Introduzione In principio era un uomo che
girava una manovella.
Carlo Montanaro 1
Il cinema digitale è un campo relativamente recente della
cinematografia, ma affonda le sue radici in tempi lontani, è, infatti, un
altro passo avanti nella storia della rappresentazione, emblema del
desiderio connaturale all'uomo di capire e riprodurre ciò che lo
circonda.
Dai primi graffiti disegnati sulle pareti delle caverne, l'uomo ha
sempre cercato di catturare la realtà. Attraverso i secoli, con tecniche
sempre più raffinate e complesse, sperimentando stili diversi, l'uomo
è arrivato a riprodurre il reale in modo sempre più verosimile.
In questo percorso, un posto d'onore spetta alla fotografia, nata nella
prima metà del 1800, frutto di vari esperimenti basati sulla camera
oscura e oggetto d’innovazioni e modifiche. Con la fotografia comincia
la riproduzione meccanica del reale, che suscita un forte entusiasmo
sia negli studiosi sia nel pubblico, proprio per la sua capacità di
raggiungere un alto livello d’illusione di realtà.
La vera rivoluzione è, però, il cinema. Finalmente, all'immagine si
unisce il movimento, che le dà vita, e la natura che si muove diventa
indice della capacità del nuovo mezzo di rappresentare in modo
verosimile la realtà. Come dice Steave Neale, infatti,
quello che mancava nella fotografia era il vento, il vero
indice del movimento reale, naturale. Di qui la
1 Carlo Montanaro, Dall'argento al pixel. Storia della tecnica del cinema , Le Mani,
Genova, 2005, p.7
2
fascinazione ossessiva dei contemporanei non solo per
il movimento, non solo per la scala dimensionale, ma
anche per la schiuma delle onde del mare, il fumo e la
pioggerellina sottile.
2
Lo stimolo per ogni innovazione tecnica, in questo campo, era il
desiderio, in parte utopico, di raggiungere la perfetta riproduzione del
reale, ma ogni volta che veniva aggiunto un elemento che migliorava
la resa della realtà, come il sonoro o il colore, i canoni di questa
perfezione cambiavano, sottolineando, paradossalmente, come
l'immagine cinematografica desse solamente l'illusione della
verosimiglianza.
Con il cinema digitale, si sperimentano nuove possibilità nel campo
della mimesi da parte dell'immagine cinematografica, non a caso uno
dei principali obiettivi dichiarati dai ricercatori, in tale campo, è
proprio il realismo.
In un articolo scritto per la rivista «Computer Graphics», tre
importanti scienziati, hanno sottolineato come il realismo sia una loro
priorità, hanno scritto, infatti, che
nel progettare il Reys 3
il nostro obiettivo era quello di
realizzare un'architettura ottimizzata per produrre, in
tempi brevi e con una qualità elevata, delle scene
animate complesse. Per tempi brevi intendiamo la
possibilità di produrre un intero film nel giro di un
anno; alta qualità significa ottenere una fotografia
praticamente indistinguibile da quella del film girato con
la tecnica tradizionale e complesso significa altrettanto
ricco, sul piano visivo, quanto le scene reali.
4
Nello stesso tempo, il cinema digitale è il simbolo di come oggi la
cultura e la tecnologia siano strettamente interconnesse, esso, infatti,
si sviluppa nell'ambito della Computer Grafica, nata negli anni
2 Steave Neale, Cinema and Technology , Indiana University Press, Bloomington,
1985, p.52
3 Il Reys è un sistema per la creazione d’immagini, realizzato dalla Lucasfilm Ltd.
4 Rob Cook, Loren Carpenter, Edwin Catmull, The Reys Image Rendering
Architecture , in «Computer Graphics», n. 21, 1987, p.95
3
Sessanta in seguito all'invenzione del computer.
Il termine digitale rimanda immediatamente al campo informatico,
con esso, infatti, si indicano quegli strumenti tecnici, in primis il
computer, il cui funzionamento è basato su un codice binario e la
campionatura discreta di qualsiasi dato.
Con cinema digitale (o D-cinema, cioè digital cinema), quindi,
s’intende l'applicazione delle tecnologie elettroniche digitali in campo
cinematografico; le possibilità offerte da tali tecniche sono
moltissime, dai film girati in pellicola e poi rielaborati digitalmente, sia
durante le riprese (virtual set, motion capture ), sia in post-
produzione (effetti speciali digitali, motion graphics ), ai film realizzati
completamente in digitale, quindi registrati, archiviati, montati,
distribuiti e proiettati senza l'uso della pellicola. In realtà, oggi sono
ancora poche le sale cinematografiche attrezzate per la proiezione in
digitale, per cui tutti i film sono comunque riversati su pellicola.
Il rapporto simbiotico esistente tra cinema digitale e tecnologia è
confermato dalla stretta interdipendenza che lega i loro progressi e
sviluppi; è grazie all'aumento delle potenzialità di calcolo e delle
capacità di memorizzazione dati, infatti, che è stato possibile
sviluppare le applicazioni digitali nel cinema, fino ad arrivare a film
come Star Wars Episode I: The Phantom Menace (Star Wars:
Episodio I - La minaccia fantasma, 1999), realizzato al 95% con il
computer.
Il cinema digitale, però, è solo un esempio di come la rivoluzione
informatica abbia condizionato l'arte nella seconda metà del XX
secolo. Da quel momento, infatti, tutta la nostra cultura e tutto lo
scibile umano hanno subito un vasto processo di digitalizzazione, che
ha modificato il modo di concepire e di fare arte, trasportandola
nell'era postmoderna, caratterizzata da una nuova estetica e dall'idea
4
di arte come interattività.
Il campo del cinema digitale, inteso in senso lato, può essere
suddiviso in vari settori, comprende cioè opere in cui le tecniche
elettroniche vengono utilizzate solo in alcune fasi del processo
produttivo, i film realizzati interamente in digitale, dalla pre-
produzione alla post-produzione, l'animazione digitale e il cinema
dinamico in rilievo.
L'ambito su cui mi voglio concentrare è quello dell 'animazione
digitale, in particolare di quel settore che si occupa della realizzazione
di lungometraggi tridimensionali.
L'animazione digitale, in inglese computer animation , si sviluppa
intorno agli anni sessanta del XX secolo, con i simulatori di volo per
l’esercito, gli esperimenti di animazione con soggetti bidimensionali e
le prime sigle televisive.
Con la locuzione “animazione digitale” s’intende quel tipo di
produzione in cui le tecnologie digitali sono applicate all'animazione,
sia in due dimensioni (2D), sia in tre dimensioni (3D).
Nel primo caso c'è stato un rimodernamento dell'animazione classica,
che ha trasferito sul computer le fasi di lavoro tradizionali, sia
sostituendole sia integrandole, per cui le immagini sono realizzate o
modificate in digitale.
L'animazione digitale in 3D, invece, nasce negli anni ottanta del XX
secolo con i primi cortometraggi realizzati da Pixar Animation Studios,
in seguito all'introduzione della grafica tridimensionale nella computer
grafica. In questo tipo di animazione, si cerca di riprodurre in modo
prospettico le immagini, conferendo loro profondità.
Come negli altri settori del cinema digitale, anche le possibilità
dell'animazione sono strettamente connesse agli sviluppi della
tecnologia; questo fattore, insieme alle specifiche necessità
5
produttive, ha portato i grandi studi a dotarsi di un settore dedicato
alla ricerca e allo sviluppo di nuovi programmi per la creazione di
immagini 3D, e all'implementazione di quelli già esistenti.
Dopo i primi esperimenti, i lungometraggi realizzati con l'animazione
digitale hanno conquistato sempre più spazio nel mercato
dell'entertainment, fino a diventare un vero e proprio filone
produttivo, e ottenendo un grandissimo successo di pubblico, pronto
a premiare ogni novità. Questo fenomeno ha reso ancora più evidente
la natura dicotomica del cinema, luogo di scontro-incontro tra arte e
industria, estetica ed economia.
L'introduzione delle tecnologie digitali porta inevitabilmente a
chiedersi quale sarà il futuro del cinema tradizionale, dove già oggi si
possono intravedere nuovi scenari e nuove possibilità, ancora tutte da
esplorare. Come influirà tutto questo sul cinema e sulla cultura in
generale?
Interrogarsi e studiare in modo approfondito il campo del cinema
digitale e dell'animazione computerizzata tridimensionale, nello
specifico, appare, quindi, di grande importanza per capire la cultura
odierna e per tentare di individuare dove ci porterà in futuro la
tecnologia.
Per l'affinità con il linguaggio del cinema di finzione, per il forte
legame con il percorso storico delle arti figurative in generale, per
l’inevitabile e incessante rinnovamento in base alle evoluzioni
tecniche, per la considerazione dello spettatore e dei suoi continui
cambiamenti di luogo e prospettiva, il cinema di animazione diventa
un interessante luogo di analisi di molti aspetti che riguardano
attualmente le arti visive, e si propone come arte autonoma e, nello
stesso tempo, come bacino di confluenza di forme artistiche diverse.
Riconoscere la validità del cinema digitale è un passo importante,
6
perché esso è molto più di un semplice prodotto dell'industria
culturale, è una sfida ai vincoli di verosimiglianza propugnati dalle
regole classiche di Hollywood, è contemporaneamente futuristico e
antico, è sogno di mondi possibili e irreali, è sperimentazione e
innovazione, è gioco e divertimento.
E' un altro passo avanti nella storia dell'arte.
7
Capitolo 1
L'immagine digitale Ogni settore della conoscenza umana, scientifica e umanistica, ha
dedicato molte pagine allo studio dell'immagine e dell'immaginazione,
l'attività ad essa collegata. Per addentrarsi con maggiore
consapevolezza nella discussione accidentata che si articola intorno
all'immagine digitale, e alle opere artistiche create con essa, è utile
fare una breve introduzione sull'immagine in generale. Si scoprirà,
così, che le questioni basilari che gravitano attorno all'identità
dell'immagine numerica, sono le stesse che hanno ispirato le
osservazioni degli intellettuali e degli artisti su quella analogica,
durante tutta la storia dell'arte.
1.1 Tra immaginazione e rappresentazione L'attività immaginativa è nata con l'uomo, e l’ha guidato nel suo
confrontarsi con i suoi simili e con la realtà sensibile.
Inizialmente, il termine immaginazione era legato unicamente alla
capacità di ricordare il prodotto delle percezioni fenomeniche; nel
tempo, tale concetto è stato ampliato a indicare non solo le
riproduzioni mentali di oggetti reali, ma anche la creazione, mentale o
grafica, d’immagini slegate dal mondo empirico.
Questa duplicità di significato si rispecchia nelle due diverse funzioni
assunte dalle immagini, che, infatti, possono essere produttive o ri-
produttive, a seconda della loro origine e del legame con il reale.
In entrambi i casi, però, esse possono essere reinterpretate in base
alle necessità contingenti dell'individuo, rivelandosi una fonte
8
preziosissima di spunti, idee e informazioni.
Quando la straordinaria facoltà umana dell'immaginazione si esplica
attraverso le immagini, traducendosi così in atto creativo, diventa il
principio di ogni opera artistica, che viene vista, appunto, come
elaborazione estetica e messa in forma dell'immagine stessa.
Proprio per questi motivi, l'immaginazione e le imago sono diventate
oggetto d’indagini letterarie e di speculazioni filosofiche, nonostante
fossero spesso considerate inferiori al raziocinio a causa della loro
natura riproduttiva.
L'invenzione della fotografia prima, e del cinema poi, ha reso più
problematiche le discussioni relative alla natura dell'immagine,
ampliandone la portata e offrendo nuovi elementi interessanti, che
trovano sbocco sia nella produzione artistica, sia nei testi di filosofia
dell'immagine.
La direzione intrapresa dagli studiosi ha riguardato, in particolar
modo, il rapporto tra l'immagine e ciò che in essa è rappresentato,
quindi tra la coscienza immaginativa e quella percettiva, tra l'oggetto
e la sua rappresentazione.
La grossa pipa che campeggia nel quadro di René Magritte, Ceci n'est
pas une pipe , è forse il simbolo di tutte le teorie elaborate in quegli
anni
5
, e, contemporaneamente, un primo assaggio delle successive 6
.
In una delle sue opere maggiormente conosciute, Magritte ci regala la
pipa più verosimigliante mai realizzata in pittura, ma, nello stesso
tempo, ci mette in guardia, o forse ci prende un po' in giro, con una
didascalia: “Questa non è una pipa”.
Con questa semplice frase, il pittore distrugge dall'interno il rapporto
gerarchico che, nel sistema arte, legava realtà, rappresentazione e
5 La prima versione del quadro risale al 1926.
6 Jean Paul Sartre, ad esempio, ha scritto diversi saggi sull'argomento a partire
dagli anni Trenta.
9
significato, scindendo irrimediabilmente l'elemento plastico da quello
grafico. Inoltre, obbliga lo spettatore a una fruizione attiva, perché
l'opera genera inevitabilmente degli interrogativi che riguardano il
mondo dell'arte e delle rappresentazioni, nella sua interezza.
Perciò, se quella che evidentemente è una pipa, in realtà non lo è,
poiché non si può toccare né fumare, allora che cos'è?
Ebbene, è un'immagine della pipa, una sua rappresentazione, che non
si limita a essere una semplice “copia” o segno significante
dell'oggetto mostrato, ma diventa qualcosa di nuovo, che, slegando
l'oggetto dal contesto che lo renderebbe riconoscibile, lo nega nel suo
essere reale.
Il passaggio dalla modernità alla postmodernità assiste, così,
all'oggettivizzazione delle immagini.
Le immagini compatte nel mondo piatto... diventano
veri e propri oggetti nella nostra mente, pretendono
una loro propria tridimensionalità della percezione, non
più legata a fatti quantitativi spaziali, misure di
ampiezza e profondità... Le immagini non stanno
confinate in un dominio laterale della percezione della
realtà ma entrano in competizione diretta con questa,
le si sovrappongono, la riscrivono stabilendo un dubbio
di legittimità.
7
Apparentemente solo simulazione dell'oggetto reale, di cui si limita a
mostrare le sembianze, l'immagine dimostra, invece, di possedere
una propria entità, una valenza ontologica, che la rende indipendente
da ciò che mostra.
Questo, però, smaschera la sua nuova natura segnica, che dà origine
a un codice comunicativo, a un linguaggio e a un'estetica specifici.
L'immagine, infatti, non rinuncia al dialogo con il fruitore, la cui
presenza è indispensabile perché la raffigurazione possa essere
7 Valerio Bindi, Animazione digitale: flash cartoon & net comix , Mare Nero, Roma,
2002, p.38
10
riconosciuta e, quindi, riesca a manifestarsi. Essa presuppone sempre
uno sguardo spettatoriale, che, però, ha una natura duplice: è il
punto di vista dell'autore che la modella, e, contemporaneamente, è il
punto di vista dell’osservatore che la riporta in vita.
Due sguardi diversi, ma strettamente interdipendenti.
Il primo, infatti, subordina il secondo, poiché lo spettatore può vedere
la scena rappresentata solo secondo l'ottica scelta dall'artista.
Quest'ultimo, però, ha bisogno di sottoporre la sua opera allo sguardo
dello spettatore, perché solo così essa può vivere e diventare arte.
Il nuovo statuto dell'immagine complica il suo rapporto con la realtà e
con l'individuo, che, inizialmente, è sprovvisto dei mezzi per
comprenderla e, di fronte ad essa, rimane perplesso, quasi in stato
confusionale, perché avverte la rottura con tutto quello cui era
abituato, e percepisce che la “nuova” immagine è un punto di non-
ritorno.
Negli anni Sessanta, la pop-art sconvolge nuovamente i termini della
relazione realtà-rappresentazione. Gli artisti trovano ispirazione nei
simboli della società dei consumi, negli stimoli visivi che avviluppano
l'individuo, creando così un'arte per le masse, con elementi
facilmente riconoscibili, dove ogni oggetto, anche il più banale,
assurge a opera d'arte perché spersonalizzato. Impossibili da
dimenticare, le lattine della zuppa Campbell's ritratte da Andy Warhol.
Nella società contemporanea, il tema delle immagini è attuale come
non mai, l'uomo, infatti, si trova immerso in un costante flusso
d'informazioni iconiche.
Come sottolinea Andrea Balzola, «noi oggi viviamo una dissociazione:
il pensiero dominante passa ancora attraverso la parola, mentre i
comportamenti e la sfera sensoriale sono sempre più plasmati da una
11
dimensione multimediale, iconico-sonora» 8
, propria di «un'epoca
dominata da una progressiva estetizzazione dei modelli sociali... e
dove la tecnologia è il medium prioritario di tale estetizzazione.» 9
La riflessione sulle immagini e sul loro rapporto con la tecnologia,
quindi, s’impone non solo secondo una prospettiva estetica, ma anche
etica, in cui l'arte si propone come ideale luogo di sintesi proprio per
la sua funzione semantica, in grado di dare significato e pensiero alla
varietà di forme rappresentate.
1.2 Le forme dell’immagine numerica
Le caratteristiche dell'immagine digitale sono ben descritte da Lev
Manovich, autore contemporaneo d’importanti saggi sui mezzi di
comunicazione di massa. Nel libro Il linguaggio dei nuovi media ,
infatti, lo studioso s’interroga sulle caratteristiche dei media digitali,
in particolare sull'estetica visuale che li contraddistingue, sui codici
comunicativi che hanno sviluppato e su come stanno influenzando la
vita globale.
Lo strumento base dei nuovi media è proprio l'immagine digitale, che
offre illimitate potenzialità di utilizzo, può essere creata facilmente e
permette, a chi la costruisce, di entrare in contatto immediato con il
fruitore. Proprio per questi motivi, l'immagine computerizzata
necessita di un'attenta analisi da parte del destinatario e
dell'emittente.
Ripercorrendo il testo sopracitato, emergono gli elementi
indispensabili per muoversi nell'universo virtuale dei media, e per
diventarne fruitori consapevoli.
8 Andrea Balzola, Linguaggi ed est-etiche nell'era digitale , in Antonio Caronia,
Enrico Livraghi, Simona Pezzano (a cura di), L'arte nell'era della producibilità
digitale , Mimesis Edizioni, Milano, 2006, p.16
9 Ivi, p.19
12
Come ho già accennato nell'introduzione, l'immagine digitale, in
primo luogo, è tale perché creata al computer, quindi si articola
fondamentalmente su due piani. Il primo è superficiale e concerne la
sua “apparenza”, cioè il modo in cui si presenta all'osservatore.
L'altro, invece, è nascosto più in profondità, è il codice del linguaggio
informatico usato per crearla, che, scendendo ancora di vari livelli, si
può ricondurre a una stringa infinita di 0 e 1.
Come il linguaggio del computer, anche l'immagine sintetica è
discreta, ossia discontinua, basata su tanti pixel distinti l'uno
dall'altro, usati per costruire vari oggetti. Questi elementi vengono poi
disposti su layer diversi che rendono l'immagine “modulare”, proprio
poiché risultato della sovrapposizione e dell'accostamento di più
livelli.
Tutte queste informazioni che costituiscono le immagini digitali
rischiano di “appesantirla”, rendendola inutilizzabile. Per ovviare a
questo problema, i programmatori hanno messo a disposizione degli
utenti una serie di formati per salvare l'immagine, che si distinguono
per il livello di compressione che operano su di essa, quindi sulla
selezione dei dati che la compongono. Tutti i formati comportano una
perdita di informazioni e la qualità dell'immagine dipende proprio
dall'entità di tale perdita. I formati sono legati a un'altra caratteristica
dell'immagine digitale: la transcodifica, cioè la possibilità di passare
da un formato all'altro con un solo clic.
Navigando in Internet, ci si rende conto che ogni pagina web è
composta prevalentemente da immagini. Statici nelle foto,
lampeggianti nei banner pubblicitari, in movimento nelle gif, i pixel
diventano significanti, segni di un linguaggio basato sulla
referenzialità.
Nel web, dietro alle immagini si nasconde spesso un mondo di
13
richiami e citazioni: è la struttura ipertestuale, basata su link che
collegano le pagine e le informazioni, e rendono internet una vera e
propria rete globale in grado di connettere gli elementi più disparati.
L'utente, così, si trova immerso in un flusso costante di dati e di
connessioni, che riesce a gestire grazie all'immagine digitale, la quale
acquisisce il ruolo d’interfaccia, di strumento per navigare nello spazio
virtuale.
Questo nuovo ruolo entra in conflitto con quello tradizionalmente
affidato all'immagine, cioè di rappresentazione.
Perciò, a livello concettuale, l'immagine del computer si
colloca tra due poli opposti: una finestra illusionistica
affacciata su un universo fantastico e un pannello di
controllo. Il compito affidato alla progettazione dei
nuovi media e all'arte che si avvale dei nuovi media è
imparare a combinare questi due ruoli concorrenti
dell'immagine.
10
La distinzione tra i due ruoli chiama in causa, a livello concettuale,
quella esistente tra i piani specifici della natura dell'immagine digitale,
ossia tra la superficie, che la rende “pannello di controllo” piatto come
lo schermo, e la profondità, per cui l'immagine diventa uno stargate
in grado di collegare l'utente, seduto tranquillamente di fronte al suo
PC, a mondi distanti nello spazio e nel tempo.
Le immagini digitali, oltre a essere delle interfacce utili per controllare
il computer, diventano anche degli strumenti per agire materialmente
sulla realtà, attraverso la teleazione. Questo fenomeno si basa sulla
telepresenza, cioè presenza a distanza, che prevede due situazioni:
«essere “presenti” in un ambiente sintetico generato dal computer
(quella che viene comunemente chiamata realtà “virtuale”) ed essere
presenti in un luogo fisico reale e remoto attraverso un'immagine
video dal vivo.» 11
10 Lev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media , Olivares, Milano, 2002, p.358
11 Ivi, p.211
14
La peculiarità della telepresenza sta proprio nel suo essere anti-
presenza, perché implica l'assenza nel luogo in cui si vuole
intervenire.
Con la teleazione si può agire sugli oggetti reali tramite la loro
rappresentazione elettronica, e si possono inserire nell'ambiente
virtuale raffigurazioni di oggetti che in realtà non ci sono, per
pianificare il lavoro successivo sul reale.
Due qualità attribuibili alle immagini di sintesi sono la variabilità e
l'automazione, queste, infatti, possono essere generate
automaticamente dai programmi, magari con riferimento a dati
preesistenti, che creano infinite rielaborazioni della stessa immagine
variandone le proprietà, come il colore e le dimensioni.
Queste immagini, così mobili, adattabili, poliedriche, sono entrate a
far parte dell'esperienza dell'individuo, il quale ha superato l'idea di
un'imago che richiede una fruizione prettamente passiva, imparando
a muoversi e a scegliere tra i vari link , forieri di chissà quali
promesse.
1.3 L'immagine artistica dall'analogico al digitale Come già accennato nel primo paragrafo, l'introduzione della
fotografia e del cinema, tra le forme della raffigurazione, ha
modificato il rapporto esistente tra rappresentazione e realtà, tra
immagine e arte. Il digitale ha nuovamente cambiato le carte in
tavola, dando nuova linfa all'indagine estetico-linguistica avente come
oggetto l'immagine.
Punto di riferimento obbligato per ogni studio degno di nota, sono le
teorie espresse da Walter Benjamin in L'opera d'arte nell'era della sua
riproducibilità tecnica , testo fondamentale scritto nel 1935, in cui
15
l'autore tedesco fa un'analisi dello stato dell'arte nell'epoca moderna,
dedicando particolare attenzione al cinema. Lo studioso parte dalla
convinzione che l'arte vada analizzata sia nelle modalità di fruizione
richieste allo spettatore, sia nelle sue elaborazioni tecniche.
Benjamin basa la sua dissertazione sul concetto di “aura”, definito
come l'hic et nunc dell'opera d'arte, di un oggetto storico o naturale,
ossia il suo essere unico e irripetibile in un determinato luogo. L'aura
concerne un punto nodale, e molto delicato, dell'opera d'arte: la sua
autenticità, che viene messa in discussione nel momento in cui
l'opera viene riprodotta, poiché perde il collegamento con l'evento che
l'aveva generata, l'hic et nunc appunto, e si inserisce in una serie di
situazioni che non erano accessibili all'originale. Perduta l'aura,
l'opera è privata della sua autorità come originale, quindi del suo
valore in quanto testimonianza.
Nonostante la riproduzione privi l'opera dell'aura, Benjamin non ne dà
una connotazione negativa, ma cerca di individuarne le potenzialità,
soprattutto vedendo in essa la possibilità dell'arte di avvicinarsi alle
masse e di aumentare, così, la sua portata politica e democratica.
Secondo Benjamin, il presupposto necessario dell'aura è la distanza
tra l'osservatore e l'oggetto osservato, che, in questo modo, mantiene
la sua integrità e il legame con il contesto in cui è inserito. Inoltre,
l'aura viene conservata quando non c'è la mediazione della tecnologia
tra la forma naturale dell'oggetto e quella che gli viene data
dall'artista, per cui lo sguardo umano non viene sostituito da uno
meccanico.
Il rispetto per la distanza, continua lo scrittore, è proprio della
percezione naturale e della pittura; le tecnologie della riproduzione di
massa, invece, sovvertono la secolare abitudine percettiva dell'uomo
e penetrano nella realtà dell'oggetto, avvicinandolo e proponendo
16
all'osservatore dettagli e prospettive impossibili per l'occhio umano.
La fotografia e il cinema sono i principali responsabili
dell'annullamento della distanza, poiché, utilizzando zoom e primi
piani, avvicinano spazialmente l'oggetto e lo spettatore e, in questo
modo, soddisfano il desiderio delle masse, tipico della sensibilità
moderna, di possedere visivamente da vicino gli oggetti.
La differenza tra pittore e operatore, da Benjamin paragonati
rispettivamente al mago e al chirurgo, risiede proprio nel loro
rapporto con la distanza. Come il primo cura le persone senza
toccarle, il pittore riesce a mantenere una distanza naturale dalla
realtà, quindi a rispettarne l'aura, e a ottenere un'immagine totale di
essa. L'operatore, invece, penetra nell'oggetto, come il chirurgo
durante un'operazione, e ne dà un'immagine frammentata, che deve
essere ricostruita a posteriori.
Questo, anche se elimina l'aura, permette al cinema di ampliare le
capacità percettive dello spettatore, di moltiplicare i punti di vista
sulla realtà, quindi di rendere lo sguardo umano più autonomo e
meno contemplativo.
Ciò che collega le teorie di Benjamin a quelle attuali sulla riproduzione
digitale, passando attraverso l'immagine analogica, è il rapporto tra
realtà e rappresentazione, per cui ci si chiede se le nuove tecniche
digitali abbiano ridato aura all'opera artistica e al reale.
L'immagine sintetica, infatti, intrattiene un legame debole con il
mondo esterno, e da un punto di vista ontologico... è paragonabile a
qualsiasi altra immagine fortemente mimetica... dal
momento che non è più causata da un oggetto... non
assicura alcuna relazione certa con l'evento reale – non
più di quanto possa fare un ritratto o un paesaggio
dipinti – benché si presenti ai nostri occhi in una veste
fotorealistica.
12
12 Simona Pezzano, Il cinema incontra il digitale e ritrova le sue origini. Come
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