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del commercio estero e i costi dei fattori per potenziali investimenti, ma è anche un
indicatore della reputazione internazionale di un paese perché fornisce un giudizio
conciso delle sue condizioni economiche, politiche e finanziarie.
Altri importanti aspetti dei country risk ratings sono, in primo luogo, il loro
impatto sul costo assicurativo della merce esportata e sull'esecuzione del lavoro
all’estero in relazione ai rischi politici e commerciali degli investimenti stranieri, e,
in secondo luogo, il loro effetto sulle quotazioni dei titoli sulle borse internazionali.
Infatti, l’attività di credito e d'investimento internazionale comporta rischi finanziari
con caratteristiche proprie in quanto l’attività cross-border risente, in particolare,
delle implicazioni derivanti dall’esistenza di poteri sovrani e di regimi legali diversi,
dalle quali nasce la possibilità che diritti derivanti da crediti o discendenti da
proprietà o partecipazioni non possano essere esercitati totalmente. È ovvio che più
un paese è considerato finanziariamente sicuro, più esso sarà capace di attrarre
investimenti stranieri, con conseguente miglioramento della propria economia.
L’utilizzo sistematico di modelli d'analisi del rischio paese è cosa abbastanza
recente, dal momento che le grandi banche internazionali hanno deciso di ricorrere a
questo strumento solo dopo aver subito grosse perdite a causa della loro avventatezza
nella concessione di crediti. Già a partire dagli anni settanta le banche internazionali
si sono inserite come intermediari tra paesi eccedentari e paesi deficitari di fondi,
sostituendosi, di fatto, agli organismi sovranazionali che si occupavano di finanziare
i paesi in via di sviluppo, come il Fondo monetario internazionale e la Banca
mondiale.
La comparsa della finanza privata ha evitato il collassamento dell’economia
mondiale in seguito agli shock petroliferi perché ha reso possibile il collegamento tra
centri di formazione e centri d'impiego dei fondi, ma ha avuto anche degli svantaggi
perché le banche internazionali, completamente orientate al profitto e all’espansione
dei propri bilanci, hanno assecondato qualunque richiesta dei paesi in via di sviluppo,
senza chiedersi quali rischi si stavano assumendo. Tali rischi si concretavano sia
nella trasformazione delle scadenze derivante dal passaggio dalla raccolta a breve
termine ad impieghi a lungo termine, sia nel grado di solvibilità del debitore. Quando
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le banche capirono che i prestiti emessi erano inesigibili ed irrecuperabili, adottarono
dei criteri d'assunzione dei rischi precisi, dei sistemi di monitoraggio dei rischi
assunti continui e soprattutto intrapresero l’analisi del rischio paese.
Con la crisi debitoria del 1982, le banche italiane hanno modificato il loro
atteggiamento nei confronti del rischio paese, che tendevano a far coincidere con il
rischio commerciale poiché ritenevano infallibili i paesi (in base al principio del too
big to fail). In effetti, i paesi, per quanto indebitati essi siano, non falliscono, però le
conseguenze della loro insolvenza verso creditori pubblici e privati si sono
dimostrate assimilabili a quelle di un fallimento vero e proprio. Benché l’esposizione
delle banche italiane fosse notevolmente inferiore a quella delle banche
internazionali estere, grazie alla vigilanza della Banca d’Italia sulle attività
internazionali, anch'esse hanno ampliato il monitoraggio su tutti quegli elementi che
possono influire sulla capacità del paese del debitore di consentire l’adempimento
delle proprie obbligazioni.
La valutazione del rischio paese per le banche è sempre più importante perché ha
effetti sulle politiche degli accantonamenti, sull’allocazione delle linee di credito e
sulle condizioni da applicare alla clientela per le operazioni rischiose.
Benché l’apertura di credito non riguardi solo gli istituti di credito, ma anche le
imprese industriali, queste ultime, nonostante a volte siano esposte in misura
superiore rispetto alle banche al rischio d'insolvenza, si dimostrano particolarmente
lente nello sviluppo di nuove procedure d'assegnazione del credito. Ancora oggi
molte imprese non hanno una struttura dedicata direttamente alla gestione del credito
e basano le loro decisioni sugli affidamenti commerciali sul patrimonio personale
dell'affidato, sui suoi comportamenti passati, sulla fiducia, non prendendo in
considerazione il motto degli analisti finanziari anglosassoni, per i quali la
performance passata non è d'alcuna garanzia per il futuro.
Conseguentemente questo lavoro illustrerà le principali metodologie d'analisi del
rischio paese oggi a disposizione di tutti gli operatori operanti sui mercati
internazionali, considerando sia gli aspetti teorici sia le procedure d'elaborazione
delle classifiche dei paesi, esponendo i metodi d'analisi del rischio paese da parte
7
delle maggiori agenzie di rating e dalle riviste finanziarie internazionali più
accreditate. Inoltre si tratterà dello studio del rischio paese in Italia, considerando la
normativa comunitaria in materia di disciplina bancaria del rischio paese e la
regolamentazione SACE (Società Assicurativa Crediti all’Export) in materia. Fin da
ora si precisa che l'esposizione delle tecniche di analisi delle agenzie e delle riviste
specializzate non può considerarsi esaustiva, ma si limita a presentare l'argomento
per quanto reso possibile dalla scarsezza di informazioni al riguardo e dalla
segretezza che avvolge tale tipo di analisi.
La seconda parte del lavoro ha carattere sperimentale ed illustra l'analisi del
rischio paese attraverso l'applicazione delle reti neurali, tecnica di analisi
relativamente recente che si pone come alternativa ai tradizionali strumenti statistici e
che trova sempre più ampia applicazione in campo economico - finanziario.
Essendosi spinti in un campo nuovo per tecnica utilizzata e relativamente
sconosciuto per campo di applicazione, si avverte fin da ora che i risultati di tale
lavoro, pur apprezzabili, devono essere considerati con cautela, a causa dei limiti
incontrati nello svolgimento e di cui si tratterà in seguito.
Nella terza parte del lavoro, invece, sarà presentato lo studio del rischio paese
applicato ai paesi dell’Europa orientale, descrivendo in particolare la loro evoluzione
da paesi ad economia pianificata a paesi ad economia di mercato, sempre più
competitivi ed in grado di influenzare la situazione economico-finanziaria mondiale.
La loro presenza sui mercati internazionali richiede un'analisi puntuale ed
aggiornata della situazione politica, economica e sociale interna per essere in grado
di prevedere variazioni nella capacità di questi paesi di servire puntualmente le
obbligazioni estere da essi contratte.
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PARTE I: ASPETTI TEORICI
Cap.1. DEFINIZIONE E MANIFESTAZIONI DEL RISCHIO PAESE
1.1.Definizione ed elementi del rischio paese
Il concetto di rischio paese è talmente ampio che gli analisti hanno avuto non
poche difficoltà nel riassumerlo in una definizione che fosse in grado di esprimere
tutte le sue manifestazioni e tutte le sue caratteristiche.
Una delle prime definizioni è quella elaborata da Pancras J. Nagy 1, secondo il
quale il rischio paese è l'esposizione ad una perdita su finanziamenti concessi oltre
confine, causata da eventi in un determinato paese. Questi eventi devono essere,
almeno in una certa misura, sotto il controllo del governo di quel paese e non sotto i1
controllo di un'impresa privata o di una singola persona.
Il limite di questa definizione è che prende in considerazione solo il rischio di
«perdite su finanziamenti», ma, ad esempio, non considera il rischio di mancato
pagamento di proprie forniture, più forte in un paese piuttosto che in un altro in
relazione alla diversa propensione alla disonestà degli individui, e neanche il rischio
di cambio, che è sotto il controllo del governo del paese debitore, ma che può essere
collegato solo teoricamente al finanziamento.
Una seconda definizione è quella di Giovanni Cucinotta2, secondo il quale il
rischio paese è la probabilità di perdita su prestiti concessi ad operatori privati o
pubblici, causata da eventi che sono solo parzialmente sotto il controllo delle autorità
governative. Questa definizione non solo riconosce che il debitore può anche essere
privato, ma ha il merito di introdurre la distinzione tra rischio politico e rischio paese,
che troppo spesso si tendono a far coincidere. Anch'essa però è soggetta alla critica
della limitazione del rischio alla sola perdita sui prestiti.
Una definizione che esplicitamente prevede anche il rischio di cambio è quella
fornita da M.E. Sehnert, per il quale il rischio paese è quello inerente a finanziamenti
1
Economista canadese di origine ungherese, autore di alcuni testi in materia e consulente di banche ed
organismi finanziari internazionali
2
«L'analisi del rischio paese nell'attività bancaria internazionale»
9
concessi a stranieri in una moneta diversa da quella propria del debitore, ed è sia
economico sia politico, cioè dipende sia dalla volontà pubblica sia da quella dei
privati (tranne per i paesi ad economia esclusivamente pubblica). Il rischio paese
insomma non riguarda solo i prestiti, ma riguarda in genere tutte le transazioni con
l’estero.
Sintetizzando le definizioni viste sopra si può affermare che il rischio paese
(country risk) è il rischio, inteso come perdita, danno o maggior costo, cui ci si
espone, in un’attività commerciale o finanziaria oltre frontiera per effetto d'eventi di
natura politica, economica e sociale, che si verifichino in un paese straniero e che
siano in qualche misura dipendenti dalla volontà delle autorità di quel paese, ma non
da quella dei privati, perché in questo caso si tratterebbe di rischio commerciale. Di
conseguenza la controparte estera debitrice potrebbe diventare oggettivamente
inadempiente, pur essendo potenzialmente solvibile, in dipendenza del grado di
probabilità che esista l’incapacità o la volontà delle autorità estere di servire il debito
estero.
La capacità di pagare i debiti esteri è direttamente legata alla bilancia dei
pagamenti di un paese perché i problemi nascono quando i pagamenti internazionali
non possono essere saldati senza grossi cambiamenti nel livello delle importazioni o
nel servizio del debito, ad esempio in presenza di una brusca diminuzione delle
esportazioni a causa di una recessione mondiale oppure di pagamenti per il servizio
del debito eccessivi a causa di tassi d'interesse troppo alti.
Quando invece un governo decide di non adempiere le proprie obbligazioni, pur
avendone la capacità, esso compie un'attenta valutazione dei costi e dei benefici
derivanti da questo suo comportamento. Dalla moratoria seguente la decisione di non
adempiere le obbligazioni o di cambiare unilateralmente i termini del debito, un
governo ottiene principalmente due vantaggi. Il primo è un guadagno di flussi
finanziari netti, perché durante la moratoria non si fanno pagamenti e si ottengono
livelli più alti d'importazioni, con uno standard di vita migliore e una crescita
economica più veloce. Da tutto ciò nasce il secondo vantaggio, cioè l’innegabile
aumento di popolarità, dal momento che spesso la spinta al mancato servizio del
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debito si ritrova in ragioni ideologiche o nazionalistiche, più che economiche. Questi
benefici devono essere confrontati con i costi derivanti da quest'atteggiamento,
consistenti nella difficoltà di ottenere finanziamenti commerciali, che dovrebbero
essere sostituti dal baratto e dal pagamento in contanti, nel rischio di incorrere
nell’isolamento diplomatico a causa delle pressioni esercitabili dai governi dei paesi
d'appartenenza dei creditori e, soprattutto, nella creazione di un atteggiamento di
sfiducia da parte della comunità internazionale che si ripercuote sulle decisioni
d'eventuali nuovi investimenti diretti.
I principali eventi che possono concorrere alla nascita del rischio paese
s'individuano in eventi politici, comprendendo in questa categoria sia fenomeni come
guerre, scioperi e colpi di stato, sia misure legislative che comportino confische o
nazionalizzazioni, sia infine blocchi valutari governativi; eventi economici, dalla
diminuzione del PIL all’aumento dei prezzi delle importazioni a causa di una
svalutazione della valuta locale; eventi sociali, come guerre civili o divisioni
religiose; eventi naturali, quando essi sono talmente ricorrenti da poter essere
considerati prevedibili da parte delle autorità.
Questa definizione, che è quella generalmente accettata nella letteratura
economica più recente, riconduce il rischio paese nell’ambito della categoria dei
rischi di credito, cioè del rischio che una controparte di una transazione non rispetti le
obbligazioni contrattuali, causando perdite al possessore del credito. La differenza tra
la semplice possibilità d'insolvenza e il rischio paese consiste peraltro nel carattere
internazionale delle obbligazioni cui si riferisce, perciò il rischio paese può essere
considerato un'estensione del rischio di credito.
Dal punto di vista teorico, il problema del rischio paese s'inquadra nella teoria del
debito estero e può ricondursi ai modelli del razionamento del credito, della
sostenibilità del debito e del ripudio del debito.
Seguendo l’approccio del razionamento del debito, le componenti fondamentali
del rischio paese sono il comportamento e le decisioni dei creditori, che attribuiscono
e limitano il credito valutando la rischiosità assoluta e relativa dei potenziali debitori,
11
sulla base della loro capacità e volontà attesa di remunerare e rimborsare i capitali
ricevuti.
Il costo del credito non cresce indefinitamente, lasciando libero accesso al mercato
a qualsiasi debitore, ma esiste un certo livello di rischio oltre il quale il creditore non
presta più, perché qualsiasi incremento d'interesse applicato al debitore marginale
non solo non coprirà il rischio d'insolvenza, ma la renderà progressivamente più
probabile. Questo livello limite è individuato sulla base di valutazioni effettuate dai
prestatori considerando tutte le informazioni disponibili per determinare il valore
attuale dei flussi attesi d'interessi, commissioni, dividendi, profitti e capitale che
derivano dall’esposizione verso un particolare paese.
Se le informazioni sono complete e corrette e i prestatori sono operatori razionali,
il razionamento del credito scatta tempestivamente e adeguatamente evitando che un
credito eccessivo rispetto alle potenzialità di rimborso del debitore ponga le premesse
per situazioni d'insolvenza. Poiché nella realtà queste condizioni ideali non
sussistono, è molto probabile che si creino fenomeni di panico generale tra gli
investitori o di contagio tra i debitori che danno luogo a processi di razionamento
ritardati rispetto al limite di solvibilità.
A livello internazionale, l’approccio del razionamento del debito individua le
origini dell’insolvenza dei paesi debitori nel verificarsi di situazioni d'eccesso di
domanda di fondi sui mercati internazionali dei capitali: i paesi richiedenti fondi sono
selezionati in base al tasso d'interesse che essi sono disposti a pagare sui prestiti
perché più è alto il costo del denaro, maggiore è il rischio d'insolvenza. Poiché il
rendimento atteso dipende non solo dal tasso d'interesse, ma anche dalla probabilità
di restituzione, esso non crescerà indefinitamente di pari passo con l’interesse, ma
decrescerà quando la crescita del rischio sarà superiore a quella del tasso d'interesse.
Di conseguenza l’equilibrio tra domanda e offerta di fondi sui mercati internazionali
non è garantito da una crescita del tasso d'interesse e, oltre certi livelli di rischio, si
alimenta il fenomeno della riallocazione del credito e si creano eccessi di domanda,
che producono crisi di liquidità e di solvibilità.
12
Il modello della sostenibilità del debito analizza l’origine e le funzioni del debito
estero, assumendo che il paese debitore voglia sempre adempiere le proprie
obbligazioni. Il debito estero di un paese è espresso dalla differenza tra risparmio ed
investimenti interni (saldo corrente della bilancia dei pagamenti), al cui aumentare si
cumulano gli interessi, forzando il paese a raccogliere maggiori prestiti per
mantenere un afflusso d'importazioni stabile oppure ad accettare una riduzione della
crescita del paese, il cui sviluppo dipende dal debito e dal reddito. La crescita del
reddito dipende, infatti, dal capitale presente, quindi anche quello estero, e proprio
tale crescita permette di ridurre il gap esistente tra investimenti e risparmio interni,
cioè permette al paese d'essere solvibile.
Condizione necessaria e sufficiente affinché un paese sia solvibile nel lungo
periodo è che il suo tasso di crescita sia superiore al tasso d'interesse da pagare sul
debito, cioè che il paese realizzi investimenti con elevato tasso di profitto in modo
che il reinvestimento di questi utili sia altrettanto elevato e il prodotto cresca
rapidamente, rafforzando la bilancia dei pagamenti. In assenza di questa condizione
si realizza un circolo vizioso in base al quale il paese dovrebbe contrarre nuovi
prestiti esteri solo per pagare gli interessi.
La solvibilità di lungo periodo non esclude che il paese possa trovarsi ad
affrontare temporanee crisi di liquidità derivanti dall'impossibilità di convertire
proprie risorse in mezzi di pagamento, quindi l’ammontare massimo di debito
compatibile con il vincolo di liquidità potrebbe essere inferiore a quello coerente con
la solvibilità di lungo periodo.
Il modello del ripudio del debito ipotizza che il debitore possa non voler
adempiere la propria obbligazione e che i suoi comportamenti in proposito nascano
dal confronto tra i costi (penalities applicate dal creditore) e i benefici (risparmio di
capitale e d'interessi) connessi all’eventuale inadempienza. Il debito viene quindi
onorato solo se l’utilità relativa all’adempimento delle obbligazioni è maggiore a
quella derivante dal default.
In conclusione i fattori che possono incidere sulla rischiosità di un paese sono le
scelte e i comportamenti del debitore, gli indirizzi e le decisioni dei prestatori di
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fondi, l’evoluzione delle variabili economiche di fondo. Mentre la teoria presenta
separatamente queste tre categorie di fattori, nella realtà essi interagiscono in varie
combinazioni e perciò devono essere considerati simultaneamente nella valutazione
del rischio paese.
L’analisi del rischio paese, in sintesi, implica tre livelli d'indagine, cioè l’aspetto
politico, l’aspetto economico e il sistema bancario. Considerando l’aspetto politico si
mira a valutare il regime politico sotto il profilo della stabilità governativa,
dell’esistenza di pluralità o meno di partiti, della vastità del consenso di cui gode il
partito al governo, dell’esistenza di provvedimenti d'embargo o d'altre sanzioni ONU.
Un esempio storico di rischio politico è il timore presente in alcuni paesi (Est
Europa, Cina) di vedere congelati i propri dollari giacenti presso le banche
statunitensi che facilitò la nascita degli Eurodollari, cioè di dollari posseduti da
individui ed istituzioni al di fuori degli Stati Uniti.
Si passa quindi alla considerazione dell’equilibrio economico interno ed esterno,
focalizzando la propria attenzione non solo sul PIL, la cui variazione è l’indice
sintetico per eccellenza della performance di un paese e delle politiche adottate, ma
che non costituisce una misura perfetta del benessere della nazione. Vengono poi
considerate la Bilancia dei Pagamenti, per avere un'immagine delle transazioni
avvenute tra una particolare nazione e il resto del mondo, e il livello di riserve
ufficiali, che rappresentano le disponibilità finanziarie verso l’estero, cioè le attività e
le passività sotto il controllo della banca centrale. All’interno della Bilancia dei
Pagamenti bisogna prestare particolare attenzione al saldo delle partite correnti,
perché se esso è positivo vuol dire che l’economia ha venduto più beni e servizi e
ricevuto maggiori trasferimenti di quanti ne abbia acquistati o versati al resto del
mondo, mentre se è negativo vuol dire che l’economia sta aumentando le proprie
passività e necessita di un maggiore indebitamento estero.
Infine le caratteristiche del rischio paese si riflettono anche sul sistema della
normativa bancaria, dei controlli sulle banche e sull’ampiezza della presenza del
settore pubblico nel sistema bancario. Fondamentale è l’indipendenza della banca
centrale dal potere politico, visto come requisito essenziale affinché la banca stessa
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possa conseguire i propri obiettivi (ad esempio la stabilità dei prezzi) con piena
libertà di scelta tra gli strumenti disponibili. Per paesi in via di sviluppo e per i paesi
emergenti è molto difficile ottenere queste informazioni, dato che esiste spesso
un'indipendenza formale alla quale non corrisponde quella effettiva.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che il grado di rischio associato a ciascuno Stato
dipende anche da fattori demografici, dalla qualità del mercato con relativi soggetti
produttivi, dalla coesione sociale che mantiene basse le lotte sociali, e dalla capacità
della pubblica amministrazione di impiegare al meglio le risorse disponibili.
15
1.2. Manifestazioni concrete del rischio paese
La manifestazione del rischio paese consiste nello stato d'insolvenza, che può
assumere diverse forme:
1) Il creditore non paga il debito verso la banca perché non può o non vuole pagare
(default) oppure perché non riconosce il debito (repudiation). In questi casi la
perdita per la banca è pari alle rate del capitale non restituito aumentate degli
interessi. I paesi che assumono questo atteggiamento cancellano i propri debiti
pregressi, ma nello stesso tempo eliminano ogni possibilità d'ulteriori concessioni
di credito futuro, perciò questo tipo di manifestazione del rischio paese è molto
raro.
2) Il finanziatore riceve pagamenti inferiori a quanto era stato originariamente
pattuito perché vengono abbassati i tassi d'interesse oppure non viene restituita
parte del capitale (rinegoziazione). La perdita è pari alla differenza tra gli introiti
effettuati e quelli programmati.
3) Ristrutturazione del debito, che può assumere la forma di rifinanziamento
(refinancing) oppure di riscadenzamento (rescheduling). Il rifinanziamento è
l’erogazione da parte delle banche di un prestito d'importo pari al debito in
scadenza, di solito a condizioni più onerose di quelle originarie per compensare le
banche del maggior impegno. Il riscadenzamento consiste in un prolungamento
delle scadenze, connesso alla diminuzione delle rate d'ammortamento oppure ad
un periodo di sospensione dei rimborsi. In questi casi la perdita è difficile da
quantificare perché il costo opportunità connesso alla perdita d'eventuali migliori
occasioni d'impiego dei fondi immobilizzati non è valutabile, ma generalmente le
perdite si sostanziano in un valore attuale del credito minore di quello originario.
4) Il debitore ha una temporanea impossibilità di far fronte ai pagamenti oppure
questi vengono eseguiti in ritardo (insolvenza tecnica). Può essere previsto il
pagamento di una penale, calcolata sugli interessi da corrispondere.
5) Il governo impone delle restrizioni tali da rendere impossibile il materiale
trasferimento del denaro all’istituzione creditizia che ha concesso il prestito
16
(transfer risk). Questo è un fenomeno che può riguardare solo enti ed imprese
private perché la mancanza di valuta sufficiente da parte di uno Stato rientra in
uno dei casi precedenti.
Nelle attuali condizioni di crescente trasferibilità e negoziabilità dei crediti, un
aumento o una diminuzione del rischio paese tende ad esercitare effetti rilevanti sul
valore delle esposizioni prima ancora di qualsiasi manifestazione concreta
d'insolvenza, attraverso il deprezzamento o la rivalutazione del portafoglio crediti
sulla base delle quotazioni di mercato.
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Cap2.METODOLOGIE D'ANALISI
2.1.Tratti generali
L’analisi del rischio paese è particolarmente difficile per due motivi principali. Il
primo è la mancanza di una teoria che stabilisca univocamente le variabili da
considerare in questo tipo d'analisi, il secondo è la difficoltà di formalizzare
matematicamente la relazione esistente tra i diversi indicatori di una crisi finanziaria
di un paese.
L’obiettivo degli analisti del rischio paese è quello di dare a tutti gli interessati
uno strumento in grado di fornire, in modo abbastanza preciso, indicazioni sulla
opportunità di concedere o rifiutare nuovi prestiti, di modificare i limiti di fido già
concessi, di intraprendere o meno degli investimenti nei paesi in esame.
Le variabili utilizzate cambiano al variare dei fini della analisi, quindi per
esprimere un giudizio politico o amministrativo si usano prevalentemente delle
variabili qualitative, mentre per conoscere lo stato reale dell’economia si ricorre alle
variabili quantitative, che sono informazioni statistiche relative alla posizione
economica e finanziaria, interna e internazionale, dei singoli paesi. La principale
differenza tra queste due categorie di variabili consiste nel fatto che, mentre le prime
sono espresse da giudizi o descrizioni al limite riassunti in una parola, le seconde
sono sempre espresse da numeri. Da questa differenza discendono pregi e difetti che
è opportuno valutare prima di intraprendere l’analisi vera e propria.
Le variabili qualitative presentano essenzialmente due vantaggi, cioè
l’indipendenza da confronti con altre variabili appartenenti a paesi diversi e la
flessibilità, però in contropartita forniscono una valutazione estremamente
soggettiva, difficilmente confrontabile con i risultati di altri paesi nel caso si debba
fare una scelta e di difficile aggiornamento. Al contrario le variabili quantitative
permettono di fare dei confronti oggettivi, ma spesso i dati disponibili non sono
omogenei tra loro e ciò rende inattendibile qualunque confronto. Inoltre non tutti gli
eventi sono prevedibili statisticamente e questo rende l’analisi quantitativa più adatta
a spiegare perché si sono verificati certi eventi e non a fare delle previsioni sul futuro.
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Le variabili qualitative più usate sono la popolazione (esistenza o meno di diverse
razze, lingue e religioni, tasso di incremento demografico); il territorio (da esso
dipende l'indipendenza alimentare, la facilità di comunicazioni, l’entità dei
fabbisogni energetici, la stabilità politica); le risorse naturali e le infrastrutture civili;
la situazione politica e sociale; la politica economica; l’atteggiamento del mercato
finanziario.
Le principali variabili quantitative solitamente usate sono il prodotto nazionale
lordo (variazione % annua), il prodotto interno lordo (variazione % annua) gli
investimenti, il tasso di inflazione, il reddito pro capite in USA$, le importazioni
(totale annuo e variazioni %), le esportazioni (totale annuo e variazioni %), la
bilancia dei pagamenti, le riserve valutarie, il debito con l’estero e indici vari di
affidabilità
Valutati opportunamente pregi e difetti di ciascuna categoria, è necessario
accorpare le variabili scelte per ottenere degli indici significativi, consistenti nel
rapporto tra due o più variabili oppure nella somma o sottrazione di più variabili. I
principali indici rientrano essenzialmente in tre categorie, cioè gli indici finanziari,
economici e composti.
Gli indici finanziari (debt ratios) forniscono un’analisi del debito del paese in
esame che permette di identificare l’indebitamento estero pubblico e privato e di
classificarlo in base alla scadenza, ai tassi praticati, al periodo di ammortamento e ai
tassi di rinnovo del prestito. Queste variabili vengono poi confrontate con i flussi
monetari in entrata, derivanti principalmente dalle esportazioni e da tutte le forme di
credito che il paese è in grado di ottenere. L’ipotesi alla base dell’utilizzo di questi
indici è che la gestione del debito estero da parte del contraente debitore è una prova
significativa di future insolvenze o di rinegoziazioni di prestiti.
Gli indici economici sono il necessario complemento dei precedenti perché le
variabili reali determinano la situazione economica di un paese dalla quale potranno
nascere crisi finanziarie.