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Introduzione
Sin dalla prima metà degli anni ottanta i grandi poteri economici, finanziari ed
imprenditoriali, oltre al mondo politico, hanno focalizzato la loro attenzione attorno
alla costruzione di grandi opere infrastrutturali sempre più sponsorizzate e
pubblicizzate, con l‟ausilio dei media, come indispensabili, strategiche e prioritarie a
raggiungere quegli obiettivi di crescita e di sviluppo posti a fondamento della nostra
società. La realizzazione di queste opere faraoniche è stata giustificata dalla necessità
di rispondere compiutamente al fenomeno della globalizzazione; una società – come
quella mondiale – in cui si registra una crescita progressiva delle relazioni e degli
scambi transazionali nei settori più diversi, evidentemente non può prescindere da
un sistema infrastrutturale integrato e il più efficiente possibile, che queste relazioni
deve favorire.
La costruzione dell‟Alta velocità, infatti, si propone di rispondere ad un bisogno
crescente – questo è almeno il messaggio che si è voluto trasmettere alla società
civile – di spostare una grande mole di passeggeri e di merci tra i diversi paesi. In
Italia il progetto TAV è stato presentato come prioritario ed indispensabile ad evitare
che il paese potesse rimanere isolato rispetto alle dinamiche europee.
Di sicuro il settore delle grandi opere ha attirato a sé in questi anni sempre maggiori
interessi, «perché basato su attività a basso contenuto tecnologico e a scarso rischio
d‟impresa, in grado di movimentare nel tempo immensi capitali in larga parte
pubblici»
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.
La grande opera dell‟Alta velocità, come molte altre opere, è concepita per
incentivare la convergenza economico-culturale fra gli stati, facendo attenzione
contemporaneamente a soddisfare i nuovi bisogni e ad assicurare un ritorno
economico a chi in queste opere ha investito enormi capitali. L‟Alta velocità si
propone come un‟opera altamente innovativa e a basso impatto ambientale, in grado
di rispondere compiutamente alle esigenze della società. Ma sarà effettivamente
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Marco Cedolin, Grandi opere – Le infrastrutture dell’assurdo, Bologna, Arianna editrice, 2008, p.
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vero? Corrisponderà a verità lo slogan che in tutti questi anni ci è stato proposto? E
soprattutto, può un‟opera di queste dimensioni riuscire a ridistribuire il traffico tra i
diversi trasporti modali?
Uno studio condotto dalla società svizzera "PROGTRANS" sul passante del Brennero,
che dovrebbe rientrare nel progetto del Corridoio I della rete TEN-T delineata
dall‟Unione europea, ha rilevato come la tratta Verona-Brennero, nella migliore delle
previsioni, riuscirebbe a spostare dalla strada alla rotaia appena lo 0,5% del totale del
traffico giornaliero di mezzi pesanti.
Pertanto un investimento calcolato sui 25 miliardi di euro si rivelerebbe del tutto
inadeguato ad interpretare la redistribuzione del traffico sull‟asse del Brennero. E
ancora nel 2003, sulla linea storica della Torino-Lione, è iniziato in via sperimentale
il servizio dell‟autostrada ferroviaria che consiste nel trasporto dei TIR e delle relative
merci all‟interno di appositi vagoni navetta. Ebbene ad oggi la realtà è
incontrovertibile; ogni giorno le navette, capaci di trasportare fino a diciotto TIR,
sono semivuote a dimostrazione della scarsa attrattiva del trasporto combinato.
Addirittura il progetto di "autostrada viaggiante" ha registrato negli anni un trend
negativo nel volume del traffico merci.
Dov‟è quindi l‟utilità di un‟opera così impattante che ha soltanto il demerito di
trasformare la morfologia e gli equilibri di un territorio?
Forse la realizzazione di queste opere faraoniche non serve tanto alla collettività,
quanto a quelle lobby di potere che, attraverso una fitta rete di relazioni, riescono a
realizzare facili guadagni a bassissimo rischio d‟impresa. Dunque un grande
investimento di denaro pubblico non al servizio della comunità e dei territori ma alle
dipendenze della logica economica del profitto, senza considerarne gli impatti
ambientali e sociali che ne derivano. Sarebbe più logico ed intelligente usare la rete
già esistente, migliorandola e adeguandola alle nuove esigenze dei territori, tanto più
che ad oggi il servizio ferroviario in funzione risulta essere sfruttato soltanto per il
37% del suo potenziale.
Ma il progetto dell‟Alta velocità è destinato a realizzarsi perché patrocinato
dall‟Unione europea e sostenuto dai governi nazionali. E nulla o poco potranno fare
tutti quei comitati di cittadini nati spontaneamente per manifestare la loro contrarietà
al progetto Tav.
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In Italia la rete dell‟Alta Velocità copre oggi circa 1.000 km lungo la direttrice
Torino-Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli-Salerno e altre nuove tratte si
apprestano ad essere ultimate. La commistione dei grandi poteri economici e
finanziari ha prevalso sul buon senso.
Questo lavoro si propone di raccontare la storia dell‟Alta velocità e come la grande
opera vada via via inserendosi nelle dinamiche socio-economiche dei territori. Il
tentativo è quello di leggere i fatti in maniera obiettiva e quanto più possibile
distaccata cercando di rappresentare al meglio pregi e difetti di un servizio che sta
spaccando in due il paese. È importante raccontare le dinamiche che si celano dietro
il Grande imbroglio che, almeno in Italia, ha visto la commistione degli ambienti
politici ed imprenditoriali con la criminalità organizzata, perché i cittadini possano
farsi un‟idea rispetto all‟opera più imponente mai realizzata in Europa.
L‟Alta velocità rappresenta il passato più recente e il futuro prossimo, perché opere
di queste dimensioni non vedranno la luce prima di venti o trent‟anni.
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Le Grandi Opere: L’ALTA VELOCITÀ
Nella prima metà del XIX secolo inizia in Europa l‟epoca dei "grandi
inurbamenti"; sono gli anni della Prima Rivoluzione Industriale che cambierà
radicalmente la vita economica e sociale dell‟Inghilterra e di tutta l‟Europa.
L‟introduzione delle innovazioni tecnologiche dà l‟avvio ad un nuovo sistema di
produzione, completamente diverso rispetto a quello della primitiva
industrializzazione del XVI e XVII secolo. Il nuovo sistema industriale prevede la
figura dell‟operaio che lavora nelle fabbriche ma soprattutto la sostituzione delle
tradizionali fonti di energia (acqua, vento, animali) con fonti combustibili come il
carbone che permettono l‟introduzione delle macchine a vapore.
Nascono le città industriali a seguito di un forte aumento demografico degli
agglomerati urbani; si popolano di artigiani e contadini che abbandonano le
campagne per andare a lavorare nelle fabbriche. È l‟inizio di un‟epoca nuova per
l‟Europa che esige importanti collegamenti fra i nuovi poli dello sviluppo.
Sin dall‟inizio l‟esigenza di garantire questi collegamenti e gli scambi tra le grandi
città industriali viene risolta con la costruzione delle ferrovie, una scelta che porta
alla nascita di grandi fabbriche per la costruzione di locomotive. Diventa importante
negli anni riuscire a trasferire le persone e soprattutto grandi quantità di merci nel più
breve tempo possibile, e questa esigenza porta l‟industria ferroviaria a sviluppare
treni sempre più rapidi ed efficienti.
Ma la rigidezza del tracciato ferroviario, spesso ha imposto la costruzione di grandi
strutture architettoniche che permettessero l‟attraversamento di grandi corsi d‟acqua
e il superamento di valichi montuosi dalle pendenze importanti. A metà degli anni
‟80 del XIX secolo, infatti, comincia la costruzione di grandi ponti con struttura in
carpenteria metallica ad arco; ad oggi l‟esempio più illustre di questo genere di
ingegneria dei ponti è rappresentato dal "ponte di Paderno d‟Adda" nella provincia di
Lecco, in Lombardia. Di pari passo con la realizzazione delle grandi opere
Capitolo (1)
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dell‟ingegneria civile, vanno sviluppandosi tutte le altre componenti ferroviarie:
l‟armamento, il sistema di segnalamento, le linee e gli impianti a trazione elettrica e
tutte quelle tecnologie per la messa in sicurezza che permettono ad un sistema
ferroviario altamente complesso di funzionare in maniera efficiente.
La storia dell‟Alta velocità non può prescindere dalla storia delle ferrovie che ha
raggiunto successi straordinari e inaspettati traguardi; una storia più che bisecolare
che racconta un‟evoluzione continua del settore iniziata con le prime locomotive a
vapore e conclusasi – solo per ora – con gli odierni e sofisticati elettrotreni che
superano i 300 km/h.
I treni AV sono treni passeggeri che si spingono ai limiti della tecnologia e,
all‟occorrenza, possono diventare treni ad AC che presuppone un trasporto congiunto
di merci e passeggeri sulle linee ad Alta velocità. Tale servizio offre garanzie in
termini di efficienza e di velocità riuscendo a coprire lunghe tratte in brevissimo
tempo. Si propone, infatti, come una valida alternativa al trasporto stradale e aereo al
quale si prefigge di sottrarre fette di mercato per decongestionarne i loro traffici. Ma
un‟opera faraonica come questa necessita inevitabilmente di una linea
completamente nuova, di un armamento pesante che preveda nuove caratteristiche
geometriche per i binari e con diversa alimentazione, di tracciati il più possibile
rettilinei e pianeggianti. Per cui un investimento di tale portata risulta conveniente
quando un numero sufficientemente alto di passeggeri – nell‟ordine dei quarantamila
al giorno – è disposto a pagare il relativo biglietto. Per dirla in termini economici, è
accettabile qualunque investimento che comporti un profitto superiore o almeno
uguale a quello medio. Conti alla mano, ciò risulta possibile quando si ha la necessità
di servire città metropolitane di qualche milione di abitanti che siano tra loro
distanziate non meno di trecento km, e con una pianura in mezzo poco abitata.
Questo è il caso della tratta Parigi-Lione, la cui realizzazione ha riscosso in questi
anni un enorme consenso, ed è pertanto ritenuta un grande successo commerciale.
Ma vale anche per molte altre linee costruite sia in Francia che in Germania, dove ci
sono tutte le condizioni sopra citate. È meno comprensibile la scelta di fare l‟Alta
velocità in un paese come l‟Italia perché ci sono numerosi aspetti negativi che
giustificherebbero una proposta alternativa. Mancano le condizioni orografiche, vi è
un‟urbanizzazione diffusa su tutto il territorio e i grandi agglomerati urbani in molti
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casi sono troppo vicini tra loro per giustificare un servizio ad alta velocità. Piuttosto,
a detta di molti tecnici ferroviari, avrebbe avuto maggiormente senso orientarsi verso
criteri diversi per rendere più veloci i collegamenti. Era stata sviluppata, prima che in
ogni altro paese, la tecnica dei treni ad assetto variabile, i cosiddetti pendolini; con
questi treni si potevano raggiungere fino ai 200 km/h così da ridurre i tempi di
percorrenza di circa il 30 per cento, senza dover costruire nuove linee.
Evidentemente le logiche politico-economiche hanno avuto il sopravvento sul buon
senso. All‟inizio degli anni Novanta si è deciso che il sistema ad Alta velocità
italiano avrebbe avuto una serie di linee specializzate, a 300 km/h, da realizzarsi
secondo il modello francese. Linee tanto specializzate da richiedere materiali rotabili
nuovi e una alimentazione elettrica differente dal resto della rete nazionale (si passa
dai 3.000 V c.c. ai 25 kV c.a.).
Il trasporto su rotaia è stato per diversi decenni la forma di trasporto più
utilizzata, almeno fino agli inizi del XX secolo quando lo sviluppo del settore
automobilistico ha assunto il monopolio nel settore del trasporto di massa.
Probabilmente non è un caso che l‟Italia abbia oggi gli stessi chilometri che aveva
agli inizi del 1900; se per tutto l‟Ottocento la ferrovia rappresentava una soluzione
all‟isolamento del medioevo, nel 1900 si è deciso di indirizzare gli investimenti
pubblici verso altre forme di collegamento (si pensi all‟autostrada). In occasione
dell‟Unità d‟Italia tutti volevano la ferrovia, oggi invece il collegamento ferroviario
tradizionale non rappresenta più, per molti territori, un‟occasione di sviluppo.
Il primo treno ad Alta velocità fu l‟italiano ETR 200 (della famiglia ElettroTreno
Rapido) del 1936. In quegli anni la società Ferrovie dello Stato, creata dal governo
italiano nel 1905, varò un programma di potenziamento delle linee ferroviarie
elettrificando le dorsali principali della rete. La realizzazione del progetto iniziò nel
1934 e andava nella direzione di costruire un treno più leggero e veloce, sfruttando le
tecnologie innovative del periodo. I risultati furono da subito tangibili tanto che, nel
1936, la società italiana di costruzioni meccaniche Ernesto Breda consegnò il primo
esemplare la cui caratteristica peculiare fu rappresentata dal particolare muso a "testa
di vipera" sviluppato nella galleria del vento del Politecnico di Torino. L‟ETR 200, nel
luglio del 1939, segnò un importante record di velocità lungo la tratta Milano-
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Firenze; i 316 km che distanziavano le due città furono coperti in soli 115 minuti con
una velocità media di 165 km/h ed una velocità massima di 203 km/h raggiunta
all‟altezza di Pontenure, presso Piacenza. Senza dubbio un ottimo risultato se si
considera che non disponessero di una linea apposita ad Alta velocità e di tutti i
servizi di cui dispongono gli attuali Eurostar. A buon ragione rappresentò per il paese
un motivo di orgoglio nazionale tanto che Mussolini decise di inviarne un esemplare
alla Fiera Mondiale di New York.
Ma al di là di questo esempio, sicuramente motivo di vanto per tutti gli italiani, il
paese pioniere nello sviluppo del settore dell‟AV fu il Giappone che, nel 1964,
inaugurò la linea veloce Tokaido che collega le città di Tokyo e Osaka; una grande
opera infrastrutturale di 515 Km sulla quale viaggiano oggi treni che raggiungono
una velocità massima di 300 km/h. Negli anni settanta l‟Italia inaugurò la stagione
delle linee veloci europee con la costruzione della Direttissima Firenze-Roma (in
funzione per oltre metà percorso dal 1977 e poi ultimata nel 1992). Si trattava di
un‟opera innovativa in grado di garantire una velocità di circa 250 km/h e che univa
due importanti città senza effettuare fermate intermedie. Fu la volta, nel 1981, della
linea "TGV Sud-Est" che avrebbe collegato le due più importanti città di Francia,
Parigi e Lione e sulla quale avrebbero viaggiato gli speciali "TGV" (Train à Grande
Vitesse). Negli anni anche altri paesi si sono dotati di treni ad Alta velocità come la
Germania e la Spagna, e un numero sempre maggiore di questi treni collega le grandi
capitali d‟Europa secondo l‟ambizioso progetto dell‟Unione europea di realizzare
una rete ferroviaria transeuropea (TEN-T). È il caso, per esempio, dei treni "Thalys"
appartenenti alla famiglia dei treni TGV che viaggiano sulle direttrici Parigi-
Bruxelles-Colonia e Parigi-Bruxelles-Amsterdam. Eppure, a tutt‟oggi, l‟Alta velocità
non è ancora un servizio largamente diffuso, anzi in molti paesi le linee veloci non
sono state neppure costruite sebbene sia stata presa in considerazione questa
possibilità. Per esempio in Svezia, dove «le distanze da percorrere sono elevate (oltre
400 km da Göteborg a Stoccolma), ma la domanda di trasporto è limitata […], si è
preferito ricorrere unicamente all‟upgrading delle linee esistenti ed alla contestuale
adozione di materiale rotabile a cassa oscillante (X2000)»
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Laboratorio per la democrazia di Torino, a cura di Cancelli C., Sergi G., Zucchetti M., Travolti
dall’Alta Voracità, Roma, Odradek edizioni, 2006, p. 141.
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Piuttosto la realizzazione di linee ferroviarie completamente nuove è stata decisa per
il trasporto merci che assume in questo paese un ruolo strategico al pari di quello
passeggeri, essendo la Svezia un paese dotato di grandi risorse naturali e di uno
sviluppato sistema industriale che giustificano una scelta di questo tipo.
Alla stregua di questi esempi è lecito chiedersi come mai un paese come l‟Italia non
abbia avuto le stesse esitazioni, tanto più che le controindicazioni precedentemente
citate non possano essere messe in alcun modo in discussione. Anzi, cosa
probabilmente ancor più allarmante, a metà degli anni Novanta la classe dirigente si
rende conto dell‟insostenibilità dell‟AV per il trasporto passeggeri e, anziché
accantonare il progetto, decide per un utilizzo delle linee anche per il trasporto merci;
quindi linee dedicate all‟AV/AC. Dove per capacità di una linea ferroviaria si intende
il flusso di merci/passeggeri che essa è in grado di trasportare in un intervallo di
tempo unitario. Il principio in sé è valido se si pensa che trasportare le merci con i
camion ha diversi inconvenienti: il trasporto su strada congestiona le strade, accentua
l‟inquinamento dell‟aria, causa incidenti e interferisce con la mobilità automobilistica
delle persone. Peccato soltanto che le linee storiche dell‟Alta velocità, come quelle in
Giappone e in Francia, siano dedicate ai soli passeggeri. Una linea AV mista ha forti
controindicazioni; la compresenza di treni passeggeri che viaggiano a 300 km/h e
treni merci che viaggiano a 150 km/h non è oggettivamente possibile a meno che non
vengano realizzati lunghi tratti di “binari di sorpasso” aggiuntivi, che in ogni caso
rallenterebbero il treno più lento con buona pace della sua Alta velocità. E poi
stabilire delle fasce orarie dedicate non è facile perché questo genere di treni non
viaggerebbe di notte, perché le linee necessiterebbero di continua manutenzione.
E poi i dati non sono affatto confortanti; in Italia solo il 10 per cento circa delle merci
viaggia su rotaie e nella migliore delle ipotesi si riuscirebbe ad alzare questa
percentuale al 30 per cento.
La storia delle ferrovie italiane è più antica della stessa unità nazionale; la prima
linea ferrata fu costruita nell‟allora Regno delle Due Sicilie tra Napoli e Portici ed
inaugurata da Ferdinando II il 3 ottobre 1839. Soltanto sessant‟anni più tardi i treni a
vapore italiani segnarono il primo record di velocità con la locomotiva RA 3701 –
velocità massima raggiunta 126 km/h – un motivo di vanto e una notizia che suscitò