottosi spesso in un atteggiamento ol-
tranzista sulla richiesta di risarcimenti per i danni subiti dal suo popolo. Odio che
tuttavia non ha ostacolato intensi rapporti economici tra i due paesi, divenuti pre-
sto importanti partners commerciali.
Poi c'è il petrolio. Il regime libico fu il primo in seno all'OPEC a determinare
una svolta nel rapporto tra paesi produttori di petrolio e compagnie occidentali
acquirenti, emanando politiche petrolifere che favorivano a suo maggior vantag-
gio i guadagni derivanti dall'estrazione dell'oro nero. Sicuramente fu questo uno
dei motivi principali per cui il rapporto con gli Stati Uniti si incrinò in modo irre-
versibile per lunghi anni. La tensione politica con gli americani ebbe il suo cul-
mine nel bombardamento di Tripoli e Bengasi del 1986, anno che segnò una svol-
ta per il regime libico, a cui seguì più di un decennio di isolamento internazionale
incentivato dalle sanzioni americane e multilaterali dell'ONU.
Il terzo capitolo ripercorre dunque una parabola discendente della storia di
questo paese – dall'isolamento alla riammissione in seno alla comunità interna-
zionale – periodo in cui Gheddafi attuò un sincero mutamento in politica estera,
passando da un precedente periodo di avventurismo ad una seguente fase di reali-
smo politico, in cui capì che per contare nella comunità internazionale non basta-
vano volontà politica e petrodollari, ma servivano piuttosto la ricerca di compro-
messi e la costruzione di rapporti politici duraturi con altri paesi.
La parte ascendente della parabola iniziò quando il muro di isolamento eretto
dall'intera comunità internazionale cominciò ad incrinarsi. Tra gli interlocutori
disposti a spezzare l'isolamento Gheddafi trovò l'appoggio di Italia e Germania in
Europa – interessate al pregiato petrolio libico – e di molti paesi dell'Africa nera.
Per il leader libico si aprì, così, una nuova avventura, quella panafricana. Dalla
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seconda metà degli anni Novanta trovò nuove solidarietà tra i leaders africani,
più sincere di quelle mostrategli dal mondo arabo. La creazione dell'unità africa-
na divenne presto la vera sfida su cui incentrare i principali obiettivi di politica
estera, dedicando tempo e denaro nella creazione di diverse organizzazioni regio-
nali panafricane. Nel frattempo, in Occidente, l'Italia si intestò un ruolo esplorati-
vo della politica estera libica, teso a sincerarsi che il cambiamento verso del co-
lonnello la moderazione fosse veritiero. Mentre Stati Uniti e Gran Bretagna sta-
vano a guardare – con i primi bloccati dalle pressioni politiche delle famiglie del-
le vittime di Lockerbie – l'Italia si fece promotrice della riammissione della Libia
nella comunità internazionale. Seguendo il percorso iniziato nel 1991 da An-
dreotti, i governi della seconda repubblica cercarono di raggiungere la “pacifica-
zione”2 con l'ex colonia italiana. Dopo anni di colloqui e rapporti diplomatici si
giunse finalmente alla visita del presidente del Consiglio Massimo D'Alema nel
1998, con la quale il muro d'isolamento, eretto dall'Occidente contro la Jamahi-
riyya, iniziò a cadere pezzo per pezzo.
Più tardi, le dichiarazioni rese da Gheddafi a sostegno degli Stati Uniti in oc-
casione degli eventi dell'11 settembre 2001 e la decisione del 2003 di smantellare
il presunto arsenale libico di armi di distruzione di massa avrebbero concorso ad
una piena riconciliazione con gli americani che era la base su cui costruire un
nuovo capitolo per la Libia e per tutte le compagnie petrolifere che avevano un
urgente bisogno di tornare a fare affari in quel paese.
In quest'ultimo decennio, ad un mutamento della politica internazionale si è
affiancato un mutamento interno, consistente in una sostanziale apertura al libero
mercato – anche se il regime chiama la privatizzazione di molte aziende di stato
“estensione della proprietà popolare” – che ancora oggi attende una conseguente
liberalizzazione politica, di cui è difficile al momento prevederne l'esito.
Inoltre, la Libia è diventata un canale importante dell'immigrazione illegale
2 "Pacificazione" era l'eufemismo usato in epoca coloniale per indicare la lotta contro la resistenza locale
per il controllo del territorio. Prendendo a prestito il termine, possiamo definire il recente accordo tra i
due paesi una sorta di pacificazione, enfatizzando il carattere congiunturale – e non storico in senso
lato – dell'accordo, visto che, ancora oggi in Italia, manca una consapevolezza storica diffusa dei disa-
stri provocati dal nostro paese nel suo passato coloniale.
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dall'Africa verso l'Europa e ciò ha avuto conseguenze importanti sia all'interno
del territorio libico, sia nei rapporti con il dirimpettaio europeo, appunto l'Italia.
Negli ultimi due paragrafi del terzo capitolo analizzo sostanzialmente il ruolo
che il fenomeno migratorio e le politiche italo-libiche per contenerlo hanno avuto
all'interno del più ampio campo dei rapporti internazionali tra i due paesi, esami-
nando anche il contenuto del trattato di amicizia tra l'Italia e la Jamahiriyya.
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Capitolo I
La formazione della Libia
1. L'imposizione dell'unità e dello stato
La Libia come entità politica unificata ha una giovane età e risale al 1951 con
la creazione, un po' forzata dall'Occidente, del Regno Unito di Libia. Le sue tre
provincie, Cirenaica, Fezzan e Tripolitania, condividono poco più di un secolo di
storia comune le cui fasi principali sinteticamente individuabili sono tre: l'epoca
del colonialismo prima ottomano e poi italiano; la fase monarchica del regno se-
nussita di Re Idris e; infine, gli oltre quarant'anni del regime rivoluzionario di
Muammar Gheddafi.
Se, da un lato, esistono sicuramente delle fratture importanti tra queste tre fasi
storiche, è anche vero, dall'altro, che una linea di continuità le attraversa e le uni-
sce – se si guarda da un punto di vista esclusivamente libico – ed è quella che ri-
guarda l'assenza di un rapporto proficuo tra la debole e frammentata società libi-
ca e lo stato, quale forma di governo moderna e ideologica della stessa3. Le ra-
gioni che stanno dietro le difficoltà di questo rapporto sono facilmente individua-
bili e sono scritte tutte nella storia e nella struttura sociale della Libia.
Nei primi decenni del Novecento, quando il colonialismo rappresentava uno
degli elementi centrali delle politiche imperialiste delle grandi potenze europee,
non esisteva ancora né politicamente né fisicamente una entità politica unitaria
che fosse riconducibile all'attuale Jamahiriyya. Per lo più esistevano tre entità
territoriali con caratteristiche molto differenti tra loro non solo culturali e sociali,
3 Condivido qui la tesi di Dirk Vandewalle, esposta dallo stesso in D. Vandewalle, Storia della Libia
Contemporanea, Roma, Salerno Editrice, 2006.
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ma anche relativamente alla geografia fisica e umana di quei luoghi4. Anche la
storia ha diviso queste tre provincie. Il Fezzan, territorio ampiamente disabitato,
con la presenza prevalente di tribù semi-nomadi di Tuareg, ha assunto nel passato
il ruolo di importante via di comunicazione tra l'Africa sub-sahariana, il Nord-
Africa e l'Europa, ospitando il trasporto e il commercio carovaniero. Altre, e tra
loro diverse, sono le origini culturali delle province del nord. La Tripolitania, che
è peraltro la regione più popolata, condivide col Maghreb, oltre ad una comune
storia di colonizzazione romana, anche rapporti più recenti di relazioni economi-
che e culturali. La Cirenaica invece è più vicina culturalmente e storicamente al
Mashreq, di cui condivide la colonizzazione greca.
La loro storia comune ebbe inizio con l'occupazione da parte di potenze stra-
niere che in vario modo e secondo differenti forme di controllo politico e colo-
niale sfruttarono la posizione strategica di quei territori, importantissimi sia per la
posizione centrale nel Mediterraneo, sia come via di accesso all'Africa sub-saha-
riana. I primi, in epoca moderna, a mostrare interesse per quei territori furono gli
ottomani che assunsero una forma di controllo politico “leggero” mai operato
come una vera e propria opera di dominio, ma ridotto piuttosto ad un controllo
formale, rispettoso di forme di autogoverno locale, e all'imposizione di tributi
sulle varie popolazioni locali.
Un rinnovato interesse geopolitico da parte degli ottomani si ebbe solo come
risposta al crescente espansionismo della Francia, che nel 1831 occupò la vicina
Algeria, e della Gran Bretagna, che quasi contemporaneamente insediò il proprio
dominio in Sudan e in Egitto. Solo come reazione a questo attivismo europeo gli
ottomani riconsiderarono i loro interessi locali e cercarono durante tutto l'Otto-
cento di rafforzare la loro presenza sul posto.
La relativa accondiscendenza delle popolazioni locali a preferire il dominio
ottomano a quello europeo, che invece venne duramente contrastato, derivò, in
primo luogo, da un'affinità religiosa – la religione islamica era comune sia alle
4 La morfologia del territorio presenta un'ampia distesa desertica che rende difficili collegamenti e tra-
sporti di ogni genere. Gran parte della popolazione risiede nella Tripolitania, lungo le zone costiere e
nelle oasi situate nell'entroterra, ibidem.
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