4
Introduzione
Il presente elaborato ha lo scopo di analizzare il ruolo dell’alta velocità
ferroviaria nei corridoi multimodali di trasporto, strumenti fondamentali della
politica europea di trasporto e di sviluppo.
Proprio su questo ultimo punto si soffermerà il primo capitolo, che seguirà
l’evoluzione dei progetti di rete trans-europea di trasporto che l’UE ha iniziato a
delineare dopo Maastricht, fino alla recente conformazione in Corridoi. La
descrizione dello strumento dei Corridoi Paneuropei, alla cui formazione l’UE ha
contribuito in minima parte, servirà a capire l’origine della politica di sviluppo
delle aeree periferiche attraverso la costruzione di assi infrastrutturali di trasporto
che collegano tali zone con le aree più sviluppate del continente. Nell’ultima
parte del capitolo si affronterà la questione del finanziamento dell’intero
programma di rete trans-europea di trasporto: l’aspetto più rilevante
dell’impegno delle Istituzioni europee nella costruzione di infrastrutture di
trasporto negli Stati membri.
Nel secondo capitolo l’elemento che verrà messo in rilievo sarà il ruolo
strategico ricoperto dalla ferrovia nel piano europeo di trasporto. I progetti
prioritari della rete trans-europea di trasporto sono riconducibili, nella maggior
parte dei casi, a infrastrutture ferroviarie ad alta velocità. Si analizzeranno,
quindi, quali sono gli strumenti che l’UE mette in campo per creare una rete
ferroviaria trans-europea ad alta velocità: dalle direttive che perseguono
l’interoperabilità tra i sistemi ferroviari dei diversi paesi europei, a quelle che
realizzano una liberalizzazione reale del settore ferroviario. Tutto ciò ha
implicato una rivoluzione totale delle aziende ferrotranviarie, avvantaggiando
quelle stabilite in paesi dove la tecnologia ad alta velocità si è sviluppata da più
tempo.
5
Sottolineato, dunque, come nella politica europea di trasporto l’alta
velocità ferroviaria ricopra un ruolo preminente, nel terzo capitolo il lavoro si
concentrerà sulla nascita di questa nuova tecnologia a livello mondiale ed
europeo e su quelle che sono le sue caratteristiche in termini di impatto sociale ed
economico nei più importanti paesi che l’hanno sviluppata. Una breve analisi sui
costi e i benefici di queste infrastrutture ferroviarie dimostrerà che difficilmente
si produrrà una redditività economica e finanziaria, e che quindi l’investimento
pubblico sarà l’unico in grado supportare il debito creato compensandolo, in
alcuni casi, con le esternalità sociali positive. Infine, verranno analizzate le
diverse modalità di implementazione di un sistema ad alta velocità che
solitamente differiscono in base alle caratteristiche orografiche e demografiche
dei vari paesi.
Il quarto capitolo tratterà dell’esperienza italiana nel settore dell’alta
velocità ferroviaria. Innanzitutto si analizzerà la situazione infrastrutturale
italiana per capire l’influenza di tale scelta politica sul sistema italiano dei
trasporti. In seguito verrà affrontato il processo di decisione interno che ha
portato allo sviluppo di un sistema ferroviario italiano ad alta velocità. Verranno
descritti gli attori politici e gli interessi privati che hanno avuto un ruolo
importante nella fase di integrazione di tale politica nazionale con quella europea
dei progetti prioritari di trasporto. Infine si approccerà criticamente alle modalità
di finanziamento del sistema AV/AC italiano, che confermerà le difficoltà nel
coinvolgimento di capitali privati nella realizzazione di tali opere.
Nell’ultimo capitolo si tenterà di mettere insieme il lavoro svolto nei
precedenti e di discutere sulle opportunità offerte dai corridoi europei di trasporto
per il sistema-paese Italia. Dei principali progetti che l’UE si appresta a sostenere
e che interessano il nostro paese, il più importante è sicuramente il Corridoio
Mediterraneo. La sezione del Corridoio che attraverserà il Nord del paese da
Ovest ad Est si connota per essere, esattamente come gli altri assi che interessano
l’Italia, un asse ferroviario di trasporto concepito con standard operativi per l’alta
velocità. Si chiarirà lo stato attuale di realizzazione del corridoio evidenziando le
6
posizioni dei paesi interessati dal suo tracciato e confinanti con l’Italia. Infine
sarà dedicato un importante focus sul collegamento ferroviario Lione - Torino,
ritenuto al momento indispensabile per la realizzazione dell’intero progetto
europeo. Nella questione risalterà la dura opposizione portata avanti dalla
popolazione locale e dagli ambientalisti, e questa sarà l’occasione per formulare
una breve analisi su un modello di sviluppo alternativo a quello capitalistico
improntato sul trasporto come generatore di sviluppo.
7
CAPITOLO I
Nuove reti di trasporto per rilanciare lo sviluppo in Europa
L’Unione europea si è affacciata nel nuovo millennio con grandi aspettative di
progresso economico e sociale: innanzitutto quella di ridurre il divario
economico e sociale fra le aree attualmente marginalizzate e periferiche,
meridionali e orientali, e le aree “forti”, favorite da posizioni di centralità
derivanti spesso da collocazioni geografiche privilegiate e da sistemi di trasporto
fortemente interconnessi e completi, e, contestualmente di espandere il soggetto
politico dell’Unione Europea, inglobando nuovi Stati-Nazione che potessero
contribuire a creare un’area economica strettamente integrata capace di
competere e primeggiare nel mondo globalizzato che si stava realizzando.
Il processo di crescita economica rappresenta un obiettivo vitale per un
sistema economico di stampo liberale a cui ormai tutto il continente europeo
sembrava ormai essersi convertito. La classe dirigente europea decise di
delineare un piano per una crescita sempre più sostenuta nell’area UE, che
potesse trainare anche i paesi esterni, e venne definito “Strategia di Lisbona”
1
. Fu
difficile immaginare una crescita economica forte, creatrice d’occupazione e di
ricchezza in assenza di un sistema di trasporto efficace che permettesse di
sfruttare pienamente il mercato interno e le possibilità offerte dalla
mondializzazione degli scambi commerciali. Nonostante viviamo nella società
1
La “strategia” o “agenda” di Lisbona, ha l’obiettivo generale di far diventare l’Unione europea
“l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una
crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. La
strategia venne adottata al vertice i Lisbona svoltosi il 23 e 24 marzo 2000, dove i capi di Stato o di
governo europei hanno deciso di tendere al raggiungimento di una crescita economica media del 3 % e
alla creazione di 20 milioni di posti di lavoro entro il 2010. Conclusioni della Presidenza del Consiglio
Europeo di Lisbona 23-24 marzo 2000.
8
dell’informazione e degli scambi virtuali, esiste ancora una forte esigenza di
mobilità. La domanda di trasporto è cresciuta costantemente fino a metà degli
anni duemila, sia per i passeggeri sia per le merci. Per queste ultime bisogna
considerare che negli ultimi vent’anni in Europa si è passati da un economia di
“stock” ad un’economia di “flusso”, fenomeno accentuato dalla delocalizzazione
di determinate imprese, quelle ad alta intensità di manodopera, che hanno
spostato determinate fasi della produzione a centinaia o migliaia di chilometri dal
luogo di assemblaggio.
L’attuale situazione europea testimonia il fallimento di quel piano per la
crescita, dovuto non solo a fattori esogeni come la crisi finanziaria internazionale
nata negli Stati Uniti, ma anche all’incapacità dell’Ue e delle classi dirigenti dei
singoli Stati-Nazione europei di implementare in maniera corretta le principali
politiche-economiche di rilancio di determinanti settori strategici. Oggi trovare la
strada per una crescita economica nei paesi europei diventa una necessità per
riuscire ad evitare un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione e
soprattutto delle generazioni future.
Da sempre migliorare l’accessibilità ad un territorio equivale ad aumentare
esponenzialmente le potenzialità di crescita di quello, quindi le prospettive di
sviluppo di una regione dipendono dalla validità delle sue infrastrutture di
trasporto e di comunicazione (Cerrone, 2008).
L’attenzione della politica europea ai nuovi investimenti nelle dotazioni
infrastrutturali dei vari paesi si deve alle iniziative prese dalla Commissione
Europea sin dagli anni ottanta. L’obiettivo generale dell’istituzione europea era
quello di sviluppare l’intero settore dei trasporti, divenuto ormai uno dei
principali settori economici della Comunità.
Tra i vari aspetti della politica europea dei trasporti la definizione di alcuni
pacchetti di opere infrastrutturali, di volta in volta aggiornate e modificate nel
corso degli anni, svolge un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo
economico che l’UE sembra speranzosa di avviare sul suo territorio. Gli “assi
prioritari” delineati ad Essen nel 1994, trasformatosi prima in “progetti prioritari”
9
e adesso in “Corridoi Europei”, sono stati pensati per migliorare la coesione
economica e sociale del territorio e per portare ad una persistente stabilità
geopolitica in Europa (Savina & Vizzer, 2003).
La politica europea in materia di rete transeuropea dei trasporti oltre a
contribuire ad assicurare accessibilità e a incentivare la coesione economica,
sociale e territoriale, ha l’obiettivo di favorire il corretto funzionamento del
mercato interno e il conseguimento degli obiettivi dell’agenda di Lisbona in
materia di crescita e di occupazione
2
.
Infine deve integrare i requisiti in materia di protezione dell’ambiente con
l’intento di promuovere lo sviluppo sostenibile, diventato obiettivo di riferimento
nell’Unione dopo il Consiglio Europeo di Goteborg del giugno 2001. Per
conseguire gli obiettivi comunitari in materia di cambiamenti climatici bisogna
integrare economia e ambiente, orientandosi verso servizi di trasporto merci e
passeggeri su base co-modale ed efficienti e ricorrendo all’innovazione.
Vi sono previsioni di crescita del trasporto merci del 34% nel periodo
2005-2020
3
, che sottolineano l’importanza di proporre soluzioni co-modali per
risolvere problemi come la congestione, l’aumento delle emissioni di biossido di
carbonio, carenze infrastrutturali e organizzative.
La ferrovia è indicata dall’ Europa come il settore strategico dal quale
dipende in misura maggiore il riequilibrio del traporto europeo, soprattutto per
quanto riguarda il comparto merci continentale. Inoltre, il rilancio della ferrovia è
essenziale per la riduzione di emissioni inquinanti, poiché rappresenta il modo di
trasporto più pulito esistente attualmente. Nell’ultimo decennio l’Unione ha
implementato diverse misure tese al rilancio del settore, innanzitutto cercando di
2
In occasione del vertice straordinario del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo 2000 a Lisbona i capi di
Stato o di governo dei 15 paesi dell’UE hanno definito un nuovo obiettivo strategico allo scopo di
rafforzare l’occupazione, la riforma economica e la coesione sociale. L’obiettivo generale di queste
misure doveva consistere, sulla base delle statistiche disponibili, nel portare il tasso di occupazione dalla
media dell’epoca, pari al 61 %, a un livello il più vicino possibile al 70 % entro il 2010, nonché
nell’aumentare il numero di donne nel mondo del lavoro, passando dalla media di allora del 51 % a oltre
il 60 % entro il 2010.
3
A riguardo si veda: Libro Verde "TEN-T: riesame della politica Verso una migliore integrazione della
rete transeuropea di trasporto al servizio della politica comune dei trasporti" (COM(2009) 44 definitivo).
10
realizzare l’apertura dei mercati non solo per il trasporto internazionale di merci
ma anche per il cabotaggio sui mercati nazionali e, progressivamente, per il
trasporto internazionale di passeggeri.
Gli investimenti si sono concentrati su una rete ferroviaria ad alta velocità
completamente interoperabile al servizio del trasporto passeggeri, che possa
decongestionare la rete tradizionale e permettere che questa, nel lungo periodo,
sia dedicata esclusivamente al trasporto merci e, laddove non sia possibile
costruire nuove linee (nei tunnel o nei ponti di una certa lunghezza), è necessario
prevedere un uso misto passeggeri-merci nel tratto tradizionale.
Sin dai quattordici progetti prioritari di Essen l’obiettivo principale era
quello di sviluppare la ferrovia ed i treni ad alta velocità, eliminando le principali
strozzature nei valichi alpini, nella catena dei Pirenei e per i collegamenti dal
Regno Unito, dall’Irlanda, e dalla Scandinavia. L’allargamento dell’Unione ad
Oriente, ha permesso di rafforzare la strategia di riequilibrio dei trasporti
incentrata sulla ferrovia, sia perché gli ex paesi socialisti possiedono una rete
ferroviaria ampia e densa grazie ad un know-how non trascurabile, sia perché ha
permesso di integrare il disegno dei Corridoi paneuropei.
I progetti di nuove linee ferroviarie non sono però i soli interventi capaci
di migliorare e riequilibrare il settore dei trasporti. L’intermodalità tra i diversi
tipi di trasporto è l’obiettivo fondamentale che l’Unione si pone, poiché produce
diversi vantaggi, tra i quali: riduzione dei costi e innalzamento della qualità e
affidabilità nel trasporto e nella logistica delle merci; riduzione della congestione
stradale e il conseguente riequilibrio modale; un più contenuto impatto
ambientale; maggiori possibilità di integrazione di differenti sistemi paese,
inclusi quelli che fanno maggior ricorso ai trasporti marittimi o a canali
navigabili (Azzini, 1998).
Le città europee dotate di un nodo capace di metter in relazione reciproca
tutte le modalità di trasporto sono situate nel territorio centrale dell’Europa
(Parigi, Francoforte, Zurigo, Amsterdam, Bruxelles), mentre ai margini nord e
sud sono presenti piattaforme incomplete, come nell’Italia settentrionale o in
11
Inghilterra. Questo dato dimostra che esiste un “cuore” europeo accessibile con
ogni modalità di trasporto e profondamente interconnesso, che proprio grazie a
questa elevata accessibilità rappresenta da sempre il motore dell’economia
europea.
Si può ritenere che il vero intento della “burocrazia europea” sia in realtà
quello di ottimizzare queste piattaforme centrali di interconnessione, e, attraverso
la logica dei corridoi, collegarle in maniera più intensa con le aree marginali per
poter rafforzare la dipendenza dell’intero continente dal centro. Più che di
riequilibrio territoriale si tratta di un processo di consolidamento dell’egemonia
franco-tedesca nell’Unione europea. I paesi periferici come Spagna, Italia ed ex
socialisti hanno indubbiamente dei vantaggi nella possibilità di veder riconosciuti
ad alcuni importanti assi di collegamento nazionali una valenza europea che
possa sbloccare finanziamenti aggiuntivi. Chi tiene però le “fila” del gioco sono
Francia e Germania disposte a investire le loro maggiori risorse in progetti
localizzati in territori lontani da casa, ma solo se questi sono inquadrabili in un
disegno di crescita della loro influenza economica.
Nonostante questa lettura sia poco riguardosa nei confronti della teoria di
un processo di integrazione europea costruito sulla volontà di tutti gli Stati
nazionali e non intorno alla supremazia dell’asse franco-tedesco, la costruzione
di assi transfrontalieri di trasporto che hanno il loro fulcro nel centro-europa
rappresenta logicamente la soluzione migliore per rendere il continente
competitivo a livello mondiale. Puntare da zero su aree limitrofe con base
infrastrutturale scarsa e know-how logistico basso, comporta dei rischi troppo
grandi dal punto di vista della redditività nel breve periodo.
Nel lavoro seguente si tende a ricostruire in modo “istituzionale” l’azione
della Comunità prima, ed Unione poi nella politica delle reti infrastrutturali,
tralasciando il ruolo svolto dalle singole entità nazionali nella sua definizione. In
realtà un’analisi di questo tipo, oltre ad essere difficoltosa dal punto di vista delle
fonti, oscurerebbe completamente un aspetto da non trascurare: l’effettiva presa
di coscienza da parte di numerose elitè nazionali che convenga ormai ragionare
12
in termini di “sistema Europa”, e quindi partecipare attivamente ad un disegno
continentale che non presupponga per i propri paesi vantaggi sicuri ed immediati.
Nel clima recessivo che si respira in questi ultimi anni, portare avanti
progetti di così grande impatto sociale, economico ed ambientale ingrossa
l’opposizione che in molti casi si registra a livello locale. I governi nazionali e la
stessa Unione hanno delle difficoltà a giustificare investimenti così dispendiosi di
fronte a queste opposizioni locali, in un momento in cui lo Stato sociale arretra,
gli stipendi non crescono e l’economia decresce. D’altra parte però attorno a
queste decisioni di investimento si creano determinati gruppi di interesse che
vedono opportunità di creare lavoro.
All’interno dei singoli stati la riflessione può portare a proposte di
revisione del modo di sviluppo che ha contraddistinto questa parte del mondo da
oltre mezzo secolo, e conseguentemente può influire in senso antieuropeista,
interrompendo bruscamente quel processo di integrazione europea che nelle
intenzioni delle classi dirigenti doveva creare un blocco europeo capace di
competere nel mondo con quello statunitense.
1.1 L’Evoluzione storica della politica europea dei trasporti
Sin dal suo Trattato costituente nel 1957 la Comunità Europea era intenzionata a
sviluppare una politica comune di trasporto che mirasse ad istituire un mercato
unico dei trasporti, con il conseguimento della libera prestazione dei servizi e
dell’apertura dei mercati nazionali.
Il settore dei trasporti presentava però delle caratteristiche estremamente
differenti nei vari Stati membri, tali da non poter parlare propriamente di
mercato. Una particolare tecnologia produttiva, la connaturata vocazione sociale,
la configurazione industriale monopolistica del settore per via delle costose
13
tecnologie impiegate, hanno suggerito alla Comunità di non estendere i principi
di politica della concorrenza
4
ai trasporti.
Si privilegiava allora un approccio cauto, dapprima mediante
l’enunciazione di principi generali e programmatici della Comunità nei confronti
degli Stati membri, passando ad una successiva e progressiva liberalizzazione e
deregolamentazione dei mercati nazionali, unita ad una contestuale
armonizzazione che mirasse ad uniformarli
5
. Soltanto in seguito la Comunità
prevedeva di porre in atto un’azione di “riregolamentazione” orientata allo
sviluppo di politiche europee nel settore.
Nei primi anni di vita la Comunità non riuscì a compiere interventi
rilevanti nel settore, probabilmente a causa della forte opposizione degli Stati
membri che non volevano vedersi sottratte le proprie potestà normative in
materia, come parte del Titolo V del trattato di Roma prevedeva.
A ciò si aggiunga la peculiarità delle varie industrie nazionali dei trasporti
che esigevano trattamenti particolari riguardo alle regole comunitarie della
concorrenza. Inoltre l’attenzione della Comunità era comunque prioritaria nei
confronti dei fattori strategici di difesa dei confini nazionali, che hanno in molti
casi
6
condizionato e configurato lo sviluppo del mercato nazionale dei trasporti
(Scicolone, 2010).
Tutto ciò ha influito, anche su ogni tentativo di pianificazione delle
infrastrutture (Montebello, 2004/2).Di fatto fino alla fine degli anni settanta la
Comunità ha rispettato la sovranità degli Stati membri senza dare sostanza ai
principi enunciati dal trattato di Roma (Giannelli, 2000).
Raramente intervenne qualche risoluzione del Parlamento europeo che
evidenziava la debolezza del progetto di integrazione economica senza
un’efficace politica comune nei trasporti
7
.
4
L’intero impianto comunitario di matrice neo-liberale è fondato sulla libertà di concorrenza.
5
Sul tema si rinvia a: F. Munari, il diritto comunitario dei trasporti, 1996, Giuffrè.
6
L’Italia è probabilmente stato l’esempio principe, con una grossa sproporzione tra dotazione
infrastrutturale del nord-ovest (nettamene più sviluppata) e nord est, protrattasi fino agli anni ’90.
7
Cfr. Risoluzioni del 16 gennaio 1979, in G.U.C.E., c.39 del 12 febbraio 1979; Risoluzione del 9 marzo,
in G.U.C.E., C87 del 5 aprile 1982; del 16 settembre 1982, in G.U.C.E., C267 del 12 ottobre 1982.
14
Solo dalla fine degli anni settanta il settore dei trasporti ha subito un
rinnovato interesse da parte della Comunità, ed un rilancio di una politica
comune fu avviata dalla Commissione attraverso una comunicazione al Consiglio
ed un Programma di azione 1974-1976. Tali documenti reimpostavano gli
obiettivi della politica comune dei trasporti e dei relativi strumenti di azione,
progettando la costruzione di un mercato comunitario nel settore attraverso la
costruzione di infrastrutture comuni e l’adozione di misure di accompagnamento
(Scicolone, 2010).
Passò comunque un altro decennio prima che gli Stati membri decidessero
di abbracciare le idee delle istituzioni comunitarie.
Con l’entrata in vigore nel 1986 dell’Atto Unico Europeo si avviava il
processo definitivo di completamento del mercato interno, il che implicava
l’avvio di un’opera di liberalizzazione e deregolamentazione in tutti i settori di
competenza comunitaria da ultimare entro il 31 dicembre 1992, come indicato
dall’articolo 7 A.
Quest’opera non poteva più essere rimandata nel settore dei trasporti,
anche perché nel frattempo era intervenuta una sentenza della Corte di giustizia,
la Nouvelles Frontières
8
, che affermava come la mancata adozione di norme
secondarie attuative della politica dei trasporti non ostava alla piena applicazione
al settore delle previsioni del Trattato in materia di concorrenza.
L’abolizione delle barriere di ingresso ai diversi mercati nazionali è stata
seguita da un’importante opera di regolazione nelle ferrovie, nel trasporto aereo,
marittimo e stradale, soprattutto in chiave di elaborazione di procedure, livelli e
standard operativi e qualitativi comuni, al fine di aprire progressivamente i
mercati nazionali alla concorrenza.
8
Nel caso in questione la compagnia di viaggi aveva contestato l'accordo per la fissazione dei prezzi delle
tariffe aeree contenuto nel Codice dell'aviazione civile francese, ritenendolo in contrasto con le
disposizioni del trattato sulla concorrenza. La sentenza della Corte (Ministere Public v. Asjes) diede
ragione alla compagnia di viaggi stabilendo che, pur in assenza di una esplicita previsione del trattato in
tal senso, le regole della concorrenza vanno applicate anche a questo settore, attribuendo alla
Commissione il potere di vietare tali pratiche. Nouvelles frontières Sentenza Corte di Giustizia 30 aprile
1986, cause riunite C 209-213/84