Introduzione
5
Si riscontra un incremento dei volumi d’affari, in conseguenza
all’ampliarsi delle prospettive di mercato, al diversificarsi dei canali di
vendita grazie soprattutto all’estendersi dell’automazione nei processi.
I concetti ricorrenti sono quelli di globalizzazione del mercato, di de-
territorializzazione, di stravolgimento delle consolidate strutture
commerciali e di e-society: non la società elettronica, ma quella risultante
dall’impiego diffuso e massivo delle tecnologie elettroniche, l’Information
and Comunication Technology (I&CT) ed Internet.
La New Economy cambia il “cosa” produrre e il “come” produrre,
cambia la distribuzione, il marketing, distrugge i vecchi intermediari, ne
crea di nuovi; nuove professionalità si affacciano sul panorama lavorativo,
nuovi prodotti, servizi.
La cosa maggiormente impressionante è che tutto ciò avviene in
tempo reale, subito, adesso, on line.
Si clicca ed è fatto.
Ne consegue una ristrutturazione e un adeguamento non solo degli
operatori economici, ma anche di tutti coloro che appartengono alla
società e quindi alla e-society.
Il mutamento potrà essere positivo: l’e-society sarà una società
migliore di quella attuale, perché la comunicazione è trasmissione di idee e
diffusione della conoscenza.
O potrà anche essere negativo, perché globalizzazione spesso
significa impoverimento di determinate fasce della popolazione, grandi
concentrazioni di capitali e tendenza alla standardizzazione della società.
Una cosa è sicura: i cambiamenti da attuare saranno molti e
modificheranno profondamente i fondamenti dell’economia tradizionale.
La “semplice” spesa al supermercato della casalinga sarà sempre più
virtuale e potrà essere effettuata senza doversi minimamente sposare
dalla propria abitazione.
Capitolo 1
CAPITALE E MODERNITÀ
____________________________________________________________
1.1 Il concetto di modernità.
Probabilmente nessuno, meglio di Karl Marx, ha descritto la potenza,
creativa e distruttiva, della Modernità: «Il continuo rivoluzionamento della
produzione, l'incessante scuotimento di tutte le condizioni sociali,
l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca borghese da
tutte le precedenti. Tutte le stabili e arrugginite condizioni di vita, con il
loro seguito di opinioni e credenze rese venerabili dall'età, si dissolvono, e
le nuove invecchiano prima ancora di aver potuto fare le ossa. Tutto ciò
che vi era di stabilito e di rispondente ai vari ordini sociali svapora, ogni
cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a
considerare con occhi liberi da ogni illusione la loro posizione nella vita»
1
Per Friedrich Schlegel, modernità significa «disincanto del mondo»,
quindi vita senza valori sacri, mentre ancora per Max Weber, nell'epoca
della secolarizzazione, l'uomo è condannato a «vivere senza Dio e senza
profeti».
Si potrebbe dedurre che l'uomo non è il protagonista della storia, non
sceglie, ma si limita a ripercorrere un tracciato già scritto e segnato, e
forse ogni suo tentativo di intervento e modifica viene vanificato.
Anche le nuove tecnologie sembrano racchiudere l’operato umano
entro limiti precisi e ben definiti e all’individuo non resta che imparare
velocemente come poterle sfruttare senza esserne negativamente
influenzato.
1
Marx in Pellicani – I nemici della modernità
Capitale e modernità
7
Il concetto di modernità ha svariate sfaccettature e spesso viene
associato al mito della Natura buona e benefica, barbaramente violentata
dall’avanzamento della globalizzazione, della tecnologia, dell’inquinamento
e delle aride leggi d’economia di libero mercato.
La rivolta contro la modernità e il desiderio romantico di vivere in una
comunità armoniosa e compatta, in perfetto accordo con la Natura è
ancora molto presente e si acuisce nei dibattiti sulla New Economy, i
mercati globali, il nuovo panorama lavorativo. Esiste anche una continua
“…indignazione permanente che la rivoluzione permanente capitalistica –
una rivoluzione che avanza come una valanga culturale, tutto travolgendo
davanti a sé: istituzioni, costumi, interessi, valori, sentimenti, ecc.- ha
generato e continua a generare”.
2
Nonostante il Capitale di Marx sia stato oggetto, nel tempo, di
critiche profonde e il pensiero economico borghese si sia prodigato
nell’invalidare la teoria del valore-lavoro, sembra oggi che le contraddizioni
del capitalismo confermino quelli che sono i contenuti e i successivi
sviluppi della teoria del valore-lavoro.
Le trasformazioni subite dal capitalismo negli ultimi anni hanno
sconvolto la formazione economico-sociale borghese, e la crisi che ha
colpito il capitalismo su scala mondiale nei primi anni settanta, ha imposto
alla borghesia di modificare radicalmente il mondo del lavoro e
l’organizzazione della fabbrica, cambiamenti che hanno determinato la fine
del vecchio modello fordista.
Un modello, quello fordista, che aveva accompagnato il capitalismo
per tutto il secondo dopoguerra e che era stato uno dei cardini del
portentoso sviluppo in quegli anni.
2
Luciano Pellicani – I nemici della modernità – Ideazione Editrice
Capitale e modernità
8
Le contraddizioni economiche derivanti dalla crisi hanno spinto il
capitalismo a cercare nuove strade; nacque così alla fine degli anni
settanta un diverso modo di organizzare la produzione, non più basato
sulla catena di montaggio, ma che prevedeva la completa automazione del
ciclo produttivo.
“Grazie all’introduzione della microelettronica nei processi produttivi,
la fabbrica non è più prigioniera degli schemi rigidi della catena di
montaggio, ma può finalmente organizzare la produzione secondo schemi
e modalità più funzionali alle esigenze e variabilità del mercato.
Rispondere in tempo reale alle richieste di mercato, soddisfare i
diversi gusti dei consumatori, eliminare le scorte di magazzino che
incidevano in maniera pesante sui costi dell’impresa, diversificare il
prodotto in funzione del mercato di riferimento e nello stesso tempo
abbassare la vita media di un prodotto, sono stati tra gli effetti più vistosi
prodotti dall’introduzione dell’informatica nella produzione. S’afferma negli
anni ottanta un diverso modo d’organizzare la fabbrica; il cosiddetto
toyotismo, basato sul concetto del Just in Time e sulla qualità totale”
3
1.2 Sistema economico, sistema sociale e plusvalore.
Il pensiero di Marx è un analisi e una comprensione della società
capitalistica nel suo funzionamento attuale, nella sua struttura presente,
nel suo divenire. Marx è un economista e contemporaneamente un
sociologo. Sistema economico e sistema sociale sono strettamente
connessi e le leggi del primo influenzano e determinano il secondo.
Ne Il Capitale, Marx scrive che “l’essenza del capitalismo sta nella
ricerca del profitto innanzitutto e soprattutto.”
3
Lorenzo Procopio – Il capitalismo cognitivo - Prometeo
Capitale e modernità
9
Esso è fondato sulla proprietà privata degli strumenti di produzione e
rappresenta la ricerca del profitto non solo da parte dei proprietari dei
mezzi di produzione, ma anche dei lavoratori.
Il capitalismo è in grado di sostenere il suo processo d’accumulazione
soltanto se nella società esiste una classe sociale in grado di produrre
plusvalore, e il plusvalore si produce nel mondo della produzione.
Oggi possiamo dire che anche e forse in maniera ancora più
evidente, il plusvalore si produce nel settore dei servizi, modificato
sostanzialmente dai nuovi sviluppi dell’economia e della globalizzazione.
Lo scambio merce-merce
Esiste uno scambio che va dalla merce alla merce, passando o meno
per il denaro. Se lo scambio viene effettuato in modo diretto, si tratta di
baratto; oppure può avvenire in modo indiretto, passando per il denaro,
che è l’equivalente universale della merce.
Lo scambio che va da merce a merce non offre profitto, in quanto si
instaura, tra i soggetti economici, un rapporto di uguaglianza.
Lo scambio denaro-merce-denaro
Esiste un altro tipo di scambio, che va dal denaro al denaro,
passando per la merce. Al termine di tale scambio si possiede una quantità
di denaro maggiore rispetto a quella iniziale. E’ ciò che avviene nel sistema
capitalistico, dove l’imprenditore o il produttore non va da una merce ad
un'altra passando per il denaro; egli va dal denaro al denaro, come
prevede l’essenza del capitalismo, in modo tale da avere, al termine dello
scambio, più denaro di quel che si aveva in partenza.
Capitale e modernità
10
Questo tipo di scambio è, per Marx, caratteristico del sistema
capitalistico e strettamente legato alla generazione del profitto.
Da un capitale iniziale uguale a D, alla fine del ciclo produttivo il
capitalista si ritrova in mano una somma pari a D', che è tanto maggiore
rispetto al capitale inizialmente investito quanto più grande è il plusvalore
prodotto dal proletariato durante il processo produttivo.
La differenza tra il valore della merce prodotta e il totale del capitale
impiegato nella produzione della merce rappresenta il plusvalore; questo
non è altro che lavoro non retribuito dal capitalista. E' grazie al plusvalore
ottenuto dalla classe operaia che il capitale può generare profitto,
interesse e rendita.
“Il tempo di lavoro necessario a un operaio per produrre un valore
uguale a quello che egli riceve sotto forma di salario è inferiore alla durata
effettiva del suo lavoro. […] Egli lavora, dunque, la metà del suo tempo
per sé e l’altra metà per l’imprenditore. Il plusvalore è la quantità di valore
prodotta dall’operaio al di là del tempo di lavoro necessario, cioè del
tempo di lavoro necessario per produrre un valore uguale a quello che egli
riceve sotto forma di salario […].
La parte di giornata di lavoro necessaria per produrre il valore
cristallizzato nel suo salario è chiamata lavoro necessario, il resto è
chiamato pluslavoro. Il valore prodotto nel pluslavoro è chiamato
plusvalore e il tasso di sfruttamento è definito dal rapporto tra il plusvalore
e il capitale variabile, cioè il capitale che corrisponde al pagamento del
salario”.
4
4
Raymond Aron - Le tappe del pensiero sociologico.
Capitale e modernità
11
Il plusvalore si produce quindi nella sfera della produzione (e dei
servizi) e si sostanzia di lavoro operaio non retribuito, mentre, nella fase
della circolazione il plusvalore già prodotto, si realizza attraverso la
trasformazione delle merci in denaro; M - merce contenente il plusvalore -
si trasforma in D - denaro che rappresenta il capitale inizialmente investito
più il plusvalore prodotto nella produzione (e nei servizi) -.
Nella fase della circolazione non si produce plusvalore, in essa
avviene la realizzazione, nella forma di denaro, del plusvalore
precedentemente creato nella sfera della produzione delle merci.
Il plusvalore è tanto maggiore quanto maggiore è, all’interno
dell’impresa, la percentuale di capitale variabile in rapporto al capitale
totale.
Infatti il capitale investito nella produzione può essere diviso in due
grandi categorie: una parte del capitale, investita nell'acquisto di strumenti
di lavoro e in materie prime, compone il capitale costante, una seconda
parte investita nell'acquisto della forza lavoro dell'operaio, rappresenta
quello che Marx ha definito capitale variabile.
L’attività del capitalista parte dalla moneta per ritornare alla moneta,
attraverso un ciclo di varie tappe: dal denaro iniziale, all’acquisto di forza-
lavoro, all’utilizzazione della forza-lavoro nel processo tecnico di
produzione, all’ottenimento del prodotto finito, alla vendita sul mercato
con la trasformazione finale del prodotto in una nuova moneta accresciuta
in quantità.
La moneta, proprio in quanto equivalente generale e mezzo di
pagamento che consente l’acquisto di ogni altra merce, racchiude
potenzialmente in sé qualsiasi altro bene materiale, e costituisce quindi il
rappresentante per eccellenza della ricchezza in generale.
Capitale e modernità
12
Se il fine specifico del capitalista è quello di acquisire denaro, nel
senso di ricchezza in generale, non necessariamente ciò significa
accumulare moneta.
“Il meccanismo della circolazione ha mostrato che la classe
capitalistica, se immette nella circolazione denaro per spendere il
plusvalore, sottrae dalla circolazione lo stesso denaro, e può quindi
ricominciare sempre di nuovo lo stesso processo; che quindi, in quanto
classe capitalistica, rimane sempre in possesso di quella somma di denaro
necessaria alla monetizzazione del plusvalore.”
5
Non esiste, per il capitalista, una forma specifica di merce materiale
che rappresenti in assoluto la forma migliore in cui collocare la ricchezza:
al contrario, il capitale è sempre pronto a cambiare tecnologia, settore,
spazio geografico, per inseguire i modi più efficaci di utilizzare la forza-
lavoro.
E’ ciò che avviene con la mondializzazione industriale del capitale,
ossia con l’introduzione dell’informatica nei processi di produzione, si sono
trasferiti interi segmenti produttivi negli angoli più sperduti della terra,
senza che ciò comportasse delle difficoltà nell’organizzazione della
produzione.
In questo passaggio ininterrotto da una forma all’altra del denaro, la
moneta non rappresenta di regola se non una forma transitoria, anche se
necessaria, della ricchezza.
La tendenza alla concentrazione, alla centralizzazione dei capitali, la
crescita della sfera finanziaria e dell’appropriazione del plusvalore, quella
della disoccupazione, l’impoverimento crescente della popolazione
mondiale e la mondializzazione (o globalizzazione) dell’economia sono tutti
fenomeni in qualche modo riconoscibili nel marxismo.
5
K. Marx – Il Capitale, Libro secondo.
Capitale e modernità
13
1.3 Il capitalismo cognitivo.
Alcuni filoni del pensiero economico partono dalla critica del
marxismo e della teoria del valore-lavoro per focalizzarsi sugli aspetti
relazionali tra i singoli lavoratori e il modo di rapportarsi alle nuove
tecnologie informatiche.
La teoria del capitalismo cognitivo, nata negli anni ottanta negli Stati
Uniti, si pone come obiettivo quello di riformulare una critica della società
capitalistica, sostituendosi al marxismo, dimostratosi incapace di
comprendere gli aspetti innovativi della nuova fase del capitale.
"La fabbrica è una gigantesca fabbrica delle menti. Non solo nel
senso che la produzione manifatturiera si costituisce come supporto della
produzione di conoscenza, ma nel suo reciproco: in quanto ad assumere la
conformazione di un’enorme fabbrica sociale è la produzione dell’individuo,
della sua struttura cognitiva e mentale"
6
Per la teoria cognitiva il capitalismo moderno non produce solo
merci, ma anche sapere e conoscenza, in quanto con il post-fordismo, la
fabbrica è diventato il luogo dove l’uomo, geneticamente inteso, può
allargare il proprio sapere e la conoscenza. La conseguenza fondamentale
della rivoluzione informatica nei processi produttivi è quella di aumentare
la professionalità del lavoro operaio. Da semplice esecutore del comando,
l’operaio è chiamato a svolgere una funzione ideativa, riflettendo sulle
diverse procedure organizzative che occorre utilizzare per aumentare la
produttività del lavoro stesso in tempi chiaramente sempre più brevi.
6
Lorenzo Cillaro
Capitale e modernità
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"Il lavoro operaio deve sempre di più occuparsi della propria
organizzazione procedurale. Da puro e semplice esecutore di funzioni, che
opera sulla base di decisioni assunte da altri, esso deve riflettere sui
metodi organizzativi della sua estrinsecazione; trasformarne
incessantemente le procedure. Il mutamento innovativo
dell’organizzazione della produzione cessa di essere esterno alle attitudini
del lavoro subordinato ….".
7
Se la teoria del valore-lavoro di Marx è stata in grado di spiegare le
dinamiche del capitalismo nella sua fase industriale, le teorie cognitive del
capitale, cercano di metterla in crisi.
Il valore di una merce non è più quindi determinato dalla quantità di
lavoro socialmente necessario a produrla, ma il problema sociale del valore
può essere risolto considerando l’apporto intellettuale di ogni singolo
operaio nel miglioramento della produttività del lavoro stesso.
1.4 La Nuova Economia.
E’ nota la frase di Karl Marx: “Datemi il mulino a vento e vi darò il
Medio evo”. Parafrasandolo si potrebbe dire “Datemi un computer e vi
darò una Nuova Economia ”.
Il fenomeno della globalizzazione dell’economia è indissociabile dalla
diffusione delle tecnologie informatiche e della Rete.
Anzi, si potrebbe affermare che essa è essenzialmente conseguenza
del fatto che la produzione delle merci (sia quelle informative che quelle
materiali) è sempre meno legato ad un territorio, e dipende sempre di più
dalla integrazione telematica di lavoratori lontani fisicamente tra loro.
7
ibidem
Capitale e modernità
15
Il capitalismo sta subendo delle profonde trasformazioni rispetto al
passato; esso non si basa più solo sul processo di accumulazione di
denaro e di merce, ma soprattutto sull’informazione. Nella Nuova
Economia, o come più frequentemente si sente, la “New Economy” (N.E.),
una persona o un’impresa è tanto più ricca quanto maggiore è la sua
capacità di acquisire informazione ossia di arricchirsi. Ora l'informazione è
diventata la merce per eccellenza, quella che consente al sistema di
sostenere i processi d'accumulazione; visto che le nuove tecnologie hanno
aumentato enormemente la capacità di creare informazione, il capitalismo
ha la potenzialità per superare le proprie contraddizioni.
Il capitalismo industriale che con una terminologia moderna,
rappresenta l'Old Economy, legato al mondo della fabbrica e alle politiche
fordiste, è ampiamente superato dalla Nuova Economia, quella invece
legata ai mercati finanziari e ad Internet. Le reti informatiche offrono al
capitalismo la possibilità di svilupparsi continuamente e senza intoppi,
eliminando i cicli economici che da sempre hanno caratterizzato la storia
del capitalismo.
L’introduzione del computer applicato ai processi produttivi, ha
consentito una crescita della produttività e un maggiore livello di
efficienza.
Secondo il pensiero dominante, le nuove tecnologie e la relativa
informatizzazione della società hanno capovolto il rapporto tra la
produzione e il consumo delle merci; nella Nuova Economia è il
consumatore a determinare la produzione e si ha finalmente il dominio del
consumo sulla produzione.
8
8
http://digilander.iol.it/batcom/prometeo
Capitale e modernità
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L’attività imprenditoriale, nella N.E., è focalizzata ad attivare il
processo produttivo non tanto per realizzare un profitto immediato, ma
soprattutto per alimentare lo sviluppo economico che serve per soddisfare
le esigenze del consumatore. Il motore di questa rivoluzione è da ricercare
nello sviluppo dell'e-commerce, il cosiddetto commercio elettronico.
Grazie alla diffusione della telematica, nel prossimo futuro, si
assisterà a quello che alcuni definiscono “boom delle vendite” di prodotti
reali acquistati in maniera “virtuale”.
Uno degli effetti della Nuova Economia è che alcune imprese hanno
visto le loro quotazioni azionarie lievitare vertiginosamente. Imprese di
piccole e medie dimensioni, sconosciute al mondo e alla finanza che ad un
certo momento, in modo apparentemente inspiegabile, si sono trovate ad
avere una capitalizzazione in borsa maggiore della stessa Fiat.
“Tiscali, un'impresa con 200 dipendenti vale più della più grande
impresa italiana, che da sola rappresenta quasi il 5% del Pil italiano.
Questo è uno dei miracoli della Nuova Economia, creare dal nulla imprese
di piccole dimensioni capaci di competere con le grandi multinazionali [...].
Il moderno capitalismo è il prodotto della sinergia tra le potenzialità offerte
da Internet e della finanziarizzazione dell'economia. Grazie a questi due
fattori l'economia è destinata a vivere una nuova e lunghissima stagione di
sviluppo”.
9
Nel 1999, le azioni di una decina di società hanno visto centuplicarsi
il loro valore, che in qualche caso si è addirittura moltiplicato per 370.
Altre, come America on line (Aol), dal 1992 hanno moltiplicato il loro
valore per 800.
9
ibidem
Capitale e modernità
17
1.5 I pareri discordanti sulla Nuova Economia.
Analizzando il contesto internazionale, il paese che più degli altri
incarna il modello della Nuova Economia é gli Stati Uniti che rappresenta
l’area che prima degli altri ha intrapreso il cammino verso la frontiera della
N.E.
Coloro che credono vivamente negli effetti positivi e trainanti della
Nuova Economia, riportano come esempio lampante che negli Stati Uniti, a
seguito dello sviluppo di Internet e delle nuove tecnologie, sono stati
creati milioni di posti di lavoro; proprio per i dati incoraggianti
sull’occupazione americana, occorre imitare il modello statunitense.
Ciò che viene evidenziato è come negli Stati Uniti, negli ultimi 10
anni, siano stati creati oltre 20 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre nello
stesso periodo nell’Europa dell'euro i posti di lavoro nuovi sono stati
nettamente di meno. Nello stesso periodo anche i livelli di disoccupazione
hanno visto l’allargamento della forbice tra le due aree citate. Infatti,
mentre negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 5%, in
Europa la percentuale dei disoccupati non è mai scesa sotto il 10%, con
punte del 20% in Spagna e nel mezzogiorno italiano.
I motivi di tali discrepanze sono da ricercare nella maggiore
flessibilità del mondo del lavoro statunitense, sia per coloro che devono
entrarvi che per coloro che ne escono. In Europa è tale la burocrazia da
creare veri e propri vincoli all’abbattimento del tasso di disoccupazione.
Inoltre il miracolo statunitense sarebbe da ricercare in primo luogo in una
maggiore produttività del sistema economico americano, dovuta alla
presenza generalizzata dei computer nei vari settori produttivi.
Capitale e modernità
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Chi invece ritiene di dover essere un po’ più cauto nella valutazione
dei benefici derivanti dalla N.E., come Lorenzo Procopio, dice che “una
lettura superficiale dei dati sembra dare ragione ai sostenitori della Nuova
Economia, ma se andiamo ad analizzare nei dettagli i dati sulla
composizione degli occupati statunitensi comprendiamo meglio cosa si
nasconde dietro il miracolo americano.
Nel decennio 1989-1999 negli Stati Uniti il numero degli occupati è
aumentato con ritmi completamente diversi a seconda del settore
considerato; mentre nel settore della produzione dei beni, il numero degli
occupati è cresciuto di soli 313 mila unità, nel settore dei servizi i nuovi
occupati sono stati 20,5 milioni.
In quest’ultimo aggregato le componenti più importanti sono
costituite dagli occupati nel commercio al dettaglio, nei servizi sociali, che
comprende anche la sanità, nel pubblico impiego e soprattutto nel
magmatico settore dei servizi alle imprese. L’espansione di oltre 10 milioni
di nuovi posti di lavoro è avvenuta in quei settori che presentano una
bassissima produttività e un livello salariale abbondantemente sotto la
media nazionale. La crescita degli occupati non è quindi il prodotto delle
nuove tecnologie, ma sono stati i settori a più bassa produttività ad
assorbire manodopera. Il settore dell’alta tecnologia, quello che gravita
intorno ai computer, compreso quello dei servizi alle imprese, ha creato
quasi un milione di nuovi posti di lavoro, cifra notevole ma insufficiente
per sostenere che il fenomeno è figlio dell’incremento della produttività.
Inoltre le modificazioni intervenute nella composizione
dell’occupazione hanno inciso pesantemente nei salari dei lavoratori
americani. Il fenomeno d’impoverimento ha interessato la quasi totalità dei
91 milioni di lavoratori statunitensi, mentre solo 19 milioni hanno visto il
proprio salario reale crescere nel periodo 1998-1999.