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INTRODUZIONE
L’alternanza di codice consiste nell’uso alternato di più codici all’interno di
una conversazione, ed è un fenomeno in continua crescita tra i parlanti
bilingui.
Dall’ultima indagine statistica effettuata nel 2006 in Italia è emersa una
rapida diffusione dell’uso alternato dei due codici italiano e dialetto, in tutte
le zone territoriali del nostro paese e in tutte le classi di età, che va ad
affiancarsi all’uso esclusivo di italiano e di dialetto.
Partendo dal mio interesse per il dialetto ho scelto di approfondire il tema
dell’alternanza di codice, affiancando ad una parte prettamente teorica
sull’argomento una parte pratica di analisi effettuata su dati da me raccolti
personalmente.
Il luogo in cui ho svolto la mia ricerca è Valbrona, un paese della Vallassina in
provincia di Como, e la raccolta dei dati necessari per effettuare la mia analisi
è avvenuta nel dominio specifico del salone della parrucchiera per signore
del paese. Ho frequentato l’esercizio per circa una settimana, riuscendo a non
informare i gestori né le clienti del salone della mia ricerca in quanto questo
ne avrebbe compromesso i risultati. Per quattro giorni ho ascoltato le
conversazioni tra le clienti e la parrucchiera, e ho trascritto ciò che avevo
ascoltato aiutandomi con i miei appunti, ottenendo circa 15 pagine di
conversazioni da analizzare. In seguito alla raccolta di questi dati ho
contattato le protagoniste delle conversazioni, la parrucchiera, l’assistente e
le nove clienti che hanno frequentato il salone mentre svolgevo la mia ricerca,
e ho chiesto la loro collaborazione per compilare un’intervista da me
precedentemente impostata. Attraverso le domande dell’intervista ho avuto
la possibilit{ di raccogliere dati importanti sull’identit{ delle mie
informatrici, oltre ad alcune riflessioni personali sugli usi del dialetto. Il terzo
passo è stato quello dell’analisi dei dati raccolti.
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Gli obbiettivi della mia ricerca, dopo aver verificato l’effettiva presenza
dell’alternanza di codice dialetto-italiano nelle conversazioni ascoltate presso
il salone della parrucchiera, sono stati quelli di associare ad ogni
commutazione di codice una particolare motivazione (l’alternanza di codice è
infatti sempre legata a fattori della conversazione come l’argomento o
l’interlocutore) e di stabilire dei collegamenti tra i dati personali delle
informatrici, come l’et{ e il livello di istruzione, e l’utilizzo prevalente di
italiano o dialetto. Infine, attraverso un’analisi specifica di ogni occorrenza ho
cercato di trarre delle conclusioni su quali configurazioni sintattiche fossero
più soggette al fenomeno dell’alternanza di codice.
Il primo capitolo traccia un’introduzione generale sulla situazione linguistica
italiana, caratterizzata da diverse varietà della lingua nazionale. La varietà su
cui mi sono soffermata maggiormente è quella diatopica, che ho affrontato
descrivendo brevemente il panorama dialettale italiano e i dialetti della
Lombardia.
In seguito ho elencato alcuni fattori di differenziazione sociale come l’et{, il
genere e l’articolazione sociale, che sono strettamente connessi alla
differenziazione linguistica; debito spazio è stato concesso anche ai due
concetti fondamentali di situazione comunicativa e dominio. Nell’ultima parte
del capitolo ho voluto fornire alcuni dati delle indagini statistiche relative alla
situazione linguistica del nostro paese, e ho concluso con alcune riflessioni
sul futuro del dialetto.
Con il secondo capitolo sono entrata nell’argomento centrale della mia tesi.
Dopo una definizione dell’alternanza di codice ho evidenziato le due modalit{
principali attraverso le quali il fenomeno si manifesta, la commutazione di
codice e l’enunciazione mistilingue.
Per quanto riguarda la commutazione di codice ho in primo luogo elencato le
sue possibili configurazioni: la commutazione di una singola parola, i
fenomeni del tag switching e del triggering. In secondo luogo ne ho analizzato
tutte le possibili funzioni, distinguendo tra la commutazione di codice
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connessa ai partecipanti alla conversazione, e la commutazione di codice
connessa all’argomento della conversazione.
Sono quindi passata ad analizzare la seconda modalità attraverso la quale si
manifesta l’alternanza di codice, ovvero l’enunciazione mistilingue: la
definizione è seguita dall’esposizione delle diverse tipologie, delle eventuali
restrizioni grammaticali a cui pare maggiormente soggetta e delle possibili
cause.
Il terzo capitolo è interamente incentrato sulla mia ricerca a Valbrona. La
prima parte è costituita da una breve introduzione sul lavoro svolto e da
alcune notizie sul Comune di Valbrona, ed è seguita dalla presentazione delle
mie informatrici. La parrucchiera e l’assistente sono presentate
separatamente, e le due descrizioni sono seguite da quelle delle clienti del
salone, che ho suddiviso in tre gruppi: le clienti totalmente italofone, le clienti
prevalentemente italofone e quelle prevalentemente dialettofone.
Alla presentazione delle protagoniste della mia ricerca segue l’analisi punto
per punto dell’intervista sottoposta alle informatrici, analisi in cui descrivo la
motivazione che mi ha spinto a inserire tali domande e le risposte che ho
ottenuto. L’intervista si suddivide principalmente in tre sezioni, una prima
parte relativa ai dati personali delle informatrici come l’et{ e il titolo di
studio, una seconda parte relativa agli usi effettivi di dialetto ed italiano in
diversi contesti, e una terza parte relativa agli atteggiamenti nei confronti del
dialetto.
L’ultima parte del capitolo è dedicata all’analisi delle occorrenze di
alternanza di codice che ho rilevato nelle mie 15 pagine di conversazioni.
L’analisi delle commutazioni di codice si compone di due sezioni: nella prima
ho abbinato ad ogni commutazione di codice una specifica funzione e
motivazione, e nella seconda le ho suddivise a seconda delle diverse tipologie
in commutazioni di codice extrafrasale, interfrasale, intrafrasale e
intralessicale. In seguito ho elencato tutte le occorrenze di enunciazione
mistilingue, dividendole in enunciazioni mistilingui proposizionali,
sintagmatiche e monologhe; e le occorrenze di tag switching e triggering.
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Nelle ultime pagine della mia tesi ho dato spazio ad alcune conclusioni tratte
alla luce dell’analisi effettuata sui dati raccolti. In primo luogo, partendo dalle
risposte ottenute nella prima parte dell’intervista, ho avanzato delle ipotesi
sulle possibili correlazioni tra le variabili dei dati personali delle informatrici
e l’uso maggiore di dialetto o di italiano nelle loro conversazioni. In secondo
luogo ho discusso due casi di incoerenze tra le risposte fornite nell’intervista
e l’effettivo comportamento linguistico di due clienti, e ho provato a fornire
delle spiegazioni. Infine ho analizzato nello specifico le commutazioni di
codice intrafrasale e ho ipotizzato la maggiore permeabilità di alcune
configurazioni sintattiche al fenomeno dell’alternanza di codice.
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I. LA SITUAZIONE LINGUISTICA ITALIANA
1. Italiano e dialetto
1.1 Le variet{ diatopiche dell’italiano
La situazione linguistica italiana è caratterizzata dalla presenza di diverse
varietà di italiano: il codice utilizzato è sempre lo stesso, la lingua italiana, ma
la sua attuazione cambia in relazione a diversi fattori. Le varietà
fondamentali dell’italiano dipendono da quattro parametri: diamesia,
diastratia, diafasia, diatopia.
La diamesia è la variazione tra l’italiano scritto e quello parlato, la diastratia è
la variazione correlata allo status socioeconomico di chi usa la lingua, la
diafasia è la variazione determinata dalla situazione comunicativa.
Infine la diatopia è la variazione determinata dalla dimensione spaziale:
l’origine e la distribuzione geografica dei parlanti d{ luogo a diverse varietà
geografiche di lingua, riconoscibili su piccola scala in termini di particolarità
e differenziazioni regionali e locali, e su grande scala in termini di vere e
proprie varietà a carattere nazionale.
1
1.2 Il repertorio linguistico italiano
Il repertorio linguistico è l’insieme delle variet{ di lingua e dialetto
disponibili ai parlanti di una comunità.
Dagli anni Sessanta a oggi la discussione scientifica ha cercato di identificare
quante e quali siano le varietà del repertorio a disposizione della maggior
parte dei parlanti in Italia. Nel 1960 Giovanni Battista Pellegrini, in un saggio
intitolato “Tra lingua e dialetto in Italia” identificò quattro variet{: l’italiano
standard o letterario, l’italiano regionale, il dialetto regionale, il dialetto
locale.
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1
I. Bonomi, A. Masini, S. Morgana, M. Piotti, Elementi di linguistica italiana, Roma, Carocci,
2009, pp.15-22.
2
F. Avolio, Lingue e dialetti d’Italia, Roma, Carocci, 2009, pp.60-67.
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L’italiano standard coincide con l’italiano descritto dai manuali di
grammatica, è una varietà che ha subito nel tempo un processo di
standardizzazione, di regolarizzazione che ha consentito di renderla più
adatta a svolgere i compiti e le funzioni che le sono proprie come quelle
politiche, giudiziarie, burocratiche, scolastiche.
Si realizza prevalentemente nello scritto: nel parlato è molto raro e
posseduto da un numero di parlanti assai ristretto, un’élite di intellettuali, o
meglio ancora una ristretta cerchia di gruppi professionali specifici come
attori, doppiatori, annunciatori radio-televisivi che abbiano seguito appositi
corsi di dizione. La conquista di un italiano standard scritto è stata invece
conseguita da settori molto più consistenti della popolazione.
L’ormai compiuta diffusione della lingua italiana anche nel parlato e in gran
parte delle classi sociali ha dato inizio a un processo di svecchiamento dello
standard letterario e di adeguamento delle sue strutture alle esigenze di una
società più dinamica e complessa: a tale varietà linguistica colloquiale
Francesco Sabatini ha dato il nome di “italiano dell’uso medio”.
L’italiano regionale è
“quel sistema linguistico le cui realizzazioni, comuni a tutti i
parlanti di una data area, derivano dall’interferenza del dialetto
locale e/o di quello delle aree contigue e, inoltre, dalla parziale
utilizzazione delle possibilit{ previste dalla lingua italiana”.
3
Rispetto agli altri Stati europei, l’unificazione linguistica dell’Italia è stata
tardiva, basata più sullo scritto che sul parlato e complessivamente debole.
Nel corso del XVI secolo, quando il modello fiorentino diventava
definitivamente lingua letteraria, si andavano affermando poteri locali di
dimensione regionale: da essi si originava il policentrismo politico e culturale
della penisola italiana, che sul piano linguistico dava luogo a convergenze
regionali sulla parlata egemone. Invece dell’adozione passiva del fiorentino si
registrò così la costituzione di più dialetti regionali, che occuparono fino al
3
L. Amenta, M. Castiglione, “Nuove categorie per la definizione di italiano regionale”, in
Bollettino dell’atlante linguistico italiano, Torino, III serie, n. 37, 2007, pp. 59-81, a p. 59.
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nostro secolo i piani alti del repertorio linguistico italiano, mentre i livelli
inferiori erano occupati dai dialetti.
In realt{ dunque l’italiano parlato è sempre stato caratterizzato in ogni area
da un certo numero di tratti peculiari, facilmente riferibili alla presenza del
dialetto nella competenza linguistica del parlante.
Una piena coscienza di questa regionalit{ di gran parte della lingua dell’uso si
ebbe nell’ultimo scorcio del XIX secolo, quando in tutto lo Stato fu promossa
una politica di alfabetizzazione e di diffusione della lingua unitaria. Nel
periodo compreso tra le due guerre l’opera di scolarizzazione di massa
cominciò a dare i primi risultati, ma mentre la scuola continuava a diffondere
– soprattutto nell’uso scritto – il suo modello di italiano uniforme e letterario,
nello scambio sociale la media borghesia utilizzava sempre più spesso negli
usi orali un italiano fortemente variato nella dimensione diatopica. La nascita
dell’italiano regionale va pertanto collocata tra le due guerre, quando i
provincialismi lessicali e fonetici prima utilizzati eccezionalmente da un
numero limitato di parlanti diventarono insiemi di tratti che qualificavano e
differenziavano sistematicamente il modo di usare la lingua in aree diverse.
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Tullio De Mauro distingue quattro variet{ “maggiori” di italiano regionale -
quella settentrionale, toscana, romana e meridionale, che a loro volta si
articolano in sottovarietà - e un certo numero di varietà minori, tra cui ad
esempio la varietà sarda. Ogni varietà di italiano regionale è ben
caratterizzata, ma può avere un numero di tratti di origine dialettale molto
variabile. I vari italiani regionali presentano un certo numero di tratti: le
caratteristiche di fonetica, intonazione, lessico, spesso anche sintassi e
morfologia sono ricalcate sul dialetto dell’area. Le differenze più forti si
notano nella fonologia e nell’intonazione: è proprio l’intonazione a far
riconoscere immediatamente la provenienza di un parlante, in particolare
per certe aree.
4
A. Sobrero, Italiano regionale, in G. Holtus, M. Metzeltin, C. Schmitt (hrsgg), Lexikon der
Romanistischen Linguistik, vol. 4, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1988, pp. 732-748, a
pp. 735-736.