2
Delimitare la generica nozione di valore, valida per tutti i campi
della scienza umana, con particolare riferimento al contesto giuridico
richiede un giudizio di apprezzamento, una “ ponderazione degli interessi,
che rispetto ad una realtà di fatto (o fattispecie) urgono per essere
prescelti e garantiti”
2
.
Le premesse fin qui formulate rappresentano il presupposto per la
trattazione della problematica ambientale.
L’ambiente, infatti, in un percorso evolutivo che impone di guardare
ad un nuovo sistema di valori comuni all’ intera umanità, non solo ha
rappresentato il teatro dei mutamenti filosofici e morali che hanno
richiesto una nuova valutazione del rapporto uomo-natura, ma si è
imposto quale nuovo valore apprezzabile nel contesto specifico delle
scienze giuridiche ed economiche.
2
Falzea A., Introduzione alle scienze giuridiche, parte prima, Il concetto del diritto,
Milano, 1988, 22
3
Su tali considerazioni, il presente lavoro affronterà una trattazione
delle problematiche sorte intorno alla esatta individuazione dei caratteri
che contraddistinguono la nozione di bene giuridico, esaminando le ormai
superate concezioni “materialiste”, per approdare ad una visione
assiologica che guardi da vicino al bene giuridico come strumento per la
tutela di nuovi valori (interessi) meritevoli di protezione.
Questi presupposti, nel proseguo del lavoro, consentiranno di
individuare, nelle contrapposte teorizzazioni che si sono contese il campo,
l’esatta nozione di ambiente guardando anche agli aspetti normativi,
interni ed internazionali, che hanno contribuito a tale scopo grazie anche
al rilevante contributo della giurisprudenza.
L’iter logico seguirà, definito l’ambiente come bene giuridico,
attraverso l’individuazione dei più efficaci strumenti di protezione
dell’ambiente privilegiando, in sede conclusiva, quelli che sono in grado di
prevenire le lesioni.
4
La visione di lungo periodo degli interessi da realizzare, a
protezione delle comunità presenti e delle generazioni future, infatti, è
l’ottica pubblicistica che contraddistingue qualsivoglia stato di diritto e che,
per tale ragione, si impone inevitabilmente alla legislazione interna ed
internazionale.
Le argomentazioni seguite condurranno, in sede conclusiva, a non
tralasciare anche gli aspetti di tutela risarcitoria che, quale ultima ratio,
devono servire a reprimere severamente qualsivoglia lesione ad un bene
di siffatta rilevanza per la collettività. Sotto questo profilo, le questioni di
maggiore problematicità, che hanno costituito ragione di gravoso impegno
per giuristi e, soprattutto, economisti, sono state quelle inerenti alla
individuazione dei parametri di riferimento per l’esatta qualificazione e
quantificazione del danno ambientale. Di questo si occupa l’analisi
economica del diritto su cui si incentrerà la trattazione conclusiva
dell’elaborato.
5
“Dall’idea dell’uomo dominatore della natura è stato necessario
passare a quella dell’essere umano parte di essa. …. L’uomo pertanto non
rappresenta più il centro e il metro della natura, ma ha la responsabilità
esclusiva nei confronti dell’intera comunità biotica di mantenerne l’integrità
anche, ma non solo, per la tutela del proprio benessere.”
3
.
3
Capone D. Mercone M., Il diritto dell’ecologia e dell’ambiente, 1993, Napoli, 15
6
CAPITOLO PRIMO
La tradizionale teoria del bene giuridico
1. L’oggetto del diritto
Nella considerazione riferita ai caratteri del diritto rilevano, primi e
incontrovertibili tra tutti, i caratteri umano sociale e normativo che
rappresentano, nella loro essenziale rilevanza, il fondamentale
presupposto dell’intera elaborazione dogmatica della teoria generale del
diritto e quindi anche dell’oggetto del diritto.
Un iniziale riferimento definitorio, unanimemente accettabile per la
sua genericità, guarda all’oggetto giuridico come “uno dei punti di
riferimento del rapporto giuridico”
4
.
4
Falzea, Voci di teoria generale del diritto, Milano, 1978
7
La principale elaborazione dell’efficacia giuridica, infatti, struttura
l’effetto giuridico con riferimento all’oggetto inteso, insieme al soggetto,
come punto di collegamento tra fatto ed effetto; la stessa dottrina, inoltre,
per approdare ad una definizione di diritto positivo considera la scienza
giuridica come scienza positiva in quanto ha ad oggetto gli ordinamenti
giuridici del mondo reale.
Vista la complessità del mondo reale, si impone a questo punto una
delimitazione dello studio dell’ambito dell’oggetto giuridico con riferimento
ai concetti di “bene” e “cosa”. Tali nozioni, infatti, hanno costituito il
presupposto dell’elaborazione teorica di quelle fondamentali dottrine che
assumono come principale punto di riferimento l’art.810 c.c.
8
2. “Beni”, “cose” e “oggetto”
L’art.810 c.c. recita : « Sono beni le cose che possono formare
oggetto di diritti”.
La norma in esame, come esaurientemente espresso da autorevole
dottrina
5
, presenta una formulazione linguistica scarna e solo
apparentemente chiara mentre, in realtà, appare caratterizzata da una
pregnante ambiguità che l’ha prestata alle più svariate interpretazioni.
Tra le numerose letture fornite a chiarificazione del dettato
codicistico in questione, appaiono particolarmente meritevoli di attenzione
due generali filoni argomentativi che, espressi nelle seguenti formulazioni,
consentono di ripercorrere il complesso panorama teorico:
1) Sono beni solo le cose che possono formare oggetto di diritti
6
;
2) Sono beni anche le cose che possono formare oggetto di diritti
7
.
Entrambi gli assunti si fondano su tre essenziali riferimenti
normativi: “beni”, “cose”, “oggetto”.
5
Zeno-Zencovich, Cosa, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. Civile, IV, 438 ss
6
Satta, Cose e beni nell’esecuzione forzata, Rivista di diritto commerciale, 1964, I, 350
7
Zeno-Zencovich, Cosa, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. Civile, IV, 438 ss
9
Avuto riguardo al significato da attribuire a tali concetti e ai
rispettivi ambiti relazionali, possono essere ricostruite le varie nozioni di
bene giuridico, vagliando aprioristicamente i primi tentativi logico-
argomentativi che, sebbene da criticare con riferimento alla scarsa
attualità e limitatezza delle soluzioni conclusive, segnano l’utile cammino
da ripercorrere per giungere a nuovi approdi.
Ad un primo vaglio delle due ipotesi sopra proposte, appare palese
come, la seconda delle soluzioni riferite, intende sostenere
un’interpretazione dell’art.810 c.c. in virtù della quale il significato della
norma sarebbe che “le cose che possono formare oggetto di diritti sono
beni”. Una simile ricostruzione, oltre che invertire l’oggetto definitorio
prescelto dal legislatore (la norma è inserita nel titolo I – “Dei beni” - Capo
I – “Dei beni in generale” – del libro terzo c.c., per cui è certo l’intento del
legislatore di definire giuridicamente i beni e non le cose), non farebbe
altro che ribadire un concetto indiscusso in dottrina secondo cui non tutte
le cose sono beni ma solo quelle che costituiscono oggetto di diritto. “Il
10
legislatore ha (…) preferito definire il bene anziché la cosa; bene è
l’oggetto di cui tiene conto il diritto, mentre il termine cosa conserva il
senso vastissimo di entità materiale o immateriale”.
8
Non rimane quindi che soffermarsi sulla diversa qualificazione che
limita l’ambito del bene giuridico, in relazione alle cose, con riferimento
alle sole cose che possono formare oggetto di diritto. Si intende comunque
già sottolineare, in prima approssimazione, che la problematica del bene
giuridico impone uno sguardo di più lunga portata rivolto ad una
individuazione qualificatoria che prescinda dallo stretto legame bene-cosa
visto che “le cose costituiscono solo una parte delle entità suscettibili di
essere qualificate come beni”
9
.
Una simile affermazione, negata da una parte degli studiosi
10
,
introduce la necessità di precisare il significato dei termini “oggetto
giuridico”, “bene giuridico”, “cosa”.
8
Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Milano, 2004, 498
9
Zeno-Zencovich, Cosa, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. Civile, IV, 438 ss.
10
Biondi, Concetto. Le cose e i beni in genere, in Messineo, Manuale di diritto civile
commerciale, Milano, 1957, 379 ss
11
Come evidenziato da autorevole dottrina
11
, il concetto di oggetto
del diritto dovrebbe presentarsi più ampio rispetto a quello di bene. Ciò è
dimostrato da una duplice argomentazione: la prima guarda alla
necessaria bivalenza del rapporto bene/oggetto con riferimento alla
individuazione dei due momenti sostanziale e formale (di qualificazione
giuridica) propri di ogni fenomeno giuridico; l’altra si fonda prettamente
sul concetto di utilità. Con riferimento ad ogni fenomeno è possibile,
infatti, individuare un momento sostanziale, dato dall’interesse insito in
esso ed un momento formale derivante dalla qualificazione che
l’ordinamento attribuisce a quel dato fenomeno e che si traduce nella
identificazione di una situazione giuridica soggettiva che grava su quel
determinato bene. In questo senso, bene ed oggetto giuridico si
identificano, differenziandosi dal concetto di cosa. Un’unica cosa, infatti,
può costituire beni diversi e oggetti giuridici diversi come, ad esempio, nel
caso in cui su di un fondo gravitano più situazioni giuridiche differenziate
(proprietà, usufrutto, servitù). Tuttavia la nozione di oggetto giuridico
11
Falzea, Voci di teoria generale del diritto, Milano, 1978
12
appare a questa dottrina più ampia di quella di bene giuridico con
riferimento al concetto di utilità: esistono, infatti, delle entità che sebbene
non forniscono una utilità per il soggetto (presentando, anzi, una
disutilità), sono oggetto di diritto in quanto su di esse insiste una
situazione giuridica soggettiva (prodotti difettosi, medicinali scaduti ecc.).
Il vero problema, in verità, è riuscire a comprendere quali cose
possono costituire oggetto di diritto e quindi incentrare la questione sulla
individuazione di quelle cose che devono considerarsi beni giuridici; con
riferimento a specifici ambiti definitori, e soltanto rispetto a questi,
potrebbe effettuarsi una valutazione sostanziale di tipo comparatistico tra i
termini in esame, individuandone, eventualmente, i tratti differenziali.
Una simile questione, tuttavia, sposta l’attenzione intorno alla
necessità di differenziare l’oggetto dal contenuto del diritto richiedendo di
vagliare, aprioristicamente, se i diritti hanno sempre ad oggetto una cosa.
Si propone nuovamente la necessità di comprendere l’esatto
significato del termine “cosa”.
13
Una tradizionale e ormai superata concezione dottrinale, definisce la
cosa come “una qualsiasi porzione del mondo esterno, che (…) sia
suscettibile di essere utilizzata, o appropriata, dal soggetto, per soddisfare
con essa a suoi bisogni economici o, anche, spirituali”
12
. La stessa
dottrina, nel fornire, invece, la nozione di bene giuridico, inteso come
“quelle utilità, (patrimoniali e anche non patrimoniali …), che sono date sia
da porzioni del mondo esterno, sia da energie umane, o naturali”,
individua la linea di demarcazione tra “cosa” e “bene”. In questo senso la
differenza tra le due entità consiste nel fatto che la cosa è un’entità
extragiuridica (bene allo stato potenziale) che diventa bene nella misura in
cui diviene oggetto di una particolare qualificazione giuridica; bene in
senso giuridico è la cosa idonea al perseguimento di una data funzione
economica e sociale, oggettivamente considerata.
In questo senso requisiti dei beni giuridici sono: il valore
economico; l’isolabilità o separabilità da altro bene che consenta al bene di
12
Biondi, Concetto. Le cose e i beni in genere, in Messineo, Manuale di diritto civile
commerciale, Milano, 1957, 379 ss.
14
acquistare una propria autonomia giuridica; la qualità, intesa con
riferimento alle caratteristiche aventi rilevanza giuridica; la qualifica che
consente la distinzione con riferimento alla titolarità dei beni (pubblici e
privati); la libera alienabilità, nella quale si manifesta il carattere più
comprensivo della commerciabilità
13
.
Accertata la difficoltà di risolvere, aprioristicamente, in modo
definitivo e soddisfacente la problematica intorno alla natura delle cose
che possono formare oggetto di diritti, stante l’impossibilità tautologica di
comprendere se i diritti abbiano sempre ad oggetto una cosa, altra parte
della dottrina
14
tenta una soluzione adombrando metodi di indagine di
matrice matematica e verificandone il risultato mediante l’attribuzione
all’incognita (“cosa”) di valori estremi: in un caso attribuendo a “cosa” il
senso di cosa corporale, nell’altro quella di “entità esterna al soggetto”.
Si propone, quindi, una duplice prospettiva: sono cose le entità
dotate del requisito della corporalità; sono cose tutte le entità immaginabili
13
Biondi, Concetto. Le cose e i beni in genere, in Messineo, Manuale di diritto civile
commerciale, Milano, 1957, 379 ss.
14
Zeno-Zencovich, Cosa, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. Civile, IV, 438 ss
15
dal soggetto e diverse da lui. Queste definizioni andranno,
alternativamente, a riempire la nozione di bene giuridico.
Le argomentazioni logiche seguite da questo filone interpretativo, in
realtà, non mancano neppure di considerare criticamente quanto già
elaborato dalla precedente dottrina
15
. Appare, per un verso, senz’altro
valida la confutazione, comune anche alla precedente elaborazione, del
dato secondo cui sono beni solo le entità dotate del requisito della
corporalità (“cose”) in quanto limitare la portata dell’art.810 c.c. alle cose
corporali non solo comporterebbe l’esclusione dell’attribuzione della
qualifica di bene giuridico ai cosiddetti beni immateriali
16
ma, inoltre,
condurrebbe ad una aperta violazione del principio di non contraddizione
con riferimento agli altri libri del codice civile in cui il legislatore ha
richiamato parimenti la nozione di “bene”.
15
Biondi, Concetto. Le cose e i beni in genere, in Messineo, Manuale di diritto civile
commerciale, Milano, 1957, 379 ss.
16
Pugliatti, op. cit.