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Introduzione
Nel presente lavoro analizzeremo sei libri di viaggio, in lingua inglese, scritti da donne.
Tutti i viaggi si sono svolti in Africa centro-meridionale e orientale tra il 1875 e il 1910.
Tra i vari aspetti analizzati ci concentreremo in particolare sulla rappresentazione delle
donne africane, con l’intento di estrapolare — con l’ausilio della critica — i discorsi
culturali sottesi a tali rappresentazioni. Evidenzieremo quindi, ove necessario, le posizioni
individuali delle scrittrici rispetto a ciò che vedevano, il loro retroterra culturale e la loro
maggiore o minore aderenza ai modelli dominanti. La scelta di considerare lavori di
scrittrici e non di scrittori, infatti, è stata motivata non tanto dalla volontà di analizzare la
scrittura femminile in generale, quanto da quella di evidenziare i complessi rapporti tra le
donne occidentali e le loro controparti colonizzate: un tema, del resto, assai attuale, dato
che sul corpo delle donne e sulla loro posizione nella società si gioca ancora tanta parte
dell’agenda politica – nazionale e internazionale — degli Stati.
I criteri per la scelta degli scritti da esaminare sono stati cronologico, geografico, e di
pertinenza. Tra la vasta messe di libri di viaggiatrici che hanno scritto soprattutto negli
ultimi tre secoli, abbiamo voluto restringere il campo ai lavori pubblicati tra la fine del
regno vittoriano e l’inizio di quello edoardiano, per avere a disposizione un ambito
culturale di riferimento abbastanza omogeneo, soprattutto anteriore ai grandi rivolgimenti
politici e culturali della prima guerra mondiale. Volendo poi scegliere come destinazione
l’Africa, abbiamo escluso le regioni a nord del Sahara, perché queste vengono comprese in
un immaginario geografico ‘orientale’, arabo e musulmano, mentre ben diverso era, per i
viaggiatori, avventurarsi in zone ritenute la quintessenza del ‘selvaggio’e del ‘primitivo’.
Inoltre l’Africa orientale e meridionale era teatro di gravi avvenimenti politici e punto di
partenza di importanti fermenti culturali. Infine, ciò che ha decretato la scelta di un
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racconto di viaggio è stata l’effettiva presenza, in esso, del soggetto della nostra ricerca,
cioè le donne africane. Queste ultime, infatti, sono trascurate o addirittura completamente
assenti nella maggioranza dei travelogues. Sebbene ciò possa stupire in un primo
momento, bisogna tener presente che molte scrittrici, nell’intento di acquisire credibilità e
autorevolezza, cercavano di parlare lo stesso linguaggio degli uomini — scientifico,
fattuale, ma anche profondamente etnocentrico ; e per gli uomini che a vario titolo
parlavano dell’Africa, il punto d’interesse era sempre l’uomo africano, mentre la donna
era ridotta al suo corrispondente femminile, sempre in secondo piano.
Le posizioni sociali delle scrittrici scelte sono le più varie, come assai diversi sono i
motivi dei loro viaggi: abbiamo la moglie di un commerciante in una spedizione di lavoro,
quella di un funzionario di una giovane colonia, due missionarie, due infermiere/pioniere
che devono fondare un ospedale, e una giovane scrittrice che viaggia da sola, per piacere e
per fare un’esperienza di vita.
Faremo ricorso a lunghe citazioni di brani, anche piuttosto lunghi, tratti dai testi in esame.
Ciò è stato ritenuto necessario, sia per dare un’idea del tono e dello stile delle autrici dalla
loro viva voce, sia perché si tratta di libri di difficile reperibilità, mai ristampati tranne che
per due eccezioni. In verità, anche così siamo state costrette, per non cadere in prolissità e
ripetizioni, a tagliare fuori molti brani interessanti.
Speriamo comunque di poter offrire uno spaccato di un genere letterario molto influente
sulla vita culturale britannica nell’epoca vittoriana e oltre, e allo stesso tempo chiarire le
dinamiche culturali che oppongono o avvicinano ai popoli ‘altri’ che si suppone,
viaggiando, di andare a conoscere.
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La letteratura di viaggio
Caratteri generali
La narrativa di viaggio è un genere antico quanto i viaggi stessi. Tra gli esempi più antichi
del genere nella letteratura occidentale ─ per quanto assai diversi dal libro di viaggio come
lo si intende oggi ─ possiamo citare le Storie di Erodoto
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, considerato il padre
dell’etnografia per i suoi viaggi e e la sua descrizione di popoli ‘barbari’, o Pausania con
la sua Periegesi della Grecia
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, sorta di guida turistica ante litteram.
Così come il viaggio è effettuato per i più vari scopi e nei più diversi contesti (l’idea di
viaggiare per puro diletto è relativamente recente), anche la narrativa che ne risulta assume
forme varie e diversificate, suscettibili di rendere ogni racconto un caso a sé, con
caratteristiche uniche e peculiari. Tali caratteristiche di stile, forma, contenuto variano
anche in rapporto alle diverse identità degli autori, che raramente (perlopiù a partire dalla
seconda metà del diciannovesimo secolo) sono stati letterati di professione. Sono questi
probabilmente i motivi principali per cui è stato sempre difficile tracciare le caratteristiche
peculiari del genere, e ancor meno creare un ‘canone’ ben preciso come quello che esiste
per la letteratura tradizionale, con le sue periodizzazioni e le sue gerarchie.
Barbara Korte
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attribuisce al racconto di viaggio due requisiti fondamentali: 1- è un testo
narrativo (solitamente in prosa) che descrive un viaggio nel suo svolgersi; 2- presuppone
che il viaggio abbia avuto luogo realmente, e che sia descritto dal viaggiatore stesso che vi
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445 a. C. circa; Storie ( Ιστορ ι αι), Roma, Newton & Compton, 1997.
2
II sec. d. C.; Viaggio in Grecia. Guida antiquaria e artistica,8 voll., Milano, BUR Biblioteca Universale
Rizzoli, 2001.
3
Barbara Korte, English Travel Writing from Pilgrimages to Postcolonial Explorations , Basingstoke,
Macmillan, 1999, p.1.
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ha preso parte. Questa definizione, necessariamente scarna, comprende dunque un vasto
repertorio di scritti, da quelli di antropologi, naturalisti ed esploratori a quelli di semplici
turisti o pellegrini; da quelli in forma epistolare a quelli in stile poetico. La prima e più
notevole caratteristica del travelogue è infatti quella di essere un grande raccoglitore, in
cui tutto può essere incluso: saggio, aneddoto, schizzo, lettera, reportage, persino poesia.
Ciò che tiene insieme queste diverse modalità espressive, spesso compresenti nella stessa
opera, è la narrazione: un nucleo narrativo che descrive uno spostamento nello spazio è
l’elemento indispensabile perché si parli di racconto di viaggio, anche quando il viaggio
diventa un mero pretesto per ampie divagazioni.
La flessibilità di questo genere narrativo concede allo scrittore una grande libertà
espressiva; per questo molti autori, non solo di fiction, sono ricorsi all’espediente del
viaggio immaginario, come nel Gulliver di Jonathan Swift o nelle Lettere Persiane di
Montesquieu. Dal momento che dal punto di vista formale nulla distingue le descrizioni di
fatti da quelle di finzioni (tanto che i racconti più antichi, come Il Milione di Marco Polo,
erano tranquillamente considerati frutto di fantasia), l’unico elemento che può distinguerli
è nella presunzione che il viaggio narrato abbia davvero avuto luogo. C’è qui un tacito
patto di fiducia tra scrittore e lettore: quest’ultimo sceglie di credere che i fatti che legge
siano (o siano stati) autentici, e ne viene ripagato con l’indubbio accrescimento
dell’emozione e dell’interesse per la lettura. Del resto, pare che molti scrittori di viaggio
abbiano approfittato ampiamente di questo elemento di interesse: non sono rari, infatti, i
casi in cui il puro e semplice spostamento diventa la parte preponderante dell’opera,
gravata di particolari (orari di partenza, numero di miglia percorse, costo dei biglietti,
elenchi di località, numero e peso dei bagagli e così via) che difficilmente avrebbero
trovato posto in un’opera di fiction, a meno di risultare pesante e noiosa.
Strettamente legato all’elemento dell’autenticità è l’elemento autobiografico. Il racconto di
viaggio è sempre narrato in prima persona; in esso autore, voce narrante e personaggio
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principale sono fusi in uno. Questo almeno per il lettore: perché in realtà non sono rari i
casi in cui l’autore fa del suo sé viaggiante un personaggio, costruendosi un’identità eroica
o ironica. Tale manipolazione può essere consapevole e ben curata, o può essere un
prodotto del distanziamento dall’esperienza del viaggio, specialmente nei casi in cui il
racconto è scritto retrospettivamente, cioè dopo il ritorno a casa (diversamente da un diario
o da una serie di lettere).
Nel primo caso, la creazione del personaggio può essere addirittura pianificata prima
dell’inizio del viaggio stesso, con lo scopo di fare del racconto di viaggio un romanzo a
tema: ne sono un esempio gli scritti di Richard Francis Burton
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, in cui l’autore esplicita in
più punti la sua intenzione preventiva di essere considerato un essere superiore dai nativi e
di attuare ogni comportamento volto a questo scopo: qui il tema è la superiorità dell’uomo
bianco, esemplificata e realizzata nella persona del viaggiatore.
Nel secondo caso, la costruzione di un personaggio è uno degli inevitabili prodotti della
sedimentazione e trasformazione degli eventi operata dalla memoria del viaggiatore, che
cerca di dare un’interpretazione, uno svolgimento alla massa indistinta dei fatti vissuti. Il
grado di costruzione di un plot è spesso tanto più evidente quanto maggiore è la distanza
temporale tra l’esperienza e il racconto di essa. A questo proposito scrive Jonathan Raban:
Perché viaggiare è un’attività intrinsecamente sconnessa, disordinata, caotica, laddove scrivere
insiste sulla connessione, l’ordine, la trama, il significato. Può volerci un anno o più per vedere
che la cosa ha avuto una qualche ragione, e più anni ancora per farle produrre una storia
articolata. La memoria, non il taccuino, ha in mano la chiave…La memoria…racconta
continuamente storie a sé stessa, archiviando l’esperienza in forma narrativa. Essa getta fatti
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Ricordiamo, a titolo di esempio, fra le numerose opera di Burton, The Lake Regions of Central Africa, New
York, Dover, 1995 (prima pubblicazione nel 1860).
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irrilevanti nel tritacarte, ingrandisce i dettagli cruciali, crea collegamenti e percorsi, scopre
simboli, costruisce trame. (pp. 247-8; traduzione nostra.)
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Poiché l’esperienza del viaggio, per poter essere narrata in forma comprensibile, deve
necessariamente passare attraverso il setaccio della memoria, il travelogue non è mai
oggettivo; il che non vuol dire che non sia mai vero. Lo stesso viaggio può essere narrato
in modi completamente diversi da due persone diverse, tuttavia entrambi i resoconti
possono vantare lo stesso credito di autenticità.
La creazione di una trama, l’attribuzione di significati, sono il frutto dell’attività
principale del viaggiatore, che è l’interazione con il mondo, e precisamente con un mondo
in qualche modo ‘altro’; un mondo che quanto più è diverso, estraneo, tanto maggiori
possibilità offre di interpretazione e espressione della propria capacità giudicante. Per
questo motivo ciò che viene esposto e rappresentato non è solo il mondo che si visita, ma
anche l’identità dello scrittore, che è messa a nudo; come in un oggetto fatto in uno
stampo, si vede sia la materia dell’oggetto che la forma dello stampo.
Nel racconto di viaggio sono particolarmente evidenti le costruzioni culturali e il processo
di percezione interculturale, con le relative comprensioni e incomprensioni. Infatti il
genere è stato oggetto, negli ultimi anni, di una riscoperta da parte del settore degli studi
culturali, e vari travelogues sono stati sottoposti ad analisi con i più vari strumenti
semiotici, narratologici, psicoanalitici, per rilevare i tratti salienti delle culture della
colonizzazione, qui colte nel momento stesso del loro prodursi e nel loro ambito
privilegiato, quello dell’incontro con l’Altro
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. Le differenze tra il viaggiatore e gli altri
sono sempre sussunte in categorie storicamente determinate: se nel Medioevo la categoria
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Jonathan Raban, For Love & Money: Writing, Reading, Travelling 1969-1987, London, Collins, 1987.
6
Tra i più importanti lavori sull’argomento, citiamo Mary Louise Pratt,, Imperial Eyes: Travel Writing and
Transculturation, London, Routledge, 1992, e la collettanea a cura di Steve Clark , Travel Writing and
Empire: Postcolonial Theory in Transit, London, Zed Books, 1999. L’editore Peter Lang di New York ha
creato nel 2002 una collana dedicata, “Travel Writing Across the Disciplines”, curata da Kristi Siegel.
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fondamentale era la religione, che generava l’opposizione cristiano/non cristiano, con
l’avvento dell’era moderna e la nascita degli stati-nazione determinante era l’appartenenza
a uno Stato, con la relativa opposizione Inglese (o Francese, o Italiano)/ di altra
nazionalità. Infine, con l’era industriale e il colonialismo, e l’identificazione delle nozioni
di razza, sviluppo tecnologico e doti morali, ha prevalso l’opposizione bianco/non bianco.
È inoltre da notare come ciascuna opposizione, nel corso della storia, non cancelli quelle
precedenti, ma tutt’al più le inglobi, adattandole i propri canoni: ne è un esempio il
tentativo di spiegare l’arretratezza di alcune regioni europee con la presunta mescolanza
delle popolazioni originarie con razze ‘inferiori’. Vi sono poi due categorie che sono
comuni a tutte le epoche storiche: la classe e il genere. La prima è stata declinata in
diverse coppie oppositive susseguentisi nel tempo (nobile/plebeo; cittadino/villano;
borghese/proletario); per la seconda, l’opposizione uomo/donna è stata riempita nel tempo
di significati slittanti, di cui rimando la trattazione ai capitoli successivi. In ogni caso, ciò
che queste categorie hanno in comune è il fatto di creare ogni volta una gerarchia, in cui
normalmente al vertice c’è il viaggiatore in quanto rappresentante della propria
classe/nazione/razza/religione/genere, e al di sotto tutti gli altri, riuniti in sottogruppi e
classificazioni.
Non dimentichiamo tuttavia che il viaggiatore, se entra nel mondo degli altri, si allontana
però dal proprio, e questo allontanamento gli permette di vedere il proprio mondo in
prospettiva. In questo caso il viaggiatore si identifica, rispetto ad un particolare aspetto,
con la cultura che lo ospita, e rivolge una critica alla cultura di provenienza, forte
dell’autorità che gli dà questa doppia appartenenza. Questo tratto è particolarmente
presente nel ‘700 (grazie probabilmente allo spirito del Grand Tour, che prevedeva proprio
di imparare dalle eccellenze degli altri popoli), mentre va sempre più a sfumare, fino a
scomparire del tutto, nel corso dell’800, quando, per le nazioni europee colonialiste,
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l’esaltazione del proprio Paese diventa una questione di patriottismo e l’affermazione della
superiorità della propria cultura non ammette tentennamenti o critiche.
A seconda che la soggettività dell’autore sia più o meno presente nel racconto di viaggio,
Korte distingue tra scritti ‘object-orientated’ e ‘subject-orientated’ (p. 6). Nel primo caso
l’autore mira a dare informazioni geografiche, antropologiche, statistiche etc. mettendo
così in secondo piano la propria esperienza personale, mentre nel secondo caso la persona
del viaggiatore, con le sue opinioni, le sue azioni, i suoi sentimenti, è al centro del
resoconto. In realtà gli studi culturali hanno chiarito come anche gli scritti di carattere
‘scientifico’ e ‘oggettivo’ siano in realtà condizionati o addirittura determinati da
preconcetti e stereotipi, e come siano solitamente funzionali a un progetto politico che ad
esempio, nel caso di paesi colonizzati, consiste nel controllo del territorio e
nell’asservimento delle popolazioni native
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. La soggettività dell’autore si rivela dunque,
più che nella sua presenza personale nel testo, nella maggiore o minore aderenza al
‘discorso’ culturale del suo tempo, e nelle motivazioni, esplicite o meno, economiche,
sociali e di genere che determinano tale posizione.
Se finora abbiamo esposto caratteristiche testuali comuni ai racconti di viaggio nella loro
generalità, più complesso è operare delle distinzioni all’interno del genere basandosi su
dati di stile, dato che, come abbiamo visto, spesso ogni opera raccoglie in sé più di un
soggetto e di conseguenza vari registri di stile. Probabilmente a causa del carattere
sfuggente e indefinibile degli scritti di viaggio, il canone letterario ufficiale li ha sempre
pressoché ignorati, relegandoli semmai al ruolo di ‘testimonianze dello spirito dell’epoca’.
Quando si è tentato di includerle nel canone, o di creare un canone apposito per il genere,
l’atteggiamento più ovvio è stato quello di privilegiare opere che possedessero un carattere
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Come vedremo più avanti, la nascente antropologia, supportata dalla medicina e dalle scienze sociali, ha
svolto un ruolo importante in questo processo; ma anche una disciplina apparentemente “neutra” come la
geografia, rivela connessioni con il potere e il progetto coloniale.