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INTRODUZIONE
§1. Le crisi di impresa.
Spesso, nel corso del tempo, si verificano delle situazioni che
comportano improvvise modificazioni dell’attività produttiva di
un’impresa, che possono comprometterne la stabilità e l’equilibrio
economico, al punto da poter degenerare in vere e proprie crisi.
Le cause che determinano queste crisi possono avere natura
esogena o endogena; i modi in cui le stesse si manifestano, possono
variare anche in base al settore di attività dell’impresa stessa.
In generale, comunque, la crisi di impresa costituisce sempre
motivo di “allarme sociale”, essendo molti gli interessi che ruotano
intorno all’impresa e che vengono fortemente minacciati dalla crisi
stessa.
I creditori dell’imprenditore, a causa della crisi, vedono
affiorare la concreta impossibilità di ottenere quanto è loro dovuto; i
lavoratori impiegati nell’attività produttiva, rischiano di perdere il loro
posto di lavoro, così come l’imprenditore-debitore rischia di non
riuscire a conservare i suoi beni.
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E, all’aumentare delle dimensioni dell’impresa e delle sue
relazioni, aumenta l’area di rilevanza del problema che diventa di
carattere sociale, e che può coinvolgere altre imprese o addirittura
ripercuotere i suoi effetti sull’intero sistema economico, in un certo
ambito di riferimento, potendo la crisi di un’unica impresa innescare
crisi aziendali “a catena”.
Il nostro ordinamento ha conosciuto (o forse subìto) una
notevole evoluzione del fenomeno “crisi di’impresa” che negli anni
Sessanta rappresentava un avvenimento di carattere straordinario, ma
che nei decenni seguenti fino ai nostri giorni, perdendo quel carattere
di straordinarietà, rappresenta un fenomeno ormai (purtroppo)
ordinario, tanto che risulta arduo riuscire a individuare imprese che,
nella loro “vita”, non abbiano attraversato momenti di difficoltà.
In generale, è possibile fare una distinzione tra crisi da rigidità e
crisi da inefficienza
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.
Le prime, sono connesse a cause esterne all’impresa,
dipendono da fattori estranei e sono riconducibili a variabili di tipo
economico, sociale, politico o culturale.
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PATTI A., “Istruttoria prefallimentare e poteri di controllo sulla crisi dell’impresa”,
Fall., 1998, pag. 940.
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Le seconde, invece, attengono alle relazioni esistenti all’interno
di un’azienda, sono cioè connesse a cause che dipendono dall’ambito
istituzionale, gestionale, o strutturale o, infine, dal patrimonio: tutti
elementi caratterizzanti le modalità di conduzione dell’impresa.
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Sono cause strutturali quelle di “ordine finanziario quantitativo”
(eccessivo ricorso al capitale di credito rispetto alle risorse patrimoniali
interne), di “ordine finanziario qualitativo”
4
(ricorso a forme di
finanziamento eccessivamente onerose), di carattere organizzativo o
manageriale; infine, costituiscono cause strutturali anche quelle
afferenti il momento informativo, al fine di individuare
tempestivamente perdite di competitività e di redditività.
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La crisi dell’impresa, dunque, non rappresenta una insolita
eventualità ma, anzi, una possibile condizione della stessa impresa,
quasi una fase fisiologica nello svolgimento della sua attività, in cui è
possibile individuare differenti stadi di sviluppo, ciascuno dei quali è
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Si pensi a variazioni qualitative o economiche dei fattori produttivi principali (quali le
materie prime o il tasso di innovazione tecnologica) o all’instabilità dei cambi monetari
o dei tassi finanziari, soprattutto in conseguenza della globalizzazione del mercato
economico.
3
“L’analisi della crisi dell’impresa”, in La Rivista Online (Scuola superiore dell’economia
e delle finanze), anno II, n.2, febbr. 2005.
4
PATTI, op. cit., pag. 940.
5
GUATRI, “Crisi e risanamento delle imprese”, Milano, 1986, pag.11 ss.
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destinato a connotarsi per la maggiore o minore gravità e soprattutto
per le diverse probabilità di recupero della propria condizione.
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In relazione alle prospettive di superamento, le crisi d’impresa
possono essere considerate:
- Sanabili (o reversibili);
- Insanabili (o irreversibili).
§2. Le discipline delle crisi: le procedure concorsuali.
Le crisi finanziarie
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delle imprese, consistono nell’incapacità –
temporanea o definitiva – di far fronte alle proprie obbligazioni, con
regolarità; tale incapacità incide direttamente sui rapporti esterni
all’impresa, quindi sui rapporti con i terzi, i particolare con i creditori.
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E’ stato però da tempo giustamente sottolineato che ‹‹la crisi non è solo evento
negativo da evitare ad ogni costo, ma si inserisce quasi costruttivamente nel ciclo
dell’impresa››; la crisi può anche costituire un’opportunità di rilancio per l’impresa,
diventando in tal modo, una “malattia salutare”: si può avviare un processo di
ristrutturazione, di ricollocazione tale da creare le premesse per una ripresa. In tal
senso NIGRO:
“La crisi della piccola impresa tra liquidazione e risanamento”, Fall., 2003, 9, pag. 1004;
(e in collaborazione con) Vattermoli D., “Diritto della crisi delle imprese (Le procedure
concorsuali)”, Il Mulino, Bologna, 2009, pag21.
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Nigro fa una distinzione di fondo tra crisi di tipo patrimoniale (consistenti in squilibri
economico-finanziari) e non patrimoniale (relative al funzionamento dell’impresa); a
loro volta, distingue quelle patrimoniali in: economiche (o patrimoniali in senso
stretto) – date dallo sbilancio tra attivo e passivo – e finanziarie, le quali vengono
qualificate (in termini giuridici) come ‹‹insolvenza››.
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I legislatori, sin da epoca remota, hanno incentrato la propria
attenzione su tali tipologie di crisi, con il fine di regolamentarle. Gli
strumenti adoperati trovano il loro nucleo centrale nelle procedure
concorsuali.
Originariamente, nel nostro ordinamento, come in quelli dei
Paesi dell’Europa occidentale, ispirati dalla codificazione napoleonica,
il pilastro della disciplina delle crisi d’impresa è stato rappresentato
esclusivamente dal fallimento. A questa fondamentale procedura, si
sono poi aggiunti altri istituti che ne hanno ridotto gradatamente l’area
di applicazione, quali:
- la liquidazione coatta amministrativa;
- il concordato preventivo;
- l’amministrazione controllata.
Queste quattro procedure, hanno formato la base della legge
fallimentare del 1942, nonché del nostro sistema di disciplina delle
crisi, pur se subendo diverse modifiche nel corso degli anni.
Tuttavia, negli anni Settanta e Ottanta, tali procedure subirono
a loro volta una “crisi” a causa dell’evoluzione della realtà economico-
sociale degli organismi produttivi, nonché della situazione generale di
convulsione del mercato e dell’economia. In quegli anni, infatti,
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andarono via via affermandosi finalità nuove, a volte addirittura
divergenti, rispetto a quelle tipiche di protezione soddisfacimento dei
creditori che avevano caratterizzato le procedure tradizionali, applicate
fino a quel momento.
Il diverso ruolo delle imprese sul mercato portò a considerare
l’organismo produttivo “azienda” come un valore da preservare e
conservare, in considerazione di tutti quegli interessi collettivi che vi
gravitavano intorno.
Ne derivò, come ovvia conseguenza, la tendenza a privilegiare
sempre più procedure o meccanismi di risanamento dell’impresa,
mediante l’eliminazione dei fattori di crisi o, per lo meno, il recupero
dei complessi produttivi, previa riorganizzazione, piuttosto che quelli di
liquidazione-dissoluzione che avevano caratterizzato gli anni precedenti.
Il sistema fu quindi sottoposto ad un’ampia revisione,
soprattutto da punto di vista normativo; proliferarono leggi di
“salvataggio” di categorie o di singole imprese, fu modificata la
disciplina specifica di alcune delle procedure concorsuali già note, e
soprattutto, ne fu introdotta una nuova: l’amministrazione straordinaria
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delle grandi imprese in crisi (d.l. 30 gennaio 1979, n. 26 convertito in l. 3
aprile 1979,n. 95).
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Negli anni Novanta, tuttavia, quelle linee di tendenza che
avevano già apportato modifiche di non poco rilievo al sistema delle
procedure concorsuali, mutarono nuovamente.
Il processo di integrazione europea, la internazionalizzazione e
la globalizzazione di mercati e strutture economiche, e non di meno,
la maturata consapevolezza della insostenibilità (dal punto di vista
sociale) di un sistema basato sul costante intervento della mano
pubblica ogni qual volta si verificasse una crisi, hanno portato ad “un
drastico ridimensionamento dell’obiettivo del risanamento o del
recupero dell’impresa in crisi come obiettivo da perseguire a tutti i
costi. (…), ad una riduzione dello spazio da riconoscere agli interventi
dei pubblici poteri nella gestione e soluzione delle crisi di impresa, con
una forte spinta all’abbandono o, comunque, al ridimensionamento sia
della tecnica dei meccanismi di ‹‹ salvataggio ›› di categorie di imprese
o di singole imprese, sia di quella dell’allargamento dell’area di
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Si trattava, allora, di una procedura amministrativa, caratterizzata dall’affidamento a
uno o più commissari straordinari della gestione dell’impresa insolvente, con la
continuazione dell’impresa stessa per un periodo massimo di quattro anni; il fine era
quello di una riorganizzazione dei complessi aziendali , sulla base di un programma e di
un piano di risanamento, in funzione del trasferimento a terzi di tali complessi risanati.
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applicazione delle procedure amministrative (…), sia di quella degli
ausili.”
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§3. Le caratteristiche comuni alle procedure concorsuali.
Strutturalmente, tutte le procedure concorsuali, costituiscono
strumenti di regolamentazione e composizione coattiva dei rapporti
fra l’imprenditore-debitore e l’insieme dei creditori, nell’attuazione
della responsabilità patrimoniale dell’imprenditore stesso.
Comportano, infatti, un vincolo di indisponibilità dell’intero
patrimonio da parte del debitore e, allo stesso tempo, un piano
organizzativo che prevede l’affiancamento all’imprenditore di un
centro di competenza (un apposito apparato gestorio). Ciò che invece
rende diverse le procedure è rappresentato, naturalmente, dalla
modalità attraverso la quale si ottiene materialmente la realizzazione
della responsabilità patrimoniale dell’imprenditore.
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NIGRO A. Vattermoli D., “Diritto della crisi delle imprese (Le procedure concorsuali)”, Il
Mulino, Bologna, 2009, pag. 26.
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Mentre nel caso del fallimento e della liquidazione coatta, si ha
una monetizzazione del patrimonio, attraverso alienazione in blocco o
liquidazione atomistica dei beni, col fine della ripartizione del ricavato
fra i creditori; con il concordato preventivo, attraverso un accordo
debitore-creditori, si ha la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione
dei crediti, attraverso qualsiasi forma.
L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese, invece,
prevede che vengano applicati due possibili indirizzi, alternativamente:
- o il “recupero” e l’alienazione dei complessi aziendali, con
seguente ripartizione del ricavato fra i creditori;
- o la ristrutturazione economico-finanziaria dell’impresa,
con il ripristino della possibilità di adempiere.
Queste due modalità di svolgimento della procedura (che
verranno meglio riprese nei successivi capitoli) consentono di
effettuare una classificazione generale relativa alle procedure
concorsuali.
Se si tiene conto delle modalità attraverso le quali si giunge al
soddisfacimento dei creditori, una prima classificazione prevede
procedure esecutivo-satisfattive (tra cui rientra l’amministrazione
straordinaria con indirizzo di recupero, oltre al fallimento e alla
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liquidazione coatta) e non (categoria cui appartiene l’amministrazione
straordinaria con indirizzo di ristrutturazione).
Se si considera invece la sorte dell’impresa insolvente, si
possono avere procedure liquidative-dissolutive o procedure conservative.
Tra le procedure conservative, poi, è possibile ulteriormente distinguere
tra procedure di risanamento e procedure di recupero.
Dopo la riforma del 2005-2007
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, in realtà, procedure
prettamente liquidative-dissolutive nel nostro ordinamento non se ne
rintracciano più, dal momento che anche il fallimento e la liquidazione
coatta possono consentire la conservazione delle entità produttive.
Quindi, l’unica distinzione che conserva una certa rilevanza è quella
tra procedure che hanno come oggetto il risanamento, “per tale
intendendosi (e dovendosi intendere) il ripristino dell’equilibrio
patrimoniale dell’impresa, con recupero della capacità di soddisfare
regolarmente le proprie obbligazioni e procedure che hanno ad
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Attuata attraverso l’emanazione di vari decreti, poi convertiti in legge, e
ulteriormente modificati con leggi successive. Il d.l. n. 35/2005 (conv. in l. n.80/2005)
ha parzialmente modificato la disciplina delle revocatorie fallimentari e del concordato
preventivo; il d.lgs. n. 5/2006 ha soppresso l’amministrazione controllata e innovato la
disciplina del fallimento; il d.lgs. n. 169/2007 ha previsto la possibilità di emanare
disposizioni “correttive ed integrative” del d.lgs. n.5/2006, intervenendo anche in
materia di liquidazione coatta amministrativa.
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oggetto (necessario o possibile) il recupero-riorganizzazione dei complessi
produttivi, in funzione della successiva cessione a terzi.”
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L’amministrazione straordinaria con indirizzo di
ristrutturazione è ormai l’unica che rientra nella prima categoria, che
infatti mira al ritorno in bonis dell’impresa; tutte le altre procedure,
invece, appartengono alla seconda.
Con il presente lavoro, si cercherà di ricostruire in particolare
l’evoluzione dell’istituto dell’amministrazione straordinaria,
analizzandone la funzione/finalità attraverso l’esame degli organi che
la gestiscono (capitolo I) ma soprattutto attraverso l’esame di quello
che rappresenta il cuore, il fulcro dell’intera procedura:il programma.
Nei capitoli secondo e terzo, infatti, si esamineranno i due
possibili indirizzi (ristrutturazione e cessione) che il legislatore ha
previsto per la procedura, alla luce dei recenti interventi normativi e
della riforma fallimentare, effettuando anche un confronto con altri
istituti (affini) da ultimo modificati.
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NIGRO/VATTERMOLI, op.cit., pag. 43