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INTRODUZIONE
Negli anni ‟30 e ‟40 alcuni giovani intellettuali iniziarono a guardare, in
ambito letterario, oltre gli angusti confini dell‟Italia fascista.
Tra questi Elio Vittorini che, deluso dal panorama politico e culturale,
vigente nel nostro paese, intraprese un viaggio alla ricerca di nuovi maestri
che lo portò in luoghi lontani, prima in Europa e, successivamente, in Nord-
America.
Vittorini iniziò a ragionare su questa esperienza in “Scarico Di Coscienza”,
un celebre intervento dello scrittore siciliano, in cui l‟autore proclamava la
propria polemica contro i modelli letterari italiani, “Carducci e Pascoli non
potevano averci insegnato nulla, tutte le loro risorse erano state vinte,
assorbite dal dilettantismo e da D‟Annunzio; e D‟Annunzio stesso era finito
miseramente in se stesso, ripetutosi, esauritosi spontaneamente, lasciandosi
attorno il disgusto persino della parola. (…) L‟estetica di Croce ci lasciava
freddi come una stella notturna (…); nessuno aveva del resto bisogno di
canoni artistici ma di una realtà palpabile, sicura, una terra a cui saldamente
attaccarsi (…). Prezzolini, la Voce, Non insegnavano nulla. Nulla Papini.
Nulla Soffici. (…) Quanto al futurismo le nostre opinioni addirittura
risalivano il tempo, lo condannavano nel carattere; esso aveva esorbitato
dalla storia letteraria, inferiore e mediocre già dalla nascita, forse del tutto
privo di intelligenza certo di validità intellettuale (…). Allora la letteratura
dei giovani (…) è nata da un incontro fortunato e peregrino della nostra più
pura originalità grammaticale con la grande tradizione europea (…). In un
batti baleno si sono riconosciuti, proclamati i nostri maestri, e con l‟amara
certezza che essi non ci avevano parlato nella nostra lingua”
1
.
1
Elio Vittorini, Diario in Pubblico, I ed. , Milano, Bompiani, 1957, (II ed. , 1970), pp. 5-6.
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Il clima culturale, era segnato dalle vicende politiche: l‟Italia era soggiogata
dal potere fascista, che non lasciava molta libertà, anzi, il Regime auspicava
ad un controllo totale, tanto che arrivò addirittura ad imporre la censura.
Quindi, di fronte al chiuso orizzonte italiano, gli scrittori americani
diventarono un modello, un esempio di vitalità e l‟America veniva vista
come il prototipo di un paese libero e moderno.
Quelli furono pertanto, anni in cui iniziarono a prendere piede le traduzioni,
infatti affermava Cesare Pavese
2
, che con Vittorini fece parte degli scrittori
più irrequieti che non accettavano quel clima di chiusura: “(…) Il Decennio
dal ‟30 al ‟40, che passerà alla storia come quello delle traduzioni (…) è
stato un momento fatale, e proprio nel suo apparente esotismo e ribellismo
è pulsata l‟unica vena vitale della nostra recente cultura poetica. L‟Italia era
estraniata, imbarbarita, calcificata bisogna scuoterla, de congestionarla e
riesporla a tutti i venti primaverili dell‟Europa e del Mondo. Niente di
strano se quest‟opera di conquista di testi non poteva esser fatta da
burocrati o braccianti letterari, ma ci vollero giovanili entusiasmi e
compromissioni. Noi scoprimmo l‟Italia (…) cercando gli uomini e le
parole, in America, in Russia, in Francia, nella Spagna (…) “
3
.
Nel corso di questo viaggio e nel clima di scambio e rispondenze, Vittorini
arrivò a dedicare molto del suo tempo ad autori americani, si impegnò in
diverse traduzioni e realizzò anche una breve storia letteraria dell‟America
curando un‟antologia dal titolo “Americana”, per l‟editore Bompiani nel
1941, quest‟opera che racchiude molti degli autori americani più imponenti,
si conclude, con un racconto di John Fante, scrittore italo-americano,
2
Cesare Pavese (1908/ 1950). Pavese e Vittorini sono stati i due intellettuali che hanno svolto una funzione
essenziale nella trasformazione che si è verificata, nel panorama letterario dalla cultura degli anni ‟30, alla
nuova cultura democratica del dopoguerra. Pavese inoltre, è stato un grande appassionato della cultura
sraniera, in particolare di quella inglese e americana, si è dedicato anche alla traduzione di diversi autori e
ha realizzato notevoli saggi critici.
3
Cesare Pavese, “Di una nuova letteratura”, in La Letteratura Americana, Torino, Einaudi Editore, 1951,
p.247.
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tradotto dallo stesso Vittorini e inserito nell‟ultima sezione, denominata “La
Nuova Leggenda”.
Vittorini estrapolò, per la sua antologia, un brano dal primo romanzo di
John Fante, intitolato “Aspetta Primavera, Bandini”
4
che è la prima opera
della saga di Arturo Bandini, personaggio autobiografico, attraverso cui
John Fante racconta il difficile percorso seguito dal figlio di emigranti, per
riuscire a raggiungere la piena integrazione nella società americana.
Appartiene alla medesima saga anche l‟altro romanzo di Fante, tradotto da
Vittorini per la prestigiosa collana “Medusa” della Mondadori nel 1941 e
intitolato “Il Cammino nella Polvere”
5
.
Vittorini, quindi, fu uno dei più illustri scopritori di Fante in Italia e il
primo che si premurò di divulgare le sue opere nel nostro paese.
Nel ‟48, invece, quando cessato il secondo conflitto mondiale ripresero le
pubblicazioni regolari, venne dato alle stampe, sempre nella collana della
Mondadori riservata ai grandi scrittori d‟ogni paese, il primo romanzo
fantiano “Aspetta Primavera, Bandini”, ma la traduzione questa volta,
venne affidata a Giorgio Monicelli; infine nel ‟57, sempre con la “Medusa”
uscì “Full of Life”, con il titolo “In Tre ad Attenderlo”.
Dopo quei pochi anni di successo e popolarità critica, tuttavia, si iniziò ad
inquadrare Fante da una parte, come scrittore sociale e realista, ma
dall‟altra come un autore di scarso talento letterario.
Molti arrivarono persino ad insinuare che Vittorini avesse inserito
nell‟antologia “Americana” un testo di Fante solo in seguito alle sue origini
italiane, questo dubbio durò per diversi decenni.
Quando l‟opera antologica venne ripubblicata, nel 1968 sempre da
Bompiani, venne accompagnata da un testo di Pautasso in cui, pur
4
Titolo originale: Wait Until Spring, Bandini, l‟opera fu pubblicata in America nel 1938 dalla Stackpole
Sons.
5
Titolo originale: Ask The Dust, l‟opera venne pubblicata negli USA nel 1939, dalla Stackpole Sons.
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riconoscendo i meriti di Vittorini, Pautasso lo criticava per la sua incapacità
ad individuare i grandi scrittori degli anni ‟30 e ‟40, che veramente
avrebbero potuto portare a compimento la nuova leggenda.
Vittorini stesso, tuttavia, non fu soddisfatto delle sue scelte, al punto che, in
un suo articolo, pubblicato nel 1957 su “Diario In Pubblico” rivelò il
fallimento delle aspettative di allora: aveva creduto in molti giovani
scrittori di origine esotica, tra cui Fante, figli delle razze perseguitate che
però non erano riuscite ad andare oltre il “ (…) Grido razziale contenuto
(…)” nei primi libri.
Pertanto quella che Vittorini aveva individuato come la nuova leggenda non
ebbe un seguito, “ (…) La nuova leggenda e[ra] morta bambina (…)”.
Dopo la prima stagione fantiana in Italia, Fante continuò ad essere
conosciuto ed apprezzato solo da una cerchia esigua di lettori, iniziò per lui
una “quarantena” legata anche alla “ (…) Ribaltata generosità vittoriniana
[che] comincia[va] ad agire come un cavallo di ritorno negativo (…)”
6
, da
cui Fante sarebbe riuscito ad affrancarsi solo tra gli anni ‟80 e ‟90.
6
Simone Caltabellota, “La fortuna di John Fante in Italia”, in AA. VV. , John Fante Scrittore e
Sceneggiarore, Convegno Nazionale, 3 Ottobre 1998, Pescara, Ediars, p.64.
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1 IL RAPPORTO DI ELIO VITTORINI CON
L’AMERICA E CON JOHN FANTE
1.1 L‟APERTURA VERSO L‟AMERICA
L‟incontro di Elio Vittorini con John Fante avvenne verso la fine degli anni
‟30 e non fu certo fortuito, ma coincise con una tendenza importate e più
ampia: giovani intellettuali, coetanei e compagni dello scrittore siciliano,
come Cesare Pavese, o Giaime Pintor che volgevano il loro sguardo verso
la letteratura straniera, in particolare in direzione della letteratura
americana.
Questi intellettuali ammiravano la letteratura d‟oltreoceano poiché non
potevano accettare la staticità e la chiusura della cultura italiana, relegata ad
un ruolo del tutto marginale, dal potere fascista.
Vittorini, quindi, ed altri suoi compagni di viaggio iniziarono a coltivare il
sogno della leggenda americana, vedevano nell‟America il nuovo, il
diverso ed anche il primitivo che avrebbe permesso al vecchio mondo, di
riconquistare quell‟identità perduta da molto tempo.
In verità Emilio Cecchi aveva dato spazio, tra i suoi molteplici interessi,
alla letteratura inglese ed americana: tuttavia questo scrittore era radicato in
pieno nella cultura europea e, in particolare, in quella italiana, era vicino
all‟esperienza della Ronda e pertanto “(…) Tende[va] a vedere tutta la
letteratura americana sotto il segno di una barbarie, sia pure geniale, e poi
della reazione, della protesta, della violenza : “Se dentro di me vado
rimuginando, e ricapitolando, intorno al carattere e alle sorti dell‟odierna
letteratura agli Stati Uniti, mi torna sempre in mente un proverbio cinese
che lega in otto parole, indissolubilmente, una savia moralità e una visione
frenetica. Dice questo proverbio, “chi cavalca una tigre non può più
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scendere”, a scendere dalla tigre sulla quale si tengono aggrappati non so
davvero, gli scrittori americani, come potranno più fare” (…)
1
”.
C‟era anche un‟altra differenza importante che segnava il divario tra Cecchi
e gli intellettuali delle nuove generazioni: Cecchi aveva viaggiato molto,
aveva avuto un contatto diretto, immediato con le cose e con i luoghi e
questo gli permetteva di mantenere anche uno sguardo freddo, o distaccato.
Invece Vittorini, Pavese o Pintor, non avevano esplorato direttamente quel
mondo e quelle realtà, non erano stati altro che viaggiatori virtuali.
Tant‟è che lo stesso Pintor si rendeva conto e denunciava queste differenze
generazionali, il puro descrittivismo di Cecchi (che amava prendere nota
delle malattie e delle decadenze) si scontrava con il sogno americano dei
più giovani “ (…)Dove Cecchi ha raccolto scrupolosamente un museo di
orrori (…) noi abbiamo sentito una voce profondamente vicina, quella di
veri amici e dei primi contemporanei (…)”
2
.
1
Agostino Lombardo, L’America e la Cultura Letteraria Italiana, Bologna, Clueb, 1981, p.21.
2
Giaime Pintor, “La lotta contro gli idoli (Americana)”, in Il Sangue d’Europa, a cura di Valentino
Gerratana, Torino, Einaudi Editore, 1950, pp.210-211.
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1.2 CECCHI E VITTORINI, DUE APPROCCI DIVERSI
VERSO LA LETTERATURA AMERICANA
Emilio Cecchi, uomo di eccezionale ricchezza culturale, fu una delle
personalità più in vista della saggistica e del giornalismo italiano.
Per dar vita ad alcuni reportages Cecchi fu costretto a compiere diversi
viaggi all‟estero e per ben due volte, (negli anni 1930 e ‟31 e nel 1938) la
sua meta fu l‟America.
Fu proprio grazie agli appunti, alle osservazioni e alle proprie impressioni,
su questo continente che Cecchi realizzò un‟opera dal titolo piuttosto
emblematico, “America Amara”.
La scelta di questo titolo, secondo Vito Amoruso “(…) E‟ di per sé e già
significativo e riassume la visione tragica e insieme ironica che Cecchi
ebbe dell‟America (…)”.
1
Forse Cecchi aveva intuito la complessità della società americana, però ne
era rimasto estraneo, continuava a rimanere ancorato alla civiltà europea,
alla sua formazione culturale e pertanto i suoi giudizi sull‟America erano
sempre caratterizzati da un certo distacco, o da un velo di ironia.
Emilio Cecchi, parlando dell‟America, non si lasciava mai prendere dalla
passione, come avveniva al contrario per Elio Vittorini, o per Cesare
Pavese.
Sicuramente però Cecchi aveva avuto un merito importante, quello di aver
trasmesso agli americanisti più giovani, la curiosità e un senso di
inquietudine nei confronti di questa terra.
Inoltre, mentre Cecchi relegò sempre la cultura americana su di un piano
secondario, “ (…) Per Vittorini e per Pavese invece la scoperta e il “mito”
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dell‟America avvennero nel momento stesso della loro formazione di
uomini e di scrittori, in quello più cruciale, e l‟integrazione
appassionatamente cercata era veramente qualcosa di nuovo, una conquista
faticosamente conseguita, una forma di consapevolezza che davvero
caratterizzava dalle fondamenta il loro destino umano e artistico (…)
2
”.
1
Vito Amoruso, “Cecchi, Vittorini e Pavese e la Letteratura Americana”, in Studi Americani 6, Roma,
Edizione di Storia e Letteratura, 1960, p.19.
2
Vito Amoruso, op. cit. , p.24.
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1.3 VITTORINI, LA SUA FORMAZIONE E I PRINCIPI
CARDINI DELLA SUA LETTERATURA
Per Vittorini la letteratura non era solo un mezzo di evasione, era anche
impegno pratico, un modo per comprendere e interpretare la realtà.
E sicuramente Vittorini non poteva interpretare e giudicare, se non in modo
negativo, il contesto in cui aveva iniziato il suo cammino letterario; ossia
gli anni in cui il potere fascista era più solido, in cui regnava una mentalità
provinciale e piccolo-borghese, anni in cui la letteratura aveva subito un
totale appiattimento.
Lo scrittore siciliano cercò, tuttavia, di reagire e di guardare oltre questo
clima culturale, anche aderendo alla rivista “Solaria”, che, secondo il suo
punto di vista, aveva l‟intento di mirare a una moderna civiltà umanistica e,
seppur limitandosi ad una protesta letteraria, tentava di opporsi alla
chiusura politica ed ideologica del Regime.
Vittorini parla direttamente, nel suo “Diario In Pubblico”, della rivista
fiorentina : “Divenni collaboratore di una piccola rivista (…), “Solaria” …
su di essa pubblicai la maggior parte dei racconti che, nel 1931, raccolsi in
volume come mio primo libro, sotto il titolo di “Piccola Borghesia”. Fui
così un solariano, e solariano era parola che, negli ambienti letterari di
allora, significava antifascista, europeista, universalista,
antitradizionalista… Giovanni Papini ci ingiuriava da un lato, e Farinacci
da un altro. Ci chiamavano anche sporchi giudei per l‟ospitalità che si dava
a scrittori di religione ebraica e per il bene che si diceva di Kafka o di
Joyce. E ci chiamavano sciacalli e ci chiamavano affossatori…”
1
.
1
Elio Vittorini, in Pesci Rossi, (bollettino editoriale Bompiani), Milano, n. 3, anno 1949.
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Molti critici sono concordi nel ritenere “Solaria”, un momento essenziale
nella formazione di Vittorini e anzi, secondo Vito Amoruso era stata
proprio l‟esperienza solariana a trasmettergli “(…) La fede nella letteratura
intesa non solo come strumento di conoscenza in senso assoluto, ma anche
nel suo lato, (…) di ricerca formale, tecnica, un amore non dico della
pagina in sé, ma della perfezione di essa, del suo substrato di nutrita e
raffinata cultura (…)”
2
.
In un recente studio Gabriele Turi ha tentato di analizzare in modo più
dettagliato, il ruolo e le finalità di “Solaria”, giungendo tuttavia, a
conclusioni discordanti rispetto alle considerazioni che Vittorini aveva
espresso nel suo “Diario in Pubblico”.
“Solaria” era nata nel ‟26 senza un programma ben definito (anzi, fin dal
primo numero veniva sottolineato il suo eclettismo) e senza una precisa
posizione teorica.
Una delle prime osservazioni che Turi riporta nelle pagine dedicate a
questo argomento, intitolate “Il difficile isolamento di “Solaria” ”, consiste
nel puntualizzare che, la rivista aveva preso forma quando era già stata
varata la legge che imponeva un ferreo controllo sulla stampa, quindi, se
avesse realmente espresso idee, o concetti contrari al governo vigente,
sarebbe intervenuta la censura, così come era accaduto nel ‟34.
Il fascicolo di Marzo-Aprile di quell‟anno, infatti, venne sequestrato poiché
il Regime giudicò immorale e contrario al buon costume, il contenuto de “Il
Garofano Rosso”, di Vittorini, e del “Le Figlie del Generale”, di Enrico
Terracini.
Prima del ‟31, invece, nei riguardi della rivista fiorentina, non è possibile
rintracciare alcuna critica fascista e non si fa nessun cenno a “Solaria”,
2
Vito Amoruso, op. cit. , p.27.
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neppure su “Battaglie Fasciste”, l‟organo della federazione provinciale di
Firenze.
Gabriele Turi, anzi, annota come prima del ‟28 “Solaria” avesse avuto
rapporti piuttosto stretti con altre riviste letterarie perfettamente allineate
con il potere, in particolar modo con “La Fiera Letteraria”, che diventò poi,
“L‟Italia Letteraria”.
C‟è, tuttavia, un ulteriore aspetto riguardo cui, la critica di Turi, è in
disaccordo con l‟idea che Vittorini aveva di “Solaria”, ossia la sua apertura
europea; il primo cerca, pertanto, di confutare la tesi dell‟autore siciliano (o
per lo meno di ridimensionare l‟immagine canonica della critica: periodico
esclusivamente europeo).
Turi, infatti, afferma che, soprattutto prima del ‟29 “Solaria” dedica un po‟
del suo spazio alla Toscana, alla sua cultura e ai valori regionali.
Un‟altra strada che lo studioso segue, è quella di dimostrare che, la rivista
fiorentina è meno isolata e all‟avanguardia di quanto la critica abbia
ritenuto fino a pochi anni fa.
Tanto è vero che, “Solaria” fin da un articolo di Alberto Consiglio, su
“Pietre”, del Febbraio ‟28, veniva giudicata tutt‟altro che innovativa “ Così
com‟è, con i suoi attuali collaboratori, à una vaga tinta di carbonarismo e di
gobettismo che non è fatta per assicurarle il più largo respiro. Bisognerebbe
cercare di diluire un po‟ il suo colore per farne un luogo meno chiuso del
“Baretti” ”
3
.
Non meno importante, per Gabriele Turi, è notare che, gli anni in cui
“Solaria” dedicava ampio spazio alla letteratura e agli autori europei, anche
il potere fascista sviluppava un suo discorso sull‟Europa e sull‟idea di
Europa.
3
Gabriele Turi, Lo Stato Educatore, Bari, Editori Laterza, 2002, p.247.
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Nel ‟32, per esempio, il governo fascista tentò di dare un‟immagine di
apertura culturale, a questo scopo, infatti, la rivista “Educazione Fascista”
aveva promosso un‟indagine dal titolo “Inchiesta tra gli Scrittori Europei”.
E sempre nel rispetto di una dimensione europea, prendevano forma anche
altre iniziative, come quella di Croce, che nel ‟32 pubblicò “La Storia
d‟Europa” o quella di Franco Antonicelli che diede vita alla collana
“Biblioteca Europea”, edita da Frassinelli.
Solaria per tanto non era una rivista all‟avanguardia perché non aveva
intrapreso singolarmente quella strada, ma si era limitata a cogliere, le
esigenze del tempo.