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come si sia sviluppata la corrente di pensiero fenomenologico-esistenziale
alla quale Laing ha riconosciuto di essere debitore.
La tesi si compone di due parti intitolate rispettivamente “Presenza
e temporalità nell’indirizzo fenomenologico-esistenziale in psichiatria”
e “Presenza e temporalità in Mrs. Dalloway di Virginia Woolf”.
Nel primo capitolo della prima parte ho chiarito in che modo
prendono forma, in ambito filosofico, quelle idee che andranno a costituire
le fondamenta dell’indirizzo fenomenologico-esistenziale in psichiatria,
indirizzo che postulerà il concetto, oggi quasi del tutto accettato, della
identità, pur se con diversità di accenti, dei processi psichici che in misura
diversa sono presenti nell’individuo considerato normale e in quello
considerato patologico. In seguito, ne ho preso in esame gli antecedenti
filosofici, analizzando i singoli contributi dei principali esponenti del
pensiero fenomenologico-esistenziale ed in particolare l’impiego delle
analisi condotte dalla fenomenologia trascendentale di E. Husserl,
dall’analitica esistenziale di M. Heidegger e dalla filosofia spiritualistica di
Bergson.
Nel secondo capitolo ho cercato di spiegare come concetti nati in
ambito filosofico quali l’affermazione risoluta dell’intenzionalità come
carattere peculiare dell’attività della coscienza, la scoperta
dell’intersoggettività e della temporalità in quanto aspetti ineliminabili
dell’esistenza umana, l’apertura alla dimensione della comunità e della
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storia, traccino la direzione lungo la quale muoverà il discorso di una larga
parte della psicologia del Novecento.
La fenomenologia e l’esistenzialismo in filosofia si compenetrano a
vicenda, rendendo arduo e spesso impossibile differenziare ciò che proviene
dall’una invece che dall’altra filosofia. Non esiste una netta linea di
demarcazione tra queste due correnti di pensiero. Neanche i maggiori
esponenti dell’indirizzo fenomenologico-esistenziale in psichiatria – Karl
Jaspers (1883-1969), psichiatra e filosofo tedesco, Ludwig Binswanger
(1881-1966), psichiatra svizzero, e Eugène Minkowski (1885-1972),
psichiatra francese di origine polacca – ebbero sempre ben chiare tali
differenze ed attinsero, talvolta molto liberamente, ora all’una ora all’altra
filosofia; mentre, ad esempio, i primi lavori di Binswanger si rifanno
apertamente alla filosofia di Edmund Husserl, la successiva fondazione
della Daseinsanalyse si deve, per ammissione dello stesso Binswanger,
all’incontro con l’opera di Martin Heidegger. Vista quindi la difficoltà di
distinguere tra apporto fenomenologico ed esistenziale in psichiatria, si
suole parlare di un unico indirizzo fenomenologico-esistenziale.
Gli scritti di Minkowski e di Binswanger, mostrando di attingere ora
all’una ora all’altra di queste fonti, testimonieranno in ogni caso, pur nella
diversità dei rimandi, l’acquisita consapevolezza del significato nuovo della
temporalità e del suo valore fondamentale come via di accesso al cuore
stesso dell’esistenza umana.
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Negli anni in cui ha origine in psichiatria la nuova corrente
fenomenologico-esistenziale, la clinica psichiatrica era ancora dominata
dall’impostazione che ad essa aveva dato Emil Kraepelin (1855-1926); in
particolare, si andava completando il tentativo di sistematizzazione e di
classificazione, che aveva preso l’avvio nella seconda metà dell’Ottocento,
di tutti quei dati e quelle osservazioni cliniche che gran parte degli psichiatri
avevano avuto modo di compiere e di rilevare nella pratica quotidiana
all’interno dei manicomi. Tali metodi di indagine erano, nella prospettiva
dei rappresentanti dell’indirizzo fenomenologico-esistenziale, oggettivanti e
spersonalizzanti.
Sorretta dall’ideale positivistico di una scienza universale obiettiva e
perciò concreta, la psicofisica aveva operato sul prolungamento della
distinzione cartesiana tra res cogitans e res extensa, concependo l’anima
come un che di reale oggettivo, nello stesso senso dei meri corpi naturali. Il
permanere di presupposti dualistici e fisicalistici nella considerazione di
fenomeni psichici non aveva, secondo gli esponenti del nuovo indirizzo,
consentito alla psicologia di afferrare il senso autentico degli atti di
coscienza, di rispondere ad interrogativi quali: qual è per l’uomo il
significato peculiare del suo essere-nel-mondo? Come vive concretamente
nello spazio e nel tempo la realtà circostante? La psicologia non poteva
rispondere a tali domande in quanto, oggettivando l’uomo, lo aveva
arbitrariamente collocato fuori dal contesto relazionale in cui
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necessariamente è inserito, sottraendolo al concreto fluire temporale e
ponendolo al livello di entità sostanzialmente estranea al divenire.
Attenendomi ad un filo conduttore, che è quello di chiarire il
significato e lo scopo della nuova corrente fenomenologico-esistenziale, ho
ritenuto opportuno iniziare il lavoro prendendo in esame l’opera di Edmund
Husserl (1859-1938) in quanto questa segna un momento di decisiva
importanza per la nascita della nuova psicologia. Riprendendo da Brentano
– suo professore di filosofia a Vienna – il concetto di intenzionalità, Husserl
lo rielaborò in modo del tutto originale nel tentativo di scavalcare
l’alternativa tra logicismo e psicologismo posta dal dibattito filosofico di
quegli anni. Husserl era convinto che fosse assurdo supporre che l’io e il
mondo, ciascuno con le proprie regole e leggi di funzionamento, sussistano
separatamente come unità dotate di significato ancor prima di entrare in
relazione. Solo in riferimento al dispiegarsi dell’attività della coscienza, al
suo continuo dirigersi verso un contenuto (reale o immaginario) diventa
invece possibile fissare fenomenologicamente il significato dell’io e del
mondo nella loro relazione intenzionale. E’ nel concreto rapportarsi della
coscienza alla realtà che le cose e il mondo, secondo Husserl, si obbettivano
ed acquistano un senso.
In accordo con le sue teorie, il tempo è intrecciato indissolubilmente
con l’esistenza, è il flusso originario in cui è immersa la coscienza e in cui
si attua il dispiegamento dell’intenzionalità e il costituirsi della storia. La
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teoria dell’intenzionalità della coscienza ha reso possibile la transizione
dalla descrizione dei processi e degli eventi mentali di un soggetto alla
concezione e alla descrizione delle strutture della coscienza intenzionale
(cioè dell’essere-orientati-verso qualcosa ). Inoltre Husserl è stato il primo
ad indicare il metodo fenomenologico quale via d’accesso all’analisi diretta
della coscienza. Ma il pensiero di Husserl non può dirsi l’unica filosofia ad
aver esercitato un’influenza particolare. Le diverse sollecitazioni
provenienti anche dall’opera di Heidegger e di Bergson, sommandosi agli
sviluppi della fenomenologia husserliana, configurarono infatti un orizzonte
culturale di riferimento assai vasto.
L’opera di Martin Heidegger costituisce un tentativo ulteriore di
definire, nei confronti della metafisica tradizionale, l’essere dell’uomo nel
mondo in termini di maggiore concretezza e di “effettività”. Egli insiste
sulla “effettività” e sulla “mondanità” dell’uomo, sul riconoscimento del
radicale carattere di storicità e di temporalità dell’esistenza, di contro
all’ambigua “astrattezza” della metafisica tradizionale. L’esistere, per
Heidegger come per Husserl, è già sempre co-esistere in quanto la vita
dell’uomo si inserisce necessariamente nella vita di altri uomini. Questi
aspetti, già espressi con diversità di accenti dal pensiero di Husserl,
eserciteranno un’influenza profonda sulla formazione di numerosi esponenti
della psicologia esistenziale.
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Procedendo nell’esame di quelli che sono stati i principali contributi
della riflessione filosofica alla nascita della nuova psicologia, ho cercato di
chiarire alcuni degli insegnamenti del filosofo spiritualista Henry Bergson
ed in particolare quelli relativi al concetto di tempo, di slancio vitale e di
intuizione, i quali sono stati fondamentali per le posizioni assunte da
Eugène Minkowski in ambito psichiatrico. Secondo Bergson, l'intuizione,
non risentendo della rigidità del pensiero razionale, è la via più genuina e
istintivamente umana e la più adatta, in quanto connessa alle qualità dello
spirito, a fornire risposte ai grandi quesiti esistenziali.
Il tempo, secondo Bergson, così come viene concepito nelle formule e
nella prospettiva della fisica e della matematica si differenzia in maniera
radicale dal tempo che si coglie nell’esperienza concreta quotidiana. Il
primo è rigidamente prestabilito e arbitrariamente frazionato in singoli ed
identici istanti, il tempo concreto è invece un continuo divenire, un flusso
inarrestabile ed irreversibile nell’ambito del quale ciascuno “stato” si
compenetra con quello che lo segue o lo precede. Dall’affermazione del
valore reale del tempo, in contrapposizione al tempo “spazializzato” e
impersonale della fisica, la psicologia fenomenologica ricaverà uno dei temi
principali della propria riflessione.
Nel secondo e terzo capitolo della prima parte della tesi ho cercato
di chiarire in che modo alcuni concetti dei filosofi citati siano stati
rielaborati dai maggiori esponenti della psichiatria di indirizzo
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fenomenologico-esistenziale. Ho iniziato con il prendere in esame il
contributo di Karl Jaspers in quanto egli ebbe il merito di tracciare per
primo il cammino su cui si mossero in seguito E. Minkowski e L.
Binswanger.
Due sono i principali contributi di Jaspers nell’ambito della
psichiatria: l’introduzione della psicopatologia quale nuova disciplina
psicologica e il cambiamento del metodo di osservazione psichiatrica.
Mettendo a frutto il metodo fenomenologico di E. Husserl, Jaspers,
con la sua opera Psicopatologia generale, la prima opera di orientamento
fenomenologico in psichiatria, costituì la psicopatologia come scienza
autonoma, aprendo così la strada ad un approccio più propriamente
antropologico nello studio delle malattie mentali.
Jaspers utilizza infatti il metodo fenomenologico formulato da Husserl
non per giungere all’intuizione delle essenze, ma solo come strumento
empirico mediante il quale mettere in evidenza gli stati d’animo, le
esperienze psichiche o i vissuti che i malati sperimentano. In questa
direzione la Psicopatologia indaga le anomalie psicologiche studiando lo
sviluppo psichico anziché le cause organiche, perché ogni vita psichica,
secondo Jaspers, si struttura come un “processo” che va “compreso” in
termini psicologici e non quale insieme di sintomi che vanno “spiegati” a
partire da un quadro di riferimento esterno come avviene nelle scienze
naturali.
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Ludwig Bisnswanger richiamandosi direttamente alla “Daseinsanalyse”
di Heidegger, alla fenomenologia di Husserl e alla nuova concezione
dell’uomo introdotta dalla psicologia comprensiva di Jaspers, divenne
figura di primissimo piano del nuovo indirizzo psicologico. Con la sua
Daseinsanalyse (analisi dell’esser-ci), quella ricerca che Heidegger aveva
condotto sul piano ontologico sul che cosa sia in essenza l’essere
dell’uomo, viene da Binswanger sviluppata sul piano ontico dal momento
che egli si propone di esaminare fenomenologicamente l’essere nel mondo
dei singoli casi concreti.
Partendo dalla considerazione oggi quasi del tutto accettata del
continuum tra normalità e patologia psichica, secondo Binswanger è
possibile, attraverso l’analisi delle tre modalità interiori costitutive della
temporalità vissuta, definite da Husserl praesentatio, retentio e protentio,
individuare il mondo interiore di ciascuno e i “mondi delle esistenze
mancate”, vale a dire i mondi di coloro che si discostano o non partecipano
al mondo comune. Non essendo stati temporali, ma forme trascendentali, la
praesentatio, la retentio e la protentio non esprimono il tempo geometrico
ma il tempo vissuto, il tempo in cui si esprime la vita.
Questa è la temporalità che costituisce l’esperienza ed è quindi
l’essenza strutturale del mondo di ciascuno. E’ in tale essenza e nelle sue
alterazioni che, secondo Binswanger, vanno cercate le origini della
patologia. Il sintomo psichiatrico non è più un dato isolato da classificare ed
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ordinare insieme ad altri sintomi ma diventa invece il mezzo tramite il quale
accedere al peculiare modo di essere nel mondo di quel paziente per
comprenderne le fondamentali caratteristiche.
Il terzo e ultimo capitolo della prima parte di questa tesi si
conclude con l’analisi dell’opera fondamentale di Minkowski, Le temps
vécu, dedicata all’analisi dell’aspetto temporale della vita e alla struttura
spazio-temporale delle turbe mentali, analizzata sulla base dei presupposti
interpretativi della psicopatologia fenomenologica.
L’analisi di Minkowski dei fenomeni della temporalità si ricollega alla
distinzione di Bergson fra tempo oggettivo e spazializzato e tempo vissuto.
Non esiste infatti, secondo Minkowski un solo tempo di tipo cronologico,
ma piuttosto un’infinita pluralità di modi di esperire il fluire temporale,
modi che sono intrinseci al mondo di una determinata persona e che ne
costituiscono il fondamento stesso. L’analisi che egli fa di alcuni casi clinici
testimoniano dell’intimo legame che intercorre fra gravi manifestazioni
psicopatologie e alterazioni del fluire temporale, associate ad un
irreversibile attenuarsi del proprio slancio personale.
La seconda parte della tesi “Presenza e temporalità in Mrs
Dalloway di Virginia Woolf” è dedicata all’analisi fenomenologica del
romanzo dal punto di vista della temporalità, con particolare
approfondimento della dimensione temporale “interiore” dei due
protagonisti: Clarissa e Septimus. Si è scelto questo romanzo perché in esso
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è evidente, più che nelle altre opere di Virginia Woolf, la differenza tra
tempo cronologico e tempo interiore, tra il tempo misurabile scandito dagli
orologi e quello interiore vissuto dalla coscienza.
Il primo capitolo ha inizio con una breve biografia dell’autrice. Ho
ritenuto utile, prima di analizzare il romanzo, ripercorre i tratti salienti della
vita dell’autrice, inserendola nel particolare contesto culturale dell’epoca e
cercando di evidenziare l’influenza che le nuove concezioni più ampie e
complesse nella fisica con Einstein, nella filosofia con Nietzsche e Bergson,
nella psicanalisi con la scoperta dell'inconscio da parte di Freud hanno
esercitato sulla sua opera.
Successivamente ho descritto la nuova forma narrativa utilizzata
dall’autrice per la stesura del romanzo. In polemica con coloro che si
limitavano a descrivere la superficie materiale della vita sociale, Virginia
Woolf si propose di scandagliare quelle che considerava le realtà della
coscienza, realtà difficili da cogliere, ma essenziali per chi si proponesse di
dire la verità sull’uomo. La ricerca di una forma narrativa capace di
esprimere fedelmente e pienamente il proprio mondo di percezioni sottili e
mutevoli la portò a scardinare la struttura classica del romanzo
ottocentesco, inidonea ad esprimere l’essenza più profonda e inafferrabile
dell’essere, per trovare qualcosa di più autentico. La Woolf si sentirà
chiamata a svelare quel che c’è dietro le apparenze; i fatti non hanno più
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molta importanza ed i dialoghi interiori, gli stati d’animo diventano i
protagonisti dell’opera.
All’analisi della nuova forma narrativa della Woolf segue la
presentazione di Mrs Dalloway, pubblicato nel 1925. In origine era un
racconto intitolato La signora Dalloway in Bond Street. Solo più tardi si
“ramificherà” in un romanzo dal titolo The hours (Le ore). In Mrs Dalloway
è forte l’impronta autobiografica, la compenetrazione tra vita e scrittura.
L’intento di Virgina Woolf è quello di ritrarre il fluire del tempo e le
conseguenti infinite trasformazioni, ma è anche e soprattutto quello di
fissare dei "momenti", di ricercare la pienezza della vita nell’istante
presente, unico e irripetibile, di cercare tra tanta indeterminazione dei punti
di riferimento.
Il romanzo, oltre ad esprimere la precarietà dello stare al mondo e il
senso profondo di perdita e di mancanza che sono propri dell’autrice, è
anche un ritratto della società del tempo e delle persone che popolano le
strade di Londra. Accogliendo i nuovi fermenti culturali del periodo ed in
particolare la soggettività e spiritualità dei nuovi filosofi, Virginia Woolf
abbandona in Mrs Dalloway la tecnica di narrazione classica, eliminando il
dialogo diretto e la trama tradizionale. La realtà esterna perde nel romanzo
la sua funzione privilegiata, eccetto per quanto riguarda l'influenza che
esercita sulla vita interiore del soggetto e quasi tutto ciò che è detto è il
riflesso della coscienza dei personaggi.
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Per giungere a cogliere l’essenza dei suoi personaggi, la Woolf
inventa un metodo che consiste nello scavare delle “gallerie” dietro i suoi
personaggi, in profondità, per poi collegare interno ed esterno, il mondo con
l’io. Con questo metodo la Woolf cerca di mettere a nudo la verità che si
cela sotto le apparenze, il senso di vuoto dell’esistere. La sua prosa tende
alla sintesi, a condensarsi in immagini uniche, altamente significative, a
divenire poesia. Essa è infatti caratterizzata da espressioni di intenso lirismo
e da grande musicalità e ritmo.
Il primo capitolo della seconda parte termina con la descrizione della
trama e dei personaggi del romanzo. In realtà non c’è una vera e propria
trama ma un mosaico di reminiscenze, di impressioni, una specie di
immersione nella continua fluidità della vita, misurata dallo scoccare delle
ore.
E’ un romanzo che si svolge in un solo giorno. Clarissa Dalloway è
impegnata nei preparativi per il ricevimento che darà quella sera. Durante la
giornata ritorna più volte con la mente al passato e alle persone amate;
ripensa a Peter Walsh che era innamorato di lei, a Sally Seton, l’amica
anticonformista di un tempo, all’estate felice trascorsa a Bourton quando era
ragazza. Tra la fitta rete dei ricordi di Clarissa si intrecciano le esistenze di
una variegata umanità che va e viene intorno a lei per le strade di Londra e a
casa Dalloway. La scrittrice, penetrando nella mente dei suoi personaggi,
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persi tra migliaia di azioni banali e quotidiane, ne fa affiorare i loro tratti
distintivi.
Clarissa incrocia casualmente, passeggiando nelle strade centrali di
Londra, un giovane ex soldato, Septimus Warren Smith, traumatizzato dalla
guerra e che si suiciderà poco prima della fine del giorno. Riflettendo sul
suicidio di Septimus, Clarissa, reduce da una malattia, delusa, amareggiata,
ritrova proprio nella morte del giovane il senso della vita e della solidarietà,
scegliendo di accettare la vita e ciò che essa implica e di cercare di crearla
comunque e ovunque.
Il secondo capitolo è dedicato all’analisi della temporalità del
romanzo dal punto di vista fenomenologico-esistenziale. Nonostante
l’apparente confusione e indeterminatezza del fluire del tempo nel romanzo,
che si riflette anche in tutto il sistema dei tempi verbali, è possibile
distinguere tre diverse e ben delineate dimensioni temporali.
Da un lato vi è il tempo esteriore della fisica e del positivismo
scandito inesorabilmente dal rintocco del Big Ben; è un tempo
monumentale, storico, è l’ora irrevocabile dello svolgersi cronologico del
tempo. Dall’altro vi è invece il tempo vissuto dei personaggi, quello
interiore, la realtà meno determinata e più fluida della coscienza umana.
Dato che il tempo interiore non rispetta una cronologia rigorosa, a
differenza di quello esteriore, nel romanzo, attraverso i pensieri dei
protagonisti, la narrazione procede avanti e indietro, e il lettore deve riuscire
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a interpretare il loro mondo, seguendone le associazioni mentali, i ricordi, i
desideri e le improvvise prese di coscienza.
La terza dimensione temporale individuabile nel romanzo non è né
soggettiva né oggettiva. E’ un tempo dietro al tempo, un tempo neutro del
ritmo e della pura “vita”, un flusso originario in cui è immersa la coscienza
e in cui si attua il dispiegamento dell’intenzionalità e il costituirsi della
storia. La vecchia signora della casa di fronte, che Clarissa osserva dalla sua
finestra, è l’incarnazione di questo ritmo cosmico, questo movimento
universale del tempo. Nei suoi piccoli gesti ripetuti ogni giorno, nel suo
mostrarsi e nascondersi, nel suo entrare ed uscire dalla scena cogliamo
infatti quel movimento impersonale, fatto di slanci e rovesciamenti, che
costituisce la base stessa della nostra vita.
La parte finale è dedicata all’analisi di Septimus e Clarissa, alla luce
della tesi della psichiatria fenomenologica concernente l’inscindibile
legame tra l’esistenza di un individuo, il suo essere-nel-mondo e il suo
modo di esperire il fluire temporale. Il linguaggio dei due protagonisti rivela
“un tempo vissuto” destrutturato e la conseguente alterazione della loro
presenza. Facendo riferimento alle funzioni trascendentali della presenza ho
cercato di individuare, attraverso l’analisi di alcuni brani del romanzo, dove
queste hanno fallito compromettendo la continuità e l’autenticità
dell’esistenza dei due personaggi.