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Introduzione .
In questo elaborato, partendo dalle premesse teoriche e stilistiche riguardanti il
concetto di linguaggio politico come mezzo di persuasione, propongo il
commento in chiave retorica, e soprattutto linguistica, dei discorsi di
insediamento pronunciati alla Casa Bianca da quattro presidenti americani:
George W. H. Bush (Presidente degli Stati Uniti d'America dal 1989 al 1993),
Bill Clinton (in carica dal 1993 al 2001), George W. Bush (in carica dal 2001 al
2009) e, infine, Barack Obama (attuale Presidente degli Stati Uniti
D’America); nel caso di Bill Clinton e George W. Bush si analizzeranno
entrambi i discorsi presidenziali pronunciati per il loro duplice mandato.
Obiettivo del lavoro è quindi la discussione di un tipo particolare di discorso
politico in lingua inglese, il discorso inaugurale del Presidente degli Stati Uniti
d’America.
Il discorso inaugurale è il primo discorso alla nazione che il Presidente
americano pronuncia dopo il giuramento nel corso di una cerimonia solenne
che celebra il suo insediamento a capo dell’esecutivo.
Esso rappresenta un discorso scritto da più persone ed è inoltre un testo scritto
per essere letto, quindi anche se viene riprodotto in forma scritta e trasmesso
tramite la stampa internazionale, è un testo la cui importanza comunicativa e
l’efficacia retorica sono da rintracciarsi anche in elementi quali l’immagine del
Presidente, la postura, l’enfasi sulla lettura, il tono, il timbro della voce ecc.
L'analisi del livello lessicale, morfosintattico e logico - retorico di questi
discorsi permetterà di rintracciare degli indicatori linguistici specifici di vari
atteggiamenti e fenomeni comunicativi, così da poterne cogliere la funzione e
gli scopi.
Il primo capitolo riguarderà l'individuazione delle diverse tipologie e
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caratteristiche del linguaggio politico e si soffermerà sulle sue peculiarità e
sull'importanza che esso assume come strumento di persuasione.
Il connubio e la connivenza tra parola e potere hanno origini molto remote. A
questo proposito, cercherò di offrire una panoramica storica, seppur breve,
dell'importanza della pratica retorica adottata dai sofisti, veri e propri
professionisti nell'uso della parola in ambito politico a scopo persuasivo.
La capacità persuasiva della retorica ha inoltre soddisfatto nel tempo i bisogni
di aggregazione dei soggetti politici, che, a loro volta, traendo nuova forza dai
risultati, hanno potuto esercitare sempre più fermamente il loro potere sulla
parola.
In questo contesto, risultano particolarmente interessanti le posizioni di
Foucault, secondo cui la realtà è plasmata dal potere, e questo potere opera
tramite determinate procedure linguistiche, che generano l'ordine del discorso.
Per Barthes è, invece, la stessa facoltà del linguaggio ad assumere valenze
politiche. Egli osserva, infatti, come la lingua non è né reazionaria né
progressista, ma semplicemente fascista; il fascismo che rappresenta non ha la
facoltà di impedire a dire ma quella di obbligare a dire.
Nel secondo capitolo proporrò un'analisi dei vari modelli di comunicazione
politica, facendo attenzione al processo di mediatizzazione che si è sviluppato
negli ultimi anni. Il linguaggio politico ha, infatti, conosciuto nel tempo un
notevole cambiamento, incentrato soprattutto sull'attivazione del canale
mediatico che ha permesso di inviare ai cittadini ed elettori un gran numero di
comunicazioni.
L'impiego massiccio dell'organo televisivo ha in effetti modificato la forma del
linguaggio politico, con un inserimento costante di immagini e una drastica
7
abbreviazione delle frasi. Si è giunti, per questo motivo, all'ammissione che i
fenomeni politici vanno conosciuti anche nella loro dimensione linguistica.
Il terzo capitolo riguarderà, invece, l’analisi del linguaggio politico nel
panorama americano, facendo attenzione alle caratteristiche peculiari
dell’Inauguration Day. Si offrirà altresì uno sguardo storico sul ventennio che
ha accompagnato i presidenti da me analizzati per meglio comprenderne il
contesto storico e sociale di riferimento.
Il quarto e ultimo capitolo si soffermerà sull’argomento centrale della mia tesi,
ovvero la comparazione stilistico - retorica tra i discorsi di insediamento alla
Casa Bianca pronunciati rispettivamente dai vari presidenti. Oltre a una
panoramica sulla situazione socio - politica americana degli ultimi anni, la mia
analisi procederà analizzando i discorsi da un punto di vista quantitativo e
qualitativo, soffermandosi su personaggi e soggetti, persone plurali, tempi
verbali, verbi modali, e l'alternanza tra forme esclusive e inclusive.
L'analisi dei discorsi sarà poi volta a mettere in risalto varie tecniche
linguistiche e oratorie, come metafore, antitesi, ripetizioni, sound-bites e list of
three.
In quest'ultimo capitolo, a partire dall'analisi stilistica e retorica dei discorsi,
cercherò di tracciare l'evoluzione linguistica dei leader.
La metodologia di indagine sarà composta da un’analisi critica del genere, e
un’analisi più specifica attuata tramite il software di ricerca Wordsmith tool,
sviluppato da Mike Scott per la IBM e compatibili, e Wordle.
Il primo software è in grado di elaborare liste di frequenza1 di parole e
concordanze2, cioè elenchi dei contesti di occorrenza delle parole selezionate.
Tramite questo tipo di analisi si è venuta a creare la possibilità di utilizzare
1
Una lista di frequenza è un elenco ordinato di parole (tipo Word) con le loro frequenze.
2
Per concordanze si intende una lista di parole utilizzate in un corpo di lavoro.
8
delle liste lessicali per mettere così in risalto l’importanza del termine
selezionato e vedere come e quante volte esso venga utilizzato all’interno di
ogni discorso.
Il secondo software permette invece di creare degli schemi a nuvola in grado di
offrire una panoramica grafica sulle parole più ripetute interpretando così i
momenti più importanti della storia del Paese.
Per quanto riguarda il materiale raccolto, è stato reperito in copia cartacea o
tramite l’ausilio di Internet, digitato manualmente e poi salvato in formato
Word anche per renderlo analizzabile tramite i software sopra riportati.
9
Capitolo 1
Il linguaggio politico
10
Capitolo 1
1.1 Lo studio del linguaggio politico.
L’interesse per lo studio del linguaggio politico si sviluppa a partire dai primi
anni del Novecento, quando si incomincia a intuire l’importanza delle parole in
politica. La parola è, infatti, una forma di potere; di conseguenza ogni
interazione linguistica comporta l’esercizio di questo potere che ne allarga
l’ambito di applicazione. Perciò, ogni forma di discorso potrebbe essere
considerata come una manifestazione politica. Ciò implica un discorso politico
inteso come un qualcosa che riguarda l’organizzazione del potere e ne allarga a
dismisura l’ambito di applicazione3.
Il forte utilizzo di questo tipo di linguaggio ha subito inoltre una messa in
risalto ancora più evidente grazie all’avvento dei mezzi di comunicazione di
massa e grazie al forte sviluppo della propaganda, usata in modo del tutto
strategico all’interno dei singoli stati. Il linguaggio è uno strumento che, come
ha detto Giorgio Fedel nella conferenza tenuta presso l’Università di Roma La
Sapienza e inerente i discorsi del potere, innerva ogni area funzionale della
società4; quello strettamente politico diviene poi un argomento
multidisciplinare che ingloba dentro di sé le aree della scienza politica, della
linguistica, dell’antropologia e della semantica. Si tratta per lui di un vero e
proprio linguaggio patologico che distrugge o danneggia funzioni comunicative
essenziali5.
Fedel, inoltre, individua nel linguaggio politico tre visioni differenti di come
esso viene percepito dagli addetti ai lavori e dagli ascoltatori. La prima visione
è quella che riguarda la falsità del linguaggio politico, il quale viene veicolato
dai politici per distorcere la rappresentazione della realtà tramite la
soppressione dell’informazione o tramite le menzogne utilizzate soprattutto
quando non si rendono pubbliche certe notizie. Essendo, poi, la politica una
3
Santulli F., Le parole del potere, il potere delle parole, Milano, Franco Angeli, 2005, p. 14.
4
Fedel G., Le visioni del linguaggio politico, intervento alla conferenza: I discorsi del potere,
comunicazione politica e strategie linguistiche, Roma, 2008.
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lotta per il potere, si sgancia automaticamente dalla morale in quanto per
raggiungere i propri scopi si va alla ricerca di mezzi anche più disdicevoli.
Fedel si sofferma sulle differenze nella falsità del linguaggio politico tra il
regime totalitario e il regime liberal-democratico. Il primo è caratterizzato da
un partito unico, da un dittatore, da un’ideologia sostantiva e dal terrore, il tutto
accompagnato da un forte monopolio dell’informazione, in cui vi è un unico
centro che diffonde le notizie; questo al fine di indottrinare, ingannare e
manipolare la popolazione e gli elettori. Il regime liberal-democratico è,
invece, caratterizzato da un deciso pluralismo, dalla presenza del voto popolare
e dalla temporaneità del governo, che rimane in carica per tutta la durata della
legislatura. Si viene a creare, quindi, un rapporto di fiducia e affidabilità tra
governatori e governati, che farebbe scaturire, in caso di falsità, il tradimento
nei confronti di questi ultimi.
La seconda visione riguarda la pericolosità6 del linguaggio politico, in quanto
soprattutto nel regime democratico permette la libertà di parola, di propaganda,
che innestano dentro di loro la libera circolazione di idee e il diffondersi delle
parole in competizione; tutti considerati come linfa vitale della democrazia. Ma
parlando di pericolosità, bisogna far riferimento al fatto che essa permette nel
regime liberale di attaccare il governo e può portare anche all’istigazione alla
violenza intesa come un nemico ideologico da sconfiggere. Questo è il caso
della propaganda di guerra, che porta con sé una forte demonizzazione del
nemico e che nella maggior parte dei casi appare falsa e strumentalizzata.
Esempi lampanti di questo sono il Fascismo, l’estremismo islamico e il
linguaggio delle Brigate Rosse durante il periodo del ’68 italiano.
Terza e ultima visione è quella che mette in risalto, secondo Fedel, la positività
5
Fedel G., Saggi sul linguaggio e l’oratoria politica, Milano, Giuffrè, 1999, p. 15.
6
Fedel G., cit.
12
del linguaggio politico come discussione pubblica. Lo studioso opera una netta
distinzione, però, tra i sistemi politici definiti ―palazzo‖ e i sistemi detti
―foro7‖. I primi vedono la presenza di un re, un dittatore, un imperatore, una
persona fisica che prende le decisioni; per quanto riguarda i sistemi foro,
abbiamo, invece, la presenza di un organo collegiale che detiene la sovranità
popolare e decide in base alla consultazione e alla discussione pubblica. Il più
grande vantaggio di questo sistema sta nella possibilità di esprimere diversi
punti di vista circa ogni singolo argomento e questo rappresenta il modo
migliore per giungere a una decisione.
Tornando allo studio del linguaggio politico inteso come scienza vera e propria
della parola, è fondamentale sottolineare che i fenomeni politici vanno
conosciuti anche nella loro dimensione linguistica8. Anche Foucault si sofferma
su quest’aspetto del linguaggio, mettendo in evidenza come la realtà sia
plasmata globalmente dal potere e che questo potere opera tramite procedure
linguistiche che si manifestano nell’ordine del discorso, cioè denominano,
assegnano significato e categorizzano9. Per Barthes è, invece, lo stesso
linguaggio ad assumere un’importante impronta politica. Infatti, egli parla del
linguaggio come di uno strumento con cui si iscrive il potere, in quanto la
lingua viene definita né reazionaria né progressista, ma semplicemente fascista,
in quanto il fascismo non impediva di dire, ma obbligava a dire10.
Negli ultimi anni, studiosi e ricercatori linguistico-semiotici hanno evidenziato,
poi, una diffusa e ampia attenzione per il linguaggio politico, inteso in primo
luogo come lo studio dell'uso che la politica fa della lingua; in secondo luogo
come studio delle tecniche discorsive e argomentative adottate dalla politica;
7
Fedel G., cit.
8
Fedel G., cit., p. 4.
9
Cfr. Foucault M., L’ordine del discorso, Torino, Einaudi, 1972.
10
Fedel G., cit., p. 12.
13
infine, come studio dello sviluppo dei meccanismi mass-mediatici cresciuti
notevolmente negli ultimi anni, grazie anche al progredire del mondo dei
media.
La ricerca si è accompagnata all'evoluzione delle forme che hanno interessato
il meccanismo di comunicazione globale.
In quest'ottica sono da segnalare vari approcci; a partire da quelli più
meramente linguistici, riferiti al linguaggio comune, quelli linguistico-retorici,
che si interessano dell'argomentazione e quelli semiotici più sensibili
all'interazione fra aspetti verbali, spettacolari e multimediali dell'avvenimento
politico.
Negli anni sessanta, l'indagine sul linguaggio politico ha coinciso da un lato
con lo studio del lessico intellettuale dell'Italia e dell'Europa a partire dal
mondo classico e fino a giungere ai giorni nostri con la diffusione del pensiero
borghese e socialista. Questo per riuscire a cogliere alcune opposizioni
importanti tra termini normalmente utilizzati nel dibattito politico. Dall'altro
lato quest'analisi permette di comprendere il linguaggio politico nonostante in
Italia ci sia uno dei livelli di alfabetizzazione e scolarizzazione tra i più bassi
d'Europa.
A partire dagli anni settanta, si è sviluppata, invece, una riflessione più
strettamente metodologica in riferimento al linguaggio politico. Molto
interessanti in questo contesto le riflessioni portate da autori come Beccaria,
che definisce il linguaggio politico come un linguaggio settoriale o ancora
meglio un sottocodice dotato di caratteristiche specifiche11.
La posizione del Beccaria è stata successivamente ripresa e discussa da un altro
illustre studioso come Alberto Sobrero, il quale, in una pubblicazione di
11 Beccaria E., Linguaggi settoriali e lingua comune, in: ―I linguaggi settoriali in Italia‖,
Milano, Bompiani, 1973, pp. 7-59.