suo predecessore Marco Foscarini invitava a “impedir le novità perniziose e a lassar le cose come le
stà”. La politica di non-intervento nelle guerre europee culminerà nella dottrina della “neutralità
disarmata”, osteggiata da una buona componente del ceto patrizio
3
, anche se occorre rilevare che su
questo punto giocarono essenzialmente le ragioni dell’economia: armare infatti avrebbe significato
compromettere il risanamento del bilancio, operazione perseguita con ostinazione da mezzo secolo.
L’idea di una fine della Repubblica cominciava però a farsi strada, non solo presso le cancellerie
estere (soprattutto presso quella austriaca che aspirava a subentrare nel controllo esclusivo
dell’Adriatico), ma anche nella maggior parte degli stessi governanti veneziani
4
. Il nuovo ciclo
storico segnato dalla Rivoluzione francese e dall’ascesa di Napoleone Bonaparte e i conseguenti
eventi internazionali che coinvolsero le massime potenze europee avrebbero travolto quell’entità
passiva che era ormai diventata la Repubblica di Venezia
5
.
… (omissis) …
cit., p. 4. Il clima politico di quegl’anni in Piero Del Negro, Proposte illuminate e conservazione nel dibattito sulla
teoria e la prassi dello Stato, in Storia della cultura veneta ... cit., Il Settecento vol. 5/II, pp. 123-145.
3
Fra tutti ricordiamo Francesco Pesaro, futuro commissario imperiale austriaco.
4
D. Beltrami, Storia della popolazione ... cit., pp. 71-79, individua proprio nella decadenza demografica della classe
dirigente una delle cause della caduta. I nobili si erano ridotti negli ultimi decenni del ‘700 intorno alle 3.400 unità:
si riscontrava quindi un affievolirsi delle energie preposte alla direzione del governo. Neppure le numerose
aggregazioni alla nobiltà effettuate fra il 1627 ed il 1788, pari a 107 nuove famiglie (corrispondenti a 500-600
persone), avevano alterato il rapporto con il resto della popolazione: la percentuale dei nobili era scesa al 2,4%,
mentre la massa del basso popolo ammontava al 93,6%. Anche la classe funzionariale, i cosiddetti “cittadini
originari”, che rappresentavano al momento della caduta il 3,6% della popolazione, erano diminuiti di quasi la metà
nel corso dei secoli XVII° e XVIII°. Soprattutto per l’aumento della mortalità infantile, a Venezia “le classi d’eta
giovanile, specie negli ultimi 50 anni del XVIII° secolo, si fecero relativamente meno numerose e la popolazione
complessiva risultò in fase di lento invecchiamento” (p.192).
5
Una descrizione della rivoluzione francese vista con gli occhi critici di un patrizio veneziano è contenuta nel saggio
di Giovanni Pillinini La Francia rivoluzionaria nei dispacci di Almorò Pisani (1790-92), in Studi Veneti ... cit., pp.
349-357. Viceversa è uno straniero che assiste alla caduta della Repubblica nel saggio di Giovanni Stiffoni La fine
della Repubblica nei dispacci diplomatici dell’ultimo ambasciatore spagnolo a Venezia, id., pp. 359-367.
L’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO VENEZIANO
Dall’esame che ho effettuato della bibliografia sul sistema giuridico veneziano, ho notato che
sono sempre state poste in risalto le sue particolari caratteristiche sia strutturali che concettuali.
Ritengo quindi necessario procedere a tracciare un loro profilo in questa parte del lavoro in quanto è
contro tali peculiarità che si rivolse l’azione del governo asburgico nel suo tentativo di riforma e di
omologazione dell’amministrazione giudiziaria delle provincie austrovenete. Sarà utile, per quanto
esposto nell’introduzione, scindere la descrizione evidenziando da una parte quella che era
l’organizzazione statuale e dall’altra i caratteri distintivi del diritto veneto.
Consilia et officia: gli organi costituzionali e le magistrature
… (omissis) …
L’Avogaria di Comun era un collegio composto da tre magistrati, il cui compito precipuo era
“la guardia delle leggi”
6
. Questa autorevole magistratura aveva il controllo di legittimità sulle leggi,
vigilava sulla loro corretta applicazione e doveva necessariamente partecipare alle sedute di ogni
consiglio per la validità delle stesse. Essa esercitava anche una forma di vigilanza sull’operato degli
officiales e dei membri dei consilia i quali, qualora non avessero osservato le norme del proprio
capitolare, sarebbero stati portati in giudizio avanti alla Quarantia
7
, ed inoltre sorvegliava “l’attività
giudiziaria dei patrizi inviati a rappresentare la Serenissima in terraferma”
8
. L’Avogaria di Comun
“rappresentava – istituzionalmente – la coscienza civile dell’aristocrazia sovrana, che aveva il
compito di tutelare quell’eguaglianza che doveva essere, idealmente, alla sua base, … teneva
6
Così lo descrive G. Contarini nel già citato “Della Repubblica ...”, ripreso da G. Cozzi, id., p.96.
7
G. Cassandro, Concetto, caratteri ... cit., p. 35, che comunque nutre dubbi sull’efficenza di questa forma di controllo
esercitata dagli Avogadori di Comun.
8
Sull’argomento il saggio di Alfredo Viggiano, Intrepretazione della legge e mediazione politica. Note sull’Avogaria
di Comun nel secolo XV°, in Studi Veneti ... cit., pp.121-131.
sempre presente il monito che ci si doveva attenere alla legge”
9
. Il suo campo operativo era
essenzialmente la giurisdizione penale, agiva avanti la Quarantia Criminal, dove essa impersonava
lo stato e le sue leggi e portava in quella sede d’appello, d’ufficio o dietro espressa richiesta,
l’esame di un giudizio di I° grado, garantendo il rispetto della legalità anche contro l’operato di altri
organi
10
. Con l’erosione dei suoi poteri da parte del Consiglio dei X
11
, si assistette ad una
progressiva decadenza di questa prestigiosa magistratura, accusata tra l’altro di promuovere, con il
suo garantismo, il protrarsi delle cause, la qual cosa favoriva spesso gli imputati
12
. La facoltà degli
Avogadori di sospendere i giudizi per esaminare gli incartamenti, il sistema degli appelli con i
relativi contraddittori tra accusa e difesa, le modifiche alle sentenze di I° grado operate anche
d’ufficio, attirarono su quest’organo non solo l’ostilità dei Rettori della Terraferma
13
, che subivano
in primis il rimarco degli Avogadori, ma anche il biasimo di chi vedeva nel suo rigido agire motivi
di ostacolo e di rallentamento all’operare degli altri organi. “L’autorità dei Avogadori … è un’arma
da due taggi. Manegiada con circospezione la diffende, in altro modo la ferisce. L’è una medicina
che tolta con la so’ dosa la giova, sensa dosa l’amazza. L’autorità non limitata tutto confonde”
14
.
… (omissis) …
9
G. Cozzi, id., p.102.
10
G. Cozzi, La giustizia e la politica ... cit., p.190 e p.198. Secondo C. Povolo gli Avogadori si configuravano, nelle
funzioni svolte in Quarantia criminal, come una specie di odierno pubblico ministero, Aspetti e problemi ... cit., p.
200.
11
Fatto sempre segnalato da G. Cozzi nel suo saggio La giustizia e la politica ..., quasi a rimarcare l’errore compiuto
dallo Stato veneziano nel consentire uno sbilanciamento dei poteri degli organi antagonisti.
12
G. Cozzi, id., pp.140-141 e p.198. C. Povolo, id., p. 201.
13
G. Cozzi, id., p.122. Sull’argomento anche M. Knapton, Tribunali veneziani ... cit., pp.153-154, e C. Povolo, id., pp.
201-203. Quest’ultimo autore esamina anche l’amministrazione politico-giudiziaria nella terraferma veneta e i
difficili rapporti che intercorrevano tra i Rettori e le realtà locali e con gli organi di governo centrali. Si precisa che
nei centri maggiori del Dominio venivano inviati, dopo essere stati prescelti dal Maggior Consiglio, due patrizi, uno
con funzioni civili e giudiziarie detto podestà e l’altro con competenze finanziarie e militari denominato capitano
(nei centri minori tali ruoli coincidevano ed il patrizio assumeva il nome di provveditore). A coadiuvare i Rettori
venivano assegnati degli Assessori (al massimo quattro), due Camerlenghi e un cancelliere con compiti di direzione
dell cancelleria locale.Cfr. pp.156-167.
14
G. Cozzi, id., pp.198-199. La citazione è presa dalle annotazioni di Zuanne Sagredo, eminente patrizio nominato
correttore alle leggi nel 1667.
Il diritto
Le fonti
Il sistema normativo veneziano ebbe un’origine autoctona, in una realtà geopolitica isolata ma
non esclusiva. Non fu immune, né all’origine né durante il suo sviluppo, da influssi di diversa
provenienza - romana, bizantina, longobarda, germanica - anche se la sua originalità fu sempre
ostentata dalla classe dirigente veneziana, quasi a rafforzare l’idea di un’indipendenza prima ancora
politica che culturale
15
. I veneziani erano vincolati da un particolare contesto ambientale ed
economico ad una visione empirica e pragmatica delle cose e il diritto che generarono fu, almeno
all’inizio, essenzialmente consuetudinario ed improntato alla soluzione equanime delle
controversie. Esso altresì “ebbe sin dalle epoche più remote carattere territoriale, accumunando in
un unico sistema normativo tutti e solo coloro che lentamente prendevano coscienza di appartenere
all’unico sistema costituzionale”
16
.
E’ a partire dalla seconda metà del XII° secolo che si affiancò una vera e propria legislazione
scritta
17
, gli Statuti, alle tradizionali fonti di diritto. Ma il carattere delle norme statutarie veneziane
fu essenzialmente procedurale ed appare come la trasposizione scritta di quelle che erano le
consuetudini vigenti. In un ristretto arco di tempo, una cinquantina d’anni, si assistette al passaggio
dagli usi non scritti e da una legislazione occasionale ad una loro codificazione vera e propria. La
15
Sulla genesi del diritto veneziano, cfr. G. Zordan, op. cit., pp. 169-174. Sull’influsso germanico è interessante
quanto segnala l’autore a p. 175 “esse [le leggi] non rispondono affatto al rigido concetto romano per cui la legge
treva forza obbligatoria da se stessa o dallo ius maiestatis di chi la poneva, ma ... piuttosto si possono avvicinare in
qualche modo ai pacta germanici (espressioni di una concezione pattizia del diritto)”. I testi legislativi veneziani
traevano forza non tanto dalle loro disposizioni precettive, la cui mancata osservanza avrebbe portato ad incorrere
nelle prescritte sanzioni, quanto nella “promessa, corroborata da stipulazione penale e giuramento della parte cui
incombeva l’osservarla”. cfr. Enrico Besta Il diritto e le leggi civili di Venezia fino al dogado di Enrico Dandolo in
Ateneo Veneto XX, 1897, pp. 291 e ss.
16
G. Zordan, op. cit., p.181.
17
La prima unificazione ed elaborazione scritta delle antiche norme penali veneziane venne effettuata con la promissio
maleficiorum, doge Orio Mastropiero, nel marzo 1181. Le già ricordate promissioni ducali invece si configureranno
come il corpo delle norme costituzionali: la prima, del doge Enrico Dandolo, risale al 1192.
prima stesura (e su questo la storiografia contemporanea è pressoché concorde) viene fatta risalire al
doge Enrico Dandolo nel 1195. Il suo immediato successore Pietro Ziani promulgò l’emissione di
altri tre statuti a carattere civilistico, ma si deve al doge che gli subentrò, Jacopo Tiepolo, una
sistemazione della materia, attuata nel 1242, con lo Statutum novum
18
. Il corpo delle norme
statutarie “rimase in vigore nella sua conformazione iniziale fino alla caduta della Repubblica, solo
integrato e attualizzato da aggiunte e correzioni parziali che però in minima parte lo affiancarono
ufficialmente”
19
. Composto da cinque libri, cui ne venne aggiunto un sesto il secolo successivo
sotto il dogado di Andrea Dandolo, lo statuto comportava una regolamentazione dei principali
istituti giuridici a carattere civilistico e delle procedure processuali, che venivano adattate su misura
alle pratiche giudiziarie locali da una serie di glosse confluenti, come parte integrante, nel testo di
legge.
… (omissis) …
La procedura
Il mezzo attraverso il quale il diritto veneto intendeva espandersi ed affermarsi, soprattutto
verso la Terraferma, era quello della procedura. I metodi adottati dal sistema veneziano avevano
attinto elementi che appartenevano sia al rito accusatorio che a quello inquisitorio, ed offrivano
quindi la utilissima opportunità di poter essere applicati in maniera differenziata a seconda che vi
fosse o meno la necessità di operare con celerità e di mantenere segreto un procedimento
giudiziario, magari a scapito della tutela delle garanzie dell’imputato. Era questa la grande
suddivisione della procedura giudiziaria veneta: il dibattimento pubblico, di maggior lustro e
fortuna, ed il cosidetto rito segreto, che, proprio per la mancanza di divulgazione di qualsiasi notizia
18
Così denominato per la volontà di farlo risaltare rispetto alla normativa preesistente.
19
G. Zordan, op. cit., p.199.
in ogni fase del procedimento, per quelle sue caratteristiche così accentuate di arbitrarietà,
discrezionalità e sommarietà, sarà circondato sempre più da un alone di mistero che contribuirà a
costruirgli addosso (e mantenere fino ai nostri giorni) una forma di mito negativo.
… (omissis) …
Ma il vero orgoglio della procedura veneta era la disputa, il vivace dibattimento orale aperto
al pubblico, di forte impatto psicologico grazie anche alla sua coreografia, allo “stile usato
nell’amministrare la giustizia, alternando solennità e semplicità, mirando a suscitare il rispetto, ma
insieme la fiducia”
20
. Sede privilegiata per osservare tale procedura era il massimo organo
giudiziario penale, la Quarantia Criminal. Il caso veniva introdotto dal giudice intermedio,
l’Avogadore di Comun, che aveva già anteriormente provveduto ad un interrogatorio preliminare
dell’imputato (condotto davanti a un collegio di cinque persone) onde valutare l’effettiva necessità
di un rinvio a giudizio
21
. Compiuta una rapida istruttoria del caso, dava innanzitutto lettura degli atti
di querela o di accusa
22
e di quelli della difesa. Seguiva la disputa tra l’avvocato della parte, “che
godeva di ampia libertà di azione e di parola”
23
, e l’Avogadore, in rappresentanza degli interessi
dello Stato. La proposta della pena da infliggere veniva pronunciata dall’Avogadore e deliberata a
maggioranza assoluta dei membri del collegio
24
. Oltre alla condanna
25
o alla formula
20
G. Cozzi, Fortuna, o sfortuna, ... cit., p. 339.
21
L’interrogatorio era verbalizzato e copia del verbale veniva consegnata all’avvocato difensore. G.Cozzi, La giustizia
e la politica ... cit., p.103.
22
L’ordinamento veneziano prevedeva che chi avesse subito un danno, in conseguenza di un reato, potesse chiederne
il risarcimento promuovendo l’azione penale tramite la querela. La cosiddetta accusa invece scaturiva solitamente
dalle denuncie segrete e poteva riguardare solamente i reati contro lo stato (ricompresi il contrabbando, il peculato,
...) o comunque contro la pubblica sicurezza (omicidi, furti, ...). Esistevano comunque dei funzionari che avevano
l’obbligo di denunciare i reati venuti a loro conoscenza: i merighi o degani (capi paese o contrada) e i chirurghi che
curavano feriti. Cfr. C.Povolo, Aspetti e problemi ... cit., pp. 213-216.
23
Achille Bosisio, Magistrati e Avvocati della Repubblica Veneta al tempo di Carlo Goldoni, estratto dal Giornale
Economico della Camera di Commercio di Venezia, luglio 1958 - gennaio 1959, p. 16. Tali facoltà erano anche
eccessive per i detrattori del sistema.
24
“Nei collegi minori la maggioranza non bastava e se non si aveva l’unanimità si ripeteva la votazione più volte,
dopo di che, essendo tre i giudici, se ne eliminava uno a sorte e i due rimasti si accordavano in un senso o
nell’altro”. A. Bosisio, Magistrati e Avvocati ... cit., p. 17.
dell’assoluzione piena, l’imputato poteva essere rilasciato con un’assoluzione temporanea, detta pro
nunc, che concettualmente si avvicina molto all’odierno proscioglimento per insufficienza di prove.
Interessante è pure la procedura adottata nel processo civile. In primo grado, su citazione
dell’attore, il convenuto, al quale venivano esposte le ragioni della causa, era diffidato a comparire
avanti al giudice il giorno fissato (il cosiddetto pender). Nell’arco di tale giornata il giudice
26
,
ascoltati gli avvocati ed esaminate le prove, arrivava già solitamente al pronunciamento della
sentenza. L’appello, per motivi di ordine o di merito
27
, andava promosso avanti alla magistratura
intermedia degli Auditori
28
, i quali esaminata la questione e valutata l’ammissibilità del ricorso,
inoltravano la causa presso il Consiglio competente al giudizio definitivo, una delle Quarantie o dei
Collegi della giurisdizione civile. E presso le Quarantie, il processo, che veniva svolto
pubblicamente
29
, assumeva tutta la sua peculiare spettacolarità: “i giudici sedevano sui loro scranni,
cercando di ostentare un’aria solenne e distaccata di chi è assolutamente al di sopra delle parti e dei
motivi del contendere. Non dovevano leggere nulla, perché non esistevano allegazioni scritte, né
dovevano scrivere. Tutto il lavoro di penna, era sbrigato dai ministri, che erano i factotum delle
25
La pena di morte, comunque prevista per i casi più gravi, era ormai rarissima nel ‘700, mentre più frequente era la
condanna alla galera, a remare con i ferri ai piedi, per un massimo di dieci anni, ma soprattutto venivano comminate
pene detentive di durata variabile (a vita solo come corrispettivo del massimo della galera). G. Cozzi, Note su
tribunali e procedure penali ... cit., p. 16. Occorre ricordare che la galera era riservata ai ceti popolari, mentre per i
patrizi solitamente si ripiegava sulla relegazione (confino) o sul carcere. In caso di contumacia veniva applicata la
pena del bando, definito o meno in termini di tempo e spazio. Sul sistema carcerario e banditismo, C. Povolo,
Aspetti e problemi ... cit, pp. 216-232. Le pene e un ardito progetto per la loro riforma, che prevedeva il lavoro
forzato, sono illustrati da Giovanni Scarabello, Progetti di riforma ... cit., pp.391-415. Sull’argomento, dello stesso
autore, Aspetti della vita carceraria a Venezia nei secoli XVII e XVIII: attività associativa fra carcerati, in Atti
dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, n.134, Venezia 1976, pp. 311-333.
26
O meglio i giudici, in quanto le magistrature erano sempre organi collegiali, e nel numero cospicuo i veneziani
vedevano la garanzia del rispetto della legalità attuata attraverso la reciprocità del controllo. “Nel 1750 si contavano
a Venezia centotrenta Tribunali, tutti collegiali, alcuni composti di 12, altri di 15, altri di 25 membri ...; di questi
130, 64 erano eletti dal Maggior Consiglio, 62 dal Senato e 4 dal Consiglio dei Dieci”. A. Bosisio, Magistrati e
Avvocati ... cit., p. 14.
27
Le motivazioni d’ordine concernevano la formazione del processo e l’osservanza precisa delle procedure, mentre il
merito doveva avere attinenza con la sentenza.
28
Gli Auditori Vecchi erano competenti per la giurisdizione di Venezia, dei territoti del Dogado e dei possedimenti
marittimi, mentre gli Auditori Novi curavano le appellazioni provenienti dal Dominio di Terraferma e i Novissimi
quelle delle cause di modesta entità.
29
Richiamando anche una “grande affluenza di pubblico” in occasione di cause in cui notori erano i protagonisti, ed
era necessario traslocare le udienze nella sala più capiente del Maggior Consiglio. G.Cozzi, Fortuna, o sfortuna, ...
cit., p. 326.
corti giudiziarie veneziane; l’importante, per i giudici, era ascoltare attentamente gli avvocati, che
recitavano a viva voce le loro arringhe, leggevano atti e documenti portati a sussidio delle ragioni
dei loro clienti, li commentavano. A conclusione del dibattito i giudici votavano a favore dell’una o
dell’altra parte, prima i giovani, poi i vecchi, ad evitare che quest’ultimi potessero influenzare col
loro prestigio i più giovani; e qualora fossero incerti sulle ragioni addotte, potevano scegliere il voto
cosiddetto non sincero, che esprimeva l’esigenza che le cose fossero chiarite meglio in una ulteriore
seduta”
30
. Una procedura maestosa e vivace allo stesso tempo quindi, che nel dibattimento a voce e
in un giudizio corale e “puro”
31
trovava i suoi caratteri distintivi, quelli che più a lungo sarebbero
stati esaltati con orgoglio dai giuristi veneti.
… (omissis) …
LA POLITICA GIUDIZIARIA AUSTRIACA
Tracciato il profilo di quello che era l’ordinamento giuridico veneziano, occorre vedere a
questo punto come si pose l’Austria di fronte al problema di dover organizzare e gestire
l’amministrazione della giustizia quando subentrò a capo dei territori della decaduta Repubblica,
nella cruciale fase di transizione verso un nuovo ordine statuale.
… (omissis) …
La Commissione straordinaria al Regolamento Giudiziario, ovvero le resistenze della
magistratura veneziana ai tentativi di omologazione
30
La evocativa descrizione del processo civile veneto fatta da Gaetano Cozzi (Fortuna, o sfortuna, ... cit., p. 326) è
desumibile da vari passi dei verbali della Commissione al Regolamento Giudiziario che operò a Venezia agli inizi
del 1800 e dagli appunti del ministro Jacopo Chiodo, a tale Commissione addetto. A.S.V., Compilazione Leggi, s.
II, bb. 54 e 55.
31
Con “purità” del giudizio si intendeva la mancanza di qualsiasi conoscenza degli elementi della causa anteriore al
giorno del giudizio, cosa che secondo i giuristi veneziani avrebbe potuto influenzare preliminarmente l’emissione
della sentenza. A.S.V., Compilazione Leggi, s. II, b 55, fasc. X° e XII°.
L’amministrazione della giustizia veneziana si trovava quindi immersa in un clima di
malcontento che sfociava in forme di resistenza, di ostruzionismo a tali modificazioni, introdotte
autoritariamente da una dominazione straniera. Il grado di sofferenza, anche psicologica, della
società veneziana non poteva far tollerare di buon grado che fossero stravolti in misura così radicale
e repentina sedimentati principi del diritto. La scomparsa dell’ordinamento veneziano, seppure non
automaticamente sostituito dall’imposizione del sistema vigente nel resto dell’Impero, ma
comunque travolto da quel complesso di regole estranee che venivano imposte dai decreti del 6
febbraio e del 31 marzo 1798, aveva portato praticamente alla paralisi l’amministrazione della
giustizia. Il problema investì naturalmente Vienna, con tutte le implicazioni socio-politiche che il
caso comportava. Ben precisa Michele Simonetto: “La coscienza di operare non astrattamente in
una realtà sociale che aveva concretamente subito sconvolgimenti profondi, e dalla quale si
irradiava ora una forte esigenza di stabilità, induceva il Governo a prendere atto delle ragioni che
dovevano imporre un atteggiamento pragmatico”
32
, lo stesso atteggiamento pragmatico, a mio
parere, che tante volte aveva assunto la stessa Venezia nei confronti del suo Dominio.
I governanti asburgici decisero quindi l’istituzione, con un apposito decreto datato 11 ottobre
1799, di una commissione che avrebbe avuto il compito di “progettare tutti que’ cambiamenti, che
l’esperienza, e le circostanze potessero indicare essere necessari a farsi alla vigente Organizzazione
Civile, e Criminale”; disponendo che “ciascuno de’ sei Tribunali Giudiziari esistenti in questa Città
debba nominare un individuo, perché dai sei eletti sia formata una Commissione, che debba
32
M. Simonetto, Magistrati veneti ... cit., p. 154.
occuparsi di questo importante argomento”, il governo avrebbe atteso “il risultato delle analoghe
riflessioni, e i relativi progetti”
33
.
… (omissis) …
Nella scelta dei nominati a rappresentanza dei tribunali veneziani
34
si rispecchiarono
chiaramente gli intendimenti di rivalsa del ceto giudiziario patrizio: ben cinque dei sei componenti
erano nobili. Non molto è dato di sapere di questi prescelti
35
. Il presidente Ottavian Maria Zorzi, già
Capo di Quarantia ed al momento giudice del revisorio, era comunque sicuramente una personalità
di prestigio. Si sa con certezza che in età giovanile era stato membro di una di quelle Accademie de’
Nobili che avevano costituito sotto la passata Repubblica delle vere e proprie scuole di preparazione
politica per i giovani patrizi: esse fornivano una preparazione enciclopedica (secondo il gusto del
tempo ma con particolare riguardo comunque ai temi politico-economici) ed una capacità retorica ai
futuri dirigenti della vita pubblica
36
. Anche il tenore delle sue “proposizioni” lascia trasparire una
formazione dottrinale: suo è infatti il piano di lavoro per i componenti della commissione. La sua
33
Le copie manoscritte del decreto istitutivo e dei verbali dei lavori della Commissione Straordinaria al Regolamento
Giudiziario, ad uso del “Compilatore delle Leggi e suo Archivio”, sono conservate presso l’Archivio di Stato di
Venezia, Compilazione Leggi, s. II, b. 55, fascicoli I°-XIV°. Le minute originali, (fondo Corte d’appello italica, b.
161) come pure la bella copia (fondo Tribunale Revisorio), sono conservate presso la sezione dell’Archivio di Stato
di Venezia sita alla Giudecca (dove vengono conservati i documenti dei tribunali ottocenteschi), i cui locali, e il
materiale ivi conservato, non sono accessibili dal 1991 per lavori di ristrutturazione.
34
M. Simonetto rileva che la scelta di limitare ai tribunali veneziani la nomina dei componenti aveva pregiudicato la
possibilità di “conferire un tono più equilibrato ai lavori della commissione”, privata com’era di qualsiasi
rappresentanza della Terraferma ovvero dell’ambito di applicazione del diritto comune. op. cit., pp. 159-160.
35
I pochi cenni biografici sono stati tratti per la maggior parte dalle opere di Michele Simonetto, Michele Gottardi,
Alvise Zorzi, Giovanni Distefano e Giannantonio Paladini.
36
Ho preso visione di un suo componimento accademico intitolato Trattato della servitù civile, conservato presso la
Biblioteca comunale di Treviso, manoscritto n. 2122. Si tratta di una disquisizione sul tema della schiavitù recitata
in tre riprese durante il mese di agosto del 1779, che si suppone trascritta in seguito. Vi riecheggiano i temi del
Montesquieu e del giusnaturalismo, i quali, data l’età giovanile (i membri dell’Accademia avevano tra i 18 e i 30
anni), dovevano infiammare particolarmente l’animo dell’autore. Sull’Accademia cui sicuramente doveva
appartenere anche Ottavian Maria Zorzi (dato l’argomento del saggio, le tecniche e l’epoca della sua realizzazione),
l’opera di Andrea Benzoni, L’Accademia dei Nobili in Ca’ Zustinian a Venezia, Feltre, Premiata Tipografia Panfilo
Castaldi, 1901, che analizza i metodi adottati ed il ruolo svolto da questa istituzione, sorta su iniziativa privata ma di
grande rilevanza pubblica per il suo compito di formazione delle nuove leve della classe dirigente. La scuola,
fondata nel 1766, operò una trentina d’anni, proponendosi di indirizzare i suoi aderenti (da un minimo di 12 ad un
massimo di 25) a perseguire “il bene della Repubblica”. Sempre sul tema, Brendan Dooley, Le Accademie, in Storia
della cultura veneta ... cit., Il Settecento vol. 5/I, pp. 77-90. Per questo autore “l’unico modo di evitare una radicale
ristrutturazione dei ruoli tradizionali dei ceti nella società veneziana [era] un programma di miglioramento della
cultura - e conseguentemente dell’abilità di governare - della classe dirigente”e in quest’ottica appunto si inseriva
l’istituzione di un’Accademia quale quella di Ca’ Zustinian, cfr. p. 85.
sarà una gestione monopolistica della materia, con lo stabilimento di quali e quanti argomenti
trattare, a cui gli altri membri sembrano sottostare senza porre obiezione alcuna, probabilmente
riconoscendogli una sicura posizione di preminenza. Di lui si sa ancora che avrà una carriera
luminosa: il 23 giugno 1804 sarà nominato consigliere presso la suprema corte di giustizia a
Vienna, mentre lo si ritroverà ancora in epoca napoleonica a capo della Corte di giustizia civile e
criminale di Venezia.
… (omissis) …
L’unico borghese, ma che rappresentava l’emergente classe che di lì a poco avrebbe
esautorato il patriziato anche nell’ordinamento giudiziario, era Girolamo Rubelli, presidente del
tribunale mercantile, che veniva insignito del titolo di eccellente. Si sa che era stato avvocato,
probabilmente di prestigio e lo dimostra anche il fatto che risulta tra gli “associati” al Dizionario del
diritto comune e veneto di Marco Ferro
37
. Aveva assunto già durante la Municipalità provvisoria del
1797 la carica di giudice nel Tribunale di Commercio, e mantenne il ruolo di presidente del
Tribunale Mercantile durante tutta la prima dominazione austriaca, dal 1798 al 1806. Tale corte
costituiva un’eccezione all’interno del panorama giudiziario veneziano, in quanto vi trovavano
posto membri di provenienza non patrizia proprio su disposizione del governo asburgico, che,
considerata la peculiarità dei temi oggetto delle cause, previde l’inserimento in tale organo di tre
rappresentanti dell’ordine mercantile affiancati ai tre dell’ordine forense. Gaetano Cozzi traccia un
profilo quasi affettuoso del Rubelli: “era un uomo intelligente, che conosceva altrettanto bene dei
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Marco Ferro, avvocato trevigiano, pubblicò tale opera in cinque volumi a Venezia tra il 1778 ed il 1781. Egli si era
proposto di procedere all’integrazione del diritto comune con quello veneto, assegnando comunque, nella redazione
delle varie voci del Dizionario, al diritto veneto un ruolo minore, secondario. Figurano tra i numerosissimi
sottoscrittori e i dedicatari dei volumi le massime personalità della Repubblica - tra i quali Andrea Tron e il futuro
doge Polo Renier - e vari borghesi. Sulla rilevanza anche politica che ebbe l’opera, G. Cozzi, Fortuna, o sfortuna, ...
cit., pp. 361-364. Cozzi segnala anche però che Marco Ferro, pur seguace ed ammiratore di Cesare Beccaria, aveva
adottato nella compilazione della sua opera un atteggiamento “piuttosto compromissorio, costretto tra l’ossequio
verso il diritto vigente e le sue inclinazioni riformatrici”. G. Cozzi, Note su tribunali ... cit., p. 3 nota 6.
suoi colleghi il vecchio diritto veneto, col vantaggio di non esser impacciato, nel valutarlo, da
remore sentimentali, e tanto meno da rimpianti politici; del diritto ora imposto dal sovrano
conosceva non solo le semplici norme, ma la politica che l’aveva prodotto, le esigenze sociali cui
corrispondeva, lo sfondo culturale cui si alimentava; politica, esigenze, sfondo culturale che
comprendeva, che apprezzava, da cui sapeva che non si poteva più prescindere”
38
. Quello che balza
subito agli occhi dalla linea di condotta tenuta dal Rubelli durante i lavori della Commissione al
Regolamento giudiziario, è che sicuramente si poneva su posizioni filo-asburgiche, attraverso quei
suoi continui richiami a quanto si applicava nel resto dell’Impero. E’ possibile che si possa anche
vedere la “contestazione dall’interno” e la “pragmatica, realistica, forse per questo
<rivoluzionaria>, possibilità di guardare avanti gettando alle spalle le pesanti eredità” ravvisata in
tale figura da Michele Simonetto? Questo autore arriva al punto d’affermare quanto il “carattere
solitario della polemica di Rubelli ... [lo] distingua non solo dal passato, ma anche dal futuro, da
quella generazione cioé di giuristi ed avvocati veneziani [e cita espressamente Daniele Manin] che
dall’esaltazione del mito del buon governo, dell’equilibrio, della magnanimità e imparzialità dei
giudici della Serenissima Repubblica fecero un costante leit-motiv della loro opera”
39
.
… (omissis) …
Le proposizioni del Presidente Ottavian Maria Zorzi erano comunque insinuanti e, attraverso i
continui richiami all’esperienza e alle circostanze, egli tentava di far rientrare dalla finestra quello
che era stato fatto uscire dalla porta. Istituzione di nuovi tribunali, suddivisioni degli stessi, aumento
del numero degli addetti
40
, trasferimento degli appelli dalle province alla capitale, turnazione dei
38
G. Cozzi, Fortuna, o sfortuna, ... cit., p. 401.
39
M. Simonetto, Magistrati veneziani ... cit., pp. 186-187.
40
Precisa però il Presidente che devono aversi “sempre presenti” in questo caso, oltre che l’efficienza e l’efficacia
dell’azione giudiziaria, anche le esigenze del Regio Erario. Ed ancora nella sessione successiva indica “le
circostanze Economiche ... come un prudente limite ne’ progetti da farsi”.
giudici, erano tutte caratteristiche del vecchio ordinamento veneto che egli, avallato dagli altri
patrizi, tentava di ripristinare, adducendo che tali provvedimenti erano solamente di ordine
“metodico”, non costituzionale, e che quindi avrebbero potuto essere gestiti all’interno dell’ordine
magistraturale.
Solo il Rubelli, intuendo dove si andava a parare (e del resto le intenzioni del Presidente non
erano neanche tanto oscure), eccepiva nel dibattito la incostituzionalità delle modifiche proposte,
ricordando che i tempi erano cambiati e tuttora si evolvevano, e che comunque non si poteva
prescindere dalle regole vigenti nel resto dell’Impero.
Ma un’altra grande questione andava subito chiarita. Oltre che al termine “cambiamenti”, si
rendeva necessario attribuire uno specifico significato e peso alle espressioni “esperienza” e
“circostanze” contenute nel decreto sovrano, e pochi dubbi ebbero in proposito il Presidente ed i
giudici patrizi. Essi erano stati chiamati a dare corpo, proprio in virtù della loro provenienza e
peculiare formazione professionale, a tutte quelle modifiche che avrebbero potuto permettere un
adattamento delle nuove disposizioni normative ad una organizzazione singolare quale era quella
veneziana, scaturita da particolari condizioni fisiche, nate “dal clima, e dalla natura, e posizione de’
luoghi”, e morali, “dedotte dalle prevalenti abitudini degli spiriti, dal genio della Nazione, e dalle
speziali forme d’industria”. In questo modo cercavano di garantirsi, vantando dei caratteri peculiari
e proponendo delle modifiche che erano chiaramente dei ripristini, il recupero dell’ordinamento
passato. “Il sistema di giudicare de’ Veneti era affatto particolare di questa Nazione, era considerato
il più puro, ed era spezialmente ricercato dai Forestieri; si può dedurre, che si tratti appunto del
confronto di questo col vigente, e che da una Commissione di Veneti non si cerchi, che
un’esperienza di confronto del metodo, in cui sono nati col vigente” opinava il Presidente, e con lui
concordavano i patrizi cui dava voce il N.H. Moro arrivando ad affermare “che l’esperienza, di cui
deve far uso questa Commissione, deve esser dedotta dall’Epoca 1796 possibilmente combinata
collo stato presente di cose”. Era ancora Rubelli che invece individuava “l’esperienza nella
conoscenza di que’ mali, che derivano dall’esercizio pratico della vigente Organizzazione”,
invitando quindi a lasciarsi alle spalle il passato. Egli ricordava altresì ai colleghi come “le
circostanze d’ aversi in vista sian quelle del bene della Nazione, cioé quelle, che tendono a renderla
più pronta, più sicura, e meno dispendiosa l’amministrazione della Giustizia”, non le presunte
particolarità fisiche o morali. Ma la sua voce cadeva nel vuoto, mentre nelle conclusioni che
venivano man mano approvate a maggioranza venivano sempre accolte le tesi del Presidente
41
.
41
Le conclusioni a cui giunse la Commissione furono (seguendo il corrispondente ordine delle Proposizioni già
illustrate): 1° “Che nell’Organizzazione Giudiziaria Civile, e Criminale non sia soggetta a mutazione la parte
Costituzionale, o di massima, da cui rissulta il riparto, e la graduazione della Autorità; ma che nella parte di
disciplina, ossia nel metodo dell’amministrazione di Giustizia progettar si possono tutti que’ cambiamenti, che
l’esperienza, e le circostanze faranno conoscere necessarj”, 2° “Che la parte Costituzionale dell’Organizzazione non
resti alterata da un aumento di Tribunali, o degli Individui, che li compongono, quando fosse dimostrato necessario
dall’esperienza e dalle circostanze e salvo sempre il riparto, e la graduazione della Autorità”, 3° “Che il progetto di
trasporto de’ Tribunali da Provincia a Provincia, o dalle Provincie alla Capitale non offenda la Costituzione tanto
astrattamente riguardato, quanto nel particolare dettaglio de’ possibili richiesti trasporti”, 4° “Che niente soffra la
Costituzione dalla separazione de’ Tribunali in Aule l’una dall’altra indipendenti, salva sempre la destinazione, e
sopraveglianza alle Aule separate del Presidente di ciascun Tribunale”, 5° “Che salvo il Concluso nella terza
proposizione non possa progettarsi la soppressione di alcun Tribunale, ed Offizio secondario come oggetto di
Costituzione, ma si possono progettare tutti que’ cambiamenti di metodo e di disciplina, che si rendessero necessarj
negli Offizj, e Tribunali”, 6° “Che non offenda la Costituzione il turno, che si credesse di progettare degl’Individui,
che compongono un Tribunale da un Tribunale all’altro nella medesima Classe di Autorità, nel caso, che si trovasse
necessario, o di accrescere il numero de’ Tribunali, o di dividere i Tribunali in Aule l’una dall’altra indipendenti,
come nella seconda, e quarta proposizione”, 7° “Che l’oggetto, a cui si rifferisce la Proposizione non sia di
competenza della Commissione, se non in quanto può avere rapporto col turno di cui parla la proposizione VI°”, 8°
“Che non omesso il presidio delle Teorie, quando si credessero oportune, l’esperienza, di cui deve far uso questa
Regia Commissione nel progettare i cambiamenti, abbia ad esser dedotta dall’esame, e confronto del metodo
presente, e di quello vigente all’Epoca 1796”, 9° “Che avuto in riflesso, quanto alle circostanze politiche, il concluso
della prima proposizione, abbia questa Regia Commissione a versare sulle circostanze fisiche, e morali, e sopratutte
quelle, che possono influire al miglior bene della Nazione nella retta amministrazione di Giustizia”, 10° “Che
l’esperienza, e le circostanze reciprocamente abbiano a suffragarsi nelle operazioni di questa Regia Commissione”,
11° “Che l’espressione di cambiamenti necessarj non restringa le facoltà della Commissione, ma si riferisca
all’esiggenza dell’esperienza, e delle circostanze”, 12° “Che sotto l’espressioni d’Organizzazione Civile, e
Criminale s’intendano compresi, non solo gli Editti 6 Febbraio e 31 Marzo, ma anche tutt’i posteriori Decreti, le
dichiarazioni ed istruzioni susseguenti sopra le quali cose tutte possono versare gli Studj di questa Regia
Commissione”, 13° “Che il Piano de’ Cambiamenti, che dietro le norme fissate nelle precedenti Proposizioni
crederà di progettare questa Regia Commissione abbia a proporsi tutto unito alle Superiori considerazioni”. A.S.V,
Compilazione leggi, s. II, b. 55, fasc. VII°, VIII° e IX°, relativi alle sessioni del 9, 16 e 23 gennaio 1800.