2
attività normativa e di mediazione tra le parti. Non è tuttavia estranea al
campo delle relazioni industriali anche la contrattazione di tipo
individualistico del rapporto di lavoro, tra singoli lavoratori e imprese, che
anzi sta trovando spazio nelle analisi contemporanee, in rapporto con la
frammentazione e pluralizzazione dell’esperienza lavorativa
3
. Trattamenti
economici e profili professionali, condizioni e organizzazione del lavoro,
orario e tempo di lavoro, diritti e doveri reciproci, modalità di soluzione
delle controversie, in una parola tutto ciò che attiene alla
regolamentazione del rapporto di lavoro, sono le principali materie trattate
nelle relazioni industriali. Come si vedrà, quanto più il rapporto di lavoro è
divenuto difficilmente confinabile entro le mura fisiche del “luogo” di lavoro,
tanto più le materie oggetto di confronto nell’arena delle relazioni
industriali sono venute estendendosi a nuove tematiche, riconducibili alle
politiche sociali, economiche, industriali e persino monetarie, con il
risultato di accrescere ulteriormente la centralità di questa sfera dei
rapporti sociali e il suo ruolo strategico.
Seguendo lo schema fornito dai rappresentanti della “Scuola di
Oxford” le vicende delle relazioni industriali possono essere rappresentate
con un modello input-output, dove nella voce di input il modello
comprende i conflitti, le rivendicazioni, le domande di ogni genere
connesse al rapporto di lavoro dipendente; mentre nella voce output si
ricomprendono le norme, le regole più o meno formalizzate che governano
gli stessi rapporti. Tra i due “poli” operano gli strumenti e le procedure
predisposti dai sistemi di relazioni industriali per la trattazione e la
composizione delle controversie, quali la contrattazione collettiva che
storicamente è stato il metodo principale costruito dalle società industriali
per la creazione di sistemi normativi validi e adatti a mantenere in limiti
socialmente tollerabili le controversie nei rapporti di lavoro. Contrattazione
da intendersi come concetto aperto, non esclusivamente formale,
ricomprendente l’insieme di rapporti negoziali, formali e non, che
intercorrono fra sindacati e imprese in ordine alla regolamentazione del
rapporto di lavoro e che non si esaurisce con la stipulazione del contratto
ma continua nelle fasi di applicazione degli istituti contrattuali.
In questa disciplina centrale è il concetto di “sistema di relazioni
industriali”, introdotto da John Dunlop
4
per riferirsi a quell’insieme di
relazioni che si stabiliscono in una particolare società tra imprenditori,
lavoratori e potere pubblico. Tale concetto può essere altresì utilizzato sia
per cogliere i caratteri evolutivi che, in ogni Paese, e nei diversi settori
dell’economia le relazioni industriali manifestano, sia per individuare quali
soggetti collettivi siano i principali protagonisti. Quale primario indice di
efficacia di un sistema di relazioni industriali si può individuare la riduzione
del conflitto e delle tensioni, nell’arco di un dato periodo di tempo più o
meno lungo ma altrettanto significativa diventa la capacità di estendere la
3
V. F. Alacevich, Le relazioni industriali in Italia , Cultura e strategie, Roma, La
nuova Italia Scientifica, 1996,
4
J. Dunlop, Industrial relations systems, New York, H. Holt and Company, 1958
3
regolazione contrattuale a settori produttivi o a luoghi precedentemente
non disciplinati.
§ 2. Sviluppo dei sistemi di relazioni industriali
Subito dopo l’avvio dell’industrializzazione, con il consolidarsi del
capitalismo in alcuni paesi (quali la Gran Bretagna) inizia ad imporsi un
sistema di fabbrica che si legittima con i principi dell’individualismo
liberale. Il mercato domina le relazioni tra datori di lavoro e lavoratori ed è
ritenuto il meccanismo per eccellenza in grado di assicurare il maggior
benessere possibile a tutti. L’impiego del lavoro nell’industria è facilitato
dal mercato del lavoro costantemente a sfavore dell’offerta e dalle
imponenti correnti migratorie, fenomeni questi che consentono forme
gerarchizzate di sfruttamento. Lo Stato adotta generalmente una politica di
laissez faire non interviene nella sfera dei rapporti di lavoro se non per
consentire formalmente la libera organizzazione degli interessi e al
contempo reprimere ogni forma di conflitto. In questa fase le relazioni
industriali sono contrassegnate dall’enorme squilibrio di potere politico ed
istituzionale fra classi dominanti e classi subordinate. I rapporti di lavoro
sono segnati dalla coercizione, mancano le condizioni per l’esercizio del
potere contrattuale dei lavoratori e la protesta operaia implica costi
drammatici; pare impossibile giungere a risultati consistenti. Tuttavia, la
protesta e il movimento operaio si rafforzano, l’esperienza sindacale si
espande, il conflitto è la regola, ma non mancano momenti di tregua e
conquiste salariali e normative.
Successivamente, grandi eventi quali la guerra mondiale e le crisi
economiche ricorrenti (specie quelle degli anni ‘29-’33), dimostrano che il
sistema capitalistico non è in grado di assicurare spontaneamente equilibri
sociali stabili; da qui l’emergere di nuove importanti teorie (Keynes) a
sostegno degli interventi pubblici che compensino i meccanismi di
mercato. La presenza di un forte tasso di disoccupazione, continua ad
operare a sfavore dei lavoratori, delle loro lotte, delle loro rivendicazioni; a
questo contribuisce anche l’industria, che con l’affermarsi
dell’organizzazione tayloristica dei processi produttivi, richiede forza lavoro
“comune” riducendo il peso degli operai professionalizzati. Tuttavia le
relazioni industriali acquistano in questa fase una più avanzata autonomia
come via privilegiata per il graduale miglioramento delle condizioni
economiche e normative del lavoro salariato.
Durante il secondo dopoguerra, nei paesi che recepiscono i principi
keynesiani si assiste alla scomparsa o quasi della disoccupazione e alla
crescita del benessere generale, si tratta dei paesi governati dai partiti
socialdemocratici e laburisti dove il pieno impiego e la costruzione del
Welfare State diventano gli obiettivi prioritari, in questo clima è favorita
l’esperienza sindacale e la rappresentanza operaia nei luoghi di lavoro. In
Italia, dove lo sviluppo economico non è accompagnato da coerenti
iniziative riformistiche, l’esperienza sindacale si affermerà sensibilmente
4
più tardi, tra gli anni ’60 e ’70. Nei due casi notevole è il salto di qualità
compiuto dalle relazioni industriali, si assiste all’ampliarsi delle norme
riguardanti i criteri di impiego e la remunerazione dei salariati, si affermano
i diritti sindacali e la presenza istituzionalizzata e non delle rappresentanze
operaie in azienda, il conflitto diventa sempre più diffuso e legittimo, non
sempre è promosso dalle organizzazioni sindacali ma può risultare anche
da iniziative spontanee, non ufficiali dei lavoratori e delle loro
rappresentanze nei luoghi di lavoro. E’ con gli anni ’70, in seguito alla crisi
petrolifera che sorgono i maggiori problemi, l’elevato costo del lavoro
costituisce uno dei fattori dell’inflazione, gli elementi di rigidità nell’impiego
del lavoro rendono spesso più difficile la competitività internazionale; tutto
questo, insieme al costo dei trasferimenti sociali, contribuisce a rallentare il
processo di accumulazione e la redditività del capitale. Diversi fattori
danno luogo ad una crisi caratterizzata da stagflazione, ripresa della
disoccupazione, lo Stato interviene direttamente nell’economia senza
cospicui risultati sulla ripresa e sullo sviluppo. Le relazioni industriali
vedono compromessa la possibilità di conservare la loro autonomia, si
concordano o vengono imposti interventi dello Stato. D’altro canto, come
nota Giugni
5
la profondità della crisi costringe il movimento sindacale ad
impiegare la propria capacità di mobilitazione in una strategia che investe
non più solo la controparte imprenditoriale, ma l’intera politica economica
delle forze di governo.
§ 3. I modelli di relazioni industriali
§ 3.1. Il modello pluralista
Ogni sistema di relazioni industriali si fonda su una struttura di
relazioni fra le parti, nei sistemi avanzati la struttura più importante è
quella contrattuale, che può essere definita come la rete relativamente
stabile di rapporti di interdipendenza che intercorrono, in senso orizzontale
fra i diversi soggetti della contrattazione collettiva, occupanti diversi ruoli
socio-economici e in senso verticale all’interno dei soggetti stessi, cioè fra
i livelli delle organizzazioni di rappresentanza degli interessi, padronato e
sindacati. Se la rete di rapporti fra le parti riveste particolare rilevanza,
altrettanto significativi diventano i rapporti entro le parti; ogni atto
negoziale costituisce una ricerca di equilibrio o composizione fra gli
interessi delle parti, ma a loro volta questi interessi sono frutto di
composizioni o scelte di rappresentanza entro i soggetti collettivi, questo è
evidente per i sindacati, ma in qualche modo anche per le organizzazioni
imprenditoriali e per le singole imprese.
In ogni struttura contrattuale, due aspetti, sono particolarmente
importanti : il grado di autonomia e il grado di centralizzazione. Il primo,
identifica l’indipendenza della struttura da fonti di controllo e di regolazione
5
G.Giugni, Il diritto sindacale, Cacucci editore, Bari, 1996
5
esterne al sistema delle relazioni industriali e quali casi estremi si possono
avere strutture fortemente eteronome, controllate da un soggetto esterno,
normalmente lo Stato, e strutture autonome, senza controlli esterni, dove
le eventuali funzioni di controllo e di regolazione sono assolte dalle
relazioni contrattuali tra le parti. Il grado di centralizzazione, identifica
invece il livello negoziale prevalente o dominante ed è correlato
positivamente con il grado di centralizzazione delle organizzazioni di
rappresentanza degli interessi, quali casi estremi possono aversi strutture
fortemente decentrate, nelle quali il livello dominante è quello di impresa e
strutture nelle quali il livello prevalente, spesso con poteri di controllo sui
livelli inferiori, si riferisce all’intero lavoro dipendente
6
.
Poiché i sistemi di relazioni industriali sono essenzialmente forme di
regolazione dell’interazione tra soggetti sociali in diversa posizione nel
mercato del lavoro e nell’ambito del contesto lavorativo, anche nelle
relazioni industriali operano principi e criteri di regolazione delle domande
e delle rivendicazioni, analoghi a quelli operanti nelle diverse forme di
allocazione delle risorse e di regolazione dei rapporti fra economia e
società; ed è il combinarsi di tali criteri che rende possibile l’ordine sociale,
l’integrazione tra le diverse componenti, la distribuzione delle risorse, la
prevenzione e il componimento dei conflitti.
Si possono quindi esaminare le tipologie delle diverse forme assunte
dai modelli di relazioni industriali. Un primo tipo è identificabile nel modello
pluralista, modello che segna fortemente i caratteri originari delle relazioni
industriali, dove il ruolo centrale è svolto dalla regolazione del mercato e lo
strumento di regolazione tipico è la contrattazione collettiva la cui struttura
presenta gradi notevoli di autonomia e scarsa centralizzazione.
Gli assetti pluralisti si affermano nelle società industriali, nel periodo
a cavallo della prima guerra mondiale e si trasformano, in seguito alla
grande crisi degli anni ’30, in modi diversi in ragione della diversa
soluzione adottata dai vari paesi per la fuoriuscita dalla crisi,
trasformazioni queste che riguardano la sfera economica e politica, infatti
si assiste alla fine del mercato fondato sulla concorrenza individuale, al
sorgere dei partiti di massa nella fase di allargamento del suffragio, alla
comparsa di un nuovo ruolo per lo Stato, non più di semplice spettatore
dei conflitti e delle tensioni che attraversano la società civile. Come ha
sottolineato Crouch
7
, la fase storica alla quale corrisponde il modello
pluralista è quella del “collettivismo liberale”, fase che condivide ancora
molti aspetti dell’individualismo di mercato, ma nella quale l’esistenza di
autonome organizzazioni collettive del lavoro dipendente segna una
cruciale differenza con il passato. Il mercato infatti continua a fornire i
criteri di regolazione dei conflitti, ma il suo funzionamento è fortemente
influenzato dalle organizzazioni degli interessi (sia dei sindacati dei
lavoratori, che dalle associazioni imprenditoriali) e dall’inizio dell’intervento
6
G.P.Cella, T. Treu, Relazioni industriali, (voce per un’enciclopedia),op. cit.
7
C.Crouch, Le relazioni industriali nella storia d’Europa, Roma, EDIESSE, 1993
6
pubblico di regolazione dell’economia e delle tensioni sociali. Favoriti dal
diffondersi della produzione di massa, iniziano ad affermarsi i sindacati
industriali che organizzano tutti i lavoratori di uno stesso settore
industriale, al di là delle differenze di qualifica o di mestiere; tali sindacati
diventano l’attore tipico della contrattazione collettiva, strumento questo
utilizzato sia per il riconoscimento delle figure con alte capacità individuali
sul mercato, sia per la difesa e la promozione delle condizioni di lavoro (e
di vita) dei lavoratori con scarse o nulle capacità di mercato; la
contrattazione diventa lo strumento di regolazione pensato soprattutto per
la diffusione di istituti minimi uguali per tutti, non solo per il riconoscimento
di particolari condizioni professionali, si può affermare che la
contrattazione costituisce la struttura portante del pluralismo nelle relazioni
industriali.
All’interno del modello pluralista si collocano tipicamente due modelli
di sindacalismo e di azione sindacale: il business unionism e il competitive
unionism, ambedue di tradizione anglosassone, il primo caratteristico
dell’esperienza nordamericana, ritrova le sue concezioni originarie nella
American Foundation of Labor di Samuel Gompers, anche se alcune
versioni non sono assenti nella esperienza britannica e negli anni recenti
in quella giapponese. Si caratterizza per il privilegio degli obiettivi
economici, agisce in modo pressoché esaustivo attraverso la
contrattazione collettiva, intrattiene solo rapporti occasionali con le forze
politiche e con le istituzioni pubbliche, si fonda in prevalenza sulle strutture
aziendali, nei confronti delle quali è esercitato un coordinamento non
rigido dalle federazioni nazionali. Il sindacalismo competitivo, invece,
identifica soprattutto, l’esperienza sindacale britannica nel corso di questo
secolo; ad esso possono anche ricondursi le esperienze del sindacalismo
scandinavo prima della istituzione dei modelli partecipativi nati dalla
reazione alla grande crisi degli anni ‘60, con obiettivi più ampi della
variante di business, obiettivi che includono riforme basilari di carattere
socioeconomico perseguiti agendo contemporaneamente sui versanti
economici e politici spesso con atteggiamenti altamente conflittuali, con
stretti rapporti, non necessariamente istituzionalizzati, con il sistema
politico e con legami intensi, ma di norma, non di dipendenza, con partiti
politici socialdemocratici. Nel modello pluralista, le due varianti di
sindacalismo si accompagnano a differenti forme e criteri di regolazione
delle rivendicazioni e della conflittualità che trovano il loro elemento
comune nel funzionamento del mercato; non ci si deve sorprendere se le
diverse esperienze di relazioni industriali leggibili attraverso il modello
pluralista presentano elementi di eterogeneità non irrilevanti; questo è
giustificabile considerando da un lato l’ampio arco storico, nel quale, in
molti casi nazionali, è applicabile il modello pluralista, dall’altro il carattere
essenzialmente procedurale del modello stesso, si tratta infatti di un
modello che lascia in una relativa indeterminatezza gli obiettivi e gli
sbocchi delle relazioni industriali, ricercando soprattutto il consenso di
fondo sulle procedure (contrattuali, in primo luogo).
7
Si possono pertanto individuare alcuni caratteri necessari che si
presentano in tutte le esperienze pluraliste; il primo riguarda l’affermarsi
della contrattazione collettiva quale principale strumento di regolazione del
rapporto di lavoro dipendente e di risoluzione della controversie.
Nell’esperienza italiana il livello negoziale dominante è quello di industria,
nell’esperienza nordamericana quello di impresa o di fabbrica, mentre in
Gran Bretagna stenta ad imporsi un qualunque livello dominante. Il
secondo carattere riguarda quella che può definirsi come la molteplicità
delle forme della struttura rappresentativa sindacale, assistiamo infatti
all’affermarsi del modello pluralista quando accanto ai sindacati di
mestiere sorgono, in opposizione o in alternativa ad essi, forme di
sindacati generali o di sindacati industriali, è quest’ultimo il soggetto
sindacale tipico del modello pluralista; un altro aspetto di particolare
rilevanza all’interno di questo modello è la nascita di movimenti sindacali
capaci di muoversi con la logica del grande gruppo organizzato. In
collegamento a questa trasformazione della rappresentanza vi è il
raggiungimento di un tasso di sindacalizzazione medio-alto, in genere, o
almeno nei settori particolari o nei luoghi di lavoro dove il sindacato è
presente ed esercita attività contrattuale. Si può affermare quindi che per il
prevalere del modello pluralista due sono gli elementi necessari: la
diffusione della produzione di massa e l’esplicarsi di un ruolo non
repressivo e non espropriatore delle autonomie negoziali da parte dello
Stato e di tutte le pubbliche istituzioni.
§ 3.2. Il modello statalista
In alternativa ai modelli pluralistici e talvolta in seguito alla crisi di
questi, hanno origine relazioni industriali di tipo statalistico dove prevale
nettamente la regolazione autoritativa e riveste un ruolo centrale lo Stato.
Nonostante la presenza delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di
lavoro, si riscontra la loro forte dipendenza dal potere politico centrale, per
essere di sua emanazione diretta o indiretta per il tramite del partito
politico che acquista un potere egemonico. Si tratta di organismi unitari,
altamente centralizzati e direttamente controllati, che generalmente
prevedono l’associazione obbligatoria, quali ad esempio le “corporazioni”
costituite in molti regimi autoritari tra le due guerre. Organizzazione
sindacale e contrattazione collettiva sono, in questo modello, tipicamente
accentrate e controllate in modo rigoroso per via gerarchica anche ai livelli
decentrati. La gerarchia ed il controllo centralizzato sulle varie componenti
del sistema sono complementari alla mancanza di autonomia del sistema
all’esterno e sono necessari per realizzarne pienamente l’unità e l’ordine;
elementi questi che implicano la rigorosa limitazione fino alla soppressione
del conflitto industriale e richiedono che la composizione delle controversie
avvenga in forme alternative al conflitto: dall’arbitrato obbligatorio,
all’intervento amministrativo e/o legislativo. L’intero sistema di relazioni
industriali presenta un alto grado di istituzionalizzazione, realizzata tramite
norme specifiche di origine legislativa e amministrativa, cui si aggiungono
spesso le norme prodotte dalla stessa contrattazione collettiva.